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Domenica 31 Agosto, la serata finale dell’edizione 2014 del Pride Village di Padova, ha ospitato come madrina, Conchita Wurst.
Nata in Austria nel 1988, Conchita inizia la sua carriera di cantante nel 2006 arrivando seconda al Talent Show austriaco ed entra a far parte del gruppo vocale degli Jetz Anders. Nel 2011 vince il reality show canoro “Di Grosse Chance” e nel 2012 arriva seconda proprio all’ Eurovision Song Contest a Copenaghen, concorso che l’ha vista vincitrice quest’anno con il brano Rise like a phoenix.
L’artista austriaca nel tardo pomeriggio si è concessa a fotografi e giornalisti nell’incontro tenutosi con la stampa iniziato intorno alle 20.00
La partecipazione di Conchita alla serata conclusiva della settima edizione del Padova Pride Village, è l’unica tappa italiana dell’artista e non è un caso che lei stessa abbia deciso di presenziare proprio al Pride Village. La cantante infatti da anni è impegnata socialmente per i diritti civili, per combattere ignoranza e discriminazione e ogni tipo di omofobia. Conchita non manca in ogni occasione di ricordare il suo disprezzo verso la Russia e in particolare per Putin, che ha emanato delle leggi incivili rendendo impossibile la vita ai gay, costretti a nascondersi per non essere picchiati.
L’artista austriaca è felice di essere in Italia, ama il nostro paese e in particolare la pizza; ringrazia l’organizzazione per essere stata invitata a questo evento in modo da poter contribuire a diffondere il messaggio che ormai è il suo credo quotidiano, e cioè che ogni individuo ha il diritto di poter essere quello che sente di essere, e di manifestarlo secondo la propria personalità e i propri sentimenti.
Si presenta curata nel suo aspetto in jeans e maglietta lurez con tacco 12, capelli lunghi sciolti, truccatissima, non volgare e, con la barba molto ben curata.
La sua barba dichiara, non è simbolo di moda da seguire, ma lei si piace davvero così e in questo è stata supportata anche dai suoi genitori sin da giovanissima.
Tom Neuwirth, in arte Conchita, dichiara di riuscire a dividere moto bene il personaggio femminile, da Tom , dato che ora sono molto ben scanditi gli impegni dell’artista, riuscendo ad avere una vita privata più tranquilla possibile, cosa a cui tiene molto.
Conchita, invitata in parecchi paesi a far sentire di persona la sua straordinaria voce, dice che in tutto questo suo girare il mondo, ha visto ovunque che i gay sono discriminati, ma senza capirne il motivo.
Dopo aver sfilato in passerella per Jean Paul Gaultier in occasione della presentazione della collezione di Haute Couture Autunno/Inverno 2014-2015, per la quale lo stilista l’ha voluta espressamente come modella, Conchita ha sostenuto di voler rimanere impegnata nella musica, infatti sta lavorando alla realizzazione di un proprio album. La moda potrebbe essere un secondo sogno per la cantante, ma per ora il suo pensiero è solo per la Musica.
La conferenza stampa si conclude con Conchita che posa per qualche foto ricordo e corre subito dopo al sound-check in attesa dell’evento più atteso della serata.
Intorno alle 23,00 Conchita si è esibita davanti al suo pubblico in un piccolo concerto, proprio a testimoniare il grande impegno nella lotta ai diritti che sta portando avanti. Il Pride Village è pieno di persone, che vedono in lei una icona da seguire e una persona che non li fa sentire soli, ma importanti.
I fan durante il concerto son rimasti affascinati e conquistati dalla sua voce, che potente e ben modulata, riesce a far sentire suo ogni brano, interpretandolo e facendolo arrivare al pubblico in modo del tutto unico e personale.

Live report e foto a cura di Mimmo Lamacchia

Si è conclusa con Paolo Fresu la 38esima edizione del MonfotinJazz, la rassegna musicale 2014 organizzata a Monforte D’Alba nel cunese; una edizione che ha visto grande affluenza da parte del pubblico nonostante il dispiacere di dover annullare il concerto dei Plaza Francia lo scorso 29 luglio a causa di questa estate all’insegna del mal tempo.
Per fortuna, il live di Fresu non è stato annullato, anche se il cielo non è stato proprio clemente, e l’artista sardo ha potuto dar spettacolo con il suo inconfondibile stile.
Come abbiamo già ampliamente raccontato con il live report del concerto dei Gov’t Mule, lo scorso 10 luglio, la magia che si respira qui ha dell’incredibile, si entra in una sorta di varco spazio temporale dove la musica diventa un tutt’uno con la location e il pubblico. Proprio a quest’ultimo va l’applauso per la determinazione nel seguire, anno dopo anno, l’evolversi di questa rassegna musicale; appassionati e curiosi non solo del posto ma anche dall’estero arrivano dai paesi più disparati per gustare il vino, l’aria e la musica di qualità.
La partecipazione del Paolo Fresu Quintet al festival è stata l’occasione giusta per proporre al pubblico del jazz tradizionale miscelato perfettamente a nuove interpretazioni del genere, grandi classici che si intrecciano con nuove forme di improvvisazione e virtuosismi. Dalla tromba di Fresu nascono melodie delicate che richiamano i suoni della sua terra ma che rivelano, tra le righe, anche un senso di evasione, di scoperta della world music pur restano fedele alle sue origini; questa singolare interpretazione di Fresu è resa possibile anche dai musicisti che sono al suo fianco,Tino Tracanna (sax tenore e soprano), Roberto Cipelli (pianoforte e piano elettrico), Attilio Zanchi (contrabbasso) ed Ettore Fioravanti (batteria); 4 elementi che da 30 anni rafforzano il concetto espresso dal trombettista e caricano lo spettacolo di quello spessore degno dei migliori jazz club del mondo. Dopo una breve introduzione e presentazione di rito da parte dell’organizzatore, dove ha ringraziato tutti gli sponsor ma soprattutto i volontari che da anni permettono lo svolgersi della manifestazione, sul palco è salito il quintetto e dall’alto invece è scesa una sottile nebbia che ha reso l’atmosfera ancora più ovattata; complice la bella arena e, appunto, la nebbiolina, in automatico l’anima sembra esser stata trasportata in un jazz club di Chicago, con il fumo delle sigarette e le luci delle candele sui tavolini, una sensazione davvero intensa e suggestiva.
Dopo i primi tre brani, c’è già una piccola pausa e Paolo Fresu lascia la tromba per il microfono, presenta i suoi compagni di avventura, con una ironia semplice ma molto piacevole racconta come il quintetto sia rimasto sempre lo stesso da 30anni, “le migliori relazioni sono quelle dove non ci si vede sempre, noi abbiamo iniziato tre decenni fa e siamo ancora insieme”. Tutto il resto del concerto si snoda tra brani originali e piccoli aneddoti sulla vita di Fresu, raccontati con una naturalezza devastante resa ancora più piacevole dalla complicità dei suoi partner che ricordano, scherzando, “quando lo abbiamo conosciuto non parlava mai, pensavamo fosse muto, adesso non riesce a star zitto”.
A fine concerto, una tavola imbandita di bicchieri contenti vino Barolo ha accolto gli ospiti all’uscita dall’anfiteatro; un’occasione imperdibile per gustare il vino di queste terre e assaporare quel nettare con la testa ancora inebriata dalle note soft di un incredibile concerto.
Un applauso finale, con standing ovation, va agli organizzatori, che ogni anno da 38 anni credono nelle loro potenzialità, credono nella manifestazione e al fatto che oltre al buon vino questa zona è capace di produrre anche dell’ottima cultura musicale e delle importanti serate per l’aggregazione sociale. Attendiamo la 39edizione per seguirla ancora più da vicino e farci nuovamente rapire dal potere della musica.

Live report e photogallery a cura di Marco Cometto

Che non sia una estate particolarmente favorevole per i concerti all’aperto ormai è un dato di fatto; ne sanno qualcosa anche i Simple Minds che solo due giorni fa si sono esibiti sotto l’ennesimo nubifragio a Lignano Sabbiadoro (Guarda la gallery) ma per fortuna le loro esibizioni italiane si sono concluse al Gru Village con un tempo clemente e temperature piacevoli. Ultimo appuntamento musicale per la rassegna nel centro commerciale Le Gru alle porte di Torino; sul palco per questa edizione si sono alternati mostri sacri della musica, come Dream Theater e Steve Hackett, a serate più giovanili e movimentate con Caparezza e Salmo fino ad arrivare alla serata in puro stile retrò dei Simple Minds.

L’arena gremita di fans ha accolto varie generazioni, da chi è cresciuto con questa musica ai nostalgici veri e proprio fino ai curiosi che sono stati attirati dall’importante nome in cartellone.
Concerto iniziato in perfetto orario alle 22 con “Waterfront”, contenuto nell’album del 1984 “Sparkle in the Rain”, e durato ben 2 ore con una scaletta che ha spulciato tra i grandi classici della band. Poche canzoni politiche e più spazio agli anni ’80 con un Jim Kerr scatenatissimo già dalle prime note; avere un frontman così carismatico ha permesso alla band di restare sulla cresta dell’onda per decenni proponendo sempre repertori degni di grandi e indimenticabili concerti.
Per i primi tre brani, quelli che spettano ai fotografi (tra cui il nostro collaboratore), il cantante ha dato il meglio di sé; ha giocato con le fotocamere, con occhiolini ammiccanti e linguacce, ha gattonato sul palco e fatto roteare il microfono, insomma, se c’è un obiettivo Mr. Kerr non si tira indietro… e non si tira indietro neanche per saltare e ballare per tutto il resto del concerto, tanto che dopo un’ora e mezza di show, in una mini pausa, ha esclamato “minchia se sono stanco”, espressione che sicuramente ha imparato nella “sua” sicilia, dove si è trasferito già da un po’ di anni e dove ha aperto anche un albergo.

Insomma, uno scozzese a cui piace l’Italia e lo dimostra anche quando, sempre in italiano, dice al pubblico torinese che è un dispiacere esser mancato dal capoluogo piemontese per ben 20 lunghi anni, “Come è possibile mancare da così tanto tempo?”, ha chiesto, ricevendo in risposta un lunghissimo applauso di approvazione.
Il resto del concerto è stato davvero emozionante ed energico, la gente si è proprio divertita, con l’apoteosi della partecipazione durante le canzoni “Don’t You (Forget About Me)” e “Alive and Kicking” entrambe classe 1985.
Che dire, il tempo passa, ma la musica di qualità resta immutata negli anni, nei decenni, e possiamo solo sperare che Jim Kerr e socì decidano di tornare presto a Torino e che non ci sia da attendere altri 20 lunghi anni, questa volta sarebbe decisamente un attesa fin troppo stancante.

Setlist:
Waterfront
Broken Glass Park
Love Song
Mandela Day
Hunter and the Hunted
Promised You a Miracle
Glittering Prize
Imagination
I Travel
Dolphins
Theme For Great Cities
Dancing Barefoot
(Patti Smith cover)
Let the Day Begin
(The Call cover)
Someone Somewhere In Summertime
See The Lights
Don’t You (Forget About Me)

Encore:
Big Music
New Gold Dream (81-82-83-84)

Encore 2:
Let It All Come Down
Alive and Kicking
Sanctify Yourself

Un ex monastero, oggi casa di accoglienza per bambini affetti da patologie neoplastiche. Questo il nuovo “live aid” di Bob Geldof. L’artista irlandese si è presentato nello sperduto borgo di Craviano di Govone, a metà strada tra Asti e Alba, dove lo scorso 27 luglio, ad attenderlo c’erano circa 500 spettatori.
Geldof, in perfetta forma, è salito sul palco subito dopo lo show dei Modena City Ramblers, accompagnato da alcuni membri del suo storico gruppo Boomtown Rats.
La sua scaletta ha ripercorso in lungo e in largo il suo repertorio, in un mix di colori e musica entusiasmanti. Tra il pubblico anche molti giovani, che probabilmente mai avevano visto Bob, ma forse ne avevano sentito parlare, grazie alla sua abilità nel mettere insieme tutti i nomi del rock mondiale, con il solo obiettivo di aiutare l’Africa.
Ma Geldof è anche ottimo artista. I suoi 62 anni, l’hanno ingrigito, reso maturo, ma non hanno scalfito la sua verve sul palco. E’ partito subito forte con il suo brano forse più noto: The great sound of indifference, per poi proporre pezzi della sua storia più sconosciuta come I Don’t Like Mondays e Rat Trap, scritti si dal suo pugno, ma per essere eseguiti proprio con i Boomtown Rats.
Una cavalcata di oltre due ore, che ha trascinato proprio tutti, anche i volontari di Craviano e gli stessi Modena, che alla fine hanno deciso di cantare il bis insieme a quello che è un vero mito della musica mondiale.

La scaletta:

The great song of indifference
A sex thing
Systematic 6-Pack
Dazzled
When the wife comes
Wlaking back to happiness
Banana Republic
Harvest moon
Scream in vain
One for me
Mudslide
I don’t like mondays
How i roll
Joey’s on the street again
Mary says
Rat Trap.
Encore:
Silly pretty thing
Diamonds smiles
The great song of indifference (con i Mcr).

Live report e photogallery a cura di Vincenzo Nicolello

Ore 21:48, si abbassano le luci e si innalza l’inconfondibile muro di suono e poesia degli Afterhours che, in un concerto di quasi due ore e mezza, hanno spostato le lancette dell’orologio indietro di 17 anni, al 1997, anno di uscita di una delle pietre miliari del rock made in Italy, quel “Hai paura del buio?” eletto miglior album indipendente degli ultimi 20 anni.

E proprio la domanda “Hai paura del buio?” dà il via alle danze e alla levata di mani al cielo con uno dei brani più significativi e controversi della band: 1.9.9.6. Non sono servite le proteste dei cittadini di Prato a far togliere dal brano (o meglio a far togliere nuovamente) la bestemmia che c’è all’inizio della canzone. Ma se ogni religioso dismettesse i panni da fervente si renderebbe conto che per far rivivere l’anima di quell’album c’è bisogno anche di questo: c’è bisogno del profano, della rabbia verso il sistema, ma anche delle note pungenti e sarcastiche. Togliere anche solo uno degli elementi di quell’album, forse, farebbe crollare la cortina che vi si è creata intorno. E, forse, questo non è un gruppo per credenti religiosi.

La sacralità c’è, però, eccome. E’ rappresentata dal rispetto categorico nella scaletta di Manuel &co nei confronti della tracklist dell’album, ripetuta come una Messa di cui Manuel è Sacerdote e di cui scandisce i ritmi serrati e incalzanti. Brani violenti e duri si contrappongono tra i pezzi più intimistici. Intimità che si celebra fino in fondo in “Simbiosi”, dove Manuel si fonde come una Trinità: lui, la sua chitarra e il suo pubblico. Nient’altro.

E poi torna il “Veleno”, con la graditissima partecipazione di Nic Cester (presente nella versione Deluxe dell’album, proprio nello stesso brano), che dà qualche minuto di pace alle corde vocali di Manuel Agnelli, e ci regala una versione ancora più spinta del pezzo, dove Giorgio Prette picchia ancora più duro sulla sua batteria invitando il pubblico accorso (forse in numero minore rispetto alle attese) a una partecipazione vibrante.

“Mi trovo nuovo” è solo l’ultimo dei 19 brani di “Hai paura del buio?“, che però dà il via a un concerto nel concerto, per un’altra ora di emozioni in un excursus “a sorpresa” di brani tratti da tutta la carriera della band: dalla dura Strategie, alla riflessiva Padania, a “La verità che ricordavo”, passando per “La sottile linea bianca”. Una lunghissima e sorprendente selezione di brani indimenticabile per tutti i fans. Il Bye Bye ce lo danno proprio con “Bye Bye Bombay” in un commiato tra il pubblico in estasi e un Manuel Agnelli completamente stremato che crolla sul palco.

Diciassette anni dopo non abbiamo più paura del buio, ma gli Afterhours ci piacciono ancora da morire.

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Arrivata ormai alla 38esima edizione, la rassegna MonfortinJazz ha saputo portare ancora una volta una serie di straordinari artisti capaci di esplorare le tante facce della musica con influenze che spaziano dal tradizionale jazz o rock a quello più eclettico e innovativo. L’edizione 2014 ha in programma 6 concerti, dal 10 luglio al 2 agosto, e la nostra redazione ha deciso di seguire proprio il concerto di apertura: i Gov’t Mule.
Messi da parte i temporali degli ultimi giorni, l’Auditorium Horszowski, detto anche il “Salotto a ciel aperto”, ha ospitato questa grande jam band americana, nata nel 1994 dal progetto parallelo di Warren Haynes degli Allman Brothers Band.
Con all’attivo ben 10 album, tra cui l’ultimo “Shout!” sfornato appena nel 2013, la band capitanata dall’eccezionale chitarrista Warren Haynes ritorna in Italia ad un anno esatto dall’ultima esibizione, non proprio fortunata, alle Officine Creative Ansaldo di Milano dove, come tutti i presenti ben ricorderanno, la qualità dell’audio non aveva favorito un show memorabile; per fortuna al Monfortinjazz han saputo riscattarsi!
Alle 21.30, con l’arena ormai piena, uno degli organizzatori sale sul palco e interrompe l’attesa, ringrazia il numeroso pubblico accorso per l’occasione, tra i presenti ci sono molti stranieri e molti forestieri e questa cosa non può far altro che ricompensare l’organizzazione per tutto il lavoro svolto in questi 38 anni; dopo aver illustrato il programma di questa edizione lascia subito lo spazio alla band poiché proprio Warren in persona ha chiesto di iniziare presto a causa della ricca e lunga performance che ha voglia di proporre per l’occasione.
All’ingresso on stage della band il pubblico li accoglie con una prima ovazione, molti si alzano in piedi in segno di ammirazione e devozione alla storia rock e già dai primi accordi di “John the Revelator”, famoso canto popolare blues, e “Banks of the Deep End” si capisce che la serata sarà davvero intensa e ricca di emozioni.
Ma qui a Monforte d’Alba non è solo la musica a parlare, l’atmosfera, le stradine, i colori, i profumi e quell’arena che sembra uscita da un quadro hanno tutte una storia dietro; qui il tempo sembra essersi fermato sulle note della chitarra di Warren, una scaletta da brividi che ha miscelato le essenze dei suoni blues con quelle del funky, i riff rock con i tecnicismi jazz, una esplosione di note che hanno trasportato il pubblico in completa estasi.
Un pubblico di appassionati, di intenditori che hanno seguito con attenzione ogni singolo passaggio, assaporando il gusto intenso, proprio come si gusta il vino di queste zone.
Warren non è un tipo di molte parole, lascia parlare lo strumento al suo posto, così come hanno voce gli altri componenti della band: Matt Abts alla batteria, Danny Louis alla chitarra e tastiera e Jorgen Carlsson al basso che ha sostituito l’altro componente degli Allmann, Allen Woody.
Le due intense ore di passione e musica si sono concluse con la bellissima “Soulshine” e una standing ovation meritatissima; così per ringraziare i suoi fans Warren dopo il concerto è rimasto per molto tempo a firmare autografi e chiacchierare con il pubblico, gesti di gentilezza da parte di veri artisti che li rendono più umani e reali agli occhi degli spettatori.
I prossimi appuntamenti con il MonfortinJazz li potete leggere qui e da parte nostra vi consigliamo assolutamente di venire in questo posto magico, dove tutto ha un sapore di genuino e vero dove i concerti non sono dei veri concerti ma una sorta di rito da gustare proprio come degli eleganti sommelier.

Setlist:
John The Revelator
Banks Of The Deep End
Rocking Horse
Funny Little Tragedy
Devil Likes It Slow
Captured
Scared To Live
Mr. Man
Inside Outside Woman Blues
Thorazine Shuffle

Encore
I’d Rather Go Blind
Soulshine

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Continuano gli appuntamenti con il Milano City Sound Festival. Questa volta l’appuntamento è con gli ZZ Top: rock blues all’ennesima potenza capace di far ballare anche la nonnina che ascolta il concerto dal palazzo di fronte l’Ippodromo del Galoppo.
Dopo aver passato quasi un decennio senza toccare la nostra penisola, il trio negli ultimi anni sembra sempre più predisposto a venirci a trovare e i fans sono sempre pronti ad accoglierli con entusiasmo.
La mia particolare esperienza con loro inizia quando avevo 1 anno, forse meno, cresciuta a pane e ZZ top, mi ritrovo ad un loro concerto già all’età di 11 anni; era il 1996 ed ero a Jones Beach (NY), sono passati 18 anni e sono a Milano per rivederli ancora e con più consapevolezza.
Ad aprire il live milanese era previsto un ospite d’eccezione, il grande chitarrista Jeff Beck ma a pochi giorni dal tour ha dovuto annullarlo a causa di problemi di salute, al suo posto una band tutta da scoprire e apprezzare: Ben Miller Band. Tre simpatici individui con bizzarri strumenti che nelle loro mani diventano un suono corposo e caldo, tipico delle sonorità sudiste; una miscela esplosiva di bluegrass e blues proveniente dal Missouri. Ben Miller alla voce, chitarra, armonica e cigar box guitar, Scott Leeper al washtub bass e il batterista Doug Dicharry che ha suonato anche la washboard e il trombone, non hanno fatto per niente rimpiangere l’assenza di Beck, il pubblico incuriosito li ha accolti con applausi e ovazioni già dalle prime note. Lasciato il palco, intorno alle 21.30, l’ippodromo è bello pieno, le ultime Harley Davidson hanno parcheggiato davanti all’ingresso e il trio del Texas è pronto a scatenarsi. Le posizioni on stage sono sempre le stesse da 40 anni, al centro il batterista Frank Beard, alla sua destra il bassista Dusty Hill e alla sua sinistra il chitarrista e cantante Billy F. Gibbons. Niente è cambiato da allora e in tutti questi anni, l’energia dei riff del loro puro hard rock, i movimenti coordinati e le chitarre di peluche bianco si mantengono intatte anche con il passare del tempo senza risultare mai scontate o noiose.
Nella scaletta presentata ci sono alcuni brani tratti dall’ultimo lavoro “La Futura” del 2012 ma soprattutto successi storici come “Gimme All Your Lovin’”, “Legs” “Sharp Dressed Man” oltre ad una serie di cover di tutto rispetto.
La serata chiusa con “La grange”, “Tush” e la cover “Jailhouse Rock” è stata davvero emozionante, gli stand del merch sono stati presi d’assalto dai fans, le zanzare sono state clementi e l’unica pecca che mi sento di dover annotare riguarda il suono; band come gli ZZ Top han bisogno che il suono sia potente, quasi devastante, che riempia con ferocia ogni angolo della location, in questo caso credo siano stati attenuati, rendendo lo show un tantino meno aggressivo. Escludendo questa piccola nota che sicuramente non ha reso meno bello il live, credo di poter dire con certezza che essere di nuovo qui, davanti a questi 3 personaggi, che fin da piccola sono stata abituata a chiamare “Zii” è stata ancora una volta un ’ esperienza unica, ti ricorda quanto ami la musica e quanto ormai fa parte della tua vita, fin da… sempre.

Setlist:
Got Me Under Pressure
Waitin’ for the Bus
Jesus Just Left Chicago
Gimme All Your Lovin’
I’m Bad, I’m Nationwide
Pincushion
Flyin’ High
Foxy Lady (The Jimi Hendrix Experience cover)
Catfish Blues (Muddy Waters cover)
Cheap Sunglasses
My Head’s in Mississippi
Chartreuse
Sharp Dressed Man
Legs

Encore:
La Grange / Sloppy Drunk Jam
Tush

Encore 2:
Jailhouse Rock (Elvis cover)

Photogallery a cura di Marco Cometto

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Dopo aver rinviato più volte alcune date del tour europeo, compresa la data italiana di giugno, Lemmy e i suoi Motörhead finalmente attraccano a Milano, al City Sound Festival all’Ippodromo del Galoppo. E’ proprio il caso di usare il termine attraccare visto che poco prima dell’esibizione c’è stato un pesante temporale che per un attimo ha fatto temere il peggio e l’annullamento della data.
Per fortuna dopo l’apertura del concerto affidata a Pino Scotto con il suo rock arrabbiato e le sue parole di disprezzo verso i talent scout e trasmissioni televisive, il cielo ha graziato i fans e la serata si è svolta in perfetto orario.
Alle 22 in punto, dopo aver asciugato il palco, Lemmy e il suo pesante metallo inglese son saliti sul palco sulle note di “Damage Case” accolti dal boato e gli applausi della folla. La successiva oretta è stata un concentrato di vecchi brani intervallati da un assolo di Phil Campbell con la sua chitarra luminosa e un assolo di batteria affidato a Mikkey Dee, per finire con la più famosa “Ace of spades” seguita dal bis “Overkill”. Lemmy da parte sua ha provato a coinvolgere il pubblico con qualche frase ma le condizioni di salute non ottimali hanno decisamente inciso sull’energia e la qualità della sua voce.
Per chi si aspettava un concerto vecchio stile probabilmente è rimasto deluso, per chi invece è cresciuto a suon di Motörhead è stata l’occasione perfetta per rivederli ancora e poter applaudirli per (forse) un’ultima volta.
Un’ippodromo non sold out ma che è riuscito a riunire i vecchi e storici fans, quelli che seguono la band da sempre, con i nuovi e più piccoli sostenitori, quelli che hanno colto la palla al balzo per vedere per la prima volta queste leggende del rock n roll.

In fondo all’articolo la photogallery del concerto e per l’occasione anche il nostro partner Ricette Rock ha sfornato una ricetta che si adatta perfettamente al cantante: “Sformato ai Porri di Lemmy“; titolo divertente ma ricetta gustosissima, da provare.

Setlist:
Damage Case
Stay Clean
Metropolis
Over the Top
Guitar Solo
The Chase Is Better Than the Catch
Lost Woman Blues
Doctor Rock
(With drum solo)
Just ‘Cos You Got the Power
Going to Brazil
Killed by Death
Ace of Spades
Encore:
Overkill

A cura di Marco Cometto Photo

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Il tanto atteso evento dell’anno è arrivato: 22 giugno. Roma. Circo Massimo. The greatest band in the world. Rolling Stones.

Recensioni sul concerto si troveranno su ogni portale e giornale sin dai primi minuti dopo il live, giornalisti di alto livello parleranno dei pregi e difetti di questo evento imperdibile…da parte mia lascerò a loro la cronaca del live con termini sofisticati e giochi di parole degni delle migliori scuole di giornalismo e mi diletterò nel raccontare come si affronta un concerto del genere, l’attesa, il viaggio, le persone incontrate e gli sguardi di sconosciuti incrociati, l’energia sprigionata e quella imprigionata. Racconterò come una ragazza prende uno zaino e parte. Nient’altro, o meglio, parlerò anche dello show in sé ed invito i lettori che vogliono solo sapere cosa è successo a saltare tutta la prima parte della recensione, la parte di vita vissuta (se si chiamano LIVE show un motivo ci sarà), e spulciare solo la sezione THE SHOW  <<< cliccando qui, sul link in evidenza!

L’annuncio
L’annunciazione a Maria Vergine è niente in confronto all’annuncio che i Rolling Stones finalmente sarebbero tornati in Italia. Per settimane, forse mesi, si sono susseguiti rumors su questa data; si è parlato di Roma, si è parlato di Lucca e tutta l’attenzione era concentrata sulla D’Alessandro e Galli che a suon di mini dichiarazioni faceva intendere qualcosa, dei forse, dei ma, dei speriamo, ma alla fine, il 15 marzo una mail con il comunicato dai caratteri cubitali ha annunciato: “THE ROLLING STONES. 14on Fire, CIRCO MASSIMO. IL FASCINO DELLA STORIA INCONTRA LA STORIA DEL ROCK”. Il delirio post annuncio è stato assurdo. La notizia rimbalzava su ogni media, ogni tg, ogni giornale, ogni webzine, compresa la nostra. Boom di visualizzazioni e di domande su come e dove comprare i biglietti, gente felice e speranzosa di assistere all’evento condivideva la notizia e iniziava ad organizzarsi per l’acquisto dei preziosi tagliandi. Ho già detto “un delirio”?! bene, perché lo è stato davvero.

L’attesa:
Per giorni e giorni prima del fatidico 22 giugno ti ritrovi spesso a guardare i siti ufficiali della band, degli organizzatori e dei trasporti romani; immagini la setlist dei tuoi desideri sulla base dei concerti precedenti e ripassi le canzoni che più ti piacciono per essere pronta a cantarle a squarciagola. Organizzi il viaggio nei minimi particolari, e per l’occasione la sottoscritta si è ritrovata ad avverare il sogno, e ad organizzare il viaggio, anche al suo papà che ha passato una vita intera a suonare le canzoni degli Stones.
Poi, a pochi giorni dall’evento, la comunicazione ufficiale sulle modalità di ritiro del pass stampa, quel pezzettino di carta con su il tuo nome che ti permetterà di assistere all’evento e poterlo raccontare agli altri con le tue parole, il tuo stile e a volte anche con i tuoi errori grammaticali.

Il viaggio
Qualcuno una volta ha detto “non è importante la meta ma il viaggio”… beh, evidentemente la meta non era il concerto dei Rolling Stones! Partenza all’alba da Milano, girovaghi per la stazione in attesa di sapere il binario giusto e scattano i primi sguardi tra sconosciuti: la tua maglietta con la lingua è perfettamente in sintonia con le magliette di altri come te, l’occhio cade prima sulla stampa, alzi lo sguardo e trovi un nuovo amico che con aria assonnata ti regala un sorriso complice, un sorriso di intesa, come a dirti “non ci conosciamo ma siamo sulla stessa lunghezza d’onda, siamo amici nello spirito”. Affronti il viaggio in treno sperando di dormire e ti ritrovi invece a fare amicizia con un ragazzo che dopo un paio di timidi ciao e ciao finisce poi per raccontarti che ha litigato con la fidanzata perché lui ha preferito andare al concerto degli Stones invece che al battesimo del nipotino di lei. Nei sedili accanto una coppietta litiga perché lui vuole andare a mangiare la carbonara in qualche tipico ristorante romano mentre lei cerca di convincerlo ad andare al Circo Massimo per cercare qualche bagarino con un paio di biglietti a prezzi abbordabili. Morale di queste due storielle? Per quanto una coppia si possa amare, a volte l’Amore per la musica è più grande!

Il Pre-Show e la sala stampa
Arrivare alle 10.30 a Roma e riuscire ad entrare nel Circo Massimo solo alle 15.30 mi ha permesso di fare quello che so far meglio, chiacchierare con gli sconosciuti. Dopo aver trovato per caso tra migliaia di fans ben 2 persone di mia conoscenza, ho fatto amicizia con dei ragazzini appena 15enni e con la security. E’ più forte di me, a qualsiasi concerto io vada, che siano i sacri mostri del rock o cantanti appena famosi e usciti da poco da una cantina impolverata, io mi sento parte dell’ingranaggio STAFF e quindi mi sento sempre vicino a chi lavora a quella macchina mostruosa affinché tutto vada bene. Sarà mica la mia deformazione professionale!?
In sala stampa mi ritrovo seduta accanto a giganti del giornalismo, professionisti che lavorano ininterrottamente affinché le notizie sull’evento escano in tempo reale per spiazzare la concorrenza, citano fonti, numeri, dichiarazioni degli organizzatori; io, invece, parlo con la gente vicino alle transenne, ascolto le loro storie, le loro polemiche sulla location e le lamentele sul caldo. Se esistono grandi eventi, se i giornali pagano i critici musicali e se è stata allestita una sala stampa è merito di un solo fattore: i fans che comprano i biglietti. Quindi da parte mia mi dedico alle loro storie, ad ascoltare le incredibili peripezie che hanno affrontato per esser lì, perché, in fondo, la gente ha ancora voglia di condividere le emozioni a voce, soprattutto quando la rete per i telefonini salta a causa dell’eccessivo traffico!

THE SHOW
Ecco, chi ha saltato tutta la parte romanzata e per certi versi noiosa e lunga, può attaccare qui la lettura.
Dopo le estenuanti ore di attesa, al calar del sole, è salito sul maestoso palco il giovane John Mayer.
Per molti versi ancora sconosciuto in Italia, Mayer in realtà oltreoceano è molto apprezzato e seguito. Anche se qui da noi è forse più famoso per le pagine di gossip, dopo aver avuto relazioni sentimentali con star del calibro di Jennifer Aniston, Jessica Simpson e Katy Perry, il popolo del rock del Circo Massimo ha apprezzato tantissimo la performance del bluesman americano. Nella scaletta ha proposto brani dei precedenti album, alcuni in versione elettrica e alcuni in versione più acustica. Giusta atmosfera per aprire un live degli Stones, che si sa, non sono molto propensi ad avere gruppi spalla.
Alle 21.50 si spengono le luci, si accendono i cellulari in modalità REC e una voce annuncia “Ladies and gentlemen, please welcome The Rolling Stones” e sulle note tirate di “Jumpin’ Jack Flash” iniziano le 2 ore più entusiasmanti e spettacolari di sempre. La stanchezza della lunga giornata svanisce di colpo, l’energia della musica e della gente rigenera le cellule stanche, 71500 persone nello stesso luogo, con la stessa passione hanno il cuore che batte all’unisono, insieme alla cassa della batteria di Charlie Watts. 50 anni di carriera, che si snodano in 19 brani caricati a molla. “Let’s Spend the Night Together” e “It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)” vengono eseguiti subito dopo il saluto in italiano di Mick Jagger: “Ciao Roma, ciao Italia. Che pubblico fantastico.” seguito da “l’Italia vincerà la coppa del mondo. Vincerà 2 a 1 con l’Uruguay”. E se qualcuno con queste parole potrebbe essere scaramantico, molti altri associano la vittoria dell’Italia ai mondiali proprio ai concerti degli Stones in Italia nel 1982 e nel 2006 e anche in quelle occasioni Mick aveva pronosticato risultati positivi.
Due ore di Rock ‘n’ Roll che han permesso di fondere la storia del luogo con la storia del rock. Da “Jumpin’ Jack Flash” a “Satisfaction” passando per “Gimme Shelter” in duetto con la bravissima Lisa Fisher, a “Respectable”, la canzone scelta con i voti del pubblico, in duetto con John Mayer, per poi lasciare spazio ad un Keith Richard alla voce con “You Got the Silver” e “Can’t Be Seen”. Non sono mancati gli ospiti, oltre a Mayer, sul palco anche il leggendario Mick Taylor per la canzone “Streets of love”, che non veniva eseguita dal vivo dal 2007, e il Coro Giovanile Italiano per “You Can’t Always Get What You Want”. La chiusura del bis e del concerto ovviamente è stata affidata a “(I Can’t Get No) Satisfaction” con una esplosione di fuochi pirotecnici per il gran finale.
Un tripudio di rock, di colori, di note e sorrisi, che ti fanno credere che davvero queste quattro colonne della musica abbiano fatto un patto con il diavolo e poco importa se continuano a ripetere che questo è il loro ultimo tour, probabilmente la testa gli dice di fermarsi ma il cuore continua a battere Only for the Rock N Roll!

Il post-show
Beh, dopo aver raccontato le avventure pre-concerto e aver sintetizzato l’energia di un live show che nero su bianco è impossibile da sintetizzare e far comprendere a chi non c’è stato, l’unica cosa che mi resta da fare, per seguire la mia fantomatica linea editoriale è quella di trarre le mie conclusioni su cosa hanno davvero visto i miei occhi.
Ho visto due, tre o forse anche quattro generazioni seguire uno dei più bei concerti mai avvenuti in italia negli ultimi anni, e poco importa se c’è chi fa polemiche sul prezzo irrisorio della concessione del suolo pubblico o se i servizi dei telegiornali gridano allo scandalo dei rifiuti lasciati dai fans, il circo massimo verrà ripulito, pochi giorni e ci saranno flotte di turisti ad abbandonare i loro di rifiuti e il sindaco troverà probabilmente qualche escamotage per affittare il suolo pubblico a prezzi molto più elevati permettendo di nuovo la fuga degli organizzatori dei grandi eventi.
Ho visto persone lamentarsi per il caldo, per la lontananza dei bagni pubblici e della pessima organizzazione ma si sa, la gente quando si annoia deve lamentarsi di qualcosa e prendersela con qualcuno; da parte mia ho trovato una pianificazione spettacolare, sicuramente ci sarà modo di migliorare alcuni aspetti per i (forse) futuri eventi, magari ci sarà da capire se effettivamente questa location può essere adeguata per una migliore fruizione degli spazi ma un grande applauso meritato va proprio agli organizzatori, che ci han creduto, rischiando e investendo, ma anche meritatamente guadagnato.
E poi ho visto me stessa, guardandomi allo specchio, bruciata completamente dal sole ma con un vero sorriso che mi ricorda perché amo così tanto la musica, i concerti e far parte dell’ingranaggio; mi son ricordata il motivo per cui cinque anni fa, proprio a Roma, ho studiato per far parte di questo mondo, e non c’è niente da fare, quando dentro ti scorre la musica con quelle combinazioni di sette note, non c’è nulla che può reggere il confronto e niente che può essere neanche minimamente paragonato… beh, almeno per me. It’s only Rock n Roll, but I LOVE it.

Un piccolo PS.: Non mi è stato permesso scattare foto durante il live, le immagini di ciò che ho visto me le porterò dentro e saranno mie personali e di altre 70000 persone, ma una foto alla copertina dell’articolo dovevo pur inserirla e allora, essendo questo articolo scritto per chi ha voglia di rispecchiarsi nelle avventure che precedono i concerti, per chi ha voglia di perdere qualche minuto per farsi anche una risata al ricordo delle peripezie per arrivare a Roma, ho deciso di inserire una foto scattata al bar fuori dall’area stampa; i romani si saranno anche lamentati del caos e del prezzo irrisorio ma han saputo sfruttare egregiamente la scia ROLLING STONES. Applauso per questa gelateria. Per me ha vinto!

Grazie a D’Alessandro & GalliDaniele Mignardi PromoPressAgency per il prezioso invito.

Setlist Rolling Stones:
Jumpin’ Jack Flash
Let’s Spend the Night Together
It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)
Tumbling Dice
Streets of Love (with Mick Taylor)
Doom and Gloom
Respectable (with John Mayer) (Richiesta dal pubblico)
Out of Control
Honky Tonk Women
You Got the Silver (Keith Richards alla voce)
Can’t Be Seen (Keith Richards voce)
Midnight Rambler (with Mick Taylor)
Miss You
Gimme Shelter
Start Me Up
Sympathy for the Devil
Brown Sugar
Encore:
You Can’t Always Get What You Want
(I Can’t Get No) Satisfaction (with Mick Taylor)

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La calda estate italiana ormai è a pieno ritmo e Bologna dopo aver ospitato il Rock in Idro e i Nine Inch Nails è pronta all’assalto dei fans dei Black Sabbath.
Dopo aver annullato il concerto previsto a dicembre a Rho, Ozzy Osbourne e soci han deciso di ritornare in Italia (mercoledi 18 giugno) ma preferendo l’Unipol Arena di Bologna come location.
Complice le temperature più fresche degli ultimi giorni, tutti i fans in attesa per entrare nel palazzetto non han dovuto sopportare caldi massacranti e questo ha reso l’attesa decisamente più piacevole, un po’ meno all’interno dove il caldo si sentiva eccome. L’arena si presenta piena, anche se non proprio sold out ma il pubblico ha risposto fedelmente alla chiamata del sano vecchio heavy metal e anche io, ovviamente, non potevo non rispondere al mio primo invito.
Ad aprire il live ci han pensato i Reignwolf, intorno alle 19.40 per poi lasciare il palco al muro di amplificatori Marshall previsti per lo show dei Black Label Society. Zakk Wylde in 45 minuti di live ha quasi tirato giù il palazzetto. I suoni taglienti e un assolo da far tremare tutto han caratterizzato lo show.
Ma si sa, la platea e le tribune aspettavano Ozzy! Intorno alle 21.30, sulle note di War Pigs è entrato in scena il “Prince of Darkness” e come ogni principe che si rispetti ha attirato tutta l’attenzione: con le sue urla sgraziate ha ripetutamente invitato il pubblico a fare cori degni dei migliori eventi calcistici, spostandosi con fare un po’ impacciato tra il lato destro e il centro del palco e raramente quello sinistro. Supportato da musicisti eccezionali come Tony Iommi, Geezer Butler e Tommy Clufetos, che si sono presentati in splendida forma, Ozzy ha regalato una performance che non ha lasciato davvero nessuno scontento. E nonostante più volte durante il concerto ti viene da pensare “No, ma non ce la fa più” qualcuno mi ricorda che sono 20 anni che “non ce la fa più” eppure sono 20 anni che continua con i suoi grandi show, magari stonando qua e la ma pur sempre regalando spettacoli memorabili.
La scaletta ha visto brani storici con qualche piccola aggiunta di brani più recenti, le immancabili Iron Man e Children Of the Grave e per concludere, dopo che proprio Mr. Osbourne si è auto incitato un “ONE MORE SONG”, ci ha salutati con Paranoid.
Per essere la mia prima volta ad un loro show ho un solo rimpianto, non averli visti durante i tempi d’oro, decenni fa quando l’heavy metal del principe delle tenebre “terrorizzava” i palchi di tutto il mondo ma son comunque contenta di aver visto finalmente dal vivo un pezzo di storia della musica.

Setlist:
War Pigs
Into the Void
Under the Sun/Every Day Comes and Goes
Snowblind
Black Sabbath
Behind the Wall of Sleep
N.I.B.
Fairies Wear Boots
Rat Salad / Drum Solo
Iron Man
God Is Dead?
Children of the Grave
Paranoid

Si ringrazia Live Nation, Studio’s per l’invito e RicetteRock per la collaborazione.

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Era il 2000, ora siamo nel 2014. Sono passati ben 14 dall’uscita dell’album Hybrid Theory dei californiani Linkin Park e finalmente la sottoscritta ha avuto il piacere, l’onore e la fortuna di assistere ad un loro live show! Aspettare 14 anni per un concerto è davvero una lunga attesa, anche se nel frattempo la band di Chester e soci ha sfornato e ci ha regalato ben altri 4 album e il sesto “The Hunting Party” è in in uscita il 17 giugno.
Partiamo con ordine, chi si aspetta una recensione su cosa ho visto resterà deluso, perché effettivamente non ho visto proprio niente! Per questo motivo non sarò in grado di raccontare come era fatto il palco o come erano disposti i musicisti , complici le migliaia di persone presenti e la mia famosa bassezza. Quello che posso raccontare riguarda come tutti gli altri sensi, vista esclusa, hanno vissuto questo concerto. Per compensare a questa mancanza abbiamo inviato sotto al palco la nostra collega fotografa Emanuela Tardocchi, vedrete le sue foto in fondo alla recensione!

Il 29 Gennaio Vivo Concerti ha annunciato il ritorno in Italia dei Linkin Park: dopo quasi 4 mesi di attesa per e con oltre 30000 fans che han comprato il biglietto, l’unica data italiana del gruppo americano che si è svolta lo scorso 10 giugno è andata sold out in pochissimo tempo e il City Sound Milano 2014 ha aperto la stagione con il botto.
L’organizzazione è apparsa impeccabile: 2 ingressi aperti per far entrare il pubblico già nel primo pomeriggio, tensostrutture per la vendita di cibi e bevande, assenza della gradinata sul fondo per far posto a tutti e un’atmosfera incredibile già dalle prima ore del mattino.
Ad aprire le danze alle 20 ci han pensato i Fall Out Boy: 15 brani tiratissimi partendo con “The Phoenix”, tratto dall’album Save Rock and Roll, per poi passare a tutti i loro grandi successi, compresi la cover di Micheal Jackson “Beat it” e “Dance, Dance”.

Ma come previsto però, erano tutti lì per i Linkin Park: la band si è fatta attendere fino alle 21.40, quando ormai il tramonto aveva già lasciato spazio alle luci e ai led dei wall sul palco. Dopo essere entrati sulle note di “Catalysm“, brano tratto dall’album A thounsand sun, sono carichi, li sento dalla voce, e riesco addirittura a intravedere qualche pezzettino di maxi schermo: poco importa, è l’atmosfera quella che conta. “Guilty all the same” e “Given up” seguono a raffica, intorno a me vedo gente che salta e canta, più di 30000 persone che sono lì per ricordare alla band che dovrebbe venire più spesso in Italia. La voce di Chester è pulita, è arrabbiata, si sente nell’aria che il gruppo sta attraversando una nuova fase. Infatti l’ultimo album è bello tosto, e segna il ritorno a quel rock duro, quel nu metal per cui tutto il mondo li ha conosciuti.

Durante il concerto, ovviamente, non mancano ritorni al passato con brani rappati di Mike Shinoda come “Pupercut”, “With You” o “Runaway”. Il pubblico è estasiato, conosce a memoria ogni singola canzone, vuol far sentire la propria voce e Chester glielo concede; in più di un brano viene lasciato ampio spazio alla folla, soprattutto sulle famosissime Numb, In the end e Faith. Dopo una breve pausa e intermezzi di musica dance-elettronica affidata a Joe Hahn, arriva la sorpresa tanto attesa: Mike, con un fogliettino di supporto in mano, spiega in un quasi perfetto italiano che per la canzone successiva “Until It’s Gone”, lui e i suoi colleghi hanno in mente un progetto speciale. Tutti i fans sono, infatti, invitati dal cantante a registrare la canzone con i propri smartphone e a caricarla sul sito indicato: con tutti gli spezzoni di registrazioni pervenuti verrà poi composto un video ufficiale. La particolarità di questo esperimento è stata la concomitanza con il flash mob organizzato dal Fans Club Linkin Park Italia, che ha reso la canzone un tripudio di colori, forme, luci ed emozioni.

L’encore si conclude con le canzoni “New Divide”, “What’s I’ve Done” e “Bleed It Out”. Uno SPETTACOLO. Non riesco a trovare nessuna altra parola per descrivere l’energia trasmessa da questa band. Non parlo solo da fan, che da ragazzina ascoltava i loro cd, parlo da adulta che riesce a farsi trasportare dall’atmosfera delle cose, dalla positività delle persone e dalla musica.
Dispiaciuta per la fine del concerto, mi incammino con le altre migliaia di persone verso casa, continuo a canticchiare le loro canzoni e mi auguro per la prima volta con tutto il cuore di riuscire a rivederli dal vivo molto presto. Questo live che può tranquillamente essere considerato uno tra i più attesi in Italia in questa calda estate.

Setlist:
Act I
The Catalyst / The Requiem
(Mashup Intro)
Guilty All the Same
Given Up
Points of Authority
One Step Closer

Act II
Blackout
Papercut
With You
Runaway
Wastelands
Castle of Glass
Leave Out All the Rest / Shadow of the Day / Iridescent

Act III
Robot Boy
Joe Hahn Solo
Burn It Down
Waiting for the End
Wretches and Kings / Remember the Name / Skin to Bone
Numb
In the End
Faint

Encore:
Until It’s Gone
A Light That Never Comes
Lost in the Echo
Crawling
New Divide
What I’ve Done
Bleed It Out

Quando si parla di musica prog si parla quasi sempre di paesi nord-europei; oggi il nostro live report riguarda Roine Stolt e di uno dei suoi tanti progetti: The Flower Kings.
Formatasi nel 1993 rispecchia un genere progressive più simphonic/melodico ricordandoci quello degli anni 70′ con l’uso massiccio di tastiere vintage (Mellotron, Hammond, ecc..). Dopo vari cambi di musicisti, la band si presenta da qualche anno con la seguente line-up: Roine Stolt (chitarra, voce), Hasse Froberg (voce, chitarra) Tomas Bodin (tastiere), Jonas Reingold (basso) e Felix Lehrmann (batteria).
Ad aprire la serata conosciamo i Karmakanic; il tour all’inizio prevedeva la presenza di alcuni membri dei Pain of Salvation ma a causa dei problemi di salute di Daniel Gildenlöw, c’è stato questo cambio dell’ultimo momento. Capitanati dal bassista Jonas Reingong, dal tastierista Lalle Larsson e dal cantante Göran Edman, hanno creato l’atmosfera giusta per accogliere i Flower Kings.
Suono caldo e intimo, un mix di sonorità complesse e passaggi tecnici tipici del prog stile Yes o Genesis. Le voci dei tre artisti unite al tecnicismo del basso e della testiera han saputo ricreare la giusta miscela molto apprezzata dal pubblico maturo del Bloom di Mezzago.
Dopo un’ora di musica, annunciano l’ultimo brano…e sulle ultime note appare da un angolo Roine Stolt con la sua chitarra per dare un assaggio di cosa è previsto per le due ore successive.
Tempo di un cambio palco veloce e alle 21.50 salgono al completo i Flower Kings. La sala non è al massimo della capienza ma tra i presenti c’è tutto il vero pubblico prog, quello che incontri ad ogni concerto, che sia a Milano o a Veruno. La band ha proposto una setlist degna di un concerto memorabile: il tocco di chitarra preciso e inconfondibile di Roine, un po’ più malinconico in questo nuovo lavoro “Desolation Rose”, e l’arrivo del batterista Felix Lehrmann hanno portato sicuramente uno stimolo ed una spinta che mancava.
Il pubblico avvolto dall’energia sprigionata dalle due ore di live li richiama per il bis e loro cosa fanno? Escono insieme ai Karmakanic e ci suonano “solo” ‘The musical box selling England by the pound’ e quando mi accorgo che il mio orologio segna quasi l’una trovo lo stesso la forza e la voglia di cantare con loro questo inno prog, insieme a tutti gli altri fans.
Come ogni artista dovrebbe fare, a fine concerto, tempo 10 minuti, e ritroviamo tutta la band a firmare autografi, un clima rilassato, chiacchiere come tra amici e foto con visi sorridenti, per portare a casa non solo il ricordo di una bella serata ma anche la malinconia di dover aspettare chissà quanto per un altro concerto così intenso.

Si ringrazia Ultrasuoni Music e Bloom per l’invito.

Photogallery e live report a cura di Marco Cometto