Con lo sguardo eretto all’avvenire – Maciste contro tutti, 25 anni dopo.

Con lo sguardo eretto all’avvenire – Maciste contro tutti, 25 anni dopo.

25 anni fa, al Centro Pecci di Prato, si apriva (e si chiudeva) una pagina di storia della musica italiana: nascevano i CSI, morivano i CCCP, durante una serata intitolata “Maciste contro tutti” (di cui resta una splendida testimonianza su disco).

25 anni dopo, domenica 10 settembre 2017,  al Teatro Politeama di Prato (e non al centro Pecci per ragioni di maltempo) quella pagina di storia si è chiusa, arrivando così a una perfetta chiusura di un altrettanto perfetto cerchio.

C’erano tutti, mancava Giovanni Lindo Ferretti, che, per scelte personali, ha deciso che quella pagina, per lui, era già chiusa.

E’ stata una festa, non c’è stata malinconia, c’è stata celebrazione: quello che più rimane nel cuore dopo una serata come questa è l’empatia, una specie di comunione viscerale non solo tra chi era sul palco, che del suo essere “gruppo” (pur nella propria individualità) ne ha fatto anche il proprio nome (Consorzio Suonatori Indipendenti), ma anche tra chi era ad assistere, chi 25 anni fa era solo un bambino, o forse neppure, o chi c’era già e non poteva non esserci di nuovo.

Semplicemente si è avuta la sensazione di essere di fronte ad una storia, una storia che meritava un finale, esattamente dove era cominciata, un finale che vedesse di nuovo Francesco, Massimo, Gianni, Giorgio, Ginevra, Fatur (sì, c’era anche un sempre eccentrico e incomparabile Fatur) sullo stesso palco, dove, come in ogni festa che si rispetti, anche alcuni amici importanti sono accorsi (da Peppe Voltarelli a Max Collini, da Francesco Di Bella ad Angela Baraldi): “Epica, Etica, Etnica, Pathos” è un disco di passaggio, di cesura,  un disco che arriva dopo la caduta del muro di Berlino, con l’URSS che non si chiama più URSS (ma CSI, guarda caso: Comunità degli Stati Indipendenti), era l’unico che si potesse suonare in un momento come questo. E’ un disco che va a chiudere qualcosa.

E allora eccolo arrivare nella sua imponente, monolitica bellezza, un brano dopo l’altro, dalla magnificenza decadente di Aghia Sophia, passando per Paxo de Jerusalem, fino ad Amandoti e alla chiusura lasciata ad Annarella. Max, Peppe, Francesco e Angela si alternano alle voci, spesso in duetti straordinariamente riusciti, supportati da Ginevra Di Marco e Giorgio Canali, mentre la band mostra un affiatamento mai perduto e anzi ravvivato negli anni grazie alle esperienze con Stazioni Lunari: i CSI esistono ancora e sono ancora la miglior rock band italiana. Più della prima Repubblica (anche della seconda…), più del partito comunista, più di tutto, i CSI resistono, i CSI restano. 

I CSI sono un ricordo e un presente a cui tutti noi siamo legati: un immaginario collettivo ed individuale allo stesso tempo che si fa canzone, musica, concerto. In fondo, siamo stati tutti con loro dentro Villa Pirondini, immortalata per sempre dalle foto di Luigi Ghirri (di cui una campeggia anche al Politeama sullo sfondo del palco) perchè loro sono stati in grado di tradurre in musica un sentore comune, in anni di passaggio eppure fondamentali per l’epoca in cui siamo.

Quando le ultime note di “Fuochi nella notte di San Giovanni” ed “Emilia Paranoica” risuonano in un infuocato bis (con Angela Baraldi interprete  straordinaria) ci si rende conto che, oggi, siamo nel 2017. Letteralmente.

E, forse, per un attimo, non vorremmo. “Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così”.

Ma qualcuno ha scritto che “la libertà è una forma di disciplina”. E allora, siate liberi e “con lo sguardo eretto all’avvenire”, cari Francesco, Massimo, Gianni, Giorgio, Ginevra, Fatur, Giovanni Lindo (e tutti gli altri). E grazie. Davvero grazie.

 

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