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vincenzo nicolello

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Giacomo Voli è stato uno dei concorrenti della seconda edizione di The Voice. Aspetto da rocker graffiante, abbigliamento aggressivo, una voce acuta e potentissima. In molti lo indicavano come favorito per la vittoria finale, ma nessuno aveva fatto i conti con suor Cristina, che a livello mediatico e di televoto non ha avuto rivali. Così per Giacomo è arrivato il secondo posto, una buona visibilità e il rimpianto di una mancata vittoria, che forse gli avrebbe offerto altri scenari musicali. Il passato è passato, lui non si è perso d’animo e dopo un breve periodo di riflessione è ritornato sul palco, per fare l’attività che ama: cantare. Ancora non sa se il suo futuro da artista gli consentirà di vivere con la musica, ma intanto ci prova. L’abbrivio che gli ha regalato lo show televisivo, è un buon viatico per un tour molto partecipato a livello di pubblico, in attesa di poter incidere quel disco e trovare un contratto in grado di farlo diventare un professionista. L’abbiamo incontrato ad Asti e lui gentilmente ci ha concesso questa intervista.

Trovare tue notizie antecedenti la scorsa primavera è davvero difficile. Vuoi dirci tu chi è veramente Giacomo Voli?
«Prima dell’esperienza televisiva di The Voice ero uno dei tanti cantanti * che proponeva generi che andavano dall’Hard Rock al Metal al Prog, che si esibiva in musical. In poche parole ero specializzato in cover, per prendere parte a qualche serata e racimolare quel minimo per rientrare dalle spese. Non pensavo assolutamente di poter diventare cantante a tempo pieno e comincio a crederci solo oggi, visto che è accaduto tutto così in fretta ed è ancora molto presto per fare progetti. Sicuramente il mio obiettivo è quello di crearmi un’identità definita e proporla al pubblico. In questo senso il talent è servito per avere visibilità. Al giorno d’oggi è difficile che si cerchino volti nuovi e che si voglia investire su di essi».

Come te ce ne sono tanti?
«Certo e voglio salutarli. Purtroppo il programma è fatto così, per quei pochi che emergono ce ne sono tanti, bravissimi che sono ritornati a casa. E’ il meccanismo del gioco, il rischio di queste avventure televisive».

Cosa ti ha dato in termini artistici il programma?
«Sicuramente mi ha riportato nella dimensione che io prediligo. Prima se dovevo immaginare una carriera musicale per me, non la vedevo con l’hard rock e il metal, ma con un qualcosa di più appetibile per il mercato discografico italiano. Avevo scritto alcuni brani che propongono sonorità vicine ai Subsonica o i Verdena. Ora invece The Voice mi ha fatto capire che comunque c’è spazio anche per il rock finalmente, anche a livello di mainstream».

Quali sono i musicisti a cui ti sei ispirato?
«Io amo il rock progressivo dei Dream Theater e il rock graffiante degli Skunk Anansie».

Dopo giugno, cosa è cambiato dal punto di vista professionale?
«Finita la trasmissione mi sono dato un mese di tempo per mettere a fuoco la situazione. In questo periodo ci siamo chiusi in sala prove con la band, per mettere insieme un repertorio da proporre nel corso dei concerti già fissati per i mesi estivi. L’intento è stato quello di uscire il più presto possibile, per far sentire alla gente che non ero sparito. Ne è uscito un tour che mi ha dato grandi soddisfazioni».

A livello di promozione come ti sei organizzato?
«Dopo la decadenza dell’opzione esercitata dalla Universal, che non ha dimostrato interesse per me, mi sono affidato ad un’agenzia, che curerà la promozione e cercherà l’etichetta migliore per me. Sono giorni di fermento, che metteranno chiarezza sul mio futuro».

Ritorniamo a parlare di The Voice e al momento in cui sei stato selezionato. Tu puntavi ad avere Piero Pelù come coach?
«Diciamo che ho affrontato la selezione senza illudermi, con la filosofia di chi si sarebbe accontentato. Ovviamente quando lui si è girato ovviamente ne sono stato lusingato. Anche J-Ax mi ha tentato, per il suo passato punk ma… naturalmente Piero era quello più affine al mio modo di intendere la musica! Lui è stato il rocker italiano più onesto e sebbene non canterò il suo stesso genere non ho avuto dubbi sulla scelta. Devo comunque dire che sono stato sorpreso dall’interesse della Carrà e anche quello di Noemi durante le puntate. Rifarei sempre la stessa scelta!».

Non possiamo dimenticare come la trasmissione sia stata influenzata pesantemente dalla presenza di suor Cristina Scuccia, che ha sparigliato le carte. Come hai vissuto questo strapotere a livello mediatico?
«Non essendo un vero e proprio reality, di riscontri con l’esterno ce n’erano parecchi. Lei è sempre stata…una suora! Nelle settimane di convivenza ha continuato a fare la religiosa prima ancora che la cantante. Forse il problema non è lei, ma ciò che i mass media hanno fatto di lei. Suor Cristina ha regalato a tutta la trasmissione una visibilità internazionale impensabile, ed è anche grazie a questo che ricevo molte mail dall’estero, anche se poi tutti ricorderanno la seconda edizione di The Voice come quella “della suora”…».

Ti senti il vincitore morale, visto che lo scontro finale vi ha visti uno contro l’altra?
«Per me è stata una sorpresa arrivare in finale. Meritavano in molti: artisti come Daria Biancardi o Dylan erano fortissimi, e così molti altri concorrenti. E’ andata bene così. Diciamo che mi son sentito di rappresentare quelli come me che vorrebbero vivere facendo musica. Suor Cristina ha fatto una scelta che forse rende un po’ difficile contemplare anche la vita da musicista. Dopo essere entrata nel vortice di The Voice non poteva nemmeno tirarsi indietro, visto che ci sono penali per chi rinuncia. Di sicuro per lei il voto è un grande freno per una possibile carriera artistica».

E’ un dato di fatto che forse oggi avresti in mano quel contratto riservato al vincitore…
«Eh oh… Tutti i concorrenti speravano in quell’unico primo posto che avrebbe regalato il contratto per l’incisione del disco. Al di là dell’aspetto mediatico un disco è un disco e ora quel diritto spetta soltanto a suor Cristina. The Show must go on, come diceva il mio mito!».

Intervista e photogallery a cura di Vincenzo Nicolello

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Era la fine degli anni ’70 e dalla Francia si diffuse un sound nuovo e sorprendente. L’elettronica la faceva da padrona e le voci erano “trasfigurate” con un marchingegno fino ad allora quasi sconosciuto: il vocoder. Sentire alla radio brani come Future woman, Fils du ciel e On the road again, non rendeva giustizia alla band. I Rockets, questo il nome del gruppo, proponeva un look strabiliante, fatto di teste rasate, tute spaziali e pelle argentata.
Per i loro spettacoli introdussero i laser, il fumo e gli effetti speciali, diventando i pionieri dei concerti moderni, che ancora oggi sfruttano quelle trovate geniali.
Il passato ci racconta che dopo un decennio di grandi successi, qualcosa si ruppe. Trovare nuove idee per stupire la gente diventava sempre più problematico e quel sound tanto innovativo, alla fine era diventato quasi un’abitudine per le orecchie del pubblico.
Così la band si sciolse e quel grande capitale musicale finì nel dimenticatoio.
Qualcuno, tuttavia, non si è mai rassegnato all’oblio e così, piano piano ha raccolto i cocci e ricreato dal nulla il gruppo. L’artefice di questa rinascita è Fabrice Quagliotti.
In occasione dell’uscita dell’album Kaos, gli abbiamo rivolto alcune domande, per (ri)scoprire il gusto antico e moderno dei Rockets.

Fabrice, i Rockets ritornano alla ribalta. E’ pronto Kaos il nuovo disco. Che cosa regalerà al pubblico questo lavoro?
«Sarà un album di spessore e di qualità, che conterrà brani che spazieranno dal clima “Space” al rock. Ma ci sarà ampio spazio anche per la melodia. Si tratta del frutto di 10 anni di lavoro e ne vado particolarmente fiero».

Qual è la filosofia del disco?
«Non è facile parlare di filosofia. Il titolo parla da se… Kaos. In fondo basta guardare il nostro mondo dove sta andando per capire quale sia il disorientamento della gente….è un disco dove ogni brano racconta un pezzettino del quotidiano, nel bene e nel male. Sono 12 brani con altrettanti modi diversi di arrangiare la musica».

Chi ha scritto testi e la musica?
«I testi sono di John Biancale, il nostro cantante canadese. I brani sono miei, ma sono anche il frutto della collaborazione fantastica tra i 4 musicisti. La stesura di ogni singolo pezzo è è la conseguenza di un confronto serrato con John (Biancale ndr)»

Il vostro sound è sempre stato all’avanguardia, c’è stato lo spazio per introdurre qualche innovazione tecnica?
«Innovazioni tecniche ce ne sono tante. Per la composizione ho utilizzato tanti synth analogici mescolati con i synth digitali e le nuove generazioni di virtual. Ovviamente il vocoder non è stato lascito nell’angolo. Per concludere parliamo dei mix, che sono stati fatti prima in digitale poi in analogico».

Ci anticipi la track list?
«Certamente ecco i titoli: We Are All Around; World on Fire; Evolution; Through the Night;
Party Queen (feat. Muciaccia); Crying Alone; Faby’s Back; Shine on Me; Our Rights; Lost in the Rhythm; Heaven 58; Number One»

Già in passato siete usciti con materiale inedito, ma avete avuto difficoltà nella promozione e nella distribuzione. Siete riusciti a trovare qualche soluzione per questi problemi?
«Ho avuto la fortuna di incontrare il mio gemello astrale: l’avvocato Giorgio Tramacere. E’ stato lui a mettermi in contatto con Roby Benvenuto e la Smilax Publishing. In più abbiamo sottoscritto un accordo per la distribuzione mondiale con la Warner. Il lancio partirà con il singolo “Party Queen”, frutto di una bellissima collaborazione con l’amico Pippo Muciaccia, per il quale abbiamo realizzato un videoclip a dir poco eccezionale. Il clip è sta realizzato sotto la regia di Massimo Falsetta con l’inserimento di 2 ballerini d’eccezione: Steve Dancer e Em Lo Mor; senza dimenticare le due belle girls, Flavia Plebani e Sabrina Nicole. Il montaggio e le riprese sono di livello internazionale e sono curati della Majesctic Fim.Diciamo che questa volta si fa sul serio. Abbiamo creato un’equipe veramente al top».

Ci presenti il gruppo che attualmente sta riportando in giro per l’Italia una band che negli anni ’80 faceva impazzire il pubblico.
«Attualmente la band è composta dal sottoscritto che suona le tastiere, da John Biancale voce, Gianluca Martino alla chitarra, Rosaire Riccobono al basso e Eugenio Mori alla batteria».

Quali sono stati i passi di Fabrice Quagliotti per riformare i Rockets?
«Riformare i Rockets? Un parolone. I Rockets non si possono riformare nel senso che, quel che è stato non tornerà mai più per mille motivi. Diciamo che porto avanti il nome Rockets per gratitudine nei confronti di un gruppo che mi ha permesso di arrivare laddove pochi arrivano. Sicuramente è un nome difficile da portare: un fardello, certo, ma anche un grande onore».

Quali sono state le difficoltà e soprattutto hai incontrato qualche opposizione dai vecchi compagni?
«Difficoltà con i vecchi Rockets? Nessuna. Avrei voluto tirare dentro almeno un elemento della band, ma il sogno non si è concretizzato».

Spesso abbiamo sentito dire il passato è passato e non ritorna, ma non ti è mai venuto il desiderio di riportare sullo stesso palco Gerard, Christian, Alain e Claude?
«Ritornare on stage con i vecchi compagni non mi tenta. Mi sento regolarmente con Claude (Lemoine ndr) il quale mi da consigli. Ma sono felice di avere i nuovi compagni: John, Rosaire, Ug e Gianluca. Sono loro i Rockets di oggi».

Dopo la pubblicazione di Kaos, partirete con un tour?
«Il 18 settembre presso il Codice Club di Milano proporremo uno show case di presentazione del disco. La serata è organizzata da NFloris Event. Subito dopo abbiamo intenzione di proporre una serie di live e showcase. Per essere aggiornati potete visitare il sito www.rocketsland.net oppure il profilo Facebook di Fabrice Quagliotti».

A cura di Vincenzo Nicolello

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Si è conclusa la 19ª edizione del festival “AstiMusica”. La rassegna, ospitata dal 9 al 27 luglio in Piazza Cattedrale ad Asti è diventata un momento imperdibile per l’estate piemontese.
Anche quest’anno il cartellone ha regalato tanti concerti interessanti, portando nella città dell’Alfieri, artisti del calibro dei Morcheeba, di Cristiano De Andrè, Camaleonti, Renzo Rubino e molti altri. Un occhiolino è stato strizzato anche ai giovani, grazie alla performance del rapper Clementino, purtroppo rovinata da una pioggia incessante.
ra i momenti più belli, ricordiamo sicuramente il concerto di Aldo Tagliapietra. L’ex frontman e voce de Le Orme, è stato accompagnato dalla band prog astigiana La Locanda delle Fate.

Ecco una gallery con alcuni degli ospiti a cura di Vincenzo Nicolello

Un ex monastero, oggi casa di accoglienza per bambini affetti da patologie neoplastiche. Questo il nuovo “live aid” di Bob Geldof. L’artista irlandese si è presentato nello sperduto borgo di Craviano di Govone, a metà strada tra Asti e Alba, dove lo scorso 27 luglio, ad attenderlo c’erano circa 500 spettatori.
Geldof, in perfetta forma, è salito sul palco subito dopo lo show dei Modena City Ramblers, accompagnato da alcuni membri del suo storico gruppo Boomtown Rats.
La sua scaletta ha ripercorso in lungo e in largo il suo repertorio, in un mix di colori e musica entusiasmanti. Tra il pubblico anche molti giovani, che probabilmente mai avevano visto Bob, ma forse ne avevano sentito parlare, grazie alla sua abilità nel mettere insieme tutti i nomi del rock mondiale, con il solo obiettivo di aiutare l’Africa.
Ma Geldof è anche ottimo artista. I suoi 62 anni, l’hanno ingrigito, reso maturo, ma non hanno scalfito la sua verve sul palco. E’ partito subito forte con il suo brano forse più noto: The great sound of indifference, per poi proporre pezzi della sua storia più sconosciuta come I Don’t Like Mondays e Rat Trap, scritti si dal suo pugno, ma per essere eseguiti proprio con i Boomtown Rats.
Una cavalcata di oltre due ore, che ha trascinato proprio tutti, anche i volontari di Craviano e gli stessi Modena, che alla fine hanno deciso di cantare il bis insieme a quello che è un vero mito della musica mondiale.

La scaletta:

The great song of indifference
A sex thing
Systematic 6-Pack
Dazzled
When the wife comes
Wlaking back to happiness
Banana Republic
Harvest moon
Scream in vain
One for me
Mudslide
I don’t like mondays
How i roll
Joey’s on the street again
Mary says
Rat Trap.
Encore:
Silly pretty thing
Diamonds smiles
The great song of indifference (con i Mcr).

Live report e photogallery a cura di Vincenzo Nicolello

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Alla vigilia dei due concerti piemontesi (Asti 23 luglio e Torino 24) abbiamo intervistato Cristiano De André. Una bella chiacchierata in cui abbiamo affrontato i vari temi della sua esistenza: dalla sua infanzia vissuta nel salotto buono della musica genovese, al suo legame con il Festival di Sanremo, fino a passare a quel cognome tanto pesante, quanto stimolante per la carriera di un giovane artista, che oggi è diventato uomo maturo ed affermato.

Cristiano, con il tour “Via dell’amore vicendevole” stai andando in giro per l’Italia. Cosa proponi in questo live?
«In questo concerto porto sui palchi italiani la mia maturità artistica che a 52 anni posso dire di aver raggiunto. Canterò il mio repertorio, sia quello attuale che quello del passato, magari rivisitando quei brani che la gente ha imparato ad amare. Ovviamente non dimentico mio padre, cui dedico alcuni pezzi a mio padre, per il quale nutro un grande affetto e altrettanta stima. In poche parole parlo di me stesso e di ciò che mi è intorno».

A proposito di tuo padre: il cognome che porti è stato per te uno stimolo o un fardello da portare
«La cosa più difficile è stata quella di far passare il concetto che io sono Cristiano De Andrè, un artista con una sua carriera, un suo repertorio, una sua identità. Oggi credo che questo messaggio sia stato assimilato dal pubblico, che mi ascolta per ciò che suono. Certo non posso cancellare di essere figlio di Fabrizio e nemmeno lo voglio fare. La prova è che mi piace cantare i suoi brani e ricordarlo con tanta nostalgia».

Quando è stato il momento in cui il figlio di De André e diventato Cristiano De André?
«Credo quando ho portato in giro le sue canzoni. E’ stato quello il momento in cui ho superato questa inibizione. La svolta è arrivata nel suo ultimo tour, quando anche lui mi ha finalmente trattato come un collega, come un musicista da rispettare. Purtroppo poi se n’è andato».

Tu sei cresciuto in un salotto in cui sin da bambino mangiavi pane e musica. Il fatto che tu abbia seguito le orme di tuo padre è stata una conseguenza ineluttabile? Avevi altri sogni?
«Credo di non aver mai sognato di fare altro. La musica ce l’ho nel sangue sin da bambino ed è la cosa che mi piace di più al mondo. Non è stata assolutamente una forzatura, anzi, se devo essere sincero mio padre ha cercato più volte di mettermi in guardia, per cercare di farmi cambiare idea. L’unico rammarico è che non sia qui con me, perché probabilmente sarebbe il mio migliore collaboratore musicale».

Parliamo del tuo rapporto con il festival di Sanremo. Non hai mai vinto, ma in compenso ha sempre portato a casa i premi della critica, fin dalla tua prima apparizione. Non ti sei mai chiesto se quello sia il palco giusto per te?
«Credo che il festival sia un luogo stimolante ed un posto ideale per esporre le proprie idee. Credo di non aver mai voluto portare brani facili e ideali per quella rassegna, ma allo stesso tempo penso di aver raccolto sempre l’apprezzamento del pubblico e della critica. Anche quest’anno ho presentato Invisibili che sicuramente offriva un testo difficile e controverso. Prova ne è stata che il televoto lo ha bocciato, ma alla fine la critica ha deciso di premiarlo».

Dove sta andando Cristiano De Andrè, quali sono i suoi orizzonti musicali futuri?
«Sicuramente io credo più in me e l’obiettivo è quello di dire quello che penso. Io credo che il mio processo di crescita sia costante, la gente mi segue sempre più numerosa ed io sono felice di poter continuare con rinnovato entusiasmo».

Intervista a cura di Vincenzo Nicolello

Qui la photogallery dello scorso tour a Torino (Ph Marco Cometto) e a Roma (Ph Marco Cicolò)

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Grande successo per il secondo appuntamento negli stadi per una delle band italiane più amate: i Modà.
Dopo aver rotto il ghiaccio con la data romana dell’11 luglio allo Stadio Olimpico, Kekko e soci hanno affrontato anche la sfida San Siro. Si sa, gli artisti partono sempre dai piccoli palchi e puntano ad arrivare in alto, lo stadio di Milano è una delle mete più ambite da chi ha fatto della musica il proprio lavoro; un palco infinito, a forma di M, con 3 lunghe passerelle per permettere alla band e al cantante di arrivare fino al cuore della gente, in mezzo ai fans, per la precisione in mezzo a 55mila fans. Queste sono le cifre per un evento che ha segnato un punto importante nella carriera della band, forse un punto di svolta; da questo momento in poi sarà dura riuscire a restare il linea con un tale spettacolo ma la loro determinazione è tanta e non ci resta che aspettare per vedere il prossimo passo.
Più di due ore di musica con una scaletta che ha ripercorso tutti i maggiori successi del gruppo, compresi 3 medley dove sono state raggruppate diverse canzoni proprio per non lasciare nessuno scontento. Particolare e suggestiva è stata la pioggia di volantini con su stampata la scaletta che ha inondato i fans urlanti e meravigliati; sul palco, invece, pioggia di ospiti! Da Jarabe De Palo a Francesco Renga, dai Tazenda a Bianca Atzei, una serie di duetti che hanno reso la serata davvero ricca, magica e indimenticabile.
Ed infine, un ultimo regalo da parte dei Modà, infatti, per chi se lo fosse perso o per chi avesse ancora voglia di rividerlo, l’intero live verrà trasmesso a settembre in prima serata su Canale 5.

Setlist:
1. Dimmelo
2. Medley 1 :
• Il branco
• Uomo diverso
• Regina delle stelle
• Il sogno di una bambola
3. Sono già solo
4. Tappeto di fragole
5. La sua bellezza
6. Urlo e non mi senti
7. Cuore e vento con tazenda
8. La paura che ho di perderti con bianca atzei
9. Quando arrivano i suoi occhi
10. Anche stasera + assoli
11. Gioia
12. Medley 2
• Meschina
• La mia ragazza…
• Aria
• L’amore è un’altra cosa
13. Se si potesse non morire
14. Come l’acqua dentro il mare
15. Non è mai abbastanza
16. Vittima
17. Salvami
18. Bellissimo
19. Dove è sempre sole con pau donés
20. Come un pittore con pau donés
21. Medley lento
• Padre astratto
• Ti amo veramente
• Nuvole di rock
• A laura
• Scusami
• Sensazione
• Mani inutili
• Favola
22. Arriverà con Francesco Renga
23. Mia ½ + presentazioni

Bis
24. La notte
25. Viva i romantici

Photogallery a cura di Vincenzo Nicolello

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Bluvertigo: la carica dei 5.000 al Carroponte. I bene informati lo dicono spesso. La difficoltà più grande sta nel portare Morgan sul palco. Compiuta questa impresa, il gioco è fatto. A conferma di questa tesi arriva puntuale il concerto al Carroponte di Sesto San Giovanni, dove lo scorso 17 luglio i Bluvertigo hanno regalato ai fan uno show memorabile.

Da dove partiamo? Dal pubblico? Bene oltre 1.700 biglietti staccati in prevendita. Almeno in 5.000 ai piedi del palco al primo colpo di batteria. Ma questo numero potrebbe essere anche rivisto verso l’alto. Il concerto? Bello e divertente. Morgan in gran spolvero, pronto a saltare come un grillo, a cantare, a suonare, come raramente si era visto negli ultimi tempi. Andy gongolante per questa serata che ha confermato come in Italia ci sia ancora tata voglia dell’elettronica psichedelica dei BV. Poi Sergio, che ha fatto vibrare quella batteria come un portento. Livio che si è esibito in duetti con il “Castoldi”, come se il tempo non fosse mai passato. E poi due “ospiti” graditissimi, quali Megahertz, compagno degli ultimi show solisti di Morgan e Marco Pancaldi, chitarrista storico della band.

Insomma tutto perfetto o quasi: non si può pretendere che anni e anni di “ruggine” siano lucidati da un misero week end di prove. E’ stata sufficiente la professionalità di tutti per far capire che se i ragazzi vorranno continuare ad esibirsi sul palco tutti insieme, ci saranno gli spazi per migliorare l’intesa e per solleticare la fantasia della gente, che forse sta riscoprendo un qualcosa di storico, ma dannatamente all’avanguardia.

Per chi a Sesto non c’era, ecco la scaletta: Il Nucleo, Sono = sono, Il mio malditesta, Lsd (La sua dimensione), Vertigo Blu, So Low (L’eremita), Complicità (Here is the house cover), Decadenza, Cieli Neri, Sovrappensiero, L’assenzio, La crisi, Troppe emozioni, Idea Platonica, Afdv (Altre forme di vita), Fuori dal tempo, Psycho Killer (Talking Heads cover), Zero.

In calendario si prospetta un settembre con tre date:
Treviso (Home Festival – giovedì 4)
Ravenna (Pala De Andrè – venerdì 5)
Roma (Eutropia – L’altra città festival – martedì 9).
Rumors parlano di un possibile club tour in autunno.

E per chi se la fosse persa, ecco l’intervista a Sergio Carnevale prima dello show
Un ringraziamento a Mescal per l’invito.