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COMCERTO

King Krule at Magazzini Generali 28/11/17 photo by Giulia Manfieri
King Krule at Magazzini Generali 28/11/17 photo by Giulia Manfieri

Mai visti i Magazzini Generali di Milano più gremiti di gente. Sono tutti estremamente euforici all’arrivo del piccolo genio londinese dalla chioma rossa per la prima volta in Italia in un’unica data sold out: Archy Marshall, in arte oggi King Krule.

Vale la pena ripercorrere i primi passi di questo ragazzino classe ’94 che cresce con influenze musicali al di fuori dal comune e pubblica su internet i suoi primi “esperimenti” musicali dall’interno della sua cameretta a East Dulwich, diventando presto un fenomeno di richiamo in tutta la scena indie suburbana europea e non solo, per le sue particolari caratteristiche: scrive musica passando dal punk al jazz, i suoi testi sono rap, ma canta da crooner come nessun ragazzo della sua età ha mai fatto prima.

Zoo Kid, Angus Young, Edgar The Beatmaker, DJ JD Sports…sono tanti gli pseudonimi con cui si firma tra cui il più famoso, King Krule per l’appunto, con il quale pubblica nel 2013, all’età di 19 anni, il suo primo vero album, 6 Feet Beneath The Moon: un capolavoro.
“I want to get more and more sophisticated. I’m ready to go from being a kid to being a king” disse al The Guardian quel giorno di quattro anni fa.
Il 28 novembre 2017, è a Milano per una delle tappe del tour di The OOZ, il suo secondo album pubblicato il 13 ottobre, per farci sentire come procede questo suo percorso.

In mezzo ai fumi di un palco che sembra maledetto, King Krule e la sua band attaccano con due canzoni del vecchio album, giusto per scaldarsi con qualcosa che magari è loro più familiare, ma è un inizio debole. La folla ai loro piedi comincia ad agitarsi solo con il primo pezzo più movimentato, Dum Surfer, per poi impazzire alla famosa A Lizard State e lasciarsi trasportare da pogate e ondate di fanatismo.

Entriamo così nel vivo di un breve (poco più di un’ora di durata) ma intenso live che vede l’alternarsi di raffinati momenti jazzatini, un po’ acerbi data la giovane età di tutti i componenti del gruppo, e di strazianti urla, chitarre sgraffianti, atmosfere dark. Il pubblico vuole arrivare all’artista, lo brama ardentemente, lo invoca e lo provoca. Ma Archy, nonostante tenta qualche parola di ringraziamento, viene sovrastato dai suoi fan e rimane lontano, nella sua solitudine, nella sua repulsione verso gli “altri”, nel profondo della sua tenebrosa voce baritonale.
Mentre suona si rivolge spesso ai suoi compagni, con la chitarra che gli pende al collo come un peso di piombo, si atteggia alle volte al King del palco, ma poi in un grido lacera quella che è la realtà: un giovane talento in balia di ciò che è agli occhi del mondo, indifeso, forse impreparato.
Nel cuore del concerto, con pezzi come Little Wild, Emergency Blimp e la magnifica titletrack The Ooz – “Is anybody out there? ‘Cause I’m all alone” – questa straziante verità diventa palpabile. Ma forse è questo che ci piace di più perché è ciò che rende le sue parole, la sua performance e la sua musica più autentico che mai, che lo rende un vero artista, al di là della sua bravura nel comporre da solo testi e musica.

A coronare questo inaspettato trionfo suonano una dopo l’altra le canzoni che lo hanno consacrato: Baby Blue, Easy Easy e Out Getting Ribs, ricordandoci l’importante punto di partenza di una carriera, ancora agli esordi, destinata a brillare sempre di più.

SETLIST:
Has This Hit?
Ceiling
Dum Surfer
A Lizard State
Midnight 01 (Deep Sea Diver)
The Locomotiv
Rock Bottom
Little Wild
Emergency Blimp
A Slide In (New Drugs)
The OOZ
Half Man Half Shark
Baby Blue
Easy Easy

ENCORE:
Out Getting Ribs

King Krule at Magazzini Generali 28/11/17

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Un gradito ritorno per tutti i fan italiani della band  londinese alternative Rock dei The Horrors  che si esibiranno in due attesissime date il 5 Dicembre al Magnolia di Segrate e il 6 Dicembre al Locomotiv di Bologna con la supervisione organizzativa di Comcerto.

I due concerti saranno altresì interessanti per la possibilità di ascoltare dal vivo molte tracce del nuovo lavoro “V” uscito in Settembre di quest’anno, quinto album della band formatasi nel 2005 dall’incontro tra Faris Badwan, Joshoua Hayward, Tom Cowan, Rhys Webb e Joseph Spurgeon.

The Horrors sono uno dei gruppi più cool ed originali del panorama indipendente internazionale e il loro successo iniziò già nel 2006 pubblicando  nel 2007 “Strange House” il loro primo lavoro full lenght.

Con le loro sonorità interessanti  e sempre in evoluzione,  i The Horrors trovano nei live una dimensione ideale nella quale esprimere tutto il loro potenziale, quindi un occasione da non lasciarsi sfuggire per tutti i fan del nord Italia.

 

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Archy Ivan Marshall è il giovane talentuosissimo cantante e musicista britannico dalla chioma rossa conosciuto anche come Zoo Kid. Ma è con lo pseudonimo di King Krule e con il suo primo album 6 Feet Beneath The Moon risalente al 2013 che ha attirato il grande pubblico facendolo innamorare della sua elettronica jazz, dark e punkeggiante e della sua voce calda e profonda tutt’altro che da ventenne.

In occasione della pubblicazione del suo secondo album The OOZ , avvenuta il 13 ottobre 2017, King Krule ha iniziato un lungo tour internazionale che toccherà il suolo italiano per un’unica imperdibile data:

28 novembre 2017 a Milano, presso i Magazzini Generali.

L’album è stato già accolto con successo da pubblico e critica, e i suoi concerti stanno registrando un sold out dopo l’altro. Vi auguriamo che uno dei biglietti andati a ruba per questa data sia vostro!

The Dandy Warhols sono tornati nella stessa venue (il Circolo Magnolia di Segrate) grazie anche all’organizzazione di Comcerto dopo alcuni anni di assenza dalle nostre latitudini, per presentare live sia il nuovo disco Distortland uscito nella primavera del 2016 , ma anche molti brani della loro ventennale storia musicale.

Usciti dalla sbornia del successo mediatico che arrivò repentinamente all’inizio del nuovo millennio con la superhit Bohemian like you, la band capitanata da Courtney Taylor Taylor ha poi continuato la sua ottima carriera con una portata inferiore ma non per questo meno qualitativa ed interessante.

Fautori di una Psichedelia Pop che li vede muoversi in ambito rock indie alternativo, The Dandy Warhols dal lontano Oregon, si presentano sul palco grande del Magnolia nel quartetto classico con Courtney alla voce e chitarra, Peter Holmstrom alla chitarra solista, Zia McCabe, tastiere, basso e cori e Brent DeBoer alla batteria.

Interessante da subito notare che il doppio microfono di Taylor permette di ottenere da un lato sonorità vocali filtrate simili al vocoder mentre dall’altro amplifica in modo tradizionale le tonalità particolarmente sfumate della sua voce. Di fatto le due chitarre si alternano sia nella riproduzione di toni più bassi in assenza dello strumento dedicato che Zia McCabe imbraccia solo in paio di episodi, e sia nell’esecusione di interessanti assoli lisergici . La batteria di Brent è precisa senza particolari sferzate ritmiche ma si attesta nel classico 4/4 rallentando o velocizzando a seconda del brano.

Il repertorio di Portland che è senza dubbio un bel disco , viene esplorato partendo dal singolo

thedandywarhols_distortland

molto radiofonico  Styggo con un refrain ripetitivo ma che che continueresti a cantare all’infinito passando a You are killing me più decisa e rockeggiante  per planare infine su Catcher in the Rye.

Dal loro disco Best seller uscito proprio nel 2000 Thirteen Tales from Urban Bohemia ritroviamo alcuni classici come Get off oppure Godless e il già citato Bohemian Like you che il pubblico da sempre aspetta con trepidazione per scatenare tutta l’irrefrenabile voglia di ballare.

Strepitosa We Used to Be Friends con i cori in fasletto e le tastiere di Zia McCabe a disegnare un’onda sonora che sale e scende fino ad infrangersi sulla scogliera.

Ritorniamo addirittura al secondo disco del 1997 con un back in the past di 20 anni per riascoltare Not If You Were the Last Junkie on Earth  e per gli inaspettati encore di Pete International Airport e Boys Better in chiusura di un ottimo concerto che ripaga ampiamente della lunga attesa e riconferma i Dandy Warhols come una band che non ha abbandonato il suono che li ha contraddistinti sin dagli esordi e che ha ancora molto da da dire e soprattutto da suonare.

 

 

 

 

 

 

Per quanto possa sembrare una via bizzarra, può capitare che per riappacificarsi con la purezza naïf del rock si possa anche passare dalle strade tortuose dell’elettronica. Quella in questione che compie il miracolo appartiene ai Suuns, band di Montreal che con il recente Hold/Still giunge al suo terzo album in studio (da considerare a parte c’è il disco in collaborazione con i Jerusalem in My Heart dell’anno scorso). I Suuns sono una band ibrida e la loro elettronica è ben lontana dall’essere fredda e impersonale proprio perché suonata con tutti gli strumenti del rock.
In un groviglio di cavi e pedaliere, i quattro prendono posto sul palchetto del Biko che a malapena li contiene. Si alzano le luci, a illuminare il loro nome scritto a caratteri gonfiabili sullo sfondo, e si parte.
Ben Shemie è il leader carismatico che riesce a catalizzare gli sguardi dei presenti, dal primo all’ultimo. Liam O’Neill alla batteria, Max Henry al basso e synth e Joseph Yarmush alla seconda chitarra fanno altrettanto.
Il loro è un approccio pienamente fisico che non può non chiamare il totale coinvolgimento del pubblico (compreso il bambino in prima fila che non smette di far ondeggiare la testa). Non serve setlist, non si parla di canzoni ma di un flusso unico e ininterrotto: suono che prima sfiora poi assorbe fino a fagocitare totalmente.
La voce di Shemie è il filo rosso che lega i vari cambi d’atmosfera sonora: aliena e in uno stato di tensione perenne, grazie alla ripetizione di poche e precise parole diventa essa stessa uno strumento, parte integrante del rumore. Persino la chitarra a un certo viene cambiata e diventa trasparente come se vedere gli strumenti non servisse.
Eppure nel buio, si riesce a scorgere tutti: Il corpo di Shemie, si muove sinuoso, il batterista picchia forte e senza sosta, il tastierista guarda il muro e gira su se stesso, Yarmush ha il volto completamente coperto dai lunghi capelli. Belli anche da vedere, insomma e, cosa più importante, tutti musicisti non improvvisati.
E’ come se, prendendo in prestito i passaggi di stato, durante il live dei Suuns si riesca a evitare lo stato liquido preferendo la sublimazione immediata, nonostante il genere che fanno lo richiederebbe.
Uno degli apici si ha durante l’esecuzione di Resistence, uno dei brani più emblematici dell’ultimo lavoro che condensa a pieno l’essenza della band: minimale, categorica, futuristica.
Il continuo avvicinare le chitarre agli amplificatori non è un vezzo ma un gesto necessario per creare quei suoni distorti per loro fondamentali. Instument, Translate e 2020 (dal secondo lavoro Images Du Futur) sono solo alcune delle tappe che il percorso di tenebre pulsanti che la band canadese regala sul palco.
Escono e poi rientrano per il bis, salutano e ringraziano tra i fischi (di approvazione). Alla prossima.

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Il nuovo progetto di Federico Albanese (già metà del duo La Blanche Alchimie assieme a Jessica Einaudi), The Blue Hour, è stato pubblicato lo scorso 15 gennaio per la Neue Meister, la nuova sub-label di Berlin Classics dedita alla musica contemporanea. 13 brani registrati con un registratore a nastro degli anni Sessanta, strumento che gli ha permesso di cogliere tutte le sfumature nascoste e le imperfezioni, i rumori del pianoforte e dello spazio circostante, facendoli poi incontrare e fondere con archi, elettronica e strumenti da lui stesso costruiti.

Ora il talento della neo-classica minimalista, italiano di nascita ma berlinese d’adozione, lo presenta con un tour che tocca anche alcune città italiane.  Albanese riesce a fondere con naturalezza estrema il suono del pianoforte con l’elettronica, creando spazi evocativi di raffinata bellezza, trasportando con grazia l’ascoltatore in uno spazio altro tra sogno e malinconia, sull’onda di Max Richter e Olafur Arnalds.

Ecco le date italiane:

Giovedì 29 settembre – Locomotiv Club – Bologna

Venerdì 30 settembre – Ribbon Club -Terracina (LT)

Sabato 1 ottobre – Arci Bellezza – Milano

Domenica 2 ottore – Teatro Supera -Nichelino (TO)

UNALTROFESTIVAL, la due giorni di musica organizzata da Comcerto, giunge quest’anno alla quarta edizione e regala, sempre nella cornice verde dell’idroscalo, una programmazione ricca più che mai.

I cancelli aprono presto e la gente inizia ad arrivare subito. I palchi sono due, ed è sul più piccolo che puntuali iniziano ad esibirsi i Sunday Morning, band romagnola con una storia comune ai tanti che spesso cercano di vivere di musica ma alle volte faticano. Iniziano a suonare una decina d’anni fa, poi si fermano, poi si ritrovano e fanno uscire un secondo disco che stasera presentano, dal titolo Instant Lovers. Il classic rock come riferimento ma una storia che matura nella provincia italiana, la musica dei Sunday Morning è forse più ibrida di quanto loro stessi pensino. Sul palco hanno una buona energia, il pubblico non li conosce ma sembra apprezzare.
Non c’è tempo nemmeno per un drink, cambio di palco, altra band. Il nome Landlord dirà qualcosa agli appassionati del talent X Factor dato che il gruppo ha preso parte all’ultima edizione del programma. La visibilità offerta dall’esperienza televisiva ha portato alla pubblicazione loro ep di debutto Aside (INRI). Ringraziano e si dicono emozionati per l’opportunità, è la prima volta volta che presentano il nuovo singolo live. Cantano in inglese, la loro è un’elettronica di classe che alterna episodi pop (Get By) a momenti più raffinati (Venice). Sono giovani, con poca esperienza alle spalle ma senza dubbio capaci e interessanti.

Ci si sposta di nuovo per i The Strumbellas, band canadese con radici country ma un piede ben piantato nel pop. Nati sotto un etichetta indipendente con la quale pubblicano il primo disco My Father and the Hunter (2012), oggi sono qui per presentare Hope, uscito da qualche mese.
Formazione classica con tutto l’indispensabile (acustica, elettrica, basso, batteria, tastiere, violino quando serve) sono bravi ma ascoltandoli in radio verrebbe da pensare a una carenza di personalità che rischi di farli annegare nell’oceano delle band simil-folk che da anni spuntano come funghi. E invece no: Simon Ward, chitarra e voce, ha energia da vendere, canta e balla a piedi nudi, intrattiene il pubblico. Il simpatico nerd Dave alle tastiere, azzarda qualche parola di italiano, Isabel Ritchie suona al violino e balla in maniera scomposta ma contagiosa. I fans sono numerosi ed entusiasti. Un pezzo dopo l’altro We Don’t Know, Wars, Young & Wild e l’allegria contagia anche i più scettici. Dopo aver mostrato il doppio disco di platino, la chiusura con la hit Spirits fa cantare davvero tutti.

Ed ecco arrivato il momento del primo dei due headliner della serata: Edward Sharpe & The Magnetic Zeros. Il carrozzone hippie capitanato di Alex Ebert fa il suo ingresso sul palco. Una band che è più simile a una comune, in cui chi vuole va e poi torna (stasera sul palco sono in otto ) che vive la musica come comunione e creazione. Unaltrofestival non è Monterey, verrebbe da dire, e in più il nuovo disco PersonA è un lavoro molto diverso rispetto ai precedenti. Ma con Alex Ebert non si sa mai, e infatti del nuovo disco neanche l’ombra. La scaletta non c’è, le canzoni vengono proposte dal pubblico, l’anarchia regna sovrana.
Ebert passa quasi tutto il tempo a girovagare, canta in piedi sulle transenne, racconta e chiede gli vengano raccontate storie. 40 Day Dream per iniziare, poi Mayla e Truth e i fans sono in delirio. La band segue le improvvisazioni del suo frontman che non ha davvero freni: voce magica, presenza scenica, energia che regala al pubblico e il pubblico restituisce quadruplicata. Una ragazza nelle prime file ha avuto la splendida idea di portare con sè una sparabollle ed è tutto ancora più bello. A Man On Fire, insomma, come da titolo. C’è spazio anche per qualche riflessione sui massimi sistemi everything dies, don’t you think? (la bottiglia di vino rosso appoggiata sul pianoforte aiuta). Up From Below e Janglin’ e l’estasi è definitiva. Ebert parte e scappa, fa abbassare tutti giù per terra e canta con loro. Ed ecco arrivato il momento della sempre invocata Home. Gli Edward Sharpe & The Magnetic Zeros sono sono una band come le altre ma una vera e propria banda e, con trombe e tromboni, garantiscono una festa di qualità.

L’ultimo artista della serata impone un cambio d’atmosfera repentino: Daughter, il trio londinese capitanato dalla bellissima Elena Tonra. La cifra stilistica della band ormai inconfondibile per i fan e non solo: delicatezza, atmosfere rarefatte in cui a risaltare sono è una voce incantevole. Un set perfetto, equilibrato e coinvolgente. Tra il pubblico c’è chi ipotizza una natura angelica della leader, « altrimenti non si spiega », dicono. C’è modo di ascoltare i brani più acustici del primo sorprendente lavoro If You Leave (Human, Shallows, Smother) assieme a quelli il nuovo LP Not to Disappear, uscito a gennaio per la 4AD, decisamente più elettrico e con qualche episodio inaspettato. Una specie di strana quiete pervade i presenti: l’atmosfera è compatta e malinconica. La timidezza di Elena Tonra che riesce a malapena a sussurrare impercettibili “thank you so much” fa sorridere tutti, il chitarrista Igor Haefeli interviene in suo soccorso. Si passa alla lentezza esasperata con liriche strazianti del primo singolo Numbers, all’incredibile ultimo singolo No Care. Più parlata che cantata, col suo ritmo sincopato toglie il respiro e mostra la cantante  da un’altro punto di vista : la dea algida si lascia andare alla passione si sporca di rabbia. Ma ricomporsi è un attimo ed ecco arrivare Youth (chi non era qui per questo?) We are the reckless / We are the wild youth / Chasing visions of our futures. Nient’altro da aggiungere, tutti a casa con gli occhi lucidi e il cuore contento.

E stasera tutti di nuovo in pista con Editors e Ministri (ma anche Flo Bo Riva, Birthh e Flo Morrisey)

[Report: Laura Antonioli   –   Foto. Francesca Di Vaio]