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Intervista

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Si è scomodato perfino sir Elton John, definendoli «la cosa più emozionante vista dal vivo dai tempi del concerto londinese di Jimi Hendrix al Marquee Club negli anni Sessanta». Si chiamano 2Cellos ovvero Stjepan Hauser e Luka Sulic, virtuosi del violoncello e vera sensation fra classica e rock, nata dal web ed esplosi a livello mondiale. Alzi la mano chi non ha visto il fantastico video qui sopra, ormai arrivato a 30 milioni di visualizzazioni, in cui suonano “Thunderstruck” in una versione, diciamo… d’epoca.

Ora sbarcano in Italia per una manciata di concerti in Italia. Partiranno l’11 dicembre a Padova al Gran Teatro Geox, il 12 a Roma all’Atlantico Live, il 13 a Bologna all’Estragon, il 14 a Milano al Fabrique e il 15 a Udine al Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Sono 10.000 i biglietti già venduti, sold out già in prevendita le date di Bologna e Udine e ancora poche le disponibilità per Padova, Roma e Milano. Un fenomeno mondiale, dunque, che merita di essere conosciuto da vicino. Ma chi sono davvero i 2Cellos? L’abbiamo chiesto a Stjepan Hauser: sentite cosa ci ha risposto.

Come vi siete avvicinati alla musica e perché avete scelto due strumenti classici come i violoncelli?
«Siamo stati attratti dalla musica fin dalla più giovane età. C’era qualcosa nei violoncelli che ci risuonava nella testa. E’ uno strumento veramente speciale, con tonalità e colori molto vinci alla voce umana».

A chi vi siete ispirati?
«Siamo stati ispirati semplicemente da tutta la musica e da chi aveva qualcosa da dire con il suo strumento. E’ molto difficile scegliere in da un mondo così eterogeneo di artisti»

Come vi siete conosciuti e da cosa è nata l’idea di formare il duo?
«Ci siamo incontrati tanto tempo fa, quando eravamo ancora studenti di violoncello. Entrambi volevamo fare qualcosa di molto diverso, perchè avevamo intuito che c’erano delle grandi potenzialità nel violoncello, ancora inesplorate. Noi stavamo suonando come animali rock, ma anche come musicisti classici. Così è stato facile creare la fusione».

Le cronache vi davano come rivali “musicalmente parlando”…
«Fino ad un certo punto è stato così. Poi abbiamo deciso di unire le forze e sembrerebbe che la decisione abbia regalato un effetto molto migliore».

La scelta dei brani da “riarrangiare” è condizionata dai vostri ascolti musicali?
«Il brano deve essere davvero toccante ed ispirarci in qualche modo. In pratica ci deve piacere e dobbiamo sentirlo nostro, per farci iniziare l’arrangiamento. Ovviamente deve calzare a pennello con i nostri violoncelli».

Il lavoro di arrangiamento è fatto esclusivamente da voi?
«Si è proprio così».

Che tipo di pubblico vi segue?
«Il nostro pubblico è il più vario al mondo. Abbiamo i giovanissimi, gli anziani e tutto ciò che sta in mezzo. Tutto questo perché il nostro approccio alla musica abbraccia tutti gli aspetti. Non vogliamo semplicemente attrarre gente che ascolta un solo genere musicale, così alla fine ci segue chi ama la classica, ma anche il rock o il pop. Alcuni dei nostri fan viaggiano per il mondo per vedere i nostri concerti. Tutto questo è davvero eccezionale».

Tra i vostri partner c’è anche Zucchero: ci sono altri artisti italiani con cui vorreste collaborare?
«Noi abbiamo già collaborato con i migliori: Zucchero e Andrea Bocelli. Tutti gli altri sono… morti (risata)».

E’ difficile essere accettati artisticamente dal pubblico inglese. Vi siete stupiti di essere stati invitati al concerto del giubileo a Buckingham Palace?
«E’ stato un grande onore e di sicuro l’invito in qualche modo ci ha sorpreso».

Quali sono i vostri progetti futuri?
«Vogliamo aumentare sempre di più il nostro successo, ovviamente anche in Italia»

Dopo l’esperienza di Orient Express, ci saranno altre vostre composizioni originali?
«Certamente, questo accadrà in futuro».

Intervista a cura di Vincenzo Nicolello

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Giacomo Voli è stato uno dei concorrenti della seconda edizione di The Voice. Aspetto da rocker graffiante, abbigliamento aggressivo, una voce acuta e potentissima. In molti lo indicavano come favorito per la vittoria finale, ma nessuno aveva fatto i conti con suor Cristina, che a livello mediatico e di televoto non ha avuto rivali. Così per Giacomo è arrivato il secondo posto, una buona visibilità e il rimpianto di una mancata vittoria, che forse gli avrebbe offerto altri scenari musicali. Il passato è passato, lui non si è perso d’animo e dopo un breve periodo di riflessione è ritornato sul palco, per fare l’attività che ama: cantare. Ancora non sa se il suo futuro da artista gli consentirà di vivere con la musica, ma intanto ci prova. L’abbrivio che gli ha regalato lo show televisivo, è un buon viatico per un tour molto partecipato a livello di pubblico, in attesa di poter incidere quel disco e trovare un contratto in grado di farlo diventare un professionista. L’abbiamo incontrato ad Asti e lui gentilmente ci ha concesso questa intervista.

Trovare tue notizie antecedenti la scorsa primavera è davvero difficile. Vuoi dirci tu chi è veramente Giacomo Voli?
«Prima dell’esperienza televisiva di The Voice ero uno dei tanti cantanti * che proponeva generi che andavano dall’Hard Rock al Metal al Prog, che si esibiva in musical. In poche parole ero specializzato in cover, per prendere parte a qualche serata e racimolare quel minimo per rientrare dalle spese. Non pensavo assolutamente di poter diventare cantante a tempo pieno e comincio a crederci solo oggi, visto che è accaduto tutto così in fretta ed è ancora molto presto per fare progetti. Sicuramente il mio obiettivo è quello di crearmi un’identità definita e proporla al pubblico. In questo senso il talent è servito per avere visibilità. Al giorno d’oggi è difficile che si cerchino volti nuovi e che si voglia investire su di essi».

Come te ce ne sono tanti?
«Certo e voglio salutarli. Purtroppo il programma è fatto così, per quei pochi che emergono ce ne sono tanti, bravissimi che sono ritornati a casa. E’ il meccanismo del gioco, il rischio di queste avventure televisive».

Cosa ti ha dato in termini artistici il programma?
«Sicuramente mi ha riportato nella dimensione che io prediligo. Prima se dovevo immaginare una carriera musicale per me, non la vedevo con l’hard rock e il metal, ma con un qualcosa di più appetibile per il mercato discografico italiano. Avevo scritto alcuni brani che propongono sonorità vicine ai Subsonica o i Verdena. Ora invece The Voice mi ha fatto capire che comunque c’è spazio anche per il rock finalmente, anche a livello di mainstream».

Quali sono i musicisti a cui ti sei ispirato?
«Io amo il rock progressivo dei Dream Theater e il rock graffiante degli Skunk Anansie».

Dopo giugno, cosa è cambiato dal punto di vista professionale?
«Finita la trasmissione mi sono dato un mese di tempo per mettere a fuoco la situazione. In questo periodo ci siamo chiusi in sala prove con la band, per mettere insieme un repertorio da proporre nel corso dei concerti già fissati per i mesi estivi. L’intento è stato quello di uscire il più presto possibile, per far sentire alla gente che non ero sparito. Ne è uscito un tour che mi ha dato grandi soddisfazioni».

A livello di promozione come ti sei organizzato?
«Dopo la decadenza dell’opzione esercitata dalla Universal, che non ha dimostrato interesse per me, mi sono affidato ad un’agenzia, che curerà la promozione e cercherà l’etichetta migliore per me. Sono giorni di fermento, che metteranno chiarezza sul mio futuro».

Ritorniamo a parlare di The Voice e al momento in cui sei stato selezionato. Tu puntavi ad avere Piero Pelù come coach?
«Diciamo che ho affrontato la selezione senza illudermi, con la filosofia di chi si sarebbe accontentato. Ovviamente quando lui si è girato ovviamente ne sono stato lusingato. Anche J-Ax mi ha tentato, per il suo passato punk ma… naturalmente Piero era quello più affine al mio modo di intendere la musica! Lui è stato il rocker italiano più onesto e sebbene non canterò il suo stesso genere non ho avuto dubbi sulla scelta. Devo comunque dire che sono stato sorpreso dall’interesse della Carrà e anche quello di Noemi durante le puntate. Rifarei sempre la stessa scelta!».

Non possiamo dimenticare come la trasmissione sia stata influenzata pesantemente dalla presenza di suor Cristina Scuccia, che ha sparigliato le carte. Come hai vissuto questo strapotere a livello mediatico?
«Non essendo un vero e proprio reality, di riscontri con l’esterno ce n’erano parecchi. Lei è sempre stata…una suora! Nelle settimane di convivenza ha continuato a fare la religiosa prima ancora che la cantante. Forse il problema non è lei, ma ciò che i mass media hanno fatto di lei. Suor Cristina ha regalato a tutta la trasmissione una visibilità internazionale impensabile, ed è anche grazie a questo che ricevo molte mail dall’estero, anche se poi tutti ricorderanno la seconda edizione di The Voice come quella “della suora”…».

Ti senti il vincitore morale, visto che lo scontro finale vi ha visti uno contro l’altra?
«Per me è stata una sorpresa arrivare in finale. Meritavano in molti: artisti come Daria Biancardi o Dylan erano fortissimi, e così molti altri concorrenti. E’ andata bene così. Diciamo che mi son sentito di rappresentare quelli come me che vorrebbero vivere facendo musica. Suor Cristina ha fatto una scelta che forse rende un po’ difficile contemplare anche la vita da musicista. Dopo essere entrata nel vortice di The Voice non poteva nemmeno tirarsi indietro, visto che ci sono penali per chi rinuncia. Di sicuro per lei il voto è un grande freno per una possibile carriera artistica».

E’ un dato di fatto che forse oggi avresti in mano quel contratto riservato al vincitore…
«Eh oh… Tutti i concorrenti speravano in quell’unico primo posto che avrebbe regalato il contratto per l’incisione del disco. Al di là dell’aspetto mediatico un disco è un disco e ora quel diritto spetta soltanto a suor Cristina. The Show must go on, come diceva il mio mito!».

Intervista e photogallery a cura di Vincenzo Nicolello

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Reduce dall’apertura dei live di Ligabue a Milano e Roma, il paroliere aretino Il Cile ha di recente dato alle stampe un nuovo album – il secondo – intitolato “In Cile Veritas”, scritto un romanzo e partecipato alla colonna sonora della fiction “Braccialetti Rossi”. A dicembre partirà inoltre il suo nuovo tour solista e per l’occasione lo abbiamo intervistato. Ecco cosa ci ha raccontato.

Il 2 settembre è uscito “In Cile Veritas”, tuo secondo lavoro di studio, che sta riscuotendo ottimi consensi. Sapevi di me” è il singolo che ne ha anticipato la pubblicazione: come mai la scelta è ricaduta su questo brano in particolare?

Perchè questo per me è davvero un brano importante. il nucleo espressivo dell’intero album come contenuti, musica e forma canzone.

In che modo sei cambiato (artisticamente) in questi due anni?

Non sono poi così cambiato, la goliardia toscana che da sempre mi contraddistingue non mi ha mai abbandonato come si evince dal titolo, mi sono impegnato a incanalare la rabbia in musica e parole in maniera più meditata e con un cuore più aperto verso la speranza.

Come nascono le tue canzoni?

Come direbbe un grande… le mie canzoni nascono da sole vengono fuori già con le parole.

Il 2014 ti ha riservato moltissimi impegni: per prima cosa hai pubblicato un romanzo intitolato “Ho smesso tutto”…

Si,sono stato molto impegnato e tutto ciò è bellissimo per chi fa il mio mestiere,l’esperienza del libro è stata piacevole ed importante, poiché scrivere in prosa è una sfida che permette di lavorare a nuovi lati della mia scrittura.

Hai anche partecipato alla colonna sonora della seguitissima fiction “Braccialetti rossi” con il brano “Non mi dimentico”, confermi?

Certo, ho semplicemente cantato una canzone di Niccolò Agliardi e devo dire che la risposta è stata molto positiva

Infine hai aperto i concerti negli stadi di Ligabue a Roma e Milano: come è stata questa esperienza?

E’ stata un’esperienza davvero importante…come lo fu durante le aperture di Jovanotti e quelle dei Negrita.

Quando partirà invece il tuo nuovo tour solista?

A breve le date saranno sul mio sito e i miei social, si comincia da dicembre.

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Era la fine degli anni ’70 e dalla Francia si diffuse un sound nuovo e sorprendente. L’elettronica la faceva da padrona e le voci erano “trasfigurate” con un marchingegno fino ad allora quasi sconosciuto: il vocoder. Sentire alla radio brani come Future woman, Fils du ciel e On the road again, non rendeva giustizia alla band. I Rockets, questo il nome del gruppo, proponeva un look strabiliante, fatto di teste rasate, tute spaziali e pelle argentata.
Per i loro spettacoli introdussero i laser, il fumo e gli effetti speciali, diventando i pionieri dei concerti moderni, che ancora oggi sfruttano quelle trovate geniali.
Il passato ci racconta che dopo un decennio di grandi successi, qualcosa si ruppe. Trovare nuove idee per stupire la gente diventava sempre più problematico e quel sound tanto innovativo, alla fine era diventato quasi un’abitudine per le orecchie del pubblico.
Così la band si sciolse e quel grande capitale musicale finì nel dimenticatoio.
Qualcuno, tuttavia, non si è mai rassegnato all’oblio e così, piano piano ha raccolto i cocci e ricreato dal nulla il gruppo. L’artefice di questa rinascita è Fabrice Quagliotti.
In occasione dell’uscita dell’album Kaos, gli abbiamo rivolto alcune domande, per (ri)scoprire il gusto antico e moderno dei Rockets.

Fabrice, i Rockets ritornano alla ribalta. E’ pronto Kaos il nuovo disco. Che cosa regalerà al pubblico questo lavoro?
«Sarà un album di spessore e di qualità, che conterrà brani che spazieranno dal clima “Space” al rock. Ma ci sarà ampio spazio anche per la melodia. Si tratta del frutto di 10 anni di lavoro e ne vado particolarmente fiero».

Qual è la filosofia del disco?
«Non è facile parlare di filosofia. Il titolo parla da se… Kaos. In fondo basta guardare il nostro mondo dove sta andando per capire quale sia il disorientamento della gente….è un disco dove ogni brano racconta un pezzettino del quotidiano, nel bene e nel male. Sono 12 brani con altrettanti modi diversi di arrangiare la musica».

Chi ha scritto testi e la musica?
«I testi sono di John Biancale, il nostro cantante canadese. I brani sono miei, ma sono anche il frutto della collaborazione fantastica tra i 4 musicisti. La stesura di ogni singolo pezzo è è la conseguenza di un confronto serrato con John (Biancale ndr)»

Il vostro sound è sempre stato all’avanguardia, c’è stato lo spazio per introdurre qualche innovazione tecnica?
«Innovazioni tecniche ce ne sono tante. Per la composizione ho utilizzato tanti synth analogici mescolati con i synth digitali e le nuove generazioni di virtual. Ovviamente il vocoder non è stato lascito nell’angolo. Per concludere parliamo dei mix, che sono stati fatti prima in digitale poi in analogico».

Ci anticipi la track list?
«Certamente ecco i titoli: We Are All Around; World on Fire; Evolution; Through the Night;
Party Queen (feat. Muciaccia); Crying Alone; Faby’s Back; Shine on Me; Our Rights; Lost in the Rhythm; Heaven 58; Number One»

Già in passato siete usciti con materiale inedito, ma avete avuto difficoltà nella promozione e nella distribuzione. Siete riusciti a trovare qualche soluzione per questi problemi?
«Ho avuto la fortuna di incontrare il mio gemello astrale: l’avvocato Giorgio Tramacere. E’ stato lui a mettermi in contatto con Roby Benvenuto e la Smilax Publishing. In più abbiamo sottoscritto un accordo per la distribuzione mondiale con la Warner. Il lancio partirà con il singolo “Party Queen”, frutto di una bellissima collaborazione con l’amico Pippo Muciaccia, per il quale abbiamo realizzato un videoclip a dir poco eccezionale. Il clip è sta realizzato sotto la regia di Massimo Falsetta con l’inserimento di 2 ballerini d’eccezione: Steve Dancer e Em Lo Mor; senza dimenticare le due belle girls, Flavia Plebani e Sabrina Nicole. Il montaggio e le riprese sono di livello internazionale e sono curati della Majesctic Fim.Diciamo che questa volta si fa sul serio. Abbiamo creato un’equipe veramente al top».

Ci presenti il gruppo che attualmente sta riportando in giro per l’Italia una band che negli anni ’80 faceva impazzire il pubblico.
«Attualmente la band è composta dal sottoscritto che suona le tastiere, da John Biancale voce, Gianluca Martino alla chitarra, Rosaire Riccobono al basso e Eugenio Mori alla batteria».

Quali sono stati i passi di Fabrice Quagliotti per riformare i Rockets?
«Riformare i Rockets? Un parolone. I Rockets non si possono riformare nel senso che, quel che è stato non tornerà mai più per mille motivi. Diciamo che porto avanti il nome Rockets per gratitudine nei confronti di un gruppo che mi ha permesso di arrivare laddove pochi arrivano. Sicuramente è un nome difficile da portare: un fardello, certo, ma anche un grande onore».

Quali sono state le difficoltà e soprattutto hai incontrato qualche opposizione dai vecchi compagni?
«Difficoltà con i vecchi Rockets? Nessuna. Avrei voluto tirare dentro almeno un elemento della band, ma il sogno non si è concretizzato».

Spesso abbiamo sentito dire il passato è passato e non ritorna, ma non ti è mai venuto il desiderio di riportare sullo stesso palco Gerard, Christian, Alain e Claude?
«Ritornare on stage con i vecchi compagni non mi tenta. Mi sento regolarmente con Claude (Lemoine ndr) il quale mi da consigli. Ma sono felice di avere i nuovi compagni: John, Rosaire, Ug e Gianluca. Sono loro i Rockets di oggi».

Dopo la pubblicazione di Kaos, partirete con un tour?
«Il 18 settembre presso il Codice Club di Milano proporremo uno show case di presentazione del disco. La serata è organizzata da NFloris Event. Subito dopo abbiamo intenzione di proporre una serie di live e showcase. Per essere aggiornati potete visitare il sito www.rocketsland.net oppure il profilo Facebook di Fabrice Quagliotti».

A cura di Vincenzo Nicolello

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Alla vigilia dei due concerti piemontesi (Asti 23 luglio e Torino 24) abbiamo intervistato Cristiano De André. Una bella chiacchierata in cui abbiamo affrontato i vari temi della sua esistenza: dalla sua infanzia vissuta nel salotto buono della musica genovese, al suo legame con il Festival di Sanremo, fino a passare a quel cognome tanto pesante, quanto stimolante per la carriera di un giovane artista, che oggi è diventato uomo maturo ed affermato.

Cristiano, con il tour “Via dell’amore vicendevole” stai andando in giro per l’Italia. Cosa proponi in questo live?
«In questo concerto porto sui palchi italiani la mia maturità artistica che a 52 anni posso dire di aver raggiunto. Canterò il mio repertorio, sia quello attuale che quello del passato, magari rivisitando quei brani che la gente ha imparato ad amare. Ovviamente non dimentico mio padre, cui dedico alcuni pezzi a mio padre, per il quale nutro un grande affetto e altrettanta stima. In poche parole parlo di me stesso e di ciò che mi è intorno».

A proposito di tuo padre: il cognome che porti è stato per te uno stimolo o un fardello da portare
«La cosa più difficile è stata quella di far passare il concetto che io sono Cristiano De Andrè, un artista con una sua carriera, un suo repertorio, una sua identità. Oggi credo che questo messaggio sia stato assimilato dal pubblico, che mi ascolta per ciò che suono. Certo non posso cancellare di essere figlio di Fabrizio e nemmeno lo voglio fare. La prova è che mi piace cantare i suoi brani e ricordarlo con tanta nostalgia».

Quando è stato il momento in cui il figlio di De André e diventato Cristiano De André?
«Credo quando ho portato in giro le sue canzoni. E’ stato quello il momento in cui ho superato questa inibizione. La svolta è arrivata nel suo ultimo tour, quando anche lui mi ha finalmente trattato come un collega, come un musicista da rispettare. Purtroppo poi se n’è andato».

Tu sei cresciuto in un salotto in cui sin da bambino mangiavi pane e musica. Il fatto che tu abbia seguito le orme di tuo padre è stata una conseguenza ineluttabile? Avevi altri sogni?
«Credo di non aver mai sognato di fare altro. La musica ce l’ho nel sangue sin da bambino ed è la cosa che mi piace di più al mondo. Non è stata assolutamente una forzatura, anzi, se devo essere sincero mio padre ha cercato più volte di mettermi in guardia, per cercare di farmi cambiare idea. L’unico rammarico è che non sia qui con me, perché probabilmente sarebbe il mio migliore collaboratore musicale».

Parliamo del tuo rapporto con il festival di Sanremo. Non hai mai vinto, ma in compenso ha sempre portato a casa i premi della critica, fin dalla tua prima apparizione. Non ti sei mai chiesto se quello sia il palco giusto per te?
«Credo che il festival sia un luogo stimolante ed un posto ideale per esporre le proprie idee. Credo di non aver mai voluto portare brani facili e ideali per quella rassegna, ma allo stesso tempo penso di aver raccolto sempre l’apprezzamento del pubblico e della critica. Anche quest’anno ho presentato Invisibili che sicuramente offriva un testo difficile e controverso. Prova ne è stata che il televoto lo ha bocciato, ma alla fine la critica ha deciso di premiarlo».

Dove sta andando Cristiano De Andrè, quali sono i suoi orizzonti musicali futuri?
«Sicuramente io credo più in me e l’obiettivo è quello di dire quello che penso. Io credo che il mio processo di crescita sia costante, la gente mi segue sempre più numerosa ed io sono felice di poter continuare con rinnovato entusiasmo».

Intervista a cura di Vincenzo Nicolello

Qui la photogallery dello scorso tour a Torino (Ph Marco Cometto) e a Roma (Ph Marco Cicolò)

In fondo è la notizia dell’anno. Morgan, Andy, Sergio e Livio (ed anche Marco) hanno imboccato di nuovo la stessa strada e viaggiano parallelamente. Sapere che i Bluvertigo, dopo le vicissitudini del passato, sono pronti ad animare l’estate con alcuni concerti è un motivo di soddisfazione, per chi li ha amati o per chi li ha scoperti in questi ultimi anni.
Ma come si è arrivati a questa situazione? Perché i ragazzi hanno deciso di riunirsi, anche se solo temporaneamente? Abbiamo intervistato Sergio Carnevale, poco prima di iniziare le prove del tour e guardate cosa ci ha raccontato.

Bluvertigo: dopo tanto tempo di nuovo tutti insieme sul palco. Qual è stata la molla che ha determinato questa scelta?
«Tutto è partito la scorsa primavera. Il Velvet di Rimini ci chiese di ricordare Thomas Balsamini, scomparso circa un anno fa. Per chi non lo sa, Thomas è stato il fondatore del locale, ma anche l’ideatore dello Slego, teatro di tanti show alternativi. Noi siamo cresciuti in quell’area, passando dalla situazione dello Slego che era un club piccolino, fino ad arrivare al Velvet dove gli spazi erano più ampi. Diciamo che siamo diventati, tra virgolette, famosi. Nonostante fosse da molto tempo che non suonavamo insieme abbiamo accettato. Siamo saliti su quel palco senza fare alcuna prova. Alla fine, quella del 4 aprile, è stata una gran bella serata ed è scattata la molla. Ci siamo detti: perché non fare altre date? Così è stato. Ci stiamo divertendo e la gente ha reagito benissimo. Basti pensare che per la data di Carroponte (17 luglio ndr) abbiamo già 1.300 biglietti staccati in prevendita. Insomma c’è fermento nei nostri confronti».

Che importanza ha avuto la Mescal in questo progetto live?
«Noi ci siamo messi sul mercato e alla fine abbiamo concluso con loro. Essendo tutti liberi come gruppo, ma impegnati come attività solista, abbiamo scelto di tornare un po’ all’ovile. La Mescal è sempre stata l’etichetta con cui abbiamo avuto maggiori rapporti e non a caso, alla fine, hanno vinto loro»

Quali sono state le maggiori difficoltà in questa reunion?
«Il problema vero è far combaciare gli impegni e tutti ne abbiamo tantissimi. Morgan è blindato da contratti televisivi e ogni cosa diventa davvero difficile. Non dovevamo fare due date a luglio e le altre in settembre, ma trovare la quadratura è stata impresa ardua. Anche perché oltre alla band devi costruire una squadra per mettere insieme un live».

Come vi state preparando?
«La nostra è un’avventura rock ’n roll. Non proveremo molto, giusto un paio di giorni, per costruire la situazione tecnica e mettere insieme la baracca».

Sul palco ci sarete voi e gli strumenti o avete intenzione di preparare qualcosa di stupefacente?
«Non credo ci saranno scenografie particolari o cose stratosferiche. La cosa interessante è che abbiamo cercato di portare insieme a noi i tecnici che lavoravano con noi in passato. Così avremo lo stesso “lucifero”, non cambierà il fonico. Faremo una cosa in famiglia, per cercare di passare dei momenti piacevoli. La cosa che posso anticipare è che sul palco ci sarà Marco Pancaldi, che è stato il nostro primo chitarrista, ma anche Megahertz come membro aggiunto».

Gli errori e le incomprensioni del passato, vi hanno aiutato a modificare la vostra convivenza oppure tra di voi era comunque presente un po’ di diffidenza?
«Come in tutti rapporti di coppia, ci sono questi momenti, che di solito vengono superati. Le esperienze, anche quelle negative, servono per gettare nuove basi e superare gli ostacoli. Le persone cambiano nel tempo. E’ un po’ come un fidanzamento. Non puoi pretendere che la persona che hai conosciuto 15 anni fa, sia sempre la stessa. Detto questo siamo tutti abbastanza grandi per fare del nostro meglio e guardare avanti».

La maggiore mediaticità di Morgan, sta regalando una platea più vasta ai Bluvertigo?
«Ti dico questo: io con Morgan ho suonato fino al 2009, seguendolo anche nell’attività solista. Quello che è facilmente notabile che il pubblico di Marco è diverso da quello dei Bluvertigo. La credibilità da solista è incredibilmente forte e credo che questa situazione derivi dal fatto che facendo televisione sta raccogliendo molti consensi ed un più che discreto successo. Questo fa sì che raccolga un pubblico un po’ più giovane e influenzabile dalle mode. Poi c’è chi ama ascoltare la musica, che ricerca e che va alla scoperta dei valori. Questa platea si è accorta che il valore dei Bluvertigo è importante. La nicchia occupata dal nostro gruppo non è stata più rilevata da nessun altro. Infine ci sono i nostri fan del passato, che continuano a seguirci con grande affetto e passione. Al Velvet abbiamo trovato queste tre diverse fazioni e la cosa mi ha un po’ stupito. Soprattutto quando mi sono accorto che ci sono tanti ragazzini che non guardano X Factor, ma ci conoscono benissimo»

Voi siete stati una “banda” all’avanguardia, risultando talvolta così avanti da essere di nicchia. Ora che certi suoni sono stati sdoganati, avete intenzione di proporre qualcosa di nuovo?
«Mi piace che tu ci abbia chiamato banda, direi che la cosa rispecchia la nostra filosofia. Tutto questo è verissimo. Non siamo mai stati mainstream, ma nemmeno da centro sociale. I Subsonica, che sono nati insieme a noi sono stati molto più scaltri in questo senso, facevano l’occhiolino ai giovani dei centri sociali, ma avevano già le idee chiare sulla strada da percorrere. Noi siamo sempre stati borderline. Le cose che abbiamo fatto sono state davvero all’avanguardia. Portare un pezzo come L’assenzio a Sanremo è stato un po’ da alieni. A distanza di tanti anni, quando ci rivediamo siamo molto contenti, convinti di aver fatto un’ottima figura. Questa nuova situazione live, spero sia l’occasione per smuovere ulteriormente le acque. Del resto noi siamo molto imprevedibili chissà che dalle prove non esca qualcosa di interessante?».

Conclusa questa nuova esperienza live, prevedete un eventuale “upgrade”?
«Non abbiamo una progettualità, non abbiamo in cantiere un disco. Può essere che questi siano gli unici concerti che faremo, così come è possibile che ci sia spazio per altre nuove avventure. Se mai dovesse succedere, sarebbe bello poter testare nuove situazioni sonore. I tempi sono cambiati e ci sono tante interessanti opportunità».

Date del tour:
17 luglio Sesto San Giovanni (Mi), Carroponte >> Photogallery e recensione del concerto milanese <<
5 settembre Ravenna, Pala De Andre’
4 Settembre Treviso, Home Festival
9 Settembre Roma, Eutropia – L’altra città Festival

Intervista a cura di Vincenzo Nicolello

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Abbiamo rivolto qualche domanda alla band romana Strani Giorni, che ad aprile ha dato alle stampe un nuovo album intitolato “L’invisibile spazio”. Ecco l’intervista.

Siete sulla scena indipendente italiana da ormai dieci anni: potreste riassumere il vostro percorso artistico a chi non vi conosce?

Gli STRANI GIORNI sono il frutto di una profonda amicizia e nascono con l’idea e la voglia di creare un proprio spazio dove poter condividere ed esprimere senza nessuna censura, emozioni, pensieri e stati d’animo. Dieci anni indimenticabili di musica condivisa in giro per l’Italia a far concerti e a partecipare ad innumerevoli festival con la forza di rimanere sempre uniti e di portare avanti con impegno e leggerezza il nostro piccolo grande sogno. Una sera un giornalista dopo un nostro concerto scrisse di noi: “STRANI GIORNI UNA BIG BAND DI TRE”. Questa definizione ci ha sempre divertito e rispecchiato in pieno! All’attivo un EP ” Strani Giorni ” ( 2008 ) e 2 LP ” Un passo avanti ” ( 2010 ) e ” L’invisibile spazio ” ( 2014 ).

Che cosa è cambiato rispetto ai vostri esordi?

In questi dieci anni è cambiato il mondo intero e il nostro sguardo e la nostra percezione delle cose di riflesso; inevitabilmente tutto ciò ha influito anche sul nostro modo di comporre, arrangiare e registrare la nostra musica. Abbiamo assecondato l’esigenza spontanea di rinnovarci, sperimentando con grande libertà ed entusiasmo tutto quello che ci è passato per la testa.

Ad aprile avete dato alle stampe il vostro nuovo disco “L’invisibile Spazio”: quali sono secondo voi i punti di forza di questo vostro lavoro?

” L’invisibile Spazio” fondamentalmente è un concept album, tutte le canzoni sono in stretta connessione, sempre alimentate in un rapporto di continuità. Ci siamo ispirati al concetto del libro “Il Piccolo Principe” (scitto da Antoine de Saint-Exupery il 6 aprile del 1943 ) dove l’essenziale è invisibile agli occhi. I testi affrontano temi come il senso della vita, il significato dell’amore, della fede, dell’amicizia…tutte quelle cose astratte che non possono essere delineate da uno spazio fisico e visivo ma che allo stesso tempo occupano un posto fondamentale nella nostra esistenza. È stato molto impegnativo realizzarlo ma anche particolarmente gratificante ; abbiamo curato con minuziosa attenzione ogni piccolo dettaglio: parole, arrangiamenti, sonorità e grafica. Tutto questo senza mai perdere di vista la naturalezza, la semplicità e l’energia che alla fine sono risultati essere i cardini essenziali, i veri punti di forza dell’ intero album.

“La Speranza” è l’ultimo singolo estratto dall’album, da qualche giorno in rotazione radiofonica: come mai avete scelto questo brano? E quale sarà il prossimo?

Quando hai la fortuna di sentire bussare alla tua porta “l’ispirazione” devi solamente essere pronto ad aprire, accogliendola con tutto l’amore possibile. “La Speranza” è arrivata così, all’improvviso, e ci ha illuminati! E` la canzone dell’album che in assoluto focalizza e racchiude in sé il concetto di rivoluzione interiore: un inno alla gioia, al cambiamento, un vero e proprio canto di liberazione. È veramente difficile decidere già adesso il prossimo singolo che passerà in radio, soprattutto per una band come la nostra che vive molto alla giornata…ogni cosa a suo tempo, per il momento ci godiamo LA SPERANZA !

Dove vi porterà l’estate appena iniziata?

Sarà la musica a deciderlo! L’unico vero motivo per il quale si scrivono canzoni è quello di poterle suonare nei live ; abbiamo concepito un album senza compromessi, che ci emoziona tantissimo e ci rappresenta al 100%, quindi il nostro primo ed unico pensiero adesso è quello di salire sul palco per comunicare tutta la nostra contagiosa energia alle persone.

Avete date dal vivo in programma?

Per questa estate stiamo chiudendo alcune serate in giro per il nostro “bel paese” ma potete trovare il calendario completo con le date sempre aggiornate sul nostro sito ufficiale  www.stranigiorni.org  o sulla nostra pagina  www.facebook.com/stranigiorniband  . Veniteci a trovare e sempre buona musica!

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Il loro ultimo singolo, intitolato “L’importante”, ha ottenuto oltre 280 mila visualizzazioni Youtube in due settimane; inoltre a breve ripartirà il #mammalacapu summer tour, che vedrà li vedrà esibirsi in numerosissime location sparse per l’Italia nel corso dei mesi estivi. Stiamo parlando dei Boomdabash, ai quali abbiamo rivolto qualche domanda. Ecco l’intervista:

Questo mese ripartite con il “#mammalacapu summer tour 2014”, vi attende un estate molto impegnativa, giusto?
Direi proprio di si. Abbiamo già oltre 20 tappe in tutta Italia, sarà un’estate di fuoco come si dice in gergo. Chi segue Boomdabash avrà la possibilità di vederci live praticamente ovunque: Roma, Gallipoli, Milano, Perugia. Sarà un tour abbastanza impegnativo ma sicuramente ricco di emozioni.

Il vostro nuovo singolo “L’importante” (feat. Otto Ohm) ha ottenuto 150.000 visite in una settimana e sta continuando ad ottenerne, vi aspettavate un riscontro così positivo da parte del pubblico? Solitamente siamo abbastanza ottimisti sul nostro lavoro, da qui a dire che ce l’aspettassimo però ce ne vuole. Le nostre aspettative erano molto positive ma il grande feedback che ci è piombato addosso è stato una bella sorpresa oltre che una grande soddisfazione.

Anche il “Superheroes tour” lo scorso anno era andato molto bene e aveva registrato parecchi sold-out: quali novità ci saranno rispetto ai live della tranche precedente? Senza dubbio una nuova veste “estetica”, un allestimento palco completamente nuovo ed ovviamente uno spettacolo live ricco di sorprese ed interamente rivisitato ed arricchito.

Come convincereste chi ancora non ci è stato, a recarsi ad uno dei vostri concerti? Non potremmo fare altro se non fargli ascoltare la nostra musica. Non è l’ascoltatore che può essere indotto a scegliere la musica da ascoltare ma è la musica stessa che sceglie da chi essere ascoltata e da chi no.

C’è un posto nel quale vi piacerebbe particolarmente esibirvi? Ci piacerebbe ripetere l’esperienza del tour negli Stati Uniti magari con più tappe. Ci ha regalato davvero tanto.

E qualcuno con cui non avete ancora collaborato, che vi piacerebbe contattare in futuro? Sicuramente Nina Zilli, al momento una delle voci più belle della musica italiana.

Di recente il reggae in Italia sta vivendo un periodo positivo, quasi di rinascita e riscossa, cosa pensate in merito? Non possiamo che esserne felicissimi. Il reggae ha una lunghissima tradizione in Italia, 20 anni di storia, è giusto che abbia la rilevanza ed il rispetto che merita.

Oltre a girare l’Italia per il tour, cosa farete quest’estate? Come già detto, il tour che ci attende sarà davvero impegnativo quindi dubito avremo a disposizione molto tempo libero. Credo che nei giorni off dal tour ci godremo un po’ di sana vita privata e ne approfitteremo per ricaricarci per le prossime partenze.

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Nel 2011, all’uscita di “Vagabond” si è subito iniziato a parlare di Valentina Parisse come di una delle più belle scoperte della musica italiana; tanto è vero che è stata premiata da un sold-out in uno dei locali storici milanesi, ovvero il Blue Note.

Ad aprile 2013, in un’altra data sold out in quel luogo magico che è l’Auditorium Parco della Musica di Roma Valentina ha sorpreso tutti presentando i suoi primi brani in italiano, che sono poi andati a comporre il suo secondo album, anticipato dall’uscita del singolo “Sarà bellissimo”, che vede la produzione di Phil Palmer (già al lavoro con mostri sacri del calibro di Renato Zero).

In questi giorni Valentina Parisse è impegnata nelle prime date del suo tour (si è esibita mercoledì 25 e si riesibirà domenica 29 giugno sul palco del “RADIO 105 MUNDIAL VILLAGE MILANO” in Piazza Castello, unica artista invitata ad entrambe le serate): sono andato a fare quattro chiacchiere con lei per farmi raccontare come è nato il suo secondo album.

Ciao Valentina, partiamo subito dalla prima esibizione sul palco di Radio 105, com’è andata la serata? Ti senti responsabilizzata dal fatto di esser l’unica a suonare in entrambe le serate milanesi del “RADIO 105 MUNDIAL VILLAGE”?

Ciao, guarda la serata è stata meravigliosa, una vera grande festa. E’ bellissimo suonare nelle piazze e che una radio importante come Radio 105 porti la musica gratuitamente in posti così, bisogna veramente ringraziare la “brigata” di 105! Per me è un immenso onore suonare entrambe le serate, ne sono molto orgogliosa.

Parlando del tuo nuovo album e del singolo, “Sarà bellissimo”, come è nata la scelta di passare all’italiano? E’ dovuta forse a una voglia di farsi maggiormente capire rispetto all’inglese?

In realtà i pezzi sono nati in italiano da soli, senza alcuno sforzo o pensiero, è stato tutto molto naturale.

Sentendo che dici questo mi viene da chiederti se i pezzi sono nati in poco tempo e qual è il filo conduttore, se c’è, che li lega assieme?

Diciamo che i brani sono nati nell’ultimo anno e, se devo pensare a un filo rosso che li lega, ti dico che quel filo rosso sono io, il mio modo di percepire le cose, di raccontarle e di viverle, ma anche come faccio mie alcune storie delle persone che mi stanno vicino. E’ un disco molto personale questo, in cui c’è molto di mio.

A proposito del nuovo album, com’è stato lavorare con Phil Palmer in quei magnifici studi di proprietà di Trevor Horn a Londra (dove son passati artisti del calibro di Bob Marley, Brian Eno, Nick Drake)?

Quando Phil mi ha detto che voleva lavorare sui miei pezzi non ci credevo! Gli avevo fatto sentire alcuni pezzi di “Vagabond” e puoi immaginare quanta stima abbia nei suoi confronti, poi tra noi è nata una bella amicizia e così lui, tra una chiacchiera e l’altra, ha voluto sentire i miei pezzi nuovi e ha deciso di lavorarci. Andare a Londra in quello studio, conoscere Trevor Horn, tutto è stato incredibile: lì tutto è musica, si respira veramente musica 24 ore su 24 e il clima che si è creato con i musicisti è stato fantastico, così bello che ho voluto darne testimonianza con il video di “Sarà bellissimo”, che riprende un po’ di backstage. E’ stato meraviglioso come dei musicisti così mi abbiano messa subito a mio agio.

Posso chiederti qual è stato l’insegnamento più importante che hai appreso da Palmer?

Guarda, la cosa che più mi porto dentro è stata vederlo suonare con tale dedizione: è incredibile quanta passione e cura metta sulla chitarra, nonostante che quando suona tutto potrebbe benissimo essere “buona la prima”!

Come ultima cosa veniamo ai live, ti hanno messo pressione i due sold out in due luoghi “sacri” come il Blue Note e l’Auditorium Parco della Musica? E cosa ci anticipi riguardo ai live di questa estate?

No, i sold out non mi hanno messo pressione; sono state due bellissime sorprese ed è stato bellissimo poter cantare le cose che mi rappresentano davanti a così tante pressione, è stata veramente una gioia, che mi ha ripagato delle fatiche di questo mestiere non facile e della gavetta che ho fatto. Per quanto riguarda l’estate c’è una data a cui tengo in modo particolare, ovvero quella del 13 agosto a Ravello al “Ravello Festival”, un festival storico per il jazz in Italia!

Tutte le altre date di Valentina e le info le trovate su www.parisseonline.com

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I Nobraino hanno recentemente dato alle stampe un nuovo lavoro – chiamato appunto “L’ultimo dei Nobraino” – che ha segnato anche il loro passaggio  ad una etichetta major dopo anni di gavetta. Abbiamo parlato con loro del disco e di quanto sia importante l’aspetto live per la band che ha fatto della performance il proprio punto di forza. Ecco l’intervista:

Parliamo subito del vostro nuovo lavoro, che argutamente avete chiamato “L’ultimo dei Nobraino”: per prima cosa come vi è venuto in mente un titolo del genere? Poi vorrei sapere, come ne raccontereste il contenuto in poche parole?

Il titolo? Era divertente, era ovvio, era vero, quindi perfetto. Il disco in poche parole? Non amo fare la parafrasi dell’opera, e fare la sinossi di un disco intero mi pare un eccesso di riduzione visto che le canzoni in se sono già una sintesi. La musica va ascoltata e non parlata! Insomma ascoltate il disco (per non dire compratelo!)

Le vostre canzoni sono sempre state piccoli racconti da ascoltare dall’inizio alla fine per carpirne meglio il senso, l’ironia e le sfumature e questa caratteristica mi sembra ancora più evidente in alcuni brani del vostro nuovo lavoro rispetto al passato. Parlate di fatti autobiografici o c’è anche fantasia dietro?

Io sono Madame Bovary, è inevitabile..

Nel brano “Lo scrittore” dite: “Serve l’amore a rendere creativo pure me”. E’ così? E’ proprio l’amore la prima fonte di ispirazione per gli artisti?

Una volta che la sopravvivenza è assicurata  È l’amore, nelle sue infinite declinazioni, da quello sessuale, religioso, politico, a muovere il resto delle attività umane.

Sono le parole che si adattano alla musica o viceversa? In che ordine avviene il processo creativo?

Si lavora quasi sempre su una canzone scritta da me al piano e che poi viene arrangiata in sala prove da tutti i Nobraino. A volte porto anche dei testi liberi da musica che adatto su improvvisazioni scritte in sala prove. È comunque una vocazione cantautorale, la mia, che incontra le tensioni di una rock band.

Dopo tanti anni di gavetta siete approdati ad una major, in che modo il vostro lavoro è cambiato? (Intendo mezzi in più che avete avuto a disposizione rispetto a prima, se li avete avuti)

Attualmente non è cambiato granché soprattutto perché il disco era già stato registrato prima della firma con warner. In linea di massima abbiamo cercato di non modificare le nostre dinamiche, e credo sarà più facile vedere dei cambiamenti nella nostra attività nei prossimi due anni, col prossimo disco soprattutto vedremo cosa succederà.

I vostri concerti sono dei veri e propri show e a chi vi ha ascoltato solo su disco consiglierei sicuramente di assistere ad uno dei vostri prossimi concerti, quindi vi chiedo: quanto è importante l’aspetto live per i Nobraino oggi?

I Nobraino sono una live band, e attualmente ci concentriamo quasi esclusivamente su quell’aspetto. Gli stessi arrangiamenti dei sono quasi sempre pensati  per essere di impatto nei concerti, non dico che si scriva musica per fare ballare, ma se dobbiamo decidere tra un approcci soft e uno ritmico, quando dobbiamo musicare un brano, scegliamo quasi sempre il secondo sapendo che nel nostro live sarà più utile così.

Mi risulta che ad un vostro concerto poco tempo fa uno spettatore si sia fatto rasare la testa da Lorenzo, è così? Che sorprese dovremo aspettarci per le prossime date e dove vi vedremo?

La rasatura sul Mangiabandiere di un volontario tra il pubblico sta diventando una ricorrenza di ogni concerto, una sorta di rito woodoo che scaccia via la paura e unisce pubblico e band. Per il resto non c’è mai molto di programmato e non amo fare previsioni su cosa succederà. Ci sono troppi elementi che influiscono su quello che può succedere. Il luogo del concerto, geograficamente e strutturalmente, che sia un locale, una piazza, un festival, o qualche strana location speciale. il rapporto col pubblico, che varia per regione e città. Il rapporto col promoter, con la sicurezza. Insomma venite senza aspettative che è la cosa migliore.

Guarda la photogallery del concerto di Pordenone

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I Moseek – nello specifico Elisa Pucci (voce e chitarra), Fabio Brignone (basso e sinth) e Davide Malvi (batteria) – hanno da poco dato alle stampe il loro primo album ufficiale intitolato “Leaf”. Abbiamo rivolto loro qualche domanda relativa a brani, live e tappe artistiche di una carriera iniziata nel 2010. Ecco l’intervista:

Avete da poco dato alle stampe il vostro primo album ufficiale, “Leaf”, potreste parlarci di com’è nato questo lavoro e di cosa parla?

“Leaf” è la fusione di due dischi autoprodotti, un EP del 2010 “Tableau” e “Yes,week-end” del 2012. Ad aprile 2012, proprio alla presentazione di “Yes,week-end” al Piper di Roma, abbiamo conosciuto l’etichetta OML che ci ha proposto di pubblicare di lì a breve un album che fosse edito da Don’tWorry Records e distribuito nei negozi da Edel. Sono stati inseriti quindi 7 brani di “Yes,week-end” e registrati ex-novo 3 brani di “Tableau” e il singolo “Leaf” che ha dato appunto il nome all’album, che è in poche parole “un’operazione discografica”, pensata e gestita appunto da OneMoreLab. Il disco poi è uscito ufficialmente dopo quasi due anni, a Gennaio 2014, anche se nei negozi è presente da qualche mese prima.
Ha quindi una gestazione un po’ lunga e rappresenta il punto d’inizio per noi. È un album pieno di interrogativi, ci si interroga se quello che facciamo ogni giorno sia abbastanza, se sia giusto soffocare determinati sentimenti anche in contesti “sbagliati”, ci sono interrogativi sulla Chiesa in chiave negativa e poi c’è tanta autoanalisi e autoironia.

Il singolo che ha anticipato l’uscita del disco è “Steal-Show” (ed è presente anche nell’ultima compilation di “La Repubblica XL”) come mai la scelta è andata su questo brano? E quali saranno i prossimi?

Steal-Show è il secondo singolo dell’album, anche se è uscito in concomitanza della diffusione ufficiale dello stesso. È quello che si avvicina di più a ciò che facciamo live oggi. Infatti i brani del disco, suonati dal vivo sono molto diversi, essendo del 2012 l’evoluzione è stata fisiologica e necessaria per noi. Steal-Show invece è rimasta abbastanza fedele a se stessa.

Vi siete formati nel 2010, e nel 2012 avete anche realizzato un album autoprodotto: quali sono state le tappe più importanti del vostro percorso artistico?

Senz’altro la pubblicazione di “Yes,week-end” ha segnato una tappa importante per noi. Abbiamo testato il nostro modo di lavorare, la nostra costanza e l’intraprendenza nel fare le cose. Abbiamo iniziato ad ottobre 2011 con la  pre-produzione dei brani, e in pochi mesi abbiamo poi registrato in studio, lavorato alla scelta dell’artwork e della copertina, alle foto da inserire nel libretto, al look, è stato realizzato il videoclip di “Pills”, abbiamo curato noi stessi la promozione dell’uscita del disco, l’organizzazione del live di presentazione dell’album al Piper di Roma, i concerti a seguire. Tutto questo è stato un bel banco di prova, dal quale tutti gli artisti passano, specie se indipendenti. Altra tappa fondamentale è stato il mini-tour in Inghilterra a settembre del 2012, dopo il quale vi è stato un lungo periodo di pausa nell’attesa dell’uscita di “Leaf” che però ci ha permesso di ri-arrangiare tutto il nostro concerto e di ripartire in maniera più consapevole.

A proposito, visto che siete stati anche in tour in Uk, com’è stata questa esperienza?

Il mini-tour in Inghilterra è stata l’esperienza più bella per noi, dal punto di vista sia musicale che personale. Il viaggio stesso, aver conosciuto tantissimi artisti di tutto il mondo e vissuto l’arte in generale come la vivono in Inghilterra, insegna tanto. Abbiamo suonato davanti a chi capiva perfettamente cosa veniva cantato, senza il gap della lingua inglese (che comunque anche in Italia è sempre meno evidente). Bellissimo! E poi abbiamo condiviso il palco con molti artisti molto più bravi di noi, con spettacoli da paura che ci hanno permesso di fare auto-analisi, di mettere in discussione il live che avevamo, il confronto è sempre costruttivo. E da questa esperienza abbiamo iniziato poi a costruire il concerto che abbiamo oggi, un buon punto di partenza per avere sempre più voglia di portarlo in giro.

Per i prossimi mesi avere in programma date dal vivo? Dove?
Stiamo chiudendo date in Puglia, in Campania, in Basilicata e nel Nord-Italia. Presto gli aggiornamenti su www.moseek.it .

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La band campana “Cirque des Rêves” ha da poco dato alle stampe un EP d’esordio omonimo contenente sei brani. Nel lavoro si incrociano tradizione folk nordeuropea e sonorità mediterranee, oltre che italiano, inglese e francese nei testi. Abbiamo rivolto qualche domanda a Lisa Starnini, voce e leader del gruppo, ecco cosa ci ha raccontato.

Tu e il tuo gruppo avete dato alle stampe un EP omonimo contenente sei brani: puoi raccontarci brevemente le fasi di lavorazione del disco?

Questo EP è stato un’avventura inaspettata direi. Abbiamo iniziato a registrarlo due mesi dopo aver provato insieme la prima volta, ma i pezzi erano nati subito e con estrema naturalezza. Abbiamo registrato a Napoli alla Splash sotto la supervisione di Max Gelsi, produttore artistico del cd. Per il missaggio ci siamo spostati a Vicenza agli XLand Studio dove abbiamo anche registrato gli interventi di Riccardo Galardini e Silvia Smaniotto per poi spedire il master a Milano ai Massive Arts. Una lavorazione tutta italiana insomma.

Da dove deriva il vostro nome?

Dalla voglia di portare i sogni nella nostra vita e in quella di chi ci ascolta. Crediamo fermamente che vadano inseguiti a ogni età perché ci arricchiscono e ci fanno sorridere di più. Il mondo che ci circonda sembra sempre più pallido e il Circo dei Sogni gira di città in città per riportare un po’ di colore. Sotto al suo tendone c’è abbastanza spazio per farli volare e uscire finalmente dai cassetti impolverati nei quali li abbiamo rinchiusi.

In che modo si svolgono le dinamiche creativetra voi?

Creiamo e arrangiamo i pezzi tutti insieme. Ognuno porta il suo background musicale e alla fine tutti i generi così diversi che ci contraddistinguono si amalgamano in perfetto equilibrio. Questa è la magia della Musica… unire le diversità rendendole “accordi”.

I testi alternano la lingua inglese e quella francese, e la tradizione folk nordeuropea si incrocia alle sonorità mediterranee: mi spieghi come siete riusciti a far collidere due realtà così apparentemente distanti?

Con estrema naturalezza. La Musica alla fine è soltanto una e i confini un’invenzione umana che ha poco a che fare con l’arte. Non ci poniamo limiti di genere o di linguaggio. Seguiamo il pezzo ed è lui che ci conduce per mano verso la sua direzione musicale. Per questo nell’EP ci sono brani così apparentemente lontani e diversi l’uno dall’altro… un valzer, una ninna nanna, un pezzo rock, uno che strizza l’occhio all’antico mondo celtico… ma non c’è niente di studiato. Quando iniziamo non sappiamo mai cosa nascerà.

A quale, tra le sei canzoni, ti senti maggiormente legata? Perché?

Sicuramente Lully. È una ninna nanna dedicata ai più piccoli e il testo, nella sua grande semplicità, racchiude il messaggio che credo ogni bambino meriti di ricevere da un genitore ma che troppo spesso si dimentica di lasciare.

Il nostro sito si occupa soprattutto di musica dal vivo: avete progetti in vista al riguardo?

Assolutamente sì. I live sono il momento più bello per chi ama fare musica. Le tappe più vicine sono Caserta al Duel Village il 21 Marzo e Roma al Teatro San Giustino l’11 Aprile ma ne abbiamo tantissime altre in programma. Vi aspettiamo!