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concerti a Bologna

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La band irlandese presenterà il nuovo album "Epitaph" con tre imperdibili concerti a Milano, Bologna e Roma

Proprio alla fine di questa settimana, venerdì 27 aprile, uscirà il loro ottavo album, intitolato “Epitaph”, che si prospetta come l’ennesima pietra miliare nel mondo del post-rock: loro sono i God is an Astronaut, band irlandese guidata dai gemelli Kinsella, che ormai dal 2002 fanno vibrare cuori e chitarre come pochi altri al mondo.

Arriveranno in Italia esattamente una settimana dopo l’uscita del disco, con tre date imperdibili che li vedranno esibirsi nel nostro Paese dopo i due splendidi concerti tenuti a Roma e Milano l’estate scorsa.

Questi i dettagli delle tre nuove date italiane, in cui saranno supportati dagli Xenon Field, che hanno anche collaborato alla realizzazione di “Epitaph”:

5 Maggio – Fabrique – Milano 

6 Maggio – Estragon – Bologna

7 Maggio – Orion Club – Roma

Biglietti in prevendita al costo di 32,20 euro su ticketone.it

Passare tre ore alla caserma dei Carabinieri appena entrati in Italia con il tour bus (problemi di poco conto che si sono “facilmente” risolti) e poi arrivare a Bologna e fare un live maestoso: questo è quello che è successo ai Girls in Hawaii, band belga che ha portato al Locomotiv Club di Bologna le sonorità del suo ultimo lavoro, “Nocturne”, e proseguirà il proprio tour italiano con date a Milano, Roma e Torino.

Antoine Wielemans e compagni hanno dato vita ad uno show energico, capace di incantare e far ballare i presenti: una vera e propria immersione in apnea in un mare cristallino, piuttosto che una gita tra i panorami naturali del Belgio e della Francia del nord.

Da “This Light” fino a “Indifference” o “Walk”, grande spazio è stato dato all’ultimo album uscito a settembre scorso, ma non sono mancati alcuni grandi classici, come la splendida “The Fog” o “Time to forgive the winter”.

I Girls in Hawaii sono una di quelle band che non viene accompagnata (inspiegabilmente) da un hype straordinario, come invece accade ad altri gruppi anche meno meritevoli e che sa conquistarti canzone dopo canzone, osservando quanto sia grande l’affiatamento ed il divertimento di questi sei ragazzi sul palco: erano veramente onorati di suonare per il pubblico italiano e non hanno perso occasione di dimostrarlo, anzi, sapendo che tra il pubblico c’erano due ragazzi (Nicola e Alessandro), facenti parte di una loro cover band (voce e batteria), li hanno invitati sul palco a suonare con loro, regalandogli l’occasione della vita, tra lo stupore di tutti, come in una festa tra amici.

E’ stato bellissimo constatare questo clima conviviale on stage, che si è propagato sui visi di tutti, tra sorrisi e pacche sulle spalle, aneddoti e conversazioni in simil-italiano/spagnolo.

Oltre che grandi musicisti (impressionante la varietà di suono e l’intreccio delle vocalità della band) i Girls in Hawaii sono soprattutto grandi persone.

Insomma, è un live da non perdere, uno di quelli che tocca il cuore, sicuramente uno dei più inaspettati e belli dell’anno. Ne rimarrete conquistati, garantito.

P.S. E poi l‘omaggio ai Grandaddy con la cover di “A.M. 180” in chiusura è assolutamente imperdibile, un gioiellino.

GIRLS IN HAWAII SETLIST @ Locomotiv Club (Bologna – 18/04/18)

The Light

Indifference

Changes will be lost

Switzerland

Misses

Blue shape

Not dead

Sun of the sons

Time to forgive the winter

Walk

Monkey

The fog

Road to Luna

Birthday Call

Rohrschach

 

Flavor

Guinea pig

A.M. 180 (Grandaddy cover)

Altissimo, allampanato, con quel ciuffo biondo che lo ha reso famoso ormai da quasi 20 anni e un sorriso che si apre spontaneo e ti rivela un mondo fatto di gentilezza e semplicità: questo è Erlend Oye come appare sul palco di un Covo Club stracolmo per la sua ultima data italiana (dopo aver già fatto registrare sold out anche a Milano, Padova e Roma): l’italiano ormai è quasi perfetto, frutto dei suoi anni trascorsi a vivere ad Ortigia, in Sicilia, luogo dal quale proviene anche la band che lo accompagna in questo tour acustico.

La semplicità, dicevamo: è questa la caratteristica forse principale di questo tour, che, in un luogo raccolto come il Covo, dà ancora più l’idea di qualcosa di intimo, conviviale, una specie di incontro tra amici (e che amici, c’era gente accorsa dal Brasile o da Madrid) in cui ad un certo punto spunta una chitarra e “quello bravo” (perchè c’è sempre uno che sa suonare) si mette a cantare.

Ecco, Erlend è un po’ più che “quello bravo”. è uno capace di scrivere brani come “Upside down” o “Paradiso”, di dialogare col pubblico, è un insospettabile re della festa: lo avreste mai detto che un norvegese di un metro e novanta fosse un po’ pazzo e capace di tirare fuori, pur nel suo aplomb da folk singer, un live così trascinante?

E’ esattamente quello che succede, tra battiti di mani a tempo, persone che ballano, richieste di baci al cantante “perchè è il mio compleanno”, una struggente “Non arrossire” gaberiana che Erlend dedica a Simona, una sua storica fan appostata in prima fila e un finale brasilianeggiante grazie alla fantastica band che, mentre Oye si apposta a ballare in mezzo al pubblico, regala qualche classico di musica carioca.

Insomma siamo di fronte ad un norvegese dal sangue latino, ormai più che a suo agio in Italia, tanto che ovviamente i brani in italiano non mancano (spicca la splendida “La prima estate”), che dà l’idea di divertirsi e sapersi divertire sul palco e questo non fa altro che esaltare il pubblico presente, creando un’empatia totale tra ciò che accade sopra e sotto il palco. E’ una festa e come tale va vissuta, lasciandosi andare al ritmo e alle chiacchiere di Erlend, estremamente spiritoso e totalmente padrone della scena.

Quando arriva anche il momento di rispolverare un paio di classici dei The Whitest Boy Alive (“Courage” e “1517”) si può davvero dire che il party sia completamente riuscito: in sottofondo le onde del mare siciliano, un ritmo brasiliano appena accennato, gli occhiali da sole calati su una carnagione bianchissima e un sorriso primaverile. Erlend Oye sa regalare sensazioni, più che canzoni e questo è un pregio raro.

ERLEND OYE SETLIST @ COVO CLUB (Bologna 14/04/18)

Fence me in

Peng pong

Upside down

Intentions

Bad guy now

Giacca

Paradiso

 

New for you

Garota

Non arrossire

 

Fairytale

Lies 

Abalis theme

 

Altiplano

Dancing with you

 

Brazil

Courage 

1517

La prima estate

Esordio col botto per il tour dei Ministri, che infiammano un Estragon stracolmo, regalando un live senza fronzoli, dimostrando ancora una volta quanto siano cresciuti.

Diciamolo subito: probabilmente, a livello di suono, di impatto, di resa il concerto del “Fidatevi tour” è assolutamente il miglior live nella storia della band milanese fino ad oggi.

5 musicisti sul palco, 5 musicisti importanti sul palco: dai nostri tre eroici Fede, Divi e Michelino, ingiacchettati nonostante una temperatura equatoriale, fino ad Anthony Sasso e Marco Ulcigrai, a creare un muro di suono mai così compatto, mai così vivido, dimostrando ancora una volta come in questi 12 anni di carriera i Ministri abbiano saputo cambiare pelle, evolversi, migliorarsi, pur rimanendo sempre fedeli a se stessi. 

Carichissimi per l’esordio in un Estragon che non stava nella pelle per l’attesa, i nostri hanno optato per un live da sudare, uno di quei live senza respiro, dove i pezzi in cui prendere fiato sono ridotti al minimo: ovviamente grande spazio all’ultimo album, che viene riproposto quasi come in una parabola ascendente, partendo dai momenti più bui (“Spettri” e “Crateri”, volutamente eseguiti quasi al buio anche a livello di immagine visiva, per rendere l’idea di cosa siano anche a livello musicale nel disco), fino alla redenzione e alla risalita (si passa da “Memoria breve”, a “Dio da scegliere”, fino a “Dimmi che cosa”), il tutto ovviamente senza trascurare quelli che ormai sono i grandi classici dei Ministri, da “Comunque” a “Spingere”, tornando indietro fino al primo stop (come lo chiama Divi) della carriera dei Ministri, una torrida “Non mi conviene puntare in alto”.

Ridotte al minimo le ballad (praticamente solo “Una palude” e “Il bel canto”) i Ministri sono tornati in scena con la voglia di sudare e far sudare, con lo spirito di chi, di quella scena, si vuole subito riprendere il centro e sa che può benissimo riuscirci: Davide torna a fare stage diving senza paura, Federico schitarra come non mai e Michele pesta sulla batteria senza risparmiarsi, con Marco e Anthony che aggiungono al suono quella corposità, quell’amalgama che rende il tutto assolutamente e incredibilmente potente.

L’affiatamento è già massimo per quanto sia la prima data e chi avrà la fortuna e il piacere di partecipare a questo tour capirà quanto i nostri si muovano ormai come un sol uomo, senza incertezze, senza errori, da naviganti consumati e ognuno sappia perfettamente qual è il suo ruolo, il suo spazio, il suo momento.

I Ministri sono una famiglia, sono amici e si divertono loro per primi a suonare, pur facendolo con professionalità (e che professionalità! Una crescita esponenziale ad ogni tour): lunga vita a loro. Fidatevi.

MINISTRI SETLIST @ ESTRAGON (05/04/2018)

Spettri

Crateri

Comunque

Idioti

Usami

Un dio da scegliere

Non mi conviene puntare in alto

Spingere

Memoria breve

Tra le vite degli altri

Il bel canto

Tempi bui

Dimmi che cosa

 

Fidatevi

Noi fuori

Una palude

Diritto al tetto

Abituarsi alla fine

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I Ministri con "Fidatevi" pongono l'accento sulle insicurezze e sul bisogno dei rapporti umani in una società sempre più "a misura di consumatore". Il 5 aprile partirà il loro nuovo tour dall'Estragon di Bologna, ne abbiamo parlato con il chitarrista e autore dei testi Federico Dragogna.

A tre anni di distanza dal precedente “Cultura Generale” i Ministri, trio milanese composto da Federico Dragogna (chitarra, cori, testi), Davide “Divi” Autelitano (basso, voce) e Michele Esposito (batteria), sono tornati sulle scene con un disco dal titolo ambizioso, “Fidatevi”.
In un momento storico in cui la fiducia è merce rarissima, farne il tratto distintivo di un intero disco può apparire come un’operazione rischiosa, ma in realtà i Ministri, più che “chiedere la fiducia” a scatola chiusa, decidono di raccontare la loro intimità, come forse mai prima, riuscendo ad intercettare anche le paure e le insicurezze di un’intera generazione, quella di 30/35enni, a cui la fiducia sta venendo meno, come buona parte dei propri punti di riferimento.
Ne ho parlato con Federico Dragogna, chitarrista e autore dei testi dei Ministri, che in questo momento si stanno preparando per l’inizio del tour (prima data 5 aprile all’Estragon di Bologna).

Ciao Fede, “Fidatevi” è forse il disco più personale dei Ministri, quello in cui si parla di più di interiorità, dei propri spettri interiori e delle proprie insicurezze
e che poi però si rivolge al di fuori, “agli altri”, da guardare per rubargli un po’ di certezze, come in “Tra le vite degli altri”…ti sembra una giusta descrizione?

“Ciao, sì ti direi che se uno scrive nella vita questi cambiamenti anche nella scrittura rappresentino il fatto che stai davvero continuando a scrivere davvero e che non sei diventato una cosa di genere: è bello invece che uno a 23 anni scriva in un certo modo perchè pensa certe cose e a 35 in un altro diverso, sarebbe preoccupante se a 23 anni uno vedesse già le cose come un trentacinquenne e poi magari a 35 anni volesse vederle e descriverle come un ventritreenne. Mi viene da dirti che erano personali anche prima le cose che scrivevo, ma c’era un po’ meno persona: la personalità veniva fuori più per differenza dal “fuori”, dagli altri, piuttosto che affermando qualcosa. Quando attacchi ciò che è altro da te lo fai per definire la tua identità, alla fine anche il web è basato su questo principio, spesso coinvolgendo anche persone che il 23 anni li hanno passati da un pezzo in questo schema. A volte si odia qualcosa solo per far capire agli altri chi si è, senza però sostenere qualcos’altro. Si combattono prima magari guerre “esteriori” per poi arrivare, come in questo disco, a combattere quelle interiori. Poi magari dal prossimo disco, il giorno in cui diventeremo compiutamente grandi, non avremo più il problema del mutamento, saremo qualcos’altro e non dovremo più combattere nessun tipo di guerra, nè esteriore nè interiore.”

Come si può definire oggi, nel 2018, il concetto di “Fiducia”, dato che sembriamo tutti, soprattutto la nostra generazione di trenta/trentacinquenni, avere sempre meno appigli a cui rivolgerci?

Io credo che a un certo punto quando hanno iniziato a crollare le ideologie la confusione tra bene e male sia stata accettata come un dato di fatto e i valori hanno iniziato ad essere affrontati in modo ironico, mentre i controvalori come il sesso e la cocaina e così via sono diventati qualcosa di cui cantare: non lo dico però in un senso moraleggiante, semplicemente nel momento in cui mancano delle sicurezze accade questo. Non è che i nostri genitori avessero garanzie maggiori, semplicemente alla nostra età avevano ideali a più lunga scadenza rispetto ai nostri, potevano permettersi progetti a lungo termine, era il mondo ideologico di prima. Secondo me però non è detto che fosse necessariamente meglio. Noi come band, fin da quando abbiamo iniziato, abbiamo affrontato questa precarietà in tutto, oserei dire che è molto nietzschiano avere sempre intorno il caos ed è anche una spinta vitale, sarebbe anacronistico lottare per tornare ad avere, per dire, la pensione come i nostri genitori o nonni. Lo trovo triste, però resta il fatto che perdere i valori, i motivi per cui stare insieme è pericoloso: se ci togliamo del tutto la nostra parte sociale diventiamo davvero una puntata di Black Mirror.

Anche i social portano poi all’individualismo esasperato che stiamo vivendo adesso: tutti noi abbiamo la nostra personale verità da condividere, no?

“Certo, i social secondo me sono un po’ un incidente di percorso: nascono come una cosa bella per tenersi in contatto solo che poi si è scoperto che se dai agli uomini la possibilità di scagliarsi contro gli altri senza incorrere in conseguenze, quelli ci provano e qualcuno ci rimane invischiato. Penso che il punto cardine di tutto comunque sia il bisogno di stare insieme, il punto è che cosa lo muove e cosa lo muoverà: se lo muove solo il fatto di trovarsi un posto per consumare certi servizi è troppo poco. Dopo un po’ ci romperemo le palle, infatti credo che parte dei cervelloni delle grandi aziende mondiali cerchino di darci ciò che ci serve a casa, da Amazon a Netflix.”

Infatti va quasi di moda non uscire più di casa…

“Sì, ma anche questa è più una conseguenza, cioè questi colossi arrivano e ti dicono “ehi cittadino, non hai più nessun vero motivo per uscire ed andare a beccare gli altri? Ok, stai a casa, tanto hai tutto.” Ormai vediamo anche le ragioni per cui vivere come un servizio, dobbiamo non accontentarci di questo.”

Questo è un disco molto generazionale, mi riferisco a canzoni come “Due desideri su tre” piuttosto che la stessa “Fidatevi”, te ne rendevi conto mentre lo scrivevi?

“Dentro questo disco ci sono storie di altre persone, per esempio “Fidatevi”: ci sono alcuni pezzi che sono scrittura più nel senso adolescenziale del termine, nel senso di un’autoanalisi, come “Spettri” o “Crateri”, che è proprio una liberazione. Mentre nei due pezzi che hai citato racconto storie di altri, è il mio punto di vista su un’altra persona. Quando diventi musicista o racconti di te e della tua vita o racconti quella di qualcuno che non è musicista, il mondo che ti interessa è quello diverso da te perchè scandito da ritmi e giornate diverse, quello dei miei amici, di mio fratello per esempio. In ogni caso la situazione generazionale ed economica non cambia, in linea di massima.
Ad esempio “Nella battaglia” nasce dalla situazione che si crea nella metro affollata alle 8,30 al mattino: in quel periodo stavo producendo un disco e per un dato periodo appunto prendevo la metro a quell’ora e mi ritrovavo con chi normalmente lo fa tutti i giorni tutto l’anno. Mentre io sapevo che la mia era una situazione temporanea e poi sarei tornato ad altri ritmi, mi sono immedesimato in chi invece lo fa quotidianamente, senza una “scadenza”. Mi ci sono messo tante volte in chi fa un lavoro più “normale”, con ritmi da ufficio, secondo me ha anche lati molto belli e, per testimonianza diretta, ti posso dire che tanti musicisti sono tentati di passare a quel tipo di vita, per una questione di sicurezze, di ritmi meno serrati, una maggiore routine. Non è detto che la vita tutta sregolata sia figa per forza, dipende da che carattera hai. Dall’altra parte invece delle volte non ti rendi conto che dovresti staccare quando ti sei messo in un lavoro di merda, che non ti soddisfa, ma è difficile farlo perchè perdere le sicurezze, anche economiche, è rischioso per tutti.”

All’interno dei Ministri, tra voi tre, quanto è importante la fiducia l’uno nell’altro? Penso sempre al fatto che Davide canta parole che non ha scritto lui in molti casi, questo è un grande segno di fiducia.

“Tra noi la fiducia è un qualcosa che ci tiene insieme in un senso molto forte, noi siamo amici fin da quando eravamo ragazzi, però al di là di questo i Ministri sono proprio come un equipaggio di una barca che sta facendo una mega traversata oceanica: ognuno ha il suo ruolo e fa quello che fa sicuro che gli altri faranno il loro per far viaggiare la barca al massimo. Lo scrivere e poi Divi che canta, anche se in questo disco ha scritto anche due pezzi (“Tra le vite degli altri” e “Dio da scegliere”), crea tra noi un rapporto particolare: è un discorso tra due amici ma che va ad un livello anche superiore alla normale amicizia, a volte abbiamo anche usato i pezzi per dirci delle cose tra noi, in questo disco meno, in altri dischi di più. Poi ormai questo ci sembra normale e scrivo canzoni che si prestano bene alla sua voce, mentre con la mia dovrebbero avere una metrica totalmente diversa, tra cui praticamente tutte quelle di questo disco. Ormai abbiamo una sinergia iperconsolidata.”

Il disco inizia con i versi “E’ una questione di gusti, che ci spinge in avanti”, come sono cambiati e come si sono evoluti i gusti musicali dei Ministri in questi dodici anni di carriera?
Aggiungo che la critica e il pubblico hanno detto che “Fidatevi” somiglia ai vostri esordi…io direi che non è così.

“Infatti non è assolutamente così, si legge tutto e il contrario di tutto: il problema della rete è anche che si cercano di consumare e giudicare le cose ipervelocemente. Non si può recensire un disco dopo un giorno che è uscito, con le canzoni ci devi vivere, ci devi passare delle esperienze, almeno con le nostre, non sono canzoni da sentire quando vai a fare la spesa. Non andrei a una festa dicendo “ehi adesso vi faccio sentire questa che spacca” e metto su “Crateri”.
Ci sono tante chitarre nel disco e semplicemente questo oggi fa strano.
Per quanto riguarda i miei gusti musicali, essendoci già troppe chitarre nella mia vita con i Ministri si sono rivolti verso cose dove di chitarre ce ne erano sempre meno, come produttore poi in realtà ho fatto tante cose diverse. Devo dire che molti degli arrangiamenti che ci sono in questo disco sono cose che abbiamo dentro da sempre e sono un nostro dna di partenza, che significano ancora tantissimo per me. I gusti sono in realtà dovuti a una sincerità che abbiamo con noi stessi: a noi piace fare questo nella vita, al di là della risposta che può avere.
Però la risposta a questa domanda può variare un sacco da persona a persona.”

Proprio riguardo al fare ciò che vi piace senza guardare a come siete percepiti: voi avete sempre affrontato un vostro percorso musicale che non ha mai guardato troppo a “cosa funziona”, tu lo hai affrontato in alcuni casi anche nelle vesti di produttore: a parte rari casi, ho l’impressione che la musica italiana di un certo circuito si stia sempre più omologando a certi standard, certi meccanismi ricorrenti. Secondo te perchè succede questo e pochi hanno il coraggio di uscire dagli schemi? E’ mancanza di talento o semplicemente è bello stare nella propria “comfort zone”?

“Io credo sia un normale fenomeno biologico della musica il fatto che siano funzionate delle cose con un certo sound e si sia creata una certa onda che adesso si sta cavalcando, quando poi si esaurirà ne verrà fuori un’altra diversa.
L’unica differenza rispetto a prima è che prima si divideva il mondo in mainstream ed indie, ora questo gioco è saltato perchè anche nel mainstream ci sono cose che sono venute dal nostro mondo, quindi è tutto un po’ più confuso.
Credo che il fatto che le cose grosse pop vengano dal mondo “indie” sia bello, vuol dire che siamo gli unici fornitori di entrambi i mondi, diciamo. Basta continuare ad alimentare entrambi questi mondi così da mantenere un certo grado di biodiversità e permettere all’ascoltatore di scegliere tra un po’ di tutto.
Poi credo sempre che chi ha talento verrà fuori, magari in ritardo perchè ha pochi mezzi ma chi vale prima o poi si nota.”

In tour porterete con voi Anthony Sasso come quarto “ministro”, come è nata la scelta di coinvolgerlo e come vi state preparando al tour, che tipo di set sarà?

“Volevamo rendere il disco come si deve e non volevamo usare sequenze, perchè siamo allergici diciamo, per cui abbiamo cercato una persona che facesse al caso nostro. Cerchiamo sempre di trovare degli artisti che ci aiutano, prima c’era Effe Punto, che adesso è in giro con cose sue, adesso avremo ancora con noi, come nello scorso tour, Marco Ulcigrai de Il Triangolo e in più si è aggiunto Anthony, che abbiamo conosciuto con gli Anthony Laszlo quando ci ha aperto un live: condividevamo con lui una serie di visioni e lo abbiamo quindi tirato in mezzo alla nostra grande famiglia. Per quanto riguarda il tour, lo stiamo provando in questi giorni: è un concerto bello denso, molto elettrico, molto potente e molto impegnativo. Raccoglie tante delle cose che ci siamo detti in questa intervista. La potenza di fuoco è molto grossa e certi pezzi hanno tutta l’ampiezza che necessitavano. Siamo molto contenti.”

Appuntamento dunque il 5 aprile per la prima data live del “Fidatevi Tour” all’Estragon di Bologna.

Queste tutte le date ad oggi in programma del “Fidatevi Tour” dei Ministri:

5 APRILE – BOLOGNA – ESTRAGON

6 APRILE – PADOVA – GRAN TEATRO GEOX

9 APRILE – MILANO – ALCATRAZ

12 APRILE – TRENTO – SANBA’POLIS

14 APRILE – ROMA – ATLANTICO LIVE

19 APRILE – VENARIA REALE (TO) – TEATRO DELLA CONCORDIA

20 APRILE – NONANTOLA (MO) – VOX CLUB

24 APRILE – FIRENZE – OBIHALL

27 APRILE – MOLFETTA (BA) – EREMO CLUB

28 APRILE – NAPOLI – CASA DELLA MUSICA

30 APRILE – PERUGIA – AFTERLIFE LIVE CLUB

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Sabato 3 e domenica 4 marzo saranno in Italia per due date gli Slowdive, band capostipite dello shoegaze. Il loro bassista Nick Chaplin ci ha raccontato come è stato rimettere insieme la band e cosa li porta di nuovo nel nostro Paese.

Stanno per arrivare in Italia per due date, sabato 3 marzo al Locomotiv Club di Bologna (già sold out) e domenica 4 marzo all’ Alcatraz di Milano, gli Slowdive, iconica band shoegaze che, dopo lo scioglimento datato 1995, è tornata insieme nel 2014 e ha dato alle stampe nel 2017, a 22 anni di distanza dal precedente “Pygmalion”, un nuovo album di inediti intitolato semplicemente “Slowdive”.

Paradossalmente la band di Reading sta vivendo adesso un momento di celebrità anche maggiore rispetto a quanto non capitasse loro negli anni ’90: da band per cultori sono stati riscoperti e il loro zoccolo duro di fan si è ampliato fino alle nuove generazioni, ragazzi che nel 1995 avevano qualche anno appena o che forse non erano neppure nati.

Ho avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con Nick Chaplin, il bassista della band, che mi ha raccontato del loro ritorno sulle scene e del loro imminente arrivo in Italia.

Nick, sono quattro anni ormai che gli Slowdive sono ufficialmente tornati: come sta andando la seconda vita della band?

Sta andando davvero molto bene, stiamo suonando in un sacco di Paesi dove non eravamo mai stati prima, il nuovo disco suona molto bene, ci piace eseguirlo dal vivo, è tutto grandioso.

Anche se il “progetto” Slowdive si era fermato nel 1995, alcuni di voi avevano continuato a fare musica insieme in altri progetti, pensavate di aver detto tutto come Slowdive in quel momento? Cosa vi ha portato a rimettere insieme la band?

Si, Rachel e Neil, insieme a Ian (McCutcheon, anche lui membro degli Slowdive per il disco “Pygmalion” ndr) continuarono nei Mojave 3, io invece non ho suonato in altre band, ma abbiamo continuato a tenerci in contatto con Rachel e con Simon (Scott, batterista degli Slowdive ndr), siamo rimasti amici anche se non ci vedevamo molto spesso, magari però andavamo a dei concerti insieme a Londra o cose così.

Molti anni dopo abbiamo iniziato a parlare tra noi della possibilità di fare un nuovo disco come Slowdive, di tornare insieme come band ed è arrivata l’offerta di suonare al Primavera Sound Festival nel 2014, avevamo tutti dei figli e il Primavera è una grande festa, ci è sembrata una grande occasione per tornare e far divertire anche le nostre famiglie a Barcellona. Saremo sempre grati al Primavera per averci dato quell’occasione da cui poi è ripartito tutto, tanto che quest’anno torneremo nuovamente a suonarci.

Come musicisti e come persone quanto siete cresciuti in questi 22 anni tra “Pygmalion” e il nuovo album?

Musicalmente, come ti dicevo prima, per me è stato un po’ diverso che per gli altri perchè io non ho continuato a suonare in nessuna band, fino al 2014 quando la band si è riunita, al contrario di tutti gli altri.

Adesso credo che siamo tutti migliorati come musicisti: siamo più maturi, abbiamo più confidenza con il palco e con la nostra musica. Come persone tutti noi abbiamo figli, abbiamo delle famiglie, suonare, essere in una band, non è più la cosa più importante per noi, ci sono altre cose che fanno la differenza. Però le nostre personalità sono sempre le stesse: siamo gli stessi ragazzi di 20 anni fa, in fondo e suonare è stato un po’ come tornare a giocare e divertirsi come se avessimo ancora 20 anni, con una maturità nuova.

Insomma gli Slowdive sono una pausa dalle responsabilità e dalla vita da adulti…

Sì, esattamente, andare in tour adesso è molto più facile che negli anni ’90, meno stancante, è molto più bello per noi: è bello fare felici le persone che vogliono sentire la nostra musica. Per noi è una fuga dalla vita da adulti, hai ragione. E ci piace un sacco.

Ho letto tra l’altro che vivete tutti distanti tra voi e quindi dovete essere molto organizzati per andare in tour.

Sì, dobbiamo essere molto organizzati: ci divertiamo sul palco, ma io e Chris (Savill, chitarrista degli Slowdive) ad esempio avevamo dei normali lavori da ufficio e quando la band è tornata insieme abbiamo dovuto decidere se era il caso di lasciarli, abbiamo delle famiglie, quindi non era una decisione facile, per cui suonare in una band non è più come a 20 anni, ci divertiamo, ma questo implica anche organizzazione e una certa serietà nell’affrontare un tour. Fare musica è una carriera per noi e siamo sicuri sia meglio di qualsiasi altra cosa, è giusto che sia presa con serietà.

In questo momento storico tutta la scena shoegaze sta avendo una nuova vita e, per certi aspetti, più successo rispetto a quanto avesse negli anni ’90. A cosa pensi sia dovuto?

Io credo che la musica sia circolare, le persone si annoiano ad ascoltare sempre le solite cose e tornano a riscoprire cose del passato, il rock che passa in tv o in radio è sempre lo stesso ma adesso grazie a internet, grazie a youtube, a spotify, puoi anche andare a cercare qualcos’altro come ad esempio lo shoegaze.

Non so come andavano le cose in Italia, ma in Inghilterra lo shoegaze fu popolare per pochissimo tempo e poi divenne spazzatura e tutta la critica scriveva cose terribili su ogni band che faceva shoegaze: all’epoca questo pesava molto e decretò la fine dello shoegaze, ma adesso non è più possibile perchè tu puoi andare su spotify o su youtube e ascoltare quello che vuoi senza farti influenzare da nessuno, decidendo cosa ti piace e cosa no. In più se ascolti noi su spotify o youtube vieni rimandato ad ascoltare band come i My Bloody Valentine o viceversa e puoi decidere da solo se ti piacciono o no, in questo la tecnologia ci ha molto aiutato.

Hai anticipato in parte la mia prossima domanda, proprio perchè volevo chiederti del fatto che voi come band avete vissuto la musica sia nella fase pre-internet sia adesso, dove internet e la tecnologia dominano su tutto. Come musicista cosa è cambiato per te e non pensi che il fatto di poter accedere a qualsiasi musica tu voglia in un secondo abbia diminuito la capacità del pubblico di scegliere cosa è bello e cosa no e la qualità stessa della musica in circolazione?

Si, penso che tu abbia centrato il punto: per le persone è molto difficile scegliere quale musica ascoltare, sono bombardate di musica ovunque, ogni band può fare il suo disco in cameretta con un computer e metterlo su youtube il giorno dopo.

E diventare anche una star, il giorno dopo…

Sì esattamente, la cosa positiva è il non aver più bisogno di un’etichetta discografica, di non aver bisogno delle recensioni della stampa. La cosa negativa è che, vista la tanta musica che esce ogni giorno, farsi notare diventa molto più difficile e ci sono band che pagano addirittura cifre folli per avere il proprio momento di celebrità. Però credo ancora che ci siano più lati positivi che negativi nell’avvento dei social e della tecnologia: ad esempio noi se nel 1995 volevamo annunciare un tour dovevamo avere un’etichetta alle spalle, la stampa che parlasse di noi, era molto più difficile raggiungere le persone. Oggi basta un tweet o scriverlo sulla pagina facebook e lo sanno tutti.

Cosa ne pensi del fatto che la vostra musica è capace ancora oggi di attrarre non solo i vostri vecchi fan ma una nuova generazione di fan, ragazzi che magari nel 1995 erano bambini o non erano addirittura ancora nati?

Penso che sia grandioso, siamo felicissimi di questo, ai concerti troviamo sia persone che ci seguivano all’epoca e che vengono ai live con le vecchie t-shirt e magari portano i loro figli, sia ragazzi che ci conoscono grazie solamente al nuovo disco. Per noi tutto ciò è grandioso: in alcuni Paesi trovi un pubblico più “anziano”, come ci è successo adesso in Germania, in altri un pubblico più giovane, come negli Stati Uniti. Sono curioso di vedere cosa capiterà in Italia.

Che rapporto avete con l’Italia? Avete suonato a Milano circa 6 mesi fa, adesso suonerete anche a Bologna… c’è qualcosa del nostro Paese che amate particolarmente?

Penso che tutti amino l’Italia, tra l’altro io ho un po’ di Italia nella mia storia personale, mia madre arrivò in Scozia da…sto cercando di ricordare dove, dalla zona di Torino mi pare, il suo cognome è Rebello. Penso che comunque tutti in generale amino l’Italia come dicevo, il cibo, il tempo, i paesaggi: anche se ora so che c’è un tempo orribile, i vostri paesaggi innevati sono bellissimi.

Inoltre negli anni ’90 non abbiamo mai suonato in Italia, per cui quando siamo tornati nel 2014 volevamo per forza suonare da voi e siamo felici di esserci riusciti.

Ultima cosa che ti chiedo: il 7 luglio suonerete al maxi-evento per i 40 anni di carriera dei Cure, quindi ti chiedo se sono una delle vostre band preferite e delle band che vi ha ispirato quando avete iniziato. Inoltre l’anno prossimo saranno anche 30 anni di Slowdive, ci possiamo aspettare qualcosa di speciale?

Wow, è vero. Penso che nessuno di noi quando abbiamo iniziato avrebbe pensato che nel 2018 o 2019 avremmo fatto ancora musica o tour, da quando ci siamo rimessi insieme nel 2014 ci stiamo semplicemente godendo il momento, senza fare progetti così a lunga scadenza, per cui non so dirti se ci sarà qualcosa di speciale tra un anno. Ci penseremo. Per quanto riguarda i Cure, quando eravamo ragazzi eravamo tutti loro fan, tutti abbiamo suonato almeno un loro pezzo, credo siano una delle band che ha più influenzato la nostra generazione, per cui quando ci hanno chiamato per questo show ci siamo subito detti che dovevamo esserci.

(Intervista e traduzione a cura di Alessio Gallorini)

 

 

 

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Il fondatore dei Kings of Convenience torna nel nostro Paese per un minitour davvero speciale

Erlend Øye, mente dei Kings of Convenience e leader anche dei The Whitest Boy Alive, ama tantissimo l’Italia, non lo ha mai nascosto e quando può ci torna, non solo per suonare ma anche in vacanza, tanto che nel 2012 ha comprato casa a Siracusa, in Sicilia e si è stabilmente trasferito lì.

Nel prossimo mese di aprile, il fervido compositore di Bergen (Norvegia), delizierà i fan italiani con un mini-tour solista che lo vedrà esibirsi per quattro date in altrettante città italiane,  per portarci tutta la bellezza dei suoi brani, resi nel modo più nudo e scarno possibile, chitarra, voce e poco altro.

Queste le date annunciate:

10 aprile 2018 – Milano, Santeria Social Club
11 aprile 2018 – Padova, Sala dei Giganti
13 aprile 2018 – Roma, Auditorium Parco della Musica
14 aprile 2018 – Bologna,Covo Club

 

La band scozzese regala uno show divertente ed ispirato nella sua seconda data italiana

16 anni dopo l’ultima volta, ieri sera, in un San Valentino piuttosto freddo, sono tornati a suonare in quel di Bologna i Belle and Sebastian, pop band scozzese iconica fin dalla metà degli anni ’90: ci hanno pensato Stuart Murdoch, Stevie Jackson e compagni a riscaldare i cuori di un Estragon stracolmo, regalando uno show divertente, scanzonato e quanto mai ispirato, che ha pescato sia dai loro grandi classici, sia dai brani più recenti.

Dopo l’ottima apertura dei divertentissimi Pictish Trail, band assolutamente da tenere d’occhio e perfetta per dare il là alla serata, i Belle and Sebastian hanno portato sul palco la loro consueta classe; una classe venata di ironia, capace di far sorridere e far emozionare allo stesso tempo, in un continuo gioco senza tempo di cui la musica è assoluta protagonista.

Da “Nobody’s empire” a “I’m a Cuckoo”, passando per “Another sunny day” o una carichissima “I want the world to stop” la band scozzese dà un saggio della propria bravura e di quanto si trovi a suo agio sui palchi italiani: Murdoch balla e dialoga in un buon italiano con il pubblico, spiegando come sia venuto da Milano in treno e non col tour bus e che l’unica cosa che abbia visto di Bologna sia stata in pratica il parcheggio della stazione, rammaricandosi di questo. Il tour di Bologna dei Belle & Sebastian è esemplificato sul maxischermo alle spalle della band, si va da una foto della squadra del Bologna del 1964, fino ad una di una giovane e bellissima Raffaella Carrà, senza dimenticare una foto di una Ducati d’epoca: insomma i nostri hanno ben chiari i miti bolognesi ma gli manca un quadro della Bologna di oggi a causa del poco tempo.

Tempo che non manca invece nello show, sempre ritmato e pronto a riprendere vigore un brano dopo l’altro; “Like Dylan in the movies” fa battere i cuori all’impazzata, ma è su “The boy with the arab strap” che succede la magia e Murdoch invita parte del pubblico a ballare sul palco, in un happening tanto improvvisato quanto riuscito, come la successiva “Love is in the air”, inserita in scaletta espressamente per San Valentino e su cui il cantante regala fiori alle coppie presenti nelle prime file, facendo diventare questa data davvero qualcosa di unico.

Si chiude, solo momentaneamente, con “Judy and the dream”, mentre nel bis c’è spazio anche per una richiesta non prevista che arriva direttamente da un “gentleman” (come lo chiama Stuart) in sala: ovvero la romanticissima “The fox in the snow”, tratta da quel capolavoro che è “If you’re feeling sinister”.

La festa non può che chiudersi con “The party line” e non può non lasciare la sensazione di aver assistito ad uno dei live più divertenti, ispirati e riusciti degli ultimi tempi rispetto a ciò che si vede normalmente in Italia.

I Belle and Sebastian si confermano una band monumentale, ma ancora in perfetto movimento, sempre capace di regalare momenti di gioia purissima.

BELLE AND SEBASTIAN SETLIST AT ESTRAGON (14/02/2018)

Nobody’s Empire

I’m a Cuckoo

We were beautiful

If she wants me

Another sunny day

Sweet Dew Lee

I want the world to stop

Piazza, New York catcher

Like Dylan in the movies

The same star

Stay loose

Expectations

The boy with the arab strap

Love is in the air

(Legal man)

Judy and  the dream / Sleep the clock

Around

Conor Mason e compagni infiammano il Zona Roveri Music Factory, completamente sold out per la loro ultima data europea

La sensazione netta, appena finito il live dei Nothing but thieves a Zona Roveri (Bologna) di ieri sera, è stata quella di trovarsi di fronte alla “next big thing” della musica inglese: appena due dischi all’attivo (l’eponimo e il recente “Broken Machine”) e già una capacità di intrattenere degna di un grande festival o di platee ben più grandi rispetto ad un live club già comunque stracolmo di persone, un pubblico già affezionatissimo che cantava a memoria ogni singola strofa.

Si poteva forse presagire qualcosa di simile per loro, quando nel 2015 aprirono i Muse nella loro data a Roma, ma una crescita così repentina è comunque sorprendente e, allo stesso tempo, meritata: Conor e soci sono animali da palcoscenico e i loro brani sono potenziali inni per una generazione di 20/30enni che si ritrovano sia nei loro pezzi più catchy, come l’ottima “Trip switch”, sia nelle ballate (da brividi “Lover, please stay”).

Il sound è potente, denso, non lascia respiro e soprattutto non lascia spazio a momenti morti: ti guardi intorno e vedi gente estasiata, sorridente, che salta follemente (provate a stare fermi su “Ban all the music”) o che si commuove (“Sorry”) ed il tutto è esaltato dalla voce di Conor Mason, probabilmente una delle più belle e versatili della sua generazione, che in certi momenti ricorda quasi quella di Serj Tankian (e sicuramente i SOAD sono tra gli ascolti dei Nothing but thieves).

Quella bolognese era l’ultima data di un tour europeo che ha dato definitivamente la percezione che i Nothing but thieves sono una grande band, pronta a fare il salto definitivo verso platee che non si contino più in migliaia, ma in decine di migliaia, già probabilmente in veste di headliner.

C’è una generazione che li vuole, che si sente rappresentata da loro, che vede in questo smilzo biondo ragazzo dell’Essex un’icona.

Personalmente sono pronto a scommettere su di loro e a consigliarvi un loro live, ne resterete estasiati: è uno di quei live in cui sfogarsi in senso sia fisico che emotivo.

Chi li ha visti in questi primi due tour sicuramente lo racconterà vantandosene quando le platee saranno ancora più vaste.

NOTHING BUT THIEVES Setlist @ Zona Roveri (Bologna 04-02-18)

  1. I’m Not Made by Design
  2. Live Like Animals
  3. Wake Up Call
  4. Trip Switch
  5. Soda
  6. Number 13
  7. Drawing Pins
  8. Graveyard Whistling
  9. I Was Just a Kid
  10. Get Better
  11. Itch
  12. Jam
  13. If I Get High
  14. Broken Machine
  15. Lover, Please Stay
  16. Ban All the Music
  17. Sorry

Encore:

18. Particles

19. Amsterdam

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Dopo i live della scorsa estate, rispettivamente al Medimex di Bari a giugno e ad Unaltrofestival a Milano a settembre (qui il nostro live report), nel 2018 torneranno nuovamente nel nostro Paese gli Slowdive, indiscussi alfieri dello shoegaze, che hanno rilasciato un album di inediti dopo ben 22 anni.

Il loro tour ricco di sold out approderà a marzo a Bologna e Milano, rispettivamente al Locomotiv Club e all’Alcatraz, per due date in cui di certo Rachel Goswell e compagni non faranno mancare i grandi classici del loro repertorio, che li ha resi immortali.

Riunitisi nel 2014, gli Slowdive, band proveniente da Reading, hanno rilasciato nel 2017 il primo album di inediti, semplicemente omonimo, a 22 anni di distanza da “Pygmalion”, loro precedente fatica.

Questi i dettagli delle date italiane:

03 marzo 2018 @ Bologna – Locomotiv Club
Biglietto: 25 euro + d.p.

04 marzo 2018 @ Milano – Alcatraz (in collaborazione con TOdays festival)
Biglietto: 22 euro + d.p.

Le prevendite per entrambe le date sono già disponibili sul circuito Ticketone.

 

Cristiano De André in concerto a Padova, 12 maggio 2017

Prosegue il tour di Cristiano De André, che dal 6 marzo di quest’anno è impegnato nel “De André canta De André Tour 2017”, una nuova tappa nel percorso di riavvicinamento e reinterpretazione nelle opere di Faber che Cristiano affronta arrangiando e interpretando con occhi moderni l’eredità musicale del padre.

A dicembre, il tour farà tappa in quattro città italiane:

7 Dicembre – Teatro la Fenice – Senigallia
12 Dicembre –
Obihall – Firenze
15 Dicembre –
Teatro Duse – Bologna
16 Dicembre –
Palabassano2 – Bassano del Grappa

Cristiano torna dunque a Firenze e Bologna dopo le due date primaverili del 7 marzo a Firenze e del 28 marzo a Bologna. “Tornerò presto”, aveva promesso, e ha mantenuto la parola.

Nel frattempo, lo scorso ottobre, è uscito “De André canta De André Vol. III”, terzo album di Cristiano in cui ripropone, rilegge e reinterpreta i capolavori di papà Fabrizio e il suo sound unico e tanto amato – dopo De André canta De André – Vol. 1” (2009) e “De André canta De André – Vol. 2” (2010).

“Voglio vivere così, nelle spume degli angeli, tra le infinite cadute delle stelle, nella casa che mi hai costruito, dove abita il tuo profumo – commenta con parole ispirate Cristiano De André – Voglio vivere ancora vent’anni nel calore del tuo abbraccio, nel maestrale, fra gli alberi e le foglie. Fra i rami di rosmarino e nella giostra delle lepri, nelle notti dei fantasmi sulle tegole e nell’ignoto delle onde in cerca di un porto, come la tua attenzione. Per questa luce di giustizia e in questa strada che guarisce, voglio vivere e imparare ancora come si fa”.

Quella di Firenze, in particolare, non sarà una data come le altre: in quel teatro infatti Faber ha lasciato ricordi indelebili: qui fu registrato gran parte dello storico live “Fabrizio De André in concerto – Arrangiamenti PFM” e proprio per questo il teatro ha chiesto e ottenuto di poter intitolare a Fabrizio De Andrè la strada dove è situato l’ingresso. Sarà quindi un live ancoa più intenso, una rievocazione di atmosfere, musiche ed emozioni che Faber ha seminato e che ora il figlio Cristiano cura e fa crescere nel cuore di chi lo ha ascoltato.

Doppia data italiana a fine mese per l’attrice Chrysta Bell, musa del regista David Lynch e protagonista della nuova acclamatissima stagione di Twin Peaks nei panni dell’agente Tammy Preston: l’attrice e cantante statunitense ha pubblicato quest’anno il suo secondo album, “We dissolve” e arriverà in Italia a presentare le sue ultime creazioni musicali accompagnata dalla sua band (Christopher Smart // Basso e voce; Hanson Cole // Chitarra; Jayson Altman // Batteria)
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A dimostrazione del talento della Bell c’è da dire che delle registrazioni del disco si è occupato nientemeno che John Parish, storico produttore e sodale di PJ Harvey e vi hanno collaborato ospiti del calibro di Adrian Utley (Portishead), Geoff Downes (Asia, Yes) e Stephen O’Malley dei Sun O))).

Questi i dettagli delle date italiane:

28 novembre Bologna – Bravo Caffè (biglietti 20 euro, disponibili solo in cassa la sera del concerto)

29 novembre Foligno – Supersonic Music Club (Prevendite Ticket Italiagoo.gl/4jGFMB €11,50 prezzo finale – Biglietto in cassa la sera del concerto: 15 euro). Tutti i dettagli nell’evento facebook.

Qui sotto potete vedere il video del singolo “Heaven”, estratto da “We dissolve”.