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concerti a Firenze

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Yann Tiersen al Musart Festival di Firenze

S’inaugura lunedì 17 luglio con il concerto di Yann Tiersen (ore 21,15 – piazza della Santissima Annunziata) l’edizione 2017 di Musart Festival, una settimana di musica, visite a luoghi d’arte, mostre e ristorazione. Tutto nel cuore di Firenze, in una piazza di grande armonia stilistica, porticata su tre lati e trasformata per l’occasione in elegante teatro all’aperto.

Compositore e musicista di culto, Yann Tiersen si presenta a Firenze in versione piano solo. Al centro dello spettacolo è “Eusa”, il recente album ispirato e dedicato all’omonima isola bretone dove l’artista ha scelto di vivere. “Eusa” si dipana attraverso 10 composizioni per pianoforte, ognuna legata a una posizione specifica dell’isola di Ouessant (‘Eusa’ in bretone). Nell’album, registrato presso gli Abbey Road Studios, il piano solista di Yann Tiersen è accompagnato solo dalle registrazioni di campo, effettuate nel punto esatto dell’isola a cui ogni brano fa riferimento.

Tiersen spiega: “Ouessant è più di una semplice casa – è una parte di me. L’idea era di fare una mappa dell’isola e, per riflesso, una mappa di quello che sono io. Per cominciare ho scelto dieci luoghi dell’isola e ho fatto una serie di registrazioni ambientali per ciascuno di essi. Le composizioni di musica per pianoforte che ho scritto in seguito prendono il nome di questi luoghi, e la partitura di ogni pezzo è accompagnata dalle coordinate GPS e da una fotografia del sito scattata da Emilie Quinquis”.

I biglietti – 25/32/40 euro – sono disponibili in prevendita nei punti Box Office Toscana (www.boxofficetoscana.it/punti-vendita – tel. 055.210804) e online su www.boxol.it e www.ticketone.it. Il giorno del concerto biglietti sono in vendita dalle ore 15,30 alla biglietteria del festival, in piazza Brunelleschi all’interno del chiostro dell’Università, dove è un funzione anche il cambio voucher per chi ha acquistato online. Per chi lo desidera, sono disponibili inoltre Package che, al biglietto, aggiungono cena a buffet nel salone Brunelleschi dell’Istituto degli Innocenti, parcheggio riservato, staff dedicato, ingresso al Museo degli Innocenti (dal lunedì alla domenica, orario 10/19). E ancora, per gli spettatori di Musart ingressi a prezzo ridotto per la mostra “Bill Viola. Rinascimento elettronico” in programma a Palazzo Strozzi fino al 23 luglio, per l’ingresso al Giardino del Museo Archeologico e all’Istituto degli Innocenti.

Qui tutti i dettagli sui biglietti in vendita per la serata:

Biglietti Yann Tiersen posti numerati (esclusi diritti di prevendita)
1° settore platea 40 euro; 2° settore platea 32 euro; 3° settore gradinata 25 euro;
Gold Package Primo settore + cena a buffet, parcheggio,
personale dedicato, ingresso Museo degli Innocenti = 126 euro
Gold Package Secondo settore + cena a buffet, parcheggio,
personale dedicato, ingresso Museo degli Innocenti = 117 euro
Silver Package Primo settore + cena a buffet = 96 euro
Silver Package Secondo settore + cena a buffet = 86 euro

I concerti di Musart Festival continuano martedì 18 luglio con Raphael Gualazzi e il suo “Love Life Peace Tour“. Mercoledì 19 è dedicato a due opere note della classica novecentesca, i “Carmina Burana” di Carl Orff e “Boléro” di Maurice Ravel. Sul palco sale un ensemble di 150 elementi composto da Orchestra della Toscana e Coro Di Roma, la direzione è affidata al giovane e apprezzatissimo Daniele Rustioni, maestro del coro Mauro Marchetti.

E grande è l’attesa per la tappa fiorentina di Paolo Conte, giovedì 20 luglio con uno spettacolo in cui celebra l’uscita del nuovo album “Amazing game”, e riporta in scena i suoi classici. Venerdì 21 luglio sbarcano a Musart il talento e vitalità di Francesco Gabbani, vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo, campione di click in rete e di passaggi radiofonici, ma soprattutto alfiere di una nuova generazione di cantautori/interpreti, ispirati e disincantati al contempo.

Sabato 22 luglio piazza della Santissima Annunziata ospita “Botanica”, spettacolo a ingresso gratuito prodotto dal collettivo Deproducers – Vittorio Cosma, Riccardo Sinigallia, Gianni Maroccolo e Max Casacci – in collaborazione con ABOCA e il Prof. Stefano Mancuso. Musart Festival si chiude con un evento speciale, il Concerto all’alba di Cesare Picco, alle prime luci di domenica 23 luglio (ore 4,45) nel Chiostro degli Uomini dell’Istituto degli Innocenti.
 

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Il weekend dell'8 e 9 luglio date in Puglia e in Toscana per celebrare Joy Division e New Order

Nel weekend dell’8 e 9 luglio, Peter Hook and The Light saranno in un mini tour di due date in Italia per rivisitare le due storiche compilation intitolate “Substance” contenenti il meglio del repertorio di New Order e Joy Division. Il capitolo Substance sui New Order uscì nel 1987 e includeva le versioni 12 pollici dei loro singoli, più parecchie b-sides. La versione dedicata invece ai Joy Division di Substance arrivò un anno più tardi e conteneva singoli come “Love Will Tear Us Apart”, “Transmission”, “Komakino” e “Atmosphere”. Oltre ad una serie di b-sides apparse sui sample della Factory Records e sull’EP di debutto dei Joy Division “An Ideal for Living”.Peter Hook nel 1977 fonda i Joy Division insieme a Bernard Sumner: fu il bassista della band fino allo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1980 in seguito al suicidio del cantante Ian Curtis. Nel 1981, insieme ai componenti superstiti del gruppo, entra nei New Order, e vi resta fino al 2007 quando le divergenze interne hanno portato allo scioglimento della band. Nel 2010 fonda una propria band, Peter Hook and The Light, di cui è cantante e bassista, riproponendo il repertorio dei Joy Division e dei New Order. Il gruppo esordisce il 18 maggio dello stesso anno in un concerto a Manchester dedicato a Ian Curtis in occasione dei trent’anni della sua scomparsa.

Le date italiane:

8 Luglio – Bisceglie (BT) – Anfiteatro Mediterraneo (biglietti 20 euro + d.p.)

9 Luglio – Fiesole (FI) – Anfiteatro Romano (biglietti 23/28,75 euro)

Si chiude con la giornata più potente la prima edizione del Firenze Rocks, destinato a diventare un appuntamento fisso dell'estate rock italiana

Ultimo giorno della prima edizione di Firenze Rocks, un festival che si può certamente definire ben riuscito visti i nomi portati nel capoluogo toscano e la straordinaria quantità di presenze nei tre giorni dei live, in un luogo splendido e assolutamente da sfruttare per simili occasioni (perchè lo si è fatto in modo massiccio solo ora?) come l’Ippodromo del Visarno, in mezzo al Parco delle Cascine.

Erano in più di 30000 anche nella giornata “metal” del festival, quando si sono ritrovati sul palco i Prophets of Rage (formazione che nasce dai resti di Rage Against The Machine, Public Enemy e dal frotman dei Cypress Hill B-Real) e i System of a down.

Proprio i Prophets of Rage sono stati la rivelazione del festival: un live tiratissimo, potente e sentito, che ha fatto sognare i nostalgici del rock (e non solo) anni ’90, suonando hit di Cypress Hill, Rage Against The Machine e Public Enemy.

La voce di B-Real si è mossa senza sforzo sulle note strepitose dell’inossidabile Tom Morello, passando da “Guerrilla Radio” a “Insane in the brain”, da “Bring the noise” a “How I could just kill a man”.

Due gli apici del set: la cover degli Audioslave “Like a stone” dedicata a Chris Cornell (che era la voce degli Audioslave, formati poi proprio da Morello, Commerford e Wilk, ora confluiti nei Prophets of rage), per la quale è stato chiamato sul palco Serj Tankian, una delle poche voci capaci di replicare certe dinamiche della vocalità di Cornell, e “Killing in the name”, hit senza tempo dei Rage against the machine.

Il risultato è stato un pogo allucinante, polvere sollevata, sudore e divertimento, un antipasto ricchissimo in vista dei System of a down, i quali hanno sfoderato un live carico, le cui pecche si possono riscontrare però nei volumi (assolutamente bassi) e nella durata: appena un’ora e venti senza bis (durata per altro standard dei live dei System, per cui niente di cui stupirsi).

La voce di Tankian ha regalato brani come “Aerials” o “Chop suey”, oltre alle attesissime “B.Y.O.B.” e “Toxicity”. Chiusura con “Sugar” e con la sensazione che la band americana possa dare di più dal vivo, con la voglia di sentire ancora qualche pezzo. Peccato, è mancato qualcosa, un coinvolgimento, un’emozione in più oltre alla sensazione di aver fatto un buon live, è mancata un po’ di magia.

Facendo un bilancio del festival resta la sensazione che il Firenze Rocks diventerà uno degli appuntamenti cult delle estati italiane per gli amanti della musica live.

Dopo questi tre giorni, siamo già in attesa della seconda edizione… e abbiamo ancora in mente l’inarrivabile live di Eddie Vedder…

PROPHETS OF RAGE Setlist @ Firenze Rocks

Testify (Rage Against the Machine cover)
Take the Power Back (Rage Against the Machine cover)
Guerrilla Radio (Rage Against the Machine cover)
Unfuck The World
Bombtrack (Rage Against the Machine cover)
Fight the Power (Public Enemy cover)
Can’t Truss It (Public Enemy cover)
Insane in the Brain (Cypress Hill cover)
Bring the Noise (Public Enemy cover)
Jump Around (House of Pain cover)
Sleep Now in the Fire (Rage Against the Machine cover)
Like a Stone (Audioslave cover) (with Serj Tankian)
Know Your Enemy (Rage Against the Machine cover)
Bullet in the Head (Rage Against the Machine cover)
How I Could Just Kill a Man (Cypress Hill cover)
Bulls on Parade (Rage Against the Machine cover)
Killing in the Name (Rage Against the Machine cover)

SYSTEM OF A DOWN Setlist @ Firenze Rocks

Soldier Side – Intro
Suite-Pee
Prison Song
Violent Pornography
Aerials
Mind (intro only)
Mr. Jack
DDevil
Needles
Deer Dance
Radio/Video
Hypnotize
Dreaming (middle breakdown only)
Pictures
Highway Song
Bounce
Suggestions
Psycho (with “Physical” by Olivia Newton-John intro)
Chop Suey!
Lost in Hollywood
Question!
Lonely Day
Kill Rock ‘n Roll
B.Y.O.B.
Roulette
Toxicity
Sugar

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Cinquantamila innamorati a Firenze per il cantante dei Pearl Jam e il cantautore irlandese

Ci sono concerti che ti ricorderai per tutta la vita, di solito bastano e avanzano le dita di una mano per contarli. Sicuramente chi ha assistito alla seconda serata del Firenze Rocks 2017 ha almeno un dito di quella mano impegnato: il live di Eddie Vedder, il primo da solista in Italia (e il più grande che abbia mai fatto da solo, di fronte a 50000 persone) è qualcosa da raccontare agli amici, ai figli, ai nipoti.

10 ore di attesa sotto il sole cocente per essere lì, sotto il palco, ad aspettare l’ultima stella del grunge rimasta, dopo la recente scomparsa di Chris Cornell, con tutta la stanchezza che si accumula, il sudore, la fatica: tutto è stato spazzato via quando Eddie è salito sul palco, perchè la bellezza scaturita dalle sue note, dalla sua voce è qualcosa di difficilmente comparabile.

La straordinarietà di Vedder e anche di Glen Hansard, che ha aperto la serata (dopo la cancellazione dei Cranberries) è una straordinarietà umana, una bellezza che fa parte del loro essere uomini, prima che artisti: sono entrambi consapevoli del loro dono, della poesia che riescono a sprigionare e si donano al pubblico con una franchezza, con una gioia che è rarissima quando riesci a fare certi numeri. Loro sono lì e suonano per ognuno di noi, singolarmente, come se fosse un concerto privato, lo percepisci, ne percepisci l’emozione e la gioia di essere attesi da così tante persone, la paura di sbagliare, la voglia di suonare.

Quando Eddie si siede e attacca “Elderly woman behind the counter in a small town” si capisce subito che non sarà una serata come le altre, che la bellezza di certi momenti, l’empatia percepibile che si crea tra il pubblico (rispettosissimo e attentissimo) e l’artista sono qualcosa di sacro, di mistico.

Eddie è lì, a pochi passi, con i suoi occhi che sprizzano vita, gioia, il bicchiere pieno al suo fianco, la chitarra in braccio e la voglia di raccontarsi, di ringraziare l’Italia per il calore con cui lo accoglie (“solo in Italia può accadere che ci siano 50000 persone a un mio concerto solista”) e di ringraziarla anche per avergli donato l’angelo che gli ha salvato la vita (la moglie, cui dedica una struggente “Rise”).

Eddie è lì, a pochi passi, con i suoi occhi lucidi, quando straziato dedica “Black” all’amico fraterno Cornell e la chiude ripetendo “Come back”, ormai in lacrime, così come siamo in lacrime noi, stretti in un abbraccio collettivo che racconta più di mille parole, che ci dice che noi siamo diventati adulti con loro, abbiamo vissuto le nostre gioie e i nostri lutti con loro: Eddie, Chris e anche Kurt.

Eddie è lì, a pochi passi, quando inaspettatamente ci regala “Imagine” e una stella cadente enorme solca il cielo di Firenze mentre sui maxi schermi passano le immagini di Lennon, in un’apoteosi di bellezza senza precedente.

Eddie è uno di noi, è uno che ha la musica dentro, che dopo 30 anni di carriera ed oltre ancora si emoziona, proprio come Glen Hansard, probabilmente l’artista più sottovalutato degli ultimi 20 anni, capace di un set magico e sentito in apertura di serata, un set in cui ha regalato alcune delle sue canzoni, piene di poesia, cantate con l’anima, come lui (e Vedder) sa fare benissimo (da “When your mind’s made up” a “Revelate”, da “Lowly deserter” a “Way back in the way back when”) e capace di stare alla stessa altezza del maestro (come lo chiama lui stesso) Eddie quando condividono il palco dando vita a qualcosa di unico: i due regalano alcune perle che sarà difficile dimenticare, “Falling slowly” in duetto, così come “Song of good hope”, “Rockin’ in the free world” e una strepitosa “Smile”. Da brividi. Assolutamente da brividi.

Ci sono serate che è difficile anche raccontare. Questa è una di quelle. Come si fa a riassumere la bellezza pura con le parole? Ci si riesce solo con le canzoni. Eddie Vedder e Glen Hansard ci riescono. Ci sono sempre riusciti. Ci riusciranno sempre.

Firenze se li ricorderà a lungo.

GLEN HANSARD SETLIST @ Firenze Rocks
When Your Mind’s Made Up
Revelate
Winning Streak
Say It to Me Now
Astral Weeks / Smile
Bird of Sorrow
Lowly Deserter
Way Back in the Way Back When
Her Mercy

EDDIE VEDDER SETLIST @ Firenze Rocks

Elderly woman behind the counter in a small town

Wishlist

Immortality

Trouble (Cat Stevens cover)

Brain Damage (Pink Floyd Cover)

Sometimes

I am mine

Can’t keep

Sleeping by myself

Far behind

Setting Forth

Guaranteed

Rise

The needle and the damage done (Neil Young cover)

Millworker (James Taylor cover)

Unthought known

Black

Lukin

Porch

Comfortably numb (Pink Floyd cover)

Imagine (John Lennon cover)

Better man

Last kiss (Wayne Cochran cover)

Untitled

MFC

Falling Slowly (feat. Glen Hansard – Swell Season cover)

Song of good hope (feat. Glen Hansard – Glen Hansard cover)

Society (Jerry Hannan cover)

Smile (feat. Glen Hansard)

Rockin’ in the free world (feat. Glen Hansard – Neil Young cover)

Hard Sun (feat. Glen Hansard – Indio cover)

 

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Radiohead a Firenze, 14 giugno 2017

Partiamo dalla fine, partiamo da quel verso che da 20 anni spacca i cuori, che tutti noi almeno una volta ci siamo ritrovati a cantare ad occhi chiusi e in cui ci siamo immersi: “For a minute there, I lost myself”, il verso conclusivo di “Karma Police”; l’apoteosi degli ultimi 20 anni (forse più) in musica. Ieri sera ci siamo tutti persi, per ben più di un solo minuto, di fronte a una grande band, una band che ha dimostrato che per fare un grande concerto non basta essere musicisti straordinari, bisogna metterci qualcosa in più. Ieri sera, di fronte alla Visarno Arena gremita da 50 mila persone, i Radiohead hanno dimostrato che per penetrare dentro chi ti ascolta (alcuni ad attenderli da 10 ore), per lasciare un ricordo indelebile bisogna suonare col cuore. E loro lo hanno fatto, aprendo nel migliore dei modi la lunga estate caldissima che attende il popolo di ascoltatori fiorentini (qui tutti i dettagli).

Sono le 21.24 quando attacca “Daydreaming”, quando la voce di Thom prorompe nella Visarno Arena in tutta la sua unicità dando inizio ad una di quelle serate che, senza timore di smentita, si possono definire epiche; già, perchè i Radiohead e Thom in particolare hanno con Firenze un rapporto straordinario, è forse la loro città preferita e lo hanno dimostrato anche ieri, rivoluzionando la scaletta del tour e regalando una serie di classici da far impallidire chiunque: da “Airbag” a “Pyramid Song”, da “Everything in its right place” a “Let down” è stata una cavalcata senza pause, uno di quei live che ti fa piangere, sorridere, ballare, senza soluzione di continuità, come in preda a una qualche follia. Quanti ricordi ciascuno di noi avrà avuto legati a uno qualsiasi dei brani che i Radiohead hanno suonato?

La cosa straordinaria da vedere da fuori è l’amalgama incredibile della band, in cui il basso di Colin Greenwood dà il la ad ogni brano, ne scandisce le dinamiche, guida gli altri come Virgilio faceva con Dante (dato che siamo a Firenze…) e su questo si innesta la chitarra di Jonny, e Jonny è probabilmente il miglior chitarrista rock al mondo per distacco degli ultimi 30 anni, uno che sembra sempre in crescita, sempre capace di trovare una chiave diversa per suonare brani che ormai tutti conoscono a memoria.

Quando attacca “Arpeggi/Weird Fishes” sai di essere nel posto giusto al momento giusto, sai che alla fine si può ricondurre tutto a quella canzone, che la poetica dei Radiohead (perchè sì, si può parlare di poetica) si può riassumere in quei 4 minuti, che raccontano un mondo, assieme a “Street Spirit” due brani immortali, a cui poi vanno aggiunti altri capolavori che non è che siano di livello inferiore (da “Idioteque” a “Paranoid Android” riarrangiata, fino a “There there”).

Personalmente il colpo al cuore definitivo della serata (e credo lo sia stato per svariati dei presenti) è stato “Fake plastic trees”, un brano eseguito raramente e con una tale partecipazione emotiva, un tale pathos che ci ha lasciato lì, annichiliti, a ripensarci per giorni e giorni e giorni….

E poi “For a minute there, I lost myself”. Già, così. Quanto durano questi minuti a volte…

Doveroso Post Scriptum per il set di James Blake, che avrebbe meritato da solo una serata da headliner. Suoni fantastici e tanta tanta intensità…. certo, poi dopo sono arrivati i Radiohead e tutto è passato in secondo piano, ma solo perchè il livello si è alzato di tantissimo.

RADIOHEAD SETLIST @ VISARNO ARENA (FIRENZE 14/06/2017)

Daydreaming
Desert Island Disk
Ful Stop
Airbag
15 Step
Myxomatosis
Lucky
Pyramid Song
Everything in its right place
Let Down
Bloom
Identikit
Arpeggi
Idioteque
The numbers
Exit music
Bodysnatchers
You and whose army?
2+2 5
There there
Paranoid android
Street spirit
Lotus Flower
Fake plastic trees
Karma Police

 

Foto di: Stefano Mattii

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Stefano Edda Rampoldi regala un live intensissimo alla Stazione Leopolda di Firenze

La spontaneità, la forza dirompente delle sue parole, del suo modo di fare così sincero che traspare ed esalta il pubblico: questo è Stefano Edda Rampoldi e quello a cui abbiamo potuto assistere alla Stazione Leopolda di Firenze è un concerto rock di straordinaria bellezza, intenso, vissuto, semplicemente stupefacente in cui le canzoni di Edda sono dei piccoli quadri che lui dipinge con tratto quasi femminile. Da “Benedicimi” a “Stellina”,  da “L’innamorato” a “Arrivederci a Roma” il concerto è una sequenza di emozioni in cui forse l’unico peccato è dover rimanere seduti, vista la carica rock che sprigionano Edda e la sua band.

Su “Zigulì” parte la dedica di Edda a Federico Fiumani, presente tra il pubblico (“come avete fatto ad eleggere sindaco Renzi quando avevate Fiumani? Ma potete ancora rimediare”) e il leader dei Diaframma sale sul palco, intonando anche lui il brano: due icone del rock italiano sullo stesso palco, una piccola pagina di storia. Senza di loro tante band oggi di culto non esisterebbero ed è bello vederli così in forma e ancora straordinariamente ispirati.

L’ apoteosi della serata si ha sicuramente su “Spaziale”, probabilmente una delle canzoni d’amore più belle degli ultimi anni, uno di quei pezzi che ti fa contorcere fino alle lacrime da quanto è straziante e bello, ti arriva all’anima e non puoi più farne a meno, proprio come Edda, uno di quei cantautori capaci di scavarti dentro, che se lo guardi negli occhi ci vedi solo purezza.

Ne esistono pochissimi di artisti così oggi, teniamoceli stretti e diamogli i riconoscimenti che meritano.

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Il cantautore milanese arriva giovedì a Firenze per presentare il nuovo album "Graziosa Utopia" e ci racconta delle sue conquiste personali, dei suoi demoni e di come sia bello non avere successo.

Quando stai per intervistare uno dei cantautori più ispirati degli ultimi anni, un’icona del rock italiano, un uomo che ammiri, ti sale sempre un po’ di ansia, soprattutto se sai che ha appena scritto un disco bellissimo e pieno di concetti non facili da sviscerare, nascosti nei suoi meravigliosi versi (disco che presenterà giovedì 11 maggio a Firenze, durante il festival Fabbrica Europa), per cui è questo lo stato d’animo con cui mi sono messo al telefono.

Stefano Edda Rampoldi ha risposto, con la semplicità rara che lo contraddistingue, dopo un po’ di squilli:
“Scusami, stavo provando un pezzo degli Esterina e non lo sentivo suonare. Li conosci?”
E così ci mettiamo subito, come fossimo amici da sempre, a parlare di un gruppo lucchese che adoriamo entrambi e che, purtroppo, è meno conosciuto di quanto meriterebbe.
“Senza resa” è il brano che stava suonando: “E’ bellissima, ho suonato un paio di volte con loro, sono bravissimi. Questo pezzo è ispiratissimo, dovrebbero suonarlo al posto dell’Inno di Mameli prima delle partite dell’Italia.
Sai che goduria che senti questo pezzo e poi magari batti la Germania 4 a 0?”.

Stefano, mi aspetto quindi che tu faccia la cover di “Senza resa” degli Esterina giovedì a Firenze.

“Magari fossi così intelligente, in realtà sentendo questo pezzo me ne è venuto un altro, ma dirò a tutti che ho copiato da “Senza resa”. E’ magnifica. La chitarra di questo pezzo quando li ho sentiti in duo era incredibile, vorrei avere la metà di quel sound. Dovrebbero essere primi in classifica.”

Inizio l’intervista chiedendoti come ci si sente a essere punk, nel senso anche di “libero”, nel 2017.

“Si vede che è un karma, io vorrei diventare di successo e vendermi al miglior offerente ma si vede che non interessa e quindi vado avanti per la mia strada. A qualcuno piace e quindi va bene così, rimango puro.”

Tu sei la prova che si può uscire vivi e ispirati dagli anni ’90. Quanto sei cambiato dagli anni con i Ritmo Tribale?

Tantissimo, ma questo Stefano non ci sarebbe se non ci fossero stati gli anni con i Ritmo Tribale. I musicisti con cui suono adesso son molto diversi da quelli con cui suonavo prima, ma tutto serve e tutto ha avuto un senso ed è stato bene farlo. I Ritmo Tribale son stati un grande gruppo ma adesso vado avanti con Luca (Bossi) e Fabio (Capalbo), due musicisti diversi e bravissimi. Sono contento così.”

A proposito degli arrangiamenti dei pezzi, ho letto che li hai portati a Luca e Fabio chitarra e voce e poi hai sentito solo il risultato a disco praticamente finito.

“Sì, io non sono capace di arrangiare, io porto i pezzi chitarra e voce e poi dò loro l’ok, il semaforo verde, quando loro prendono la strada giusta sull’arrangiamento, ma altro non faccio.”

Per quanto riguarda i singoli pezzi, ho trovato che uno dei fili conduttori dei brani sia il sesso, la sfera sessuale e sensuale, vista anche un po’ come una specie di “lato oscuro”: penso a “Signora”, “Zigulì”…

“Sì, mi ricordo che Paolo Poli, l’attore teatrale, diceva che il 900 avrebbe dovuto essere il secolo del sesso e poi non lo è stato. Chissà cosa è successo. Io penso, anzi mi è stato detto, che il sesso sia il motivo per cui ci reincarniamo vita dopo vita, per cui è la catena che ci tiene maggiormente legati. Quel famoso detto “tira più un pelo di figa che un carro di buoi” sembra una banalità ma nemmeno Kant credo sia riuscito a dire una cosa tanto illuminante, perchè noi ci perdiamo in elucubrazioni spirituali ma alla base ci sono catene forti che ci trattengono e il sesso è la più forte di esse. Io credo che il sesso sia la cosa che ci spinge, il bisogno primordiale.”

“Per dire anche Walter Renzi, chiamiamolo Walter, non Matteo, si alza al mattino e pensa a tutt’altro che al sesso, sembra sia spinto magari dal potere o da altro, ma poi se andiamo a vedere bene è tutto riconducibile a una forza primordiale e quella forza io la identifico col sesso, che poi si invelenisce e prende altre forme.
Si rimane prigionieri della propria concezione del corpo e quando questo accade non si può non finire condizionati dal sesso. E’ un veleno che prendiamo a dosi massicce fin da bambini, è pericoloso identificarsi col corpo e lo dico essendone schiavo, però almeno non vado a rompere i coglioni agli altri con il mio essere un morto di figa.”

Dici che sei schiavo del corpo ma poi scrivi pezzi quasi tutti voltati al femminile.

“Sì perchè come alternativa al corpo vedo l’anima, l’uno è maschile, l’altra femminile. Vedo meglio su di me la parte femminile, è una mia aspirazione poter essere un’anima libera, anche se so di non esserlo; però so di avercela l’anima quindi cerco di allenarla e grazie a quella fare una fine migliore, senza pensare troppo al corpo. Per dire ho un ricordo dell’avvocato Agnelli, l’icona dell’uomo di successo, in una foto poco prima di morire in cui appariva vecchissimo, il che è paradossale perchè non me lo ricorderò come l’uomo di successo ma solo come un anziano: sappiamo tutti che fine faremo, ma nessuno vive in funzione di quello, viviamo come se ci giocassimo tutto in questa vita e poi moriamo e le cose perdono assolutamente di senso, la ricchezza, il successo, tutto e ti rendi conto solo che hai vissuto da coglione. Essere un premio Nobel non ti serve al momento della morte. Io so cosa serve ma non ho voglia di dirlo, vado su un’altra strada.”

Ho letto che appartieni al movimento Hare Krishna, è sui suoi principi che si basa ciò di cui mi stai accennando adesso. Come ti sei avvicinato a questa visione?

“Sì, mi sono avvicinato intorno ai 20 anni per caso, ascoltando Radio Krishna Centrale, di cui non conoscevo l’esistenza, e sono rimasto catturato, un po’ come dal pezzo degli Esterina di cui parlavamo prima. Ero pronto per essere colpito dal messaggio di Krishna, vibravamo sulla stessa frequenza.
Poi ho cercato anche di trasmettere il messaggio ai miei amici, ma io dopo 30 anni sono ancora qui a parlare di Krishna e penso che a loro non possa fregare di meno. E niente, vado avanti per la mia strada, pur essendo un pessimo devoto di Krishna cerco di fare qualcosa in cui credo.

Cosa pensi di te stesso? In un paio di pezzi, “Picchiami” e “Brunello”, ho letto una vena di masochismo.

Io mi faccio abbastanza schifo, lo ammetto. Ho fatto tutta una vita per cercare di piacermi ma guardandomi allo specchio ho sempre visto una persona peggiore di quella che in realtà non sono. Mi vedo peggio di ciò che sono non solo a livello fisico, ma anche da quello delle abilità, fin da ragazzino mi sono sempre visto meno bravo a scuola, incapace magari di suonare come volevo e così’ via, mi porto dietro questo peso, ma adesso che ho 54 anni, pur sentendomi sempre così, me ne fotto e cerco di fare buon viso a cattivo gioco cercando di migliorare sempre. Poi nel caso me la gioco meglio nella prossima reincarnazione.”

A proposito di prossime vite, in “La liberazione” dici: “Figlio del mio preservativo, sei solo un ladro di speranza.” Se avessi un figlio che cosa gli diresti?

Intanto gli chiederei scusa per averlo messo in questa prigione che è il corpo, il mondo. Poi cercherei di dargli i mezzi per uscire da questa prigione, parlandogli di Krishna dalla mattina alla sera, il che lo porterebbe ad ammazzarmi all’età di 12 anni, immagino. Dal mio punto di vista però è la cosa migliore che potrei fare, ma non ho fatto figli perchè non avrei saputo crescerli con l’esempio, non sarei stato un grande esempio.

E la musica sarebbe una possibile forma di liberazione per un figlio? Per uscire dalla prigione di questo mondo?

“Mah, difficile da dire: se poi avesse successo questo non gli permetterebbe più di avere una visione libera, quando diventi famoso è difficile mantenersi puro. A volte quando le cose vanno male vanno meglio.

Quindi ti senti fortunato a non essere una star della musica?

Quando canto “ho la fortuna di non valere niente” è perchè lo penso: se avessi raggiunto il successo non so che fine avrei fatto. Io comunque spero di avere successo eh, ancora ci credo!”

Comunque il tuo zoccolo duro di fan te lo sei conquistato e il tour sta andando bene.

“Sì sì, il fatto di aver scritto un altro disco, di stare suonando in giro e di averne già pronto praticamente un altro mi fa ben sperare.”

Il disco nuovo, domanda d’obbligo ormai, si discosterà da “Graziosa Utopia”?

“No, penso che farò una doppietta, anche perchè i pezzi sono nati nello stesso periodo, avrò gli stessi straordinari compagni di viaggio, Luca e Fabio, che mi daranno la consueta fantastica mano, per cui non si discosterà da “Graziosa Utopia”.

Quella di virare maggiormente dal rock al cantautorato è stata una scelta naturale?

“Non ho fatto nessuna virata di proposito, erano canzoni partorite allo stesso modo anche quelle di “Quando mi ammazzerai”, cambia solo un po’ l’arrangiamento, ma se te le canto con la chitarra acustica non percepisci che vengono da due lavori diversi, non cambia molto solo il vestito. Mi piace però questo vestito più pop di “Graziosa Utopia”.

Hai già pensato magari di portare in giro i pezzi chitarra e voce, così come sono nate?

“Sì sì, potrebbe accadere, anzi me lo hanno proposto e credo che farò alcune date da solo chitarra e voce.

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Adriano Viterbini fa riecheggiare la sua chitarra blues alla Stazione Leopolda. Ospiti Davide Toffolo e Alberto Ferrari.

E’ stato davvero qualcosa di indimenticabile quello che è andato in scena ieri sera alla Stazione Leopolda di Firenze, nell’ambito del festival Fabbrica Europa, giunto alla ventiquattresima edizione: si svolgeva infatti una data del “Tour blu” di Adriano Viterbini & Los Indimenticables, capitanati da Josè Ramon (percussionista, tra gli altri, di Daniele Silvestri e della Bandabardò): i due si sono incontrati durante il tour del trio Fabi – Silvestri – Gazzè e hanno deciso di mettere insieme questo progetto estemporaneo, che unisce la chitarra blues del membro dei Bud Spencer Blues Explosion alle atmosfere caraibiche del percussionista cubano.

Quello che ne viene fuori è una jam session di un livello qualitativo esaltante, per quanto funestata da problemi audio (volumi un po’ così, sul palco non riuscivano a sentirsi suonare tra loro), che esalta le straordinarie capacità chitarristiche di Viterbini (un vero e proprio maestro della sei corde) e la verve di Ramon, vero e proprio mattatore della serata su un palco che conosce bene (essendo ormai fiorentino di adozione vista la lunga militanza nella Bandabardò).

A loro si aggiungono la batteria di Piero Monterisi, probabilmente uno dei migliori batteristi italiani in circolazione e il basso di Francesco Pacenza, ficcante al punto giusto, a formare quella che a tutti gli effetti è una super band; come se non bastasse Davide Toffolo, non solo fondatore e voce dei Tre Allegri Ragazzi Morti (di cui ci regala alcuni brani in acustico in apertura di live, inaspettati e straordinari) ma uno dei fumettisti di maggior talento in Italia, disegna in diretta durante il live, con le opere che vengono proiettate su un maxi schermo alle spalle della band.

Insomma c’erano tutti gli ingredienti per una serata all’insegna della grande musica, come in effetti è stata, con il pubblico divertito, partecipe, che addirittura si è messo a danzare ai lati del palco quando Ramon ha intonato “Guantanamera”, in uno dei vari omaggi a Compay Segundo.

Non poteva mancare, come in ogni ricetta che si rispetti, l’ingrediente segreto, la ciliegina sulla torta, alias Alberto Ferrari, voce dei Verdena, salito sul palco per intonare “Bring it on home to me” di Sam Cooke e regalare ulteriori brividi a una platea sorridente e soddisfatta, consapevole di aver assistito a una serata difficilmente ripetibile.

PHOTO CREDITS: Riccardo Pinna

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Ci sono cantautori che diventano portavoce di un’epoca, riuscendo a raccontare sentimenti e situazioni in pezzi della durata di poco più di tre minuti: si può tranquillamente dire che Vasco Brondi, dopo questo “Terra tour” sia uno di loro,  giunto ad un livello di consapevolezza espressiva che quasi nessun altro ha in questa nuova generazione di artisti.

Una volta scriveva “cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi c… di anni zero?”, bene, adesso si è dato da solo le risposte: racconteremo di profughi che arrivano in massa dalle coste libiche, avvolti in termocoperte dorate e pieni di speranze che dobbiamo cercare di non disilludere, racconteremo di viaggi interstellari, o semplicemente dall’altra parte del mondo, per scoprire che in fondo stiamo solo scappando da noi stessi e dai nostri fallimenti, racconteremo di “un aprile che sembra dicembre” e di come anche a trent’anni si possa dover tornare a casa dai genitori, dopo aver provato a fuggirne, cercando un’indipendenza sempre più complicata e difficile.

Vasco Brondi, coadiuvato da una band fantastica, si fa portavoce di tutto questo anche di fronte al pubblico dell’Obihall di Firenze, nell’ultima data del suo club tour e per due ore ci tiene lì, incollati ai suoi versi, da gridare con rabbia a squarciagola o dai quali lasciarsi ammaliare, magari singhiozzando di nascosto; riesci a farci riflettere pur facendoci ballare, raccontandoci le nostre emozioni private sottoforma di canzoni e immortalando un mondo di cui è difficile capire il senso, un mondo di cui siamo tutti ospiti viaggianti da salvare, in fondo.

Lo fa con la semplicità che gli è propria fin dagli esordi, omaggiando i suoi idoli (splendida la versione di “Fuochi nella notte di S.Giovanni” con Giorgio Canali alla chitarra, che aveva in precedenza aperto il live) e mostrandoci il suo percorso di crescita: dalla gioventù (“Piromani” da brividi, ancora con Canali) fino alla consapevolezza (“Viaggi disorganizzati”, con cui si chiude il live), passando per tutte le sfaccettature emotive e musicali toccate in questi anni (da “Ci eravamo abbastanza amati” a “Cara Catastrofe”, da “Quando tornerai dall’estero” a “Questo scontro tranquillo”).

Quello che ne vieni fuori è una fotografia di una generazione, di un momento storico, degli ultimi 10 anni, racchiusa in una sera: straziante, sgraziata, commovente, divertente, un po’ mossa. Siamo così, Vasco è così.

Ed è bello che sia così, alla fine.

LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA SETLIST AT OBIHALL (28/04/2017)

Qui

Stelle marine

Macbeth nella nebbia

C’eravamo abbastanza amati

A forma di fulmine

Quando tornerai dall’estero

Moscerini

Waltz degli scafisti

Ti vendi bene

Questo scontro tranquillo

Fuochi nella notte di S. Giovanni (CSI cover feat. Giorgio Canali)

Piromani (feat. Giorgio Canali)

Iperconnessi

Cara catastrofe

Chakra

Le ragazze stanno bene

Per combattere l’acne

Nel profondo Veneto

 

Coprifuoco

I destini generali

Viaggi disorganizzati

 

Ph. Ilaria Magliocchetti Lombi

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Abbiamo fatto quattro chiacchiere con il direttore artistico della XXIV edizione del festival che si aprirà a Firenze il 4 maggio e che porta in città tantissimi artisti di tutta Europa

Sta per partire a Firenze la ventiquattresima edizione del Festival Fabbrica Europa, che dal 1994 si propone di portare nella città toscana un programma di eventi artistici che faccia scoprire ai fiorentini (e non solo) le più belle realtà da tutta Europa, sfoderando ogni anno un cartellone ricchissimo che ha il suo fulcro negli eventi alla Stazione Leopolda.
Per l’occasione siamo andati a disturbare il direttore artistico della parte musicale del festival, Maurizio Busia (per la parte danza se ne occupa una dei fondatori di Fabbrica Europa, Maurizia Settembri) che ci ha raccontato quali sono le attrattive principali di questa edizione e cosa si propone di fare Fabbrica Europa.

Maurizio, ventiquattresima edizione al via per Fabbrica Europa, uno dei più longevi festival in Italia, quali sono gli obiettivi per questa nuova edizione?

“Fabbrica Europa è nato nel 1994 con la voglia di fare della Stazione Leopolda un luogo d’incontro per artisti da ogni parte d’Europa, diciamo che l’anima rimane quella di dare l’idea di una contemporaneità accessibile, con un buon livello di popolarità pur con artisti di generi molto diversi. Vogliamo far capire agli artisti stessi che si può accedere a Fabbrica Europa con le proposte più variegate, cercando di arrivare a un pubblico curioso e trasversale.”

Riguardo al fatto di essere nati nel 1994, stavo giusto pensando che voi avete precorso i tempi rispetto agli “Stati Uniti d’Europa” di cui tanto si parla e li avete creati dal punto di vista artistico quantomeno, in questo momento in cui l’Europa politica è un po’ in crisi come si pone Fabbrica Europa?

“Sicuramente Fabbrica da quel punto di vista ha precorso i tempi e la globalizzazione poi in questo, dal punto di vista delle collaborazioni ci ha favorito, per quanto non sia un momento facile per le istituzioni a livello europeo. Per esempio quest’anno su Firenze portiamo un progetto che si chiama N.O.W., ovvero New Open Working Process for the performing arts, progetto coordinato da extrapole (Parigi), in collaborazione con 7 partner europei tra cui la Fondazione Fabbrica Europa, che è cofinanziato dal programma Europa Creativa dell’Unione Europea. vuole creare le basi per la creazione di un polo di competenze transnazionali. Partendo da una pratica comune a tutti i partner (l’accompagnamento di progetti artistici e la loro diffusione) il progetto intende intraprendere un percorso di ricerca sperimentale.
Il partenariato mira anche a diventare una rete di collaborazione reciproca e di collaborazione professionale duratura basata su principi di un’economia contributiva (cooperazione, condivisione, tecnologie dell’informazione).
Il programma di lavoro si strutturerà in 4 laboratori interdipendenti, che a loro volta si articoleranno in una serie di sessioni di lavoro lungo tutto l’arco del progetto triennale.”

Da direttore artistico come avviene la scelta degli artisti che vanno a comporre così variegato?

“Cerco di lavorare non sull’usuale, anzi spesso su progetti che nascono apposta per Fabbrica Europa, per esempio quello che faranno Hamid Drake e William Parker il 14 maggio: il rifacimento di “A love supreme” di Coltrane (a 50 anni dalla sua scomparsa) in una produzione per solo contrabbasso e batteria, oppure il progetto di Marco Parente “Eppur non basta” che recupera il primo disco ma non con uno sguardo nostalgico, bensì per dare un’idea di come era la scena fiorentina dell’epoca, come già avevamo fatto in passato con i CCCP di “Epica, Etica, Etnica, Pathos” e con la Cristina Donà di “Sea songs” .”

Spesso si vede Firenze come una città troppo legata alle proprie radici, al proprio periodo di gloria rinascimentale, è stato difficile trasportarla verso l’Europa in questi anni o è stato un percorso naturale?

“Secondo me Firenze non è una città semplice da questo punto di vista, trovo che per essere una città veramente europea abbia bisogno di toccare altre sfide, qualcosa che ancora deve arrivare nel futuro, perchè comunque è una città con una storia importante e per portarla nella contemporaneità bisogna lavorare con artisti capaci di andare in profondità.”

Il pubblico fiorentino spesso non è molto facile, negli anni ha imparato ad apprezzare le iniziative magari meno “nazional-popolari” proposte da Fabbrica Europa?

Io l’anno scorso rimasi molto sorpreso di trovare molti spettatori al concerto di Cristophe Chassol, un artista caraibico; questo mi fa pensare che quando la proposta è forte il pubblico si può incuriosire. L’offerta su Firenze è molto ricca quindi non è facile, però credo che si debba iniziare un lavoro sulla formazione della curiosità del pubblico, perchè ripeto quando la proposta è forte poi la gente la apprezza anche se non è fan dell’artista.”

Quali sono due nomi di artisti magari poco noti al pubblico italiano ma assolutamente da non perdere nel programma di Fabbrica Europa 2017?

“Sicuramente ti dico Mayra Andrade, musicista trasversale sia geograficamente che musicalmente: ha collaborato con Cesaria Evora per esempio. Lei la avremo il 12 maggio. Come secondo evento segnalo l’australiano Oren Ambarchi, che avremo alla Limonaia di Villa Strozzi il 20 maggio, un vero innovatore, musicalmente parlando.”

Per il programma completo: www.fabbricaeuropa.net

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Due giorni di concerti nell'ormai storico locale fiorentino, che nasceva nel 2007.

Due giorni di live straordinari, due giorni di festa per celebrare un compleanno importante: i primi 10 anni di vita del Viper Theatre, locale fiorentino (zona Le Piagge) dove negli anni si sono esibite band del calibro di Afterhours, Kaiser Chiefs, Blonde Redhead, Peter Hook & The Light e tante altre.

A “fare la festa” al locale ci pensano alcune band italiane che per l’occasione daranno vita ad una due giorni di musica davvero intensa, a testimonianza del successo che ha avuto l’amministrazione comunale quando nel 2007 decise di puntare sulla costruzione di un live club, facendo quindi un grosso investimento sulla cultura.

Questo il programma della due giorni di concerti:

Venerdì 28 Aprile // Apertura porte ore 21,30
? Appaloosa
? Diaframma
? TEPPA BROS. ( Lo Stato Sociale dj set)
? Santa Margaret
? TBSOD
? PLAN DE FUGA
? Rock Fun Show from Virgin Radio Italy
Ticket giornaliero: bit.ly/10yrsVIPER28Apr
Abbonamento due giorni: bit.ly/10yrsVIPERAbb

Sabato 29 Aprile // Apertura porte ore 21,30
? Demonology HiFi ( Max Casacci & Ninja from Subsonica)
? Emidio Clementi – Quattro Quartetti (from Massimo Volume)
? AmbraMarie
? Dj Aladyn
? the Cyborgs
? virginiana miller

Venerdì 28 aprile: 15€ +ddp. Acquista qui: bit.ly/10yrsVIPER28Apr
Sabato 29 aprile: 18€ +ddp. Acquista qui: bit.ly/10yrsVIPER29Apr
Abbonamento 2 gg: 27€ +ddp. Acquista qui:bit.ly/10yrsVIPERAbbonam2gg
I biglietti giornalieri sono acquistabili anche nei punti vendita Box Office Toscana.

Con l’abbonamento alla due giorni si riceveranno anche un libro fotografico che riassume i 10 anni di attività del Viper e una maglietta celebrativa, ideati per l’occasione.

 

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Diciamolo subito, probabilmente sono la miglior live band attualmente in Italia. Vengono da Perugia e, come ripetono loro stessi, sono i Fast Animals and Slow Kids: dai tempi in cui aprivano i live degli Zen Circus i ragazzi perugini (diventati nel frattempo 5 nella formazione live) sono cresciuti esponenzialmente e il loro live è un concentrato di poesia, emozioni, sudore; una guerra “pacifica” a suon di musica che esalta le note del nuovo album “Forse non è la felicità”, uno dei migliori dischi italiani usciti quest’anno.

Da “Annabelle”, passando per “Tenera età” o “Calci in faccia”, fino a quelli che ormai vengono percepiti come classici dei Fask (“Coperta”, “A cosa ci serve”, “Come reagire al presente”) il live è un crescendo, un’esperienza che è difficile raccontare a parole perchè c’è un’empatia tra la band e il proprio pubblico che, se non li avete mai visti live, non si può forse comprendere appieno.

I Fask sono come noi, che siamo lì sotto il palco, mentre loro sono sopra, sono autentici, genuini ed è questa la loro forza straordinaria, il fatto di divertirsi e di fare cose che loro per primi vorrebbero ascoltare, con una tale naturalezza che non si può non rimanerne contagiati.

Per quanto siano ancora giovanissimi hanno già tanto da insegnare a qualcuno di più scafato su come si conquista il pubblico e come si tiene un palco, anche con 38 di febbre (quella che aveva Aimone Romizi, cantante della band, quando è salito sul palco dell’Auditorium Flog di Firenze).

FAST ANIMALS AND SLOW KIDS SETLIST @ Auditorium Flog (08/04/2017)

Asteroide

Giorni di Gloria

Calci in faccia

Combattere per l’incertezza

Fiumi di corpi

Tenera età

Ignoranza

Il mare davanti

Montana

Capire un errore

11 giugno

Il vincente

Troia

Maria Antonietta

Coperta

Annabelle

 

Come reagire al presente

A cosa ci serve

Forse non è la felicità