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arab Strap

Aidan Moffat e Malcolm Middleton infiammano Bologna nella serata finale del Covo Summer Festival

10 anni dopo, qualche capello bianco e qualche chilo dopo, gli Arab Strap sono tornati e hanno confermato che agli apici del rock ci stanno ancora benissimo.

Un iconico Aidan Moffat ha sciorinato liriche e poesia, su un tappeto sonoro di straordinario livello, in cui la chitarra di Middleton la faceva da padrone, ben coadiuvata dal resto della band.

Il cortile del Covo Club era stracolmo per la band scozzese, pieno di tanti fan che sognavano il loro ritorno più di 10 anni dopo l’ultima volta italiana (era il 2006) e la band non ha deluso: il sound è ancora quello catartico, lucido e con quel pizzico di spirito “danzereccio” che non guasta, non si può non rimanere colpiti e affascinati:

brani come “Stink”, “Don’t ask me to dance” e “Girls of summer” fanno sobbalzare, mentre la poesia ci avvolge quando è il turno di “Piglet”.

“Speed-date” e “The first big weekend” sono accolte con due boati, soprattutto quest’ultima, una hit il cui ritornello va urlato a memoria come un mantra.

Nel bis arriva “Here we go”, dedicata ad una ragazza del pubblico che l’aveva appena richiesta e la chiusura di “Soaps”.

La sensazione che ti lasciano gli Arab Strap è di aver assistito a una vera e propria performance in bilico tra musica e poesia, la sensazione di esserti immerso, senza quasi rendertene conto, nel mondo di Moffat, nelle sue paure, nei suoi turbamenti, nelle sue piccole manie, nei suoi sentimenti. E’ come quando si legge un grande libro, vorresti non arrivasse mai la fine, poi arriva e ti lascia quella sensazione di piacere mista ad amarezza per doverlo chiudere.

Il live degli Arab Strap è esattamente così, ne vorresti subito un altro e poi un altro, un altro…

ARAB STRAP SETLIST @ Covo Summer (28/07/17)

Stink

Fucking little bastards

Girls of summer

Rocket, take your turn

Scenery

Don’t ask me to dance

Blood

The shy retirer

New birds

Turbulence

Piglet

Speed-date

The first big weekend

 

Here we go

Soaps

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Due date italiane nel tour di reunion del duo scozzese

Gli Arab Strap tornano a dieci anni dallo scioglimento. Aidan Moffat e Malcolm Middleton. In questi anni Moffat ha inciso come L. Pierre, ha collaborato con Bill Wells e Reindeer Section, inciso assieme al quartetto The Best-Ofs, senza dimenticare il poetry album ‘I Can Hear Your Heart’. Middleton ha invece realizzato sei lavori solisti usando anche lo pseudonimo Human Don’t Be Angry. I 20 anni di carriera celebrati con tre show in UK (Londra, Manchester e Glasgow sul finire del 2016) e il remix di ‘The First Big Weekend’. Middleton racconta: “Il giorno che ci siamo ritrovati al pub e abbiamo sciolto gli Arab Strap ci siamo detti che sarebbe stato bello tornare insieme dopo 10 anni, quasi per scherzo. Quel momento è arrivato, è tempo di celebrare e tornare a divertirsi suonando insieme i nostri pezzi.”

Ecco dunque la reunion che porterà il duo di Falkirk (Scozia) in Italia per due date la prossima settimana:

28 luglio – Covo Summer Festival – Bologna (Biglietti 20 euro + d.p.)

29 luglio – Vasto Siren Festival – Vasto (CH)

Ph Giulia Razzauti, Siren Festival 2016
Ph Giulia Razzauti, Siren Festival 2016
Ph Giulia Razzauti, Siren Festival 2016

Manca poco più di un mese all’evento che in molti stiamo aspettando. Perché nonostante il Siren sia un festival giovane, arrivato quest’anno alla sua quarta edizione, si è già fatto amare da pubblico e critica, affermandosi tra i più importanti festival estivi italiani.

Nel cuore dell’estate, 28 e 29 luglio 2017, ospite del festival come ogni anno è l’incantevole borgo di Vasto (CH) che offre le sue spiagge, le sue terrazze e i suoi patrimoni culturali per un godimento a tutto tondo dell’incredibile line up che anche quest’anno fa venir sete a tutti gli amanti della scena musicale elettronica, pop, hip hop e rock internazionale ed italiana, in una convivenza a dir poco paradisiaca:

venerdì 28 luglio – Baustelle, Apparat, Allah-Las, Cabaret Voltaire, Ghali, Jenny Hval, Giorgio Poi, Emidio Clementi/Corrado Nuccini, Andrea Laszlo De Simone, Francobollo, Colombre

sabato 29 luglio – Trentemoller, Ghostpoet, Arab Strap, Carl Brave x Franco126, Noga Erez, Daniel Miller, Populous, Lucy Rose, Gazzelle, Gomma, Zooey

Dunque quest’estate armatevi di occhiali, creme solari e teli mare, ma soprattutto degli ultimi biglietti ancora disponibili del festival sui vari circuiti.

Un’ultima nota da segnalare è il concerto preview del festival. Non al mare, bensì in città, o meglio, alla periferia di Milano: al famoso Carroponte di Sesto San Giovanni, location di eventi festivi per il capoluogo lombardo, il 13 luglio si esibirà il gruppo losangelino tutto al femminile Warpaint che nella sua unica data italiana verrà a inebriare la nostra torrida estate padana.

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Siren Festival 2017

Siren Festival 2017

Sono stati annunciati i primi nomi della quarta edizione del Siren Festival che si svolgerà a Vasto (CH) dal 27 al 30 luglio. Da domani giovedì 6 aprile saranno disponibili su www.sirenfest.com gli abbonamenti early bird per la manifestazione al costo di 50 euro più diritti di prevendita.

Qui tutti i dettagli:

ABBONAMENTI EARLY BIRD:
50 euro + d.p. abbonamento venerdì e sabato
Abbonamenti early bird disponibili da giovedì 6 aprile alle 11:00
www.sirenfest.com e www.bookingshow.it
Gli abbonamenti early bird sono disponibili per un periodo limitato

I nomi annunciati sono quelli di Allah Las, Apparat dj, arab Strap, Baustelle, Daniel Miller e Trentemøller. Ma cerchiamo di conoscere più da vicino gli artisti che saliranno sul palco di Vasto.

ALLAH LAS

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Freschi di pubblicazione del bellissimo Calico Review, pubblicato nel settembre del 2016, gli Allah-Las arrivano al Siren.  La band californiana si è imposta all’attenzione generale con il loro album di debutto omonimo, uscito nel 2012, in cui il quartetto, composto da Miles Michaud, Pedrum Siadatian, Spencer Dunham e Matthew Correia, ha dimostrato ampiamente tutto il suo amore per le sonorità psichedeliche degli anni ’60. Il gruppo si forma quando tre dei suoi quattro componenti lavorano al mitico Amoeba Store di Los Angeles, fonte inesauribile di gemme musicali della storia americana. E’ qui che approfondiscono la loro passione per il garage e la psichedelia.

L’universo sonoro degli Allah-Las è una perfetta miscela di pop stile British Invasion, di psichedelia della West Coast americana e di grezzo rock’n’roll garage. Sin dal primo singolo, (Catamaran) nel 2011, il quartetto viene prodotto da Nick Waterhouse sulla sua Pres Label. Nel 2012  il produttore fonda la nuova label Innovative Leisure e li porta con sé, producendo il loro omonimo debutto. È l’inizio dell’ascesa per la band californiana che riceve critiche entusiastiche anche in Europa, dove il suo debutto a Londra viene descritto dal Guardian come “a blissful 45 minutes on a cold night”.  Gli Allah Las si affermano come i capofila di un intero filone revivalista nei suoni,  celebrato anche in diverse serie televisive (“Aquarius” con David Duchovny di X-Files e Californication). Il 2014 vede la pubblicazione del secondo album Worship the Sun che non tradisce i fan e conferma il loro talento e il loro stile. Due anni dopo arriva Calico Review, raccolta di gemme pop psych pubblicato con la Mexican Summer che mette in luce la capacità della band di andare oltre il revivalismo e di dar vita ad un universo sonoro originale, frutto di diverse influenze.

APPARAT dj

apparat
Grazie a lui, il dancefloor ha (ri)scoperto un’anima: giocare anche sull’espressività, sulle emozioni, su dolci e feroci malinconie, e non unicamente sull’architettura ritmica. Apparat, alias Sascha Ring, classe 1978, è ormai a pieno titolo uno dei giganti dell’elettronica contemporanea: lo è da solista (“Walls”, 2007, è un caposaldo assoluto), lo è stato nelle collaborazioni con Ellen Allien (la co-produzione di “Berlinette” o l’album a due “Orchestra Of Bubbles”), lo è nell’aver dato vita assieme agli amici Modeselektor al supergruppo Moderat (tra album all’attivo, il primo nel 2009, e un successo che ha abbattuto steccati come pochissimi altri nell’ultimo decennio).

Ma lo è fin da quando John Peel, nel 2004, lo invitava ospite delle sue “Sessions”. Un’artista a trecentosessanta gradi, capace di passare dalle colonne sonore da compositore per il teatro su rifrazioni ambient e post rock (“Krieg Und Frieden”, 2013) a un’attività da dj fatta con piglio e personalità, dove le radici della musica elettronica così come oggi la conosciamo si si sviluppano su gemme old school, schegge acid, lunghe escursioni techno oscure ed inquietanti, arrivando però a contaminarsi con le frequenze basse e le ritmiche spezzate più contemporanee. Anche dietro la console, la sua visione è insomma forte, inconfondibile, unica. Una dote rara, al giorno d’oggi. Davvero rara.

ARAB STRAP

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A venti anni dalla loro formazione e a dieci dal loro scioglimento, gli  Arab Strap dopo una mitica reunion lo scorso anno per tre live andati sold out in poche ore IN UK, arrivano al SIren Fesival, freschi di pubblicazione di un doppio album contenente secret hits e rarities dalla loro carriera. Il duo cult-pop scozzese, composto da Aidan Moffat e Malcolm Middleton, arriva in Italia per celebrare il compleanno della band ad un anno dalla grande reunion ed a pochi mesi della pubblicazione del doppio album celebrativo.

L’omonima compilation, che racconta i dieci anni di una carriera tanto influente quanto controversa, mostra tutte le straordinarie capacità di una band che ha sempre rifiutato di conformarsi a qualsiasi aspettativa. Dall’ottima Shy Retirer al piano noir di Love Detective, dal lo-fi sconnesso di The Clearing all’elettronica spartana di Rocket, Take Your Turn, gli Arab Strap si sono rivelati sempre senza paura ed originali sin dal primo minuto di Aidan in First Big Weekend del 1996.

Arab Strap, uscito a fine settembre, come racconta lo stesso Moffat, mette in luce le varie anime della band: “Abbiamo scelto 20 canzoni – una per ogni anno da quando abbiamo iniziato – e deciso di dividerle in due sezioni di dieci ciascuna. Il primo disco è una sorta di best-of, con particolare attenzione alle cose un po’ più elettroniche. Il secondo disco contiene rarità tratte da EP, b-side, out-take e c’è un po’ più rock qui. Credo che tutte queste canzoni sarebbero dovute entrare negli album per cui sono state scritte, ma qualche volta cerco di raccontare una storia e queste probabilmente non sarebbero entrate bene. Questo cd contiene canzoni più rock e con una batteria vera, quindi tutti quelli che cercano il nostro lato più noise, dovrebbero rimanere soddisfatti.”

L’idea di una possibile reunion per una serie di concerti anniversario è arrivata nello stesso momento in cui la band si è sciolta, ha confessato Middleton. “Credo che il giorno in cui andammo al pub e ci siamo sciolti, scherzammo sul fatto che gli Arab Strap si sarebbero riuniti 10 anni dopo per festeggiare il momento. Quindi si tratta proprio di questo: un’occasione per godere della musica che abbiamo fatto, ancora una volta”. Tutti coloro che da anni sentono nostalgia del suono inimitabile e indimenticabile del duo,voce fondamentale dell’indie rock, saranno finalmente ripagati dell’attesa!

BAUSTELLE

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Certamente non hanno bisogno di presentazioni i Baustelle. Mentre il tour teatrale di presentazione dell’album L’amore e la violenza è ormai arrivato al giro di boa, facendo registrare ovunque il tutto esaurito, i Baustelle annunciano oggi la loro partecipazione al Siren Festival, nell’ambito del tour estivo intitolato L’estate, l’amore e la violenza. L’amore e la violenza (Warner Music) è il nuovo acclamato album dei Baustelle prodotto artisticamente da Francesco Bianconi e mixato da Pino “Pinaxa” Pischetola. Composto da dodici brani – dieci canzoni e due brani strumentali – si tratta del settimo album di studio del gruppo.

“Quando penso a questo disco l’aggettivo che mi viene in mente con più frequenza è “colorato”” – dice Francesco Bianconi. “Volevamo fare un disco con dentro le canzoni pop che non sentiamo mai alla radio, fare un disco di canzoni pop che per una volta, come una volta, non temano di rivelare una propria eccitante complessità. Questo è forse il nostro disco più libero, da questo punto di vista. In una intervista di qualche mese fa ho detto che “L’amore e la violenza” sarebbe stato un disco “oscenamente pop”. Questo intendevo: musica che non si vergogna di esibire la propria libertà. In questo senso è “colorato”: nella maniera in cui gioca a essere libero. Chi l’ha detto che non si può far suonare Haydn e Moroder nella stessa stanza? Dipende dal modo in cui li fai suonare, e dal coraggio che hai nel lasciarli provare.”

La band di Francesco Bianconi (voce, chitarre, tastiere), Claudio Brasini (chitarre) e Rachele Bastreghi (voce, tastiere, percussioni) sarà affiancata sul palco da Ettore Bianconi (elettronica e tastiere), Sebastiano De Gennaro (percussioni), Alessandro Maiorino (basso), Diego Palazzo (tastiere) e Andrea Faccioli (chitarre).

DANIEL MILLER

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Fondatore della Mute Records, colui che ha scoperto nomi come Depeche Mode o Moby (giusto per citarne due, ma l’elenco sarebbe lunghissimo): Daniel Miller, classe 1951, potrebbe vivere di rendita sul suo status di leggenda della discografia mondiale.
Ma la sua attitudine, da sempre visionaria, spigolosa, rivolta verso il suono del futuro, lo ha portato negli ultimi anni a reinventarsi una carriera come dj in campo techno ad altissimo livello. Nasce tutto dall’invito dell’amico (e fan!) Karl O’Connos, alias Regis – metà del duo Sandwell District, un’istituzione della techno britannica più solida e priva di compromessi – per dividere la console durante un set al Berghain, santuario assoluto della club culture globale più intransigente e rigorosa. Niente di nostalgico, nessun set revival a celebrare glorie passate (come la seminale hit “Warm Leatherette”, anno 1978, la produzione che ha lanciato Miller nell’industria discografica alternativa), ma suoni cupi, cattivi, inquietanti, una tech-house perfettamente al passo coi tempi se non direttamente con un futuro sinistramente distopico. Da lì in avanti sono arrivate chiamate di enorme prestigio: lo Space ad Ibiza, il Melkweg durante l’Amsterdam Dance Event, il Sónar, il Bootleg a Tel Aviv, Culture Box a Copenhagen, una Boiler Room a Berlino targata m_nus su invito diretto di Richie Hawtin.r

TRENTEMØLLER

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Ricami melodici che colpiscono al cuore, attenzione al suono in ogni minimo dettaglio, la capacità di combinare sensibilità indie e quelle elettroniche con un piglio raro, molto personale: è con queste armi che il danese Anders Trentemøller è diventato uno degli artisti più amati dell’ultimo decennio. Una storia d’amore, quella fra lui e un pubblico fin dall’inizio molto vasto, preparato e trasversale, iniziata dalle sue prime produzioni (una serie di EP a partire dal 2003) e soprattutto dal suo album d’esordio “The Last Resort”, anno 2006, finito all’epoca in moltissime classifiche sui migliori album dell’anno, dandogli definitiva consacrazione. I successivi “Into The Great Wide Yonder” (2010) e “Lost” (2013) non hanno fatto che confermare il suo status di artista sia di culto, sia in grado di parlare a pubblici diversi, sfaccettati.
La musica di Trentemøller sfugge infatti catalogazioni precise: il suo tocco molto personale nell’attraversare le coordinate comprese fra elettronica ed indie non si fa in alcun modo ingabbiare in traiettorie predeterminate. “Fixion”, uscito a settembre 2016, più che essere una rivoluzione rispetto al suo predecessore “Lost” (lavoro che probabilmente meglio di tutti è riuscito a catturare e raccontare lo spirito della musica Trentemøller nella sua traduzione live, lì dove gli album precedenti erano più “avventure da studio”) ne è una prosecuzione ideale. Restano alcuni fondamentali tratti distintivi: il tocco malinconico, la preziosità delle soluzioni melodice ed armoniche, un romanticismo di fondo molto scuro.

Mai come prima comunque si è fatta attenzione a rendere il suono vivo, organico, e a lavorare attorno a una strutturare più tradizionale e riconoscibile di forma canzone. Apparentemente, un disco più immediato e semplice rispetto ai suoi predecessori: come sempre però nel lavoro dell’artista danese il lavoro sottotraccia è notevole, molti elementi a prima vista nascosti si rivelano piano piano – è in questa maniera che si riesce ad avere un suono unico, riconoscibile, inconfondibile, che spesso flirta con la sperimentazione e sa muoversi con naturalezza da pochi tocchi minimalisti di synth via via fino a una cruda energia che lambisce le sponde dell’electro-punk più energetico.

Energia che contrassegna sempre più il suo aspetto live, dal 2007 con una vera e propria band e non più in solitaria. Il tour che segue l’uscita di “Fixion” vede Anders Trentemøller sul palco con altri quattro rodati compagni d’avventura, tra cui Marie Fisker alla voce, pronti a destreggiarsi tra basso, chitarra, batteria e vari synth. Un organico di grande impatto, la cui forza è ulteriormente valorizzata dal solito attentissimo lavoro su luci e visuals e dal contributo dell’artista svedese Andreas Ermenius (già responsabile dell’artwork di “Fixion” e regista dei video dei tre singoli da esso estratti), che ha curato il design del palco.