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Ministri

Ministri cover di Fabrizio De André

È in uscita il 26 aprile il disco tributo a Fabrizio De André intitolato “Faber Nostrum”, a cui hanno collaborato i nomi più influenti della scena musicale italiana.

Ministri hanno dato il loro contributo con una versione speciale di “Inverno”, disponibile in streaming dal 15 marzo.

«I classici sono canzoni che non hanno bisogno di presentazioni, sottotitoli, didascalie. Non sono per forza più significativi, né per forza più celebri. Semplicemente, hanno qualcosa, nella forma e nel contenuto, che sembra parlare di un tempo che non passa mai, e per questo arrivano subito. – raccontano i Ministri – Inverno è per noi un classico e il legame che stabilisce tra il passare delle stagioni e il dolore è qualcosa di cui non si parlerà mai abbastanza. L’abbiamo affrontata per la prima volta dal vivo a Rimini, in occasione dell’anniversario dell’omonimo album di Fabrizio e con lo stesso spirito solenne l’abbiamo portata in studio, insieme a Federico Mecozzi, che ha dipinto per noi sullo sfondo l’orchestra impetuosa che accompagna la canzone fino al suo spegnersi.»

Il brano dei Ministri fa seguito a “Canzone dell’amore perduto” di Colapesce, il primo singolo estratto dall’album, uscito l’11 gennaio in occasione dei 20 anni dalla scomparsa di Fabrizio De André.

A questo progetto tributo, coordinato da Massimo Bonelli di iCompany e condiviso da Fondazione Fabrizio De André Onlus, si sono uniti artisti del calibro di Artù, Canova, Cimini feat. Lo Stato Sociale, Colapesce, Ex-Otago, Fadi, Gazzelle, La Municipal, The Leading Guy, Ministri, Motta, Pinguini Tattici Nucleari, Vasco Brondi, Willie Peyote e The Zen Circus. 

Ascolta il singolo dei Ministri “Inverno”

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Il 29 giugno 2018 il tour estivo dei Ministri partirà da Roma: la band milanese, dopo la serie di appuntamenti nei club conclusa da poco, presenterà dal vivo davanti al pubblico i brani tratti dall’album ‘Fidatevi‘, oltre ai vecchi successi. Anticipato dal singolo ‘Tra le vite degli altri‘, il disco parla di sogni e di chi mantiene la voglia di inseguirli nonostante la disapprovazione degli altri.

In attività dal 2006, i Ministri hanno fatto il loro ingresso sulla scena alternativa italiana con un lavoro autoprodotto intitolato ‘I Soldi Sono Finiti‘ per poi arrivare alla consacrazione definitiva con ‘Tempi bui‘, uscito nel 2009. Successivamente sono arrivati anche ‘Fuori‘, ‘Per un passo migliore‘ e ‘Cultura generale‘. Il trio composto da Federico Dragogna, Davide Divi Autelitano e Michele Esposito suonerà in giro per l’Italia da fine giugno a settembre, con numerose tappe sparse per lo stivale. Di seguito il calendario.

29 giugno, Roma – Villa Ada
6 luglio, Legnano – Rugby Sound (Opening act di The Hives)
7 luglio, Comunanza (AP) – Mazzumaja Festival
13 luglio, Arezzo – Mengo Music Festival
19 luglio, Pianezze di Valfré (TO) – Apolide Festival (Opening act di Digitalism)
4 agosto, Vattaro (TV) – Vattaro Park
10 agosto, Attigliano (TR) – San Lorenzo Giovani
11 agosto, Brescia – Festa di Radio Onda d’Urto
24 agosto, Empoli – Beat Festival
25 agosto, Riolo Terme (RA) – Frogstock Festival
31 agosto, Treviso – Home Festival (Opening act di Alt-J, Wombats, White Lies e Django Django)
7 settembre, Reggio Emilia – Festa Reggio

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I Ministri con "Fidatevi" pongono l'accento sulle insicurezze e sul bisogno dei rapporti umani in una società sempre più "a misura di consumatore". Il 5 aprile partirà il loro nuovo tour dall'Estragon di Bologna, ne abbiamo parlato con il chitarrista e autore dei testi Federico Dragogna.

A tre anni di distanza dal precedente “Cultura Generale” i Ministri, trio milanese composto da Federico Dragogna (chitarra, cori, testi), Davide “Divi” Autelitano (basso, voce) e Michele Esposito (batteria), sono tornati sulle scene con un disco dal titolo ambizioso, “Fidatevi”.
In un momento storico in cui la fiducia è merce rarissima, farne il tratto distintivo di un intero disco può apparire come un’operazione rischiosa, ma in realtà i Ministri, più che “chiedere la fiducia” a scatola chiusa, decidono di raccontare la loro intimità, come forse mai prima, riuscendo ad intercettare anche le paure e le insicurezze di un’intera generazione, quella di 30/35enni, a cui la fiducia sta venendo meno, come buona parte dei propri punti di riferimento.
Ne ho parlato con Federico Dragogna, chitarrista e autore dei testi dei Ministri, che in questo momento si stanno preparando per l’inizio del tour (prima data 5 aprile all’Estragon di Bologna).

Ciao Fede, “Fidatevi” è forse il disco più personale dei Ministri, quello in cui si parla di più di interiorità, dei propri spettri interiori e delle proprie insicurezze
e che poi però si rivolge al di fuori, “agli altri”, da guardare per rubargli un po’ di certezze, come in “Tra le vite degli altri”…ti sembra una giusta descrizione?

“Ciao, sì ti direi che se uno scrive nella vita questi cambiamenti anche nella scrittura rappresentino il fatto che stai davvero continuando a scrivere davvero e che non sei diventato una cosa di genere: è bello invece che uno a 23 anni scriva in un certo modo perchè pensa certe cose e a 35 in un altro diverso, sarebbe preoccupante se a 23 anni uno vedesse già le cose come un trentacinquenne e poi magari a 35 anni volesse vederle e descriverle come un ventritreenne. Mi viene da dirti che erano personali anche prima le cose che scrivevo, ma c’era un po’ meno persona: la personalità veniva fuori più per differenza dal “fuori”, dagli altri, piuttosto che affermando qualcosa. Quando attacchi ciò che è altro da te lo fai per definire la tua identità, alla fine anche il web è basato su questo principio, spesso coinvolgendo anche persone che il 23 anni li hanno passati da un pezzo in questo schema. A volte si odia qualcosa solo per far capire agli altri chi si è, senza però sostenere qualcos’altro. Si combattono prima magari guerre “esteriori” per poi arrivare, come in questo disco, a combattere quelle interiori. Poi magari dal prossimo disco, il giorno in cui diventeremo compiutamente grandi, non avremo più il problema del mutamento, saremo qualcos’altro e non dovremo più combattere nessun tipo di guerra, nè esteriore nè interiore.”

Come si può definire oggi, nel 2018, il concetto di “Fiducia”, dato che sembriamo tutti, soprattutto la nostra generazione di trenta/trentacinquenni, avere sempre meno appigli a cui rivolgerci?

Io credo che a un certo punto quando hanno iniziato a crollare le ideologie la confusione tra bene e male sia stata accettata come un dato di fatto e i valori hanno iniziato ad essere affrontati in modo ironico, mentre i controvalori come il sesso e la cocaina e così via sono diventati qualcosa di cui cantare: non lo dico però in un senso moraleggiante, semplicemente nel momento in cui mancano delle sicurezze accade questo. Non è che i nostri genitori avessero garanzie maggiori, semplicemente alla nostra età avevano ideali a più lunga scadenza rispetto ai nostri, potevano permettersi progetti a lungo termine, era il mondo ideologico di prima. Secondo me però non è detto che fosse necessariamente meglio. Noi come band, fin da quando abbiamo iniziato, abbiamo affrontato questa precarietà in tutto, oserei dire che è molto nietzschiano avere sempre intorno il caos ed è anche una spinta vitale, sarebbe anacronistico lottare per tornare ad avere, per dire, la pensione come i nostri genitori o nonni. Lo trovo triste, però resta il fatto che perdere i valori, i motivi per cui stare insieme è pericoloso: se ci togliamo del tutto la nostra parte sociale diventiamo davvero una puntata di Black Mirror.

Anche i social portano poi all’individualismo esasperato che stiamo vivendo adesso: tutti noi abbiamo la nostra personale verità da condividere, no?

“Certo, i social secondo me sono un po’ un incidente di percorso: nascono come una cosa bella per tenersi in contatto solo che poi si è scoperto che se dai agli uomini la possibilità di scagliarsi contro gli altri senza incorrere in conseguenze, quelli ci provano e qualcuno ci rimane invischiato. Penso che il punto cardine di tutto comunque sia il bisogno di stare insieme, il punto è che cosa lo muove e cosa lo muoverà: se lo muove solo il fatto di trovarsi un posto per consumare certi servizi è troppo poco. Dopo un po’ ci romperemo le palle, infatti credo che parte dei cervelloni delle grandi aziende mondiali cerchino di darci ciò che ci serve a casa, da Amazon a Netflix.”

Infatti va quasi di moda non uscire più di casa…

“Sì, ma anche questa è più una conseguenza, cioè questi colossi arrivano e ti dicono “ehi cittadino, non hai più nessun vero motivo per uscire ed andare a beccare gli altri? Ok, stai a casa, tanto hai tutto.” Ormai vediamo anche le ragioni per cui vivere come un servizio, dobbiamo non accontentarci di questo.”

Questo è un disco molto generazionale, mi riferisco a canzoni come “Due desideri su tre” piuttosto che la stessa “Fidatevi”, te ne rendevi conto mentre lo scrivevi?

“Dentro questo disco ci sono storie di altre persone, per esempio “Fidatevi”: ci sono alcuni pezzi che sono scrittura più nel senso adolescenziale del termine, nel senso di un’autoanalisi, come “Spettri” o “Crateri”, che è proprio una liberazione. Mentre nei due pezzi che hai citato racconto storie di altri, è il mio punto di vista su un’altra persona. Quando diventi musicista o racconti di te e della tua vita o racconti quella di qualcuno che non è musicista, il mondo che ti interessa è quello diverso da te perchè scandito da ritmi e giornate diverse, quello dei miei amici, di mio fratello per esempio. In ogni caso la situazione generazionale ed economica non cambia, in linea di massima.
Ad esempio “Nella battaglia” nasce dalla situazione che si crea nella metro affollata alle 8,30 al mattino: in quel periodo stavo producendo un disco e per un dato periodo appunto prendevo la metro a quell’ora e mi ritrovavo con chi normalmente lo fa tutti i giorni tutto l’anno. Mentre io sapevo che la mia era una situazione temporanea e poi sarei tornato ad altri ritmi, mi sono immedesimato in chi invece lo fa quotidianamente, senza una “scadenza”. Mi ci sono messo tante volte in chi fa un lavoro più “normale”, con ritmi da ufficio, secondo me ha anche lati molto belli e, per testimonianza diretta, ti posso dire che tanti musicisti sono tentati di passare a quel tipo di vita, per una questione di sicurezze, di ritmi meno serrati, una maggiore routine. Non è detto che la vita tutta sregolata sia figa per forza, dipende da che carattera hai. Dall’altra parte invece delle volte non ti rendi conto che dovresti staccare quando ti sei messo in un lavoro di merda, che non ti soddisfa, ma è difficile farlo perchè perdere le sicurezze, anche economiche, è rischioso per tutti.”

All’interno dei Ministri, tra voi tre, quanto è importante la fiducia l’uno nell’altro? Penso sempre al fatto che Davide canta parole che non ha scritto lui in molti casi, questo è un grande segno di fiducia.

“Tra noi la fiducia è un qualcosa che ci tiene insieme in un senso molto forte, noi siamo amici fin da quando eravamo ragazzi, però al di là di questo i Ministri sono proprio come un equipaggio di una barca che sta facendo una mega traversata oceanica: ognuno ha il suo ruolo e fa quello che fa sicuro che gli altri faranno il loro per far viaggiare la barca al massimo. Lo scrivere e poi Divi che canta, anche se in questo disco ha scritto anche due pezzi (“Tra le vite degli altri” e “Dio da scegliere”), crea tra noi un rapporto particolare: è un discorso tra due amici ma che va ad un livello anche superiore alla normale amicizia, a volte abbiamo anche usato i pezzi per dirci delle cose tra noi, in questo disco meno, in altri dischi di più. Poi ormai questo ci sembra normale e scrivo canzoni che si prestano bene alla sua voce, mentre con la mia dovrebbero avere una metrica totalmente diversa, tra cui praticamente tutte quelle di questo disco. Ormai abbiamo una sinergia iperconsolidata.”

Il disco inizia con i versi “E’ una questione di gusti, che ci spinge in avanti”, come sono cambiati e come si sono evoluti i gusti musicali dei Ministri in questi dodici anni di carriera?
Aggiungo che la critica e il pubblico hanno detto che “Fidatevi” somiglia ai vostri esordi…io direi che non è così.

“Infatti non è assolutamente così, si legge tutto e il contrario di tutto: il problema della rete è anche che si cercano di consumare e giudicare le cose ipervelocemente. Non si può recensire un disco dopo un giorno che è uscito, con le canzoni ci devi vivere, ci devi passare delle esperienze, almeno con le nostre, non sono canzoni da sentire quando vai a fare la spesa. Non andrei a una festa dicendo “ehi adesso vi faccio sentire questa che spacca” e metto su “Crateri”.
Ci sono tante chitarre nel disco e semplicemente questo oggi fa strano.
Per quanto riguarda i miei gusti musicali, essendoci già troppe chitarre nella mia vita con i Ministri si sono rivolti verso cose dove di chitarre ce ne erano sempre meno, come produttore poi in realtà ho fatto tante cose diverse. Devo dire che molti degli arrangiamenti che ci sono in questo disco sono cose che abbiamo dentro da sempre e sono un nostro dna di partenza, che significano ancora tantissimo per me. I gusti sono in realtà dovuti a una sincerità che abbiamo con noi stessi: a noi piace fare questo nella vita, al di là della risposta che può avere.
Però la risposta a questa domanda può variare un sacco da persona a persona.”

Proprio riguardo al fare ciò che vi piace senza guardare a come siete percepiti: voi avete sempre affrontato un vostro percorso musicale che non ha mai guardato troppo a “cosa funziona”, tu lo hai affrontato in alcuni casi anche nelle vesti di produttore: a parte rari casi, ho l’impressione che la musica italiana di un certo circuito si stia sempre più omologando a certi standard, certi meccanismi ricorrenti. Secondo te perchè succede questo e pochi hanno il coraggio di uscire dagli schemi? E’ mancanza di talento o semplicemente è bello stare nella propria “comfort zone”?

“Io credo sia un normale fenomeno biologico della musica il fatto che siano funzionate delle cose con un certo sound e si sia creata una certa onda che adesso si sta cavalcando, quando poi si esaurirà ne verrà fuori un’altra diversa.
L’unica differenza rispetto a prima è che prima si divideva il mondo in mainstream ed indie, ora questo gioco è saltato perchè anche nel mainstream ci sono cose che sono venute dal nostro mondo, quindi è tutto un po’ più confuso.
Credo che il fatto che le cose grosse pop vengano dal mondo “indie” sia bello, vuol dire che siamo gli unici fornitori di entrambi i mondi, diciamo. Basta continuare ad alimentare entrambi questi mondi così da mantenere un certo grado di biodiversità e permettere all’ascoltatore di scegliere tra un po’ di tutto.
Poi credo sempre che chi ha talento verrà fuori, magari in ritardo perchè ha pochi mezzi ma chi vale prima o poi si nota.”

In tour porterete con voi Anthony Sasso come quarto “ministro”, come è nata la scelta di coinvolgerlo e come vi state preparando al tour, che tipo di set sarà?

“Volevamo rendere il disco come si deve e non volevamo usare sequenze, perchè siamo allergici diciamo, per cui abbiamo cercato una persona che facesse al caso nostro. Cerchiamo sempre di trovare degli artisti che ci aiutano, prima c’era Effe Punto, che adesso è in giro con cose sue, adesso avremo ancora con noi, come nello scorso tour, Marco Ulcigrai de Il Triangolo e in più si è aggiunto Anthony, che abbiamo conosciuto con gli Anthony Laszlo quando ci ha aperto un live: condividevamo con lui una serie di visioni e lo abbiamo quindi tirato in mezzo alla nostra grande famiglia. Per quanto riguarda il tour, lo stiamo provando in questi giorni: è un concerto bello denso, molto elettrico, molto potente e molto impegnativo. Raccoglie tante delle cose che ci siamo detti in questa intervista. La potenza di fuoco è molto grossa e certi pezzi hanno tutta l’ampiezza che necessitavano. Siamo molto contenti.”

Appuntamento dunque il 5 aprile per la prima data live del “Fidatevi Tour” all’Estragon di Bologna.

Queste tutte le date ad oggi in programma del “Fidatevi Tour” dei Ministri:

5 APRILE – BOLOGNA – ESTRAGON

6 APRILE – PADOVA – GRAN TEATRO GEOX

9 APRILE – MILANO – ALCATRAZ

12 APRILE – TRENTO – SANBA’POLIS

14 APRILE – ROMA – ATLANTICO LIVE

19 APRILE – VENARIA REALE (TO) – TEATRO DELLA CONCORDIA

20 APRILE – NONANTOLA (MO) – VOX CLUB

24 APRILE – FIRENZE – OBIHALL

27 APRILE – MOLFETTA (BA) – EREMO CLUB

28 APRILE – NAPOLI – CASA DELLA MUSICA

30 APRILE – PERUGIA – AFTERLIFE LIVE CLUB

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I Ministri stanno per tornare sulle scene e si preparano a pubblicare un nuovo album di studio, intitolato ‘Fidatevi‘, in uscita il 9 marzo 2018. Il trio milanese, dopo aver rilasciato il disco, partirà per un lungo tour che dal mese di aprile in poi vedrà la band esibirsi nei club e nei teatri di numerose città italiane. Indossando le loro inconfondibili giacche, i Ministri hanno suonato in molti angoli della penisola italiana dal 2003 in poi, dopo essersi conosciuti tra i banchi del liceo.

Sono passati quindici anni ma la loro urgenza espressiva è rimasta la stessa: Federico Dragogna (parole, chitarra e cori), Davide Divi Aureliano (voce e basso) e Michele Esposito (batteria), si preparano a calcare tanti altri palchi per proporre nuovi brani e vecchi successi: come dimenticare gli storici album ‘I soldi sono finiti‘ e ‘Tempi bui‘? Di seguito il calendario con le prime date confermate.

Ministri – Fidatevi tour 2018

5 aprile, Bologna – Estragon
6 aprile, Padova – Gran Teatro Geox
9 aprile, Milano – Alcatraz
12 aprile, Trento – Sanbapolis
14 aprile, Roma – Atlantico
19 aprile, Venaria Reale (TO) – Teatro della concordia
20 aprile, Nonantola – Vox Club
24 aprile, Firenze – ObiHall
27 aprile, Molfetta – Eremo Club
28 aprile, Napoli – Casa della Musica
30 aprile, Perugia – After Life

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Seconda e ultima serata di un UNALTROFESTIVAL. Stavolta all’ingresso la coda è infinita, dando un’occhiata alle t-shirt si direbbe siano tutti qui per Editors e Ministri, e infatti il pezzo forte della serata sono proprio loro.

Ma è giusto e bello dare spazio a un po’ di musica altra, magari nuova e meno mainstream. Apre le danze Birthh, all’anagrafe Alice Bisi, 19 anni appena. Nonostante la giovane età, ha calcato diversi palchi europei e qui si è già vista in occasione del Mi Ami. Ha più di una cosa in comune con i Daughter, visti ieri sera sul palco qui a fianco, ossia intimismo e modalità di scrittura. A tratti anche la sua voce è simile a quella della cantante della band inglese anche se su un altro livello. A fare la differenza è la natura molto più elettronica delle sue composizioni (facile pensare a The xx e simili). L’esibizione è regolare e senza grandi slanci ; accompagnata dai suoi musicisti, presenta i brani del primo disco Born In The Woods, uscito a febbraio.

Sul main stage arriva la prima dei tre artisti internazionali della serata : Flo Morrisey. La cosa che colpisce vedendola entrare in scena con il suo abito verde è senza dubbio la bellezza angelica. Classe 1994, nata a Londra, inizia a comporre da adolescente e, dopo alcuni singoli, dà alle stampe nel 2015 il primo album Tomorrow Will Be Beautiful. Un modern folk il suo, caratterizzato da una grazia davvero notevole. Pizzica le corde della sua chitarra, canta d’amore e di sé con voce da usignolo: gorgheggi, yodeling e falsetto, chiudendo gli occhi si potrebbe anche pensare di essere finiti al Laurel Canyon negli anni ’70. Invece siamo a Segrate ma guarda caso il sole sta tramontando, l’atmosfera c’è. Show me, Pages of Gold e una cover del brano dei Tuxedomoon, In a Manner of speaking. Set breve ma intenso, voce e chitarra ma non serve altro, verrebbe da dire.

Birra alla mano, ci si sposta spinti da curiosità e si trova la sorpresa: Fil Bo Riva. Praticamente uno sconosciuto, ma vedendolo salire sul palco non si può non essere colti da epifania. Nato a Roma, vive a Berlino da anni e di anni ne ha solo 23. È uscito ad agosto il videoclip di Like Eye Did, ad anticipare la pubblicazione del suo ep di debutto If You Are Right, It’s Alright, che ascolteremo fra una ventina di giorni. Songwriter talentuoso, dotato di un timbro vocale straordinario che da solo basterebbe a garantire intensità e bellezza. Sul palco sono in due, belli e vestiti uguali, l’equipaggiamento è scarno (dichiarano di non avere un soldo): chitarra acustica, elettrica, bass drum, tamburello mezza luna. Suonano bene, benissimo una musica che si colloca a metà tra il folk e il soul, che è si malinconica ma anche estremamente dinamica. All’inizio il pubblico è scarso ma presto inizia ad avvicinarsi in massa, attirato dalla sua voce potente e che non merita paragoni scontati. Un’artista da non perdere di vista, senza ombra di dubbio.

Dici Magnolia, dici Ministri. E infatti eccoli tornare qualche mese dopo il set speciale in occasione del Mi Ami per celebrare il compleanno del loro primissimo album I soldi sono finiti. Stasera a compiere gli anni è Federico Dragogna (chitarra e penna), e Davide Autelitano (basso e voce), Michele Esposito (batteria) e Marco Ulcigrai (chitarra aggiunta) sono come sempre con lui. C’è qualcosa di strano, di diverso dal solito, chi li segue da anni non può non averlo notato. L’istinto animale che li anima dal vivo non manca, sia chiaro, eppure il live è sottotono. Parlano poco anzi per niente se non per introdurre Idioti (unico altro brano in scaletta da Cultura Generale), dedicata a chi non è riuscito a stare zitto, soprattutto sul web, in giorni drammatici come quelli del sisma che ha colpito il Paese. Cronometrare la polvere, Comunque, Spingere, Non mi conviene puntare in alto, i fan ovviamente rispondono a squarciagola perché il voler bene non si perde nei dettagli e non analizza al microscopio le mancanze. Forse i quattro sono stanchi, d’altronde sono in tour da quasi un anno e non si sono mai fermati, sarebbe comprensibile. Nel pubblico spunta Fil Bo riva che ovviamente non li conosce e sembra un po’ perplesso. C’è anche una giovane famiglia, padre madre e due figli piccoli, che canta ogni canzone. Vedere una bambina gridare parole parole pesanti come quelle di Tempi bui fa effetto (chissà se mamma gliele avrà spiegate senza renderla triste). Sicuramente rende bene l’idea di ciò che la musica dei Ministri rappresenta in una realtà come la nostra. Canzoni viscerali che servono a ricordare ciò che dovremmo essere anche se facciamo sempre più fatica. Non a caso si chiude con Abituarsi alla fine; speriamo solo non stiano faticando troppo anche loro a continuare a crederci, sarebbe un peccato perderli.

Ultimo atto di questa due giorni sono i britannici Editors. Quando si parla di loro le motivazioni per pagare il biglietto sono diverse e sempre valide. C’è chi vive un amore platonico non corrisposto per Tom Smith, chi è affezionato alla perfezione rock dei primi lavori, chi ha apprezzato il marcato ritorno ai suoni New Wave degli ultimi dischi (dal 2013 con lo strabiliante In This Light and On This Evening il solco tracciato era quello). Quella degli Editors è una band che da quindici anni ormai sa cambiare pelle ma dal vivo, come sempre, offre il meglio di sè. Si inizia con No Harm e la voce di Tom Smith, di bianco vestito, che squarcia il buio e le atmosfere cupe. Poi le più datate Smokers Outside The Ospital Dors e Rancig Rats, il pubblico canta, Smith e il bassista Russell Leetch, pollici in alto, approvano a più riprese. L’energia e il linguaggio del corpo del frontman sono ormai celebri e come sempre coinvolgenti. È un continuo alternarsi di atmosfere e stati d’animo: dal nero claustrofobico di Eat Raw Meat = Blood Drool alle aperture di A Ton of Love, all’esultanza da stadio per Papillon. Un’ora e mezza in cui nessun membro della band si risparmia, dando tutto ciò che può per ricambiare l’entusiasmo. Si chiude con Marching Orders (dall’ultimo LP In Dream) che parte piano per arrivare all’esplosione definitiva: otto lunghi minuti adatti per salutarsi come si deve, dandosi appuntamento alla prossima.

Per chi ancora non ha sonno, si continua con l’aftershow di Hunter/Game E Nowhere Music. Ancora una volta UNALTROFESTIVAL è stato bello, appuntamento all’anno prossimo.

[Report: Laura Antonioli  –  Foto: Francesca Di Vaio]

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Mancano solo 3 giorni alla IV edizione di Unaltrofestival.
Di ritorno dalle ferie non si vorrebbe altro che poter rimandare la fine dell’estate di qualche altro giorno.  Unaltrofestival 2016, che si terrà giovedì 1 e venerdì 2 settembre al Magnolia di Milano, è la soluzione.
Un festival urbano, una due giorni di grande musica pensata per la città di Milano con una line up senza eguali. Due palchi alternati per una maratona musicale di 6 ore al giorno senza soste.

Una line up di 10 band per un totale di 10 live show alternati sui due palchi del festival e, novità di quest’anno, venerdì 2 settembre il parterre di questa quarta edizione si trasformerà in dancefloor con il dj set d’eccezione di Jimmy Edgar.

Un’ultima boccata d’estate in compagnia di alcuni tra gli artisti più importanti della scena musicale internazionale: Editors, Daughter, Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, The Strumbellas e tanti altri.
Oltre ai grandi nomi della line up, a condire la nuova edizione ci saranno tante novità, una tra tutte lo street food gourmet: truck food, selezionati in tutta Italia, che porteranno la tradizione del cibo italiano di strada direttamente ad Unaltrofestival.

Concertionline.com sarà presente, quindi stay tuned per report dei concerti e foto delle band.

Questo il programma completo.

GIOVEDÌ 1 SETTEMBRE
MILANO – MAGNOLIA
Apertura biglietteria / ritiri prevendite Ticketone, Vivaticket, Bookingshow / cassa accrediti: ore 18.00
Apertura porte: ore 19.00

SUNDAY MORNING: ore 19.25 – 19.55
LANDLORD: ore 20.00 – 20.30
THE STRUMBELLAS: ore 20.35 – 21.15
EDWARD SHARPE & THE MAGNETIC ZEROS: ore 21.20 – 22.25
DAUGHTER: ore 22.55 – 0.00

VENERDÌ 2 SETTEMBRE
MILANO – MAGNOLIA
Apertura biglietteria / ritiri prevendite Ticketone, Vivaticket, Bookingshow / cassa accrediti: ore 18.00
Apertura porte: ore 19.00

BIRTHH: ore 19.25 -19.55
FLO MORRISSEY: ore 20.00 – 20.30
FIL BO RIVA: ore 20.35 – 21.05
MINISTRI: ore 21.10 – 22.00
EDITORS: ore 22.30 – 0.00
JIMMY EDGAR: ore 01.30 – 3.00

•TICKETS•

DAY 1
Prezzo biglietto: 30,00 € + d.p.
Prezzo alla cassa: 32,00 €
Prevendite disponibili su www.ticketone.it, www.vivaticket.it, www.bookingshow.it

DAY 2
Prezzo biglietto: 35,00 € + d.p.
Prezzo alla cassa: 35,00 €
Prevendite disponibili su www.ticketone.it, www.vivaticket.it, www.bookingshow.it

ABBONAMENTI disponibili su www.ticketone.it
Prezzo biglietto: 56,00 € + d.p.
Prezzo alla cassa: 56,00 €

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Unaltrofestival, il festival estivo della Comcerto che quest’anno giunge alla sua quarta edizione, torna nella città di Milano con una programmazione senza eguali.
Confermata la location delle prime tre edizioni, il Magnolia Estate, immersa nel verde che circonda l’idroscalo, il festival si sposta a Settembre, queste le date: Giovedì 1 e Venerdì 2, per una due giorni di grande musica.
Dopo essersi contraddistinto per originalità e innovazione nelle prime tre edizioni, Unaltrofestival torna con alcuni degli artisti più importanti della scena indipendente internazionale.
Tra i grandi artisti che hanno calcato il palco di Unaltrofestival, dal 2013 ad oggi, Hozier, Of Monsters and Men, The Lumineers, Tame Impala, MGMT, The Dandy Warhols, Horrors, e tanti altri.
Oltre ai grandi nomi della line up, a condire la nuova edizione ci saranno tante novità, una tra tutte lo Street Food gourmet: truck food, selezionati in tutta Italia, che porteranno la tradizione del cibo italiano di strada direttamente ad Unaltrofestival.

Questa la line up completa di quest’anno:

Giovedì 1 settembre
Milano – Magnolia
Daughter
Edward Sharpe & The Magnetic Zeros
The Strumbellas
Landlord
Sunday Morning
Prezzo biglietto: 30,00 € + d.p.
Prezzo alla cassa: 32,00 €
Prevendite disponibili su www.ticketone.it, www.vivaticket.it, www.bookingshow.it
 
Venerdì 2 settembre
Milano – Magnolia
Editors
Ministri
Fil Bo Riva
Flo Morrissey
Birth
Aftershow: Jimmy Edgar Dj Set
Prezzo biglietto: 35,00 € + d.p.
Prezzo alla cassa: 35,00 €
Prevendite disponibili su www.ticketone.it, www.vivaticket.it, www.bookingshow.it

Abbonamenti disponibili su www.ticketone.it
Prezzo biglietto: 56,00 € + d.p.
Prezzo alla cassa: 56,00 €

UAF-Unaltrofestival2016

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Siamo andati all’ Auditorium Flog di Firenze, in occasione del loro concerto del 16 aprile, per scambiare quattro chiacchiere con i Ministri, in particolare Federico Dragogna, a poco più di 6 mesi dall’ uscita dell’ultimo album “Cultura Generale”.

 

Gordon Raphael non ammetteva l’italiano in studio. È stato difficile lavorare su questo? Come mai era così rigido?
Semplicemente  prova a pensare se ti sei mai trovata in una tavolata dove ci sono tre persone che parlano una lingua e uno da solo che ne parla un’altra, è buona regola sforzarsi di integrare quella persona nella conversazione. Quindi è stato buffo perché io parlavo abbastanza bene in inglese, Divi lo conosce e lo parla abbastanza, Michi un po’ meno, quindi si facevano delle acrobazie per riuscire a dirsi le cose anche tra di noi con lui presente. Poi non era in realtà una persona così rigida, però era proprio da stronzi parlare in italiano. Perché ti viene anche naturale fare tutta una serie di commenti quando stai lavorando ad un disco, alcune esclamazioni, ed è brutto per il produttore essere escluso, rischi anche di sentirti parlare dietro in qualche modo…

Va beh, ma è da avere le manie di persecuzione…
No fidati io faccio anche il produttore e se capitassi in una situazione del genere sarebbe molto fastidioso. Poi ovviamente Gordon è comunque abbastanza un artista a sua volta, quindi devi avere anche la giusta sensibilità per averci a che fare, ma questo non riguarda solo l’inglese, riguarda mille altre cose. Non ultimo il veganesimo, che era più difficile da rispettare della lingua stessa… Sono diventato ferrato su che cosa sia la quinoa.

In “Vivere da signori” criticate uno stile di vita da ricchi, ma poi parlate dei soldi come qualcosa che toglie anche le preoccupazioni. Lavorando nella musica, soffrite di questo? Si può dire che ancora chi fa il musicista in Italia fa fatica a pagare l’affitto?
Il pezzo non è necessariamente una critica. Poi capisco che parte dei miei testi abbiano una leggibilità complessa, infatti non chiedo necessariamente che siano letti come dei saggi di semiotica, ma anche un po’ liberamente. Penso  che in qualche modo Vivere da signori parli più del fatto dell’avere un sacco di soldi e non sapere come spenderli. Voglio dire, se io Michi e Divi improvvisamente avessimo un sacco di soldi -cosa che non abbiamo- cosa ce ne faremmo? Riusciremmo effettivamente a farcene qualcosa?
Mi viene in mente la scena del film Tommy, quello basato sul disco degli Who, dove ad un certo punto la famiglia working class inglese una volta diventata ricca perché Tommy diventa un mago del flipper e diventa un attrazione, arriva ad avere un sacco di soldi e scelgono di investirli comprando tantissimi fagioli, gli stessi fagioli che mangiavano prima. Semplicemente ne comprano tantissimi e ci fanno il bagno. Quindi in qualche modo il pezzo parla un po’ più di questo; insomma immagini come il giracravatte, le ciabatte col pelo, cimeli inutili di cui ti riempi quando hai molto denaro da usare.
Dire che è un po’ di più sul rapporto con la ricchezza, ma parte più che altro dall’espressione vivere da signori, che può essere anche come quando stai facendo le vacanze in Grecia con due lire mangiando i panini che rubi dall’albergo, e poi ad un certo punto ti prendi una merendina al cioccolato e dici “ah, questo è viver da signori”, voglio dire, è tutto relativo.
Per rispondere alla domanda iniziale, ci riusciamo a vivere, senza stravivere di sicuro. Siamo consci del fatto che se avessimo iniziato trent’anni fa ora ci saremmo comprati un appartamento coi dischi venduti, invece abbiamo iniziato dieci anni fa che è comunque un periodo migliore di ora per avere una band di questo genere, quindi ci è andata bene.

Parliamo di Cultura Generale. È un brano particolare a suo modo, scarno se così può definirsi, un po’ fuori dal classico dei Ministri. Che mi dici di questo?
Il pezzo è originariamente un arpeggio di chitarra e voce. Quando eravamo a Berlino, per l’attitudine giocosa di Gordon in quel momento, c’era più voglia di fare qualcosa in quel momento che inseguire una cosa già fatta, e quindi è venuta fuori questa versione stranissima, con Gordon che suona il piano; è stato più un momento. Perché in realtà è una partitura molto da De Andrè se vai a farla con chitarra e voce, ma volevamo che tutto il disco fosse più un’esperienza, fosse più quei giorni a Berlino. Non una strategia, non una costruzione più ampia.

Il fatto che canti in quel pezzo. È perché lo sentivi più tuo?
Divi non l’aveva mai cantato fino a quel momento, lo avevamo sempre ascoltato nel provino che avevo fatto io a casa. Quando glielo abbiamo fatto sentire, Gordon ha detto “ok, tu canti la prima strofa e tu la seconda ed insieme il ritornello” quindi abbiamo seguito le sue direttive ed era contento.

In questo disco, rispetto ad altri, avete fuso più organicamente le tematiche personali con quelle politiche. È stata un’esigenza naturale, segno di un passaggio?
L’espressione tematica politica o canzone politica è sempre un po’ difficile rispetto alla nostra musica.
In realtà, nel momento in cui io sto parlando della mia vita, la mia vita è all’interno di uno stato, all’interno di leggi, di una città, di problemi. Mi sarebbe impossibile parlare non politicamente, inteso in questo senso. Spesso anche quando si sta parlando di quello viene sempre preso come se io parlassi all’esterno, come se stessi criticando, invece ci sono dentro, tutti ci siamo dentro. Non mi tiro fuori dalla critica. In Tempi Bui era veramente vivo in tempi bui e sto diventando buio anch’io, in Idioti è ci trascinate giù con voi.
Sussiste sempre il pericolo di diventare quello che si critica, di dimenticarsi da dove partiva la tua forza, la tua energia nel criticare e pian piano diventare la stessa cosa che stavi criticando. E questo più che essere una colpa è un pericolo, è un pericolo di chiunque, ed è un pericolo normale. Quando sei giovane in fondo non hai nulla da perdere, ti senti tutto battagliero, poi incominci a dover pagarti un affitto, a voler mettere su una famiglia, a voler tutta una serie di cose e ti trovi a essere stanco. A essere stanco quando torni a casa la sera perché hai lavorato tutto il giorno in un posto che non ti piace e magari incominci, pian piano senza accorgertene, a diventare quella cosa che prima ti faceva così cagare.
Ma non è una cosa negativa, è una cosa normale.
Alla base della nostra musica c’è un’energia che mettiamo nel non dimenticare da dove eri partito. Il tenere viva questa energia e questa determinazione, è parte integrante di tutto il nostro lavoro. Però siamo umani, non parliamo di esserne sicuri, cerchiamo di raccontare la nostra lotta nei confronti del dimenticare, del non rendersi conto del cambiamento.
Adesso, senza stare a fare nomi, la musica italiana per così dire politicizzata, è sempre lì a dire “che schifo qui, che schifo lì” però poi la mia domanda è “ma qual è la tua condotta?”
Non abbiamo la presunzione di poter insegnare qualcosa, ogni tanto sentiamo il diritto di poterci incazzare su determinate questioni e ne parliamo. Però poi in questo album c’è tanto della nostra vita dentro e quando parliamo del fuori, parliamo di questo, di stare fuori dal giudizio.

Dunque puoi dire di sentirti un po’ meno Fuori, rispetto a un paio di dischi fa?
Penso che siano semplicemente cambiate le forme di allora nel fare certi pezzi. All’epoca, alcune cose erano un pochettino più semplici, magari anche efficaci, e c’era una volontà di essere più diretti. Non posso dire che sia cambiato tantissimo, perché non siamo cambiati tantissimo, la nostra vita non è cambiata tantissimo, in senso buono. Non c’è stato un grande salto. C’è un po’ più di consapevolezza.
Inoltre prima, anche con risultati buoni, stavamo un pochettino più attenti a quello che ci chiedevano le persone. Non lo facevano neanche direttamente, eravamo noi ad immaginarci un’aspettativa. Questo ha sempre prodotto risultati buoni. In questo disco ci siamo sentiti molto più liberi di dire certe cose, di scegliere certi tempi, certi spazi, certi arrangiamenti. Chiedendoci sempre che cosa voleva la gente, ma preoccupandoci meno del feedback.

Mi hai in parte anticipato perché quel che volevo dire era anche che in questo disco io ho sentito un po’ più una resa, un lasciarsi andare ad uno stile di vita più normale e meno guerriero.
Ma il fatto che noi tra un tour l’altro, ma anche tra una data e l’altra, siamo normali, è quello che ci permette di riuscire a comunicare. Se facessimo una vita diversa, da personaggi, non riuscirei neanche a esprimermi.
Per tante altre cose questo disco è stato molto più rischioso per noi, perché questo disco è stato molto più una sfida tra musicisti. Insomma fare un disco sapendo di non poter avere nessuna correzione dopo, è un rischio che pochissimi corrono oggigiorno. E questo non è necessariamente un vanto. Il rock in questi anni ha sempre funzionato in una maniera un po’ più photoshop, quindi con grande margine di correzione. Scegliere, o meglio ci è capitato proprio di non poterlo fare con Gordon, è stata una bella sfida e ci ha messo in pace con noi stessi. Perché poi ti riascolti e dici “noi siamo così”. Questo per il pubblico è difficile perché è abituato al disco molto pompato e live vuole il disco. Poi quando vengono al live e uno fa un lavoro pazzesco per portarlo sul palco in un certo modo, e il pubblico lo sente comunque pompato a 120decibel poi comunque non si capisce se è soddisfatto davvero. Fare questo disco in questo modo ci ha fatto rendere conto anche quanta ansia c’era nei dischi precedenti di funzionare.

La scelta di Gordon Raphael quindi è venuta da quello, vi ha lasciato più liberi e vi ha solo dato l’esperienza?
Gordon Raphael semplicemente non accetta che possa esistere la postproduzione, peraltro perché non avrebbe saputo neanche farla, ma non è questo il punto. Per lui non esiste. Per lui i dischi vanno registrati come nel ’72 e quindi non c’era la possibilità.
Questo non vuol dire nè che la postproduzione sia male, né che sia bene, però fare questa esperienza è utile.

Dato che hai provato entrambi, per il prossimo disco dovessi scegliere?
Noi facciamo sempre un grande lavoro di pre-produzione, per il prossimo disco forse potremmo essere pronti a portare questa pre-produzione più avanti, anche fino alla fine, ma è davvero presto per dirlo.
Di sicuro ci siamo accorti di mille cose sui suoni, su come arrivare davvero a suonare come le band americane e inglesi che ascoltiamo. Infatti quello che ti dicono spesso in Italia sul come arrivare a quei sound è falso. Perché in Italia ti arriva un disco dall’America o dall’Inghilterra e ti chiedi come hanno fatto a farlo così e le soluzioni che si propongono non sono quelle, sono sbagliate.
E alla fine quello che vale sempre è il partito delle mille prove. Devi arrivare in studio dopo aver provato quei pezzi fino alla morte. Noi abbiamo fatto così, perché comunque il fatto di eseguire quel pezzo una volta ed è così, non puoi ricrearlo in un altro modo, è tutto lì. Neanche se hai tutti gli strumenti del mondo, rimane una cosa umana grazie a Dio.

La scelta di girare il video di Io sono fatto di neve all’Ex Moi. Cosa ha significato per voi quell’esperienza di quella giornata in quel posto?
La scelta è stata fatta insieme al regista Federico Merlo, un ragazzo giovane e bravissimo di Genova, che in parte ci ha lanciato l’idea. L’idea era raccontare una storia di migranti, noi abbiamo accolto la sfida. Il proposito era di raccontare una storia vera, di non fare fiction, e soprattutto di raccontare una storia luminosa, felice, per quanto felice potesse essere. In realtà abbiamo provato varie vie prima di arrivare all’esperienza dell’Ex Moi, alcune che ci sono state precluse anche da organi istituzionali. Volevamo girare in un centro d’accoglienza ma non ce l’abbiamo fatta per questioni di permessi, data l’atmosfera tesa sul tema, attualmente.
Dunque siamo arrivati all’Ex Moi, abbiamo spostato l’attenzione su questo, anche se il pezzo non parla esclusivamente di questo. Il pezzo parla della fragilità e sicuramente ha dentro un sacco di cose che parlano della mia fragilità direttamente, riferita al momento in cui l’ho scritto. Ma come faccio sempre con i testi, volevo che si allargasse a tutti in qualche modo. Con questa trovata siamo arrivati ad un limite ideale, perché in questo momento non si poteva parlare di fragilità e riprendere noi stessi, non con la situazione che c’è in giro, non era davvero possibile.

A livello umano cosa ti ha lasciato?
A livello umano è stato molto molto molto intenso. Siamo andati là tre volte. Una prima volta quando nevicava peraltro, ma abbiamo girato poche scene perché ancora non avevamo preso accordi né organizzato.
Poi siamo tornati lì a girare e a passare la giornata effettivamente insieme a questi ragazzi. È stato intenso perché ti accorgi davvero della paura che abbiamo noi dell’altro e della paura che anche loro hanno di noi in questo senso. Ti accorgi che il metodo di un’occupazione necessaria come in quel caso, è qualcosa che riesce ad unire le persone in maniera superiore a qualsiasi altro centro o legge. Sono persone di stati, culture, etnie, religioni diverse e vivono tranquillamente.

Questo è dovuto proprio al fatto che altrove si trovano tutte le porte chiuse in faccia, no? Creare una loro comunita di esclusi, triste da dire, ma li aiuta.
Sì in parte è per questo.
Semplicemente sono persone che sono state scaricate da tutta una serie di centri di accoglienza che hanno chiuso, si sono ritrovati senza un posto dove andare, e i media locali hanno contribuito nello screditare in ogni modo quel posto, per cui loro si sono fatti forza a vicenda.
Infatti entrare lì dentro con una telecamera rimane ancora complesso. Noi non volevamo riprendere di nascosto, lì volevamo riprendere davvero, volevamo riprendere il loro orgoglio e i loro sentimenti, quindi dovevamo necessariamente coinvolgerli. Questo è stato frutto di un lungo processo, le prime sette ore avremo girato dieci secondi in realtà. Poi, piano piano, siamo riusciti a entrare veramente in contatto e amicizia con le persone presenti nel video.
È stato molto bello, ma non è questo il punto, il punto è che ti sposta la questione dall’aspetto del telegiornale, della cronaca, all’aspetto molto più umano. Ed era quello che volevamo, perché tutta la comunicazione che si fa sull’argomento passa sempre con una grossa fatica di guardare al di fuori. È tutto un “siamo un fallimento”, “i centri di accoglienza sono una vergogna”, ed è sempre un parlare di noi, della nostra colpa e così via; è sempre un parlarsi addosso. E non riusciamo mai a guardare quelle persone e a parlarne davvero. E noi stessi questo lo abbiamo imparato durante il giorno, e loro altrettanto, ed è stato un incontro nel senso più completo del termine, e sarebbe bello che queste cose succedessero un po’ più spesso.

E la musica si conferma veicolo per queste cose, dove le istituzioni sono le prime che ti mettono i bastoni fra le ruote. Voglio dire, lì ci vanno i Ministri e non ci va un ministro sul serio.
Questo di sicuro è stato una cosa che volevamo fortemente ed è anche il fatto di non essere giornalisti che ci ha dato la possibilità di essere ascoltati da loro. Anche qui ci sono state da superare delle diffidenze perché quelle ci sono di sicuro.
É stato anche fondamentale il tramite del Comitato Ex Moi Rifugiati ed Emigranti, composto da ragazzi che lavorano e aiutano quel posto. Soprattutto nella figura di alcune persone che danno due terzi della propria vita a posti del genere senza volere nemmeno un riconoscimento, un ritorno di nessun tipo. Quindi è stata forte anche quest’esperienza di capire il tipo di risorse che abbiamo in Italia, che a volte sono incredibili. Alcuni dei ragazzi che lavorano in questo comitato ne sanno più di immigrazone, burocrazia, documenti e così via, di chiunque altro.

La dimostrazione che la meritocrazia in Italia non funziona, persone che ne sanno così tanto poi non sono valorizzate nei posti che dovrebbero.
È molto complesso questo, non so se sia una questione di meritocrazia, esiste anche il fatto che banalmente ci sono i grandi schieramenti destra e sinistra che ci portiamo dietro dalla seconda guerra mondiale, che sono ancora così bloccati e rendono impossibile una cooperazione di teste funzionanti su problemi del genere. Quindi chi finisce a voler fare queste cose qui, finisce in schieramenti molto forti di un certo tipo che creano problemi di dialogo, e questo è molto complesso, ma non sminuisce di una virgola il loro lavoro, rende solo più lento e faticoso il tutto.

 

Intervista effettuata con la preziosa collaborazione di Serena Lucaccioni (Impatto Sonoro)

L'assenza di Michele Esposito ha reso, paradossalmente, il live fiorentino dei Ministri qualcosa di unico e irripetibile

Quando il tuo batterista si sente male due giorni prima di un concerto, il primo pensiero che fai è quello di annullare la data, prenderti una piccola pausa e aspettare; certo, rischi di deludere i fan, di aver creato un’attesa che va poi vanificata, ma alla fine cosa poter fare per non compromettere tutto?
I Ministri ne hanno dato un saggio venerdì 27 novembre all’Obihall di Firenze: nonostante l’assenza di Michele dietro i piatti della batteria, Divi e Federico per l’occasione hanno sfoderato un set più minimale ed acustico, uno di quei live che ti prendono il cuore e te lo smontano, tante sono le emozioni che riescono a dare. Accompagnati da un Marco Ulcigrai in splendida forma, che si è diviso tra chitarre e batteria per l’occasione e dal ritorno del “figliol prodigo” Effe Punto i due Ministri hanno messo in scena alcuni brani da intenditori, di quelli che tutti i presenti sognavano di riascoltare ma, forse, pochi avevano il coraggio di chiedere a gran voce: da “La piazza” a “I nostri uomini ti vedono” fino a “Vestirsi male” e l’immancabile “Il bel canto”. Una carrellata in ciò che sono stati i Ministri, in una chiave semi acustica da brividi, con Effe Punto sugli scudi e un Divi scatenato, in piena empatia con il pubblico, composto da giovani e giovanissimi pronti a sorreggere il cantante dei Ministri ogni volta che effettuava stage diving o ad abbracciarlo quando si incamminava tra le ali di folla. Si è creata un’atmosfera unica, difficilmente ripetibile, una di quelle serate in cui sai che devi essere lì, a sudare in mezzo alla gente, a sentire quella musica, a cantare quella musica e non c’è un posto migliore al mondo, nonostante i “sabotaggi” della sorte.
Ad impreziosire il tutto due set da paura dei Fast Animals and Slow Kids e de Il Pan del Diavolo ad aprire il live, due veri e propri concerti che hanno infiammato il pubblico creando il clima perfetto per i Ministri: soprattutto i FASK, nonostante i 3 mesi di pausa dai live da cui venivano, hanno confermato di essere una delle realtà dal vivo migliori della musica italiana.
Ministri, FASK, Pan del Diavolo: tre realtà nuove e straordinariamente qualitative della nuova musica italiana. Bellezza pura.

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Dai locali dell’underground milanese, i Ministri ne hanno fatta di strada: a confermarlo non sono solo le tantissime copie vendute per gli album finora pubblicati, ma anche il successo live, riscosso in patria così come oltre confine. Tanto che, nel corso del 2014, non sarà l’Italia ad ospitare il prossimo tour della formazione, ma il resto d’Europa: i fan nostrani dovranno fare un po’ di strada se vorranno assistere ad una esibizione live dei Ministri nell’imminente futuro. Sul palco la band si presenterà nella formazione a tre, dopo l’abbandono di Punto F, che costituiva una certezza sul palco dal 2009. Con un componente in meno, ma con intatta la voglia di dedicare anima e corpo al palcoscenico, i Ministri saranno protagonisti di sei concerti per ripercorrere le tappe principali della loro carriera. Ampio spazio, all’interno della scaletta dei live, verrà riservata alla più recente produzione discografica della band, l’album “Per un passato migliore“, pubblicato nel 2013, che è valso ai Ministri il sold out a entrambi i live tenuti nel corso dell’anno.

Queste le date del tour europeo dei Ministri:

5 aprile – Garage Music – Castione (CH)
8 aprile – Paradiso – Amsterdam
9 aprile – Botanique – Bruxelles
10 aprile – Water Rats – Londra
12 aprile – Flechedor – Parigi
13 aprile – WhiteTrash – Berlino