Recensioni concerti

I report dei più importanti concerti in Italia: band italiane e internazionali, rock, pop, elettronica, punk, alternative e molto altro altro ancora. Photogallery e recensioni, report e scalette del concerto, immagini, video e racconti di tutta la musica live in Italia.

L’ultimo pezzo della playlist prima del set dei The National è stato “Riders from the storm” dei Doors, poi, intorno alle 22.30, Matt e compagni sono saliti sul palco e, incredibilmente, è davvero iniziato a piovere, mentre loro ci davano il benvenuto con “Don’t swallow the cap”. Niente è parso casuale. Probabilmente, se lassù c’è davvero qualcuno, pure lui (o lei) stava ascoltando e si è semplicemente commosso.

Il set è stato di una perfezione travolgente e la cosa più straordinaria è stata vedere una band capace di creare un tale livello di empatia con il proprio pubblico, una complicità sussurrata eppure evidente di cui Matt Berninger era il portavoce: quando, in serie, sono scaturite dalla sua ugola “Bloodbuzz Ohio”, “Sea of love”, “Hard to find” e “Afraid of everyone” l’intensità del live ha raggiunto livelli epici, la pioggia era ormai un ricordo e Matt era perfettamente a suo agio, in quel suo mood da cantautore colto e serafico anche quando i pezzi si fanno rabbiosi.

Su “Squalor Victoria” eccolo lanciare il suo bicchiere di vodka tonic sulla folla, salvo poi riprendere subito il controllo ed emozionare tutti all’inverosimile con “I need my girl” e “This is the last time”. Da brividi.

Guardando i volti intorno si capisce perfettamente come la gente sia assorta, completamente rapita da quanto accade sul palco e lo stesso sarebbe avvenuto anche sotto una tempesta: i The National catalizzano e traducono le emozioni di tutti noi, situazioni che ognuno di noi, prima o poi, si è trovato a vivere e che Matt Berninger ha messo su carta (e poi in musica).

Dopo aver regalato altre perle (tra le altre “Pink Rabbits” e “Fake Empire” strepitose) è nel bis che tutta la verve del barbuto frontman viene fuori, quando su “Mr. November” si getta praticamente in mezzo al pubblico facendosi una passeggiata in mezzo alla piazza continuando serenamente a cantare, mentre “Terrible love” e “Vanderlyle Crybaby Geeks” sono il finale da apoteosi (con tanto di brano finale lasciato cantare al pubblico da un Matt ormai esaltatissimo e con la band che suona non amplificata dai microfoni) di una serata che sarà certamente da ricordare.

A proposito di cose da dimenticare invece, menzione speciale per l’apertura di Cat Power: una voce incredibile, talento strepitoso che però si fa oscurare da un carattere particolare: Cat appare perennemente a disagio, infastidita dall’impianto audio (e su questo, a giudicare da quanto si sente da fuori, ha perfettamente ragione) e non riesce mai a scaldare il pubblico (che era anche composto da suoi fan in buona quantità). Peccato, perchè il talento di miss Marshall è assolutamente cristallino e quando apre bocca ne escono assolute meraviglie vocali.

Palpabile il suo star male quando si scusa ripetutamente per il suo set con tutto il pubblico, al quale lancia dei fiori prima di fuggire via. Speriamo di riuscire a riascoltarla quando avrà “trovato la sua dimensione”… la sua poesia e unicità ha pochi eguali musicali al mondo, come ci tiene a precisare anche lo stesso Berninger dedicandole proprio una struggente “Hard to find”.

THE NATIONAL SETLIST LUCCA SUMMER FESTIVAL 26-07-2014

Don’t Swallow the Cap
I Should Live in Salt
Ada
(w/ Sufjan Stevens’ “Chicago” outro)
Bloodbuzz Ohio
Sea of Love
Hard to Find
Afraid of Everyone
Squalor Victoria
I Need My Girl
This Is the Last Time
Green Gloves
Abel
Apartment Story
Pink Rabbits
England
Graceless
Fake Empire

Encore:
Mr. November
Terrible Love
Vanderlyle Crybaby Geeks

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Amati alla follia o detestati a morte, i Dream Theater sono stati e continuano a essere, nel bene e nel male, protagonisti della scena metal. Considerati di fatto fondatori e capostipiti del progressive metal, il quintetto newyorkese ha alternato negli anni capolavori a produzioni decisamente sottotono, fino al primo disco dell’era post-Portnoy, “A Dramatic Turn Of Events“, uscito nel 2011. L’era del teatro del sogno, tra trionfi e clamorose battute d’arresto.
In questo concerto si festeggiano e commemorano i vent’anni di Awake e il quindicesimo anniversario di Metropolis Part 2: Scenes from a Memory, due album di altissima fattura sia tecnica che compositiva, ma anche ad una vera e propria opera teatrale. Melodie stupende, virtuosismi e tecnica strumentale ineccepibili, testi poetici e teatrali, ed un solo aggettivo: capolavoro.
Il concerto di questa sera a Grugliasco è stata una vera e propria opera che ha incluso metal, prog, jazz, gospel, dramma, new age e thriller tipico dei spettacoli vincenti dei Dream Theater.
Iniziato alle 21.00 e non alle 22.00 come ogni altro spettacolo del festival, la band capitanata da James LaBrie ha incendiato gli animi dei fans, tutti in piedi e pronti ad assaporare le 3 ore di musica a loro dedicate. Sul palco hanno dato il massimo; un live sicuramente molto più divertente e scoppiettante rispetto a quello dello scorso gennaio al Forum di Assago, anche l’audio e la sincronizzazione perfetta con il video hanno permesso di gustare questo tripudio di suoni, virtuosismi ed emozioni.
Famosi per non risparmiarsi, gli amanti del genere apprezzano particolarmente la durata e l’intensità dei concerti dei Dream Theater…e anche se qualcuno storce ancora il naso per la mancanza di Portnoy c’è da dire che la band continua spedita come un treno per la propria strada asfaltando tutti a suon di prog, metal prog.

Per chi si fosse perso il concerto di Milano, il nostro partner di Ricette Rock ha pubblicato una ricetta dedicata alla band con annessa recensione. Da leggere, cucinare e assaggiare!

James LaBrie – voce
John Petrucci – chitarra, voce
John Myung – basso
Jordan Rudess – tastiera, continuum, keytar
Mike Mangini – batteria, percussioni

Setlist:
Act I:
False Awakening Suite
The Enemy Inside
The Shattered Fortress
On the Backs of Angels
The Looking Glass
Trial of Tears
Enigma Machine (comprende Drum Solo)
Along for the Ride
Breaking All Illusions

Act II:
The Mirror
Lie
Lifting Shadows Off a Dream
Scarred
Space-Dye Vest
Illumination Theory

Encore:
Overture 1928
Strange Déjà Vu
The Dance of Eternity
Finally FreeIllumination Theory (Piano Outro)

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Bluvertigo: la carica dei 5.000 al Carroponte. I bene informati lo dicono spesso. La difficoltà più grande sta nel portare Morgan sul palco. Compiuta questa impresa, il gioco è fatto. A conferma di questa tesi arriva puntuale il concerto al Carroponte di Sesto San Giovanni, dove lo scorso 17 luglio i Bluvertigo hanno regalato ai fan uno show memorabile.

Da dove partiamo? Dal pubblico? Bene oltre 1.700 biglietti staccati in prevendita. Almeno in 5.000 ai piedi del palco al primo colpo di batteria. Ma questo numero potrebbe essere anche rivisto verso l’alto. Il concerto? Bello e divertente. Morgan in gran spolvero, pronto a saltare come un grillo, a cantare, a suonare, come raramente si era visto negli ultimi tempi. Andy gongolante per questa serata che ha confermato come in Italia ci sia ancora tata voglia dell’elettronica psichedelica dei BV. Poi Sergio, che ha fatto vibrare quella batteria come un portento. Livio che si è esibito in duetti con il “Castoldi”, come se il tempo non fosse mai passato. E poi due “ospiti” graditissimi, quali Megahertz, compagno degli ultimi show solisti di Morgan e Marco Pancaldi, chitarrista storico della band.

Insomma tutto perfetto o quasi: non si può pretendere che anni e anni di “ruggine” siano lucidati da un misero week end di prove. E’ stata sufficiente la professionalità di tutti per far capire che se i ragazzi vorranno continuare ad esibirsi sul palco tutti insieme, ci saranno gli spazi per migliorare l’intesa e per solleticare la fantasia della gente, che forse sta riscoprendo un qualcosa di storico, ma dannatamente all’avanguardia.

Per chi a Sesto non c’era, ecco la scaletta: Il Nucleo, Sono = sono, Il mio malditesta, Lsd (La sua dimensione), Vertigo Blu, So Low (L’eremita), Complicità (Here is the house cover), Decadenza, Cieli Neri, Sovrappensiero, L’assenzio, La crisi, Troppe emozioni, Idea Platonica, Afdv (Altre forme di vita), Fuori dal tempo, Psycho Killer (Talking Heads cover), Zero.

In calendario si prospetta un settembre con tre date:
Treviso (Home Festival – giovedì 4)
Ravenna (Pala De Andrè – venerdì 5)
Roma (Eutropia – L’altra città festival – martedì 9).
Rumors parlano di un possibile club tour in autunno.

E per chi se la fosse persa, ecco l’intervista a Sergio Carnevale prima dello show
Un ringraziamento a Mescal per l’invito.

Sole, mare e una bella città come Genova hanno fatto da cornice ieri sera, 16 luglio 2014, ad uno degli eventi organizzati in occasione della sedicesima edizione del Goa Boa Festival, il concerto di Paolo Nutini. L’Arena del Mare situata presso il Porto Antico – suggestiva venue nella quale si è svolta la prima delle tra tappe italiane del talentuoso artista scozzese, classe 1987 – ha cominciato ad affollarsi attorno alle 19.00. Ciò che è subito apparso evidente dopo una prima occhiata è la trasversalità di genere e generazione di appartenenza del pubblico che Nutini riesce a richiamare al proprio cospetto: c’erano sì giovani donne urlanti che correvano frettolosamente verso i cancelli per prendere posto prima degli altri ed accaparrarsi una miglior visuale del bel Paolo, ma anche uomini con mogli e figli al seguito, ragazzi con gli amici, o gruppetti di signore eleganti abbigliate come se dovessero andare alla cresima del nipote, tutti accorsi per sentire dal vivo colui che si è considerato uno dei più promettenti artisti europei della propria generazione. L’apertura è stata affidata ai Rainband, capitanati dal simpatico Martin Finnigan, che ha anche cercato di interagire con i presenti parlando in italiano, non sempre riuscendoci al meglio: il loro live è terminato senza particolari momenti rilevanti, eccenzion fatta per l’esecuzione del brano scritto in onore del compianto Marco Simoncelli, “Rise Again”, i cui proventi sono interamente destinati alla fondazione nata in nome del giovane pilota scomparso nel 2011.

Dieci minuti prima delle 22.00 finalmente Paolo Nutini, accompagnato dalla sua band, ha fatto la propria comparsa sul palco, tra le urla della folla: giacca di pelle (che non si è mai tolto per un’ora e tre quarti di live nonostante i circa 30 gradi che ieri il clima estivo genovese regalava anche a tarda serata), capelli spettinati sugli occhi e poche parole proferite per lasciare spazio quasi solamente alla musica. Il cantante, che quest’anno ha dato alle stampe il suo terzo e fortunato album intitolato “Caustic Love”, ha aperto il set con uno dei singoli contenuti nel nuovo lavoro, ovvero “Scream (Funk My Life Up)”. E proprio dallo stesso disco sono stati tratti gran parte dei brani eseguiti, come la successiva “Let me down easy”, ma anche “Looking for something”, “Numpty”, “Better Man”, “Diana”, “One Day”, “Cherry Blossom”, e infine la sofisticata e romantica “Iron Sky”, che ha terminato la prima parte decisamente in bellezza”. La scaletta ha però incluso anche molti vecchi successi e canzoni estrapolate dai primi due lavori di Nutini: “These Streets” (2006) e “Sinny Side Up” (2009): “Alloway Grove”, “Coming Up Easy”, “Jenny Don’t Be Hasty” (chiusa con un accenno di “New Shoes”), “Tricks of the Trade”, l’ominimo “These Streets”, “Pencil Full of Lead” e “No Other Way”. L’encore invece ha invece dato spazio a “Growing Up Beside You” e alla toccante “Candy”, ultima canzone eseguita con il gruppo prima di salutare tutti proponendo “These Streets” in acustico, supportato solo dalla propria fedele chitarra. Il concerto al quale abbiamo assistito ieri è stato emozionante e ben costruito, con Paolo Nutini, coadiuvato da ottimi musicisti, che ha dato prova di grande talento e passione per quello che riesce a fare molto bene da ormai qualche anno. Andate a sentirlo almeno una volta, non vene pentirete: il prossimo live italiano è quello fissato a Padova per stasera, ma Paolo Nutini ha già annunciato un nuovo appuntamento autunnale a Milano.

Paolo Nutini @Goa-Boa Festival – Genova – Porto Antico – 16 luglio 2014, setlist:

Scream (Funk My Life Up)
Let me Down Easy
Alloway Grove
Coming Up Easy
Looking For Something
Numpty
Jenny Don’t Be Hasty / New Shoes
Better Man
Diana
Recover
Tricks of the Trade
These Streets
One Day
Cherry Blossom
Pencil Full of Lead
No Other Way
Iron Sky

Encore

Growing Up Beside You
Candy
Last Request (acoustic)

Photo Credit Samuele Tosi

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La leggenda dei King Crimson approda a Torino al GruVillage a seguito di un tour mondiale che li ha visti partecipare anche della “Baja Prog”, il più grande festival di rock progressive del mondo. L’arena della musica di Grugliasco non è completamente sold out, qua e la c’è qualche sedia vuota ma quelle occupate sono tutte riservate ad orecchie fini, musicisti e veri intenditori; notiamo, infatti, tra le prime file anche l’amico Roberto Gualdi della PFM.
Parliamoci chiaro, il postulato è che non sono i King Crimson, ma fa lo stesso, vederne tre della formazione originale è comunque un bel colpo.

Tony Levin e Adrian Belew entrano nei King Crimson nel 1981, Pat Mastelotto nel 1994. Levin e Mastelotto formano gli Stick Men nel 2009, Belew inaugura il suo Power Trio nel 2006. L’unione di queste forze permette la nascita della straordinaria formazione del Crimson ProjeKCt: sono, infatti, Levin, Mastelotto e Belew, che ancora oggi ne rappresentano il cuore pulsante, con il supporto dei tre straordinari artisti Markus Reuter, che ricopre il ruolo di Fripp con la sua incredibile e autocostruita Touch Guitar (Stick Men-Guitar Craft-Europa String Choir-Tim Bowness), Julie Slick, bassista solida, grintosa e molto tecnica (Adrian Belew Power Trio – Ike Willis/Napoleon Murphy dalle band di Zappa – Jon Anderson degli Yes, Stewart Copeland, Ann Wilson delle Heart – Alice Cooper) e Tobias Ralpah, batterista eclettico e funambolico che ha grande esperienza sia in studio che live (Adrian Belew Power Trio – Tricky – Defunkt – 24/7 Spyz – Nena – Paul Gilbert – Medicine Stick di Muzz Skillings dei Living Color – Plexus – Doop Troop di Joseph Bowie dei Defunkt).

I King Crimson, fondamentali per l’evoluzione del rock contemporaneo, pubblicano nel 1969 il leggendario “In the Court of the Crimson King”, 33 giri di esordio: quando ancora non esisteva il concetto di rock progressive loro ne sintetizzavano già l’essenza. The Crimson ProjeKCt è senza dubbio una diramazione dei King Crimson a cui manca però Robert Fripp.

Ma mentre il progetto King Crimson è in tour, Robert Fripp ne sente quasi la mancaza e di persona annuncia una nuova formazione dei King Crimson con tanto di lavoro in studio e tour escludendo Belew, che dispiaciuto scrive cosi direttamente sui social:

«Dopo trentadue anni, non farò più parte dei King Crimson, nessuno mi ha avvisato. Robert mi ha mandato una e-mail dove mi spiegava di aver riattivato il gruppo con una line-up di sette elementi. Mi ha detto che non sarei stato adatto a quello che il gruppo sta cercando di fare. Mi sento felice con le cose che mi rendono felice, che sono tante. Cosa volete che vi dica sulla nuova versione dei King Crimson? Il mio consiglio è di darle una possibilità, poi, nel caso dovessero piacervi, sosteneteli».

Ma torniamo al concerto della scorsa sera, ovviamente tante sorprese in serbo per gli spettatori, solo classici dei King Crimson.
Il loro è un concerto magico che attraversa i classici degli anni ’70 (“Red”, “Larks’ Tongues in Aspic Part II”, le pulsioni ritmiche degli anni ’80 (“Elephant Talk”, “Frame by Frame”, “Indiscipline”, “Thela Hun Ginjeet”, “Sleepless”), le sperimentazioni ricercate e nervose dei ’90 (“THRAK”, “B’Boom”, “VROOOM”)
I musicisti si incrociano sul palco varie volte ma in realtà sono due trii ben delineati, da una parte il Power Trio di Adrian Belew, con Julie Slick al basso e Tobias Ralph alla batteria e dall’altra gli Stick Men con Tony Levin al basso, Pat Mastelotto alla batteria e Markus Reuter alla Touch Guitar, che lui stesso ha disegnato, a cui sono affidate le parti chitarristiche prima eseguite da Robert Fripp. Mastelotto, invece, non si limiterà alla sola batteria acustica ma userà campioni elettronici per ampliare le possibilità sonore, in modo da sembrare spesso più di quanti siamo in realtà sul palco.
Il live inizia pochi minuti prima delle 22, sul palco dopo una breve intro assegnata ai due batteristi e al chitarrista Markus, entrano in scena il resto della formazione per dare un assaggio del sound pieno che riescono a creare. Proprio ai due batteristi è affidato il compito di dare sostanza e ritmo al suono, momenti all’unisono si alternano a momenti dove sembrano rincorrersi dando così volume e intensità alla ritmica su cui, poi, eccellenti passaggi di chitarra e basso ne completano il senso.
Sul palco gli artisti si divertono e trasmettono lo stesso divertimento e passione a chi è seduto ad ascoltarli; giocano tra di loro, si scambiano sorrisi e cenni di intesa, gli attacchi degli assoli sembrano venire naturali, come in un gioco dove nessuno vuole sovrastare sugli altri, scherzano con i fotografi e fanno parlare i loro strumenti, come un botta e risposta musicale.
Per il resto della serata si alternano sul palco prima un trio e poi un altro per lasciare spazio vitale ad entrambe le formazioni.
La scaletta del live, invece, è stata selezionata quasi interamente dal repertorio dei King Crimson, a parte qualche composizione originale di entrambi i gruppi e la sorpresa di Tony Levin che canta in italiano “L’abito della sposa” dall’album Macramè di Ivano Fossati, una delle sue tante collaborazioni; la super band con una perfezione quasi disumana, in fin dei conti, ha realizzato un insolito spettacolo dal vivo, quasi unico, per più di due ore e mezza di vero prog a cui gli appassionati non potevano assolutamente mancare.

Formazione
Adrian Belew – vocals, guitar
Tony Levin – chapman stick, bass guitar
Pat Mastelotto – drums
Markus Reuter – touch guitar
Julie Slick – bass guitar
Tobias Ralph – drums

Live report a cura di Marco Cometto

L’edizione 2014 di Unaltrofestival si è appena conclusa tra Milano e Bologna: dopo un’affollata apertura con MGMT e Panda Bear (QUI il nostro resoconto), vi raccontiamo la seconda parte della manifestazione musicale dalla line-up doppia svoltasi al Magnolia di Milano ieri sera, martedì 15 luglio. Due palchi e cinque gruppi, come nella prima parte, hanno dato vita ad un evento ben organizzato e dal respiro europeo, anche se il pubblico era presente in maniera ridotta rispetto alla serata chiusa dagli MGMT. Ai giovani e talentuosi Foxhound è stato affidato il compito importante di dare il via ad una serie di concerti ruvidi e psichedelici, e la giovanissima band torinese non ha deluso le aspettative stupendo piacevolmente i presenti dallo stesso palco che aveva ospitato i colleghi italiani M+A la sera prima. Subito dopo si sono presentati gli anglo-scozzesi Telegram – che insieme ai Temples esibitisi subito dopo – sono stati una piacevole sorpresa: per ambedue i gruppi infatti il mood stilistico di stampo ’60s e i ‘70s è stato un marchio distintivo, partendo dai brani proposti fino ad arrivare al look dei componenti di entrambe band. In particolar modo i Temples, non ancora conosciuti quanto dovrebbero dalle nostre parti, se la sono cavata egregiamente facendo ballare la folla presente sotto il palco più piccolo sulle note di “Shelter Song”, “Prisms” e altri brani dal sound shoegaze eseguiti impeccabilmente.

Il salto temporale nel passato flower-power è durato anche per le due successive formazioni attese entrambe sul main stage: The Horrors e The Dandy Warhols. Il gruppo inglese capitanato da Faris Rotter – che si è pronunciato contento di essere finalmente tornato in Italia – ha eseguito alcuni pezzi recenti, tratti dagli ultimi due lavori “Luminous” (2014) e “Skying” (2011), ma anche un paio di canzoni di stampo noise rock estratte dall’acclamato disco uscito nel 2009 e intitolato “Primary Colours”. “Mirror’s Image” e “Who Can Say” infatti sono stati gli highlight della performance della band, ma soprattutto i più apprezzati dalla maggior parte di chi assisteva al concerto, che non ha saputo trattenersi dal ballare scatenatamente. Distorsioni e riverberi sono stati fondamentali anche per gli head-liner Dandy Warhols, che (almeno secondo me) non ci regalano niente di discograficamente rilevante dai primi anni 2000. Forse anche per questo motivo – oltre che per il look improbabile del front-man Courtney Taylor-Taylor, che si è presentato sul palco con le treccine e la riga in mezzo da squaw, ma nella nostra memoria era rimasto il pazzo senza vestiti e spettinato del tormentone “Bohemian Like You” – molti di noi non si aspettavano granché quando la formazione nata nell’Oregon nei primi anni ’90 ha iniziato a suonare. Niente di più sbagliato, visto che anche chi si è accostato al palco per pura curiosità (magari richiamato dalla presenza di Horrors e Temples) ha potuto ricredersi: oltre al singolo che li ha resi famosi in tutto il mondo e ad altri brani tratti dal ben riuscito “Thirteen Tales From Urban Bohemia” (le belle “Get Off” e “Goodless“ad esempio), la band ha proposto dal vivo anche molte canzoni più recenti – l’ultimo album di studio della band risale al 2012 e si intitola “This Machine” – come la divertente “Not if you were the last junkie on earth” (1997) ma anche il celebre brano del 2003 “We Used to Be Friends”, portato a termine dopo un piccolo stop per problemi tecnici che si è rivelato l’unico intoppo di un piacevolissimo live. Che dire, onore a Unaltrofestival! E appuntamento (speriamo) al prossimo anno.

Una Milano decisamente uggiosa ha accolto la prima giornata di UNALTROFESTIVAL 2014, programmata per ieri, lunedì 14 luglio: la manifestazione, giunta alla seconda edizione, per la prima volta quest’anno è stata realizzata in modalità “doppia line-up alternata” tra Milano e Bologna. Noi di concertionline seguiremo l’intero evento, e cominciamo col proporvi il resoconto della prima parte. Su uno dei due palchi presenti al Magnolia le danze infatti si sono aperte sotto una pioggia scrosciante poco prima delle ore 20.00 con la piacevole esibizione dei Kuroma: la loro “psichedelia pop” che ha inaugurato il palco principale, ma purtroppo è stata poco seguita dal pubblico a causa dell’orario di collocazione in cartellone, che oltre che con la pioggia coincideva con quello di arrivo del pubblico. Dopo di loro però la venue ha iniziato ad affollarsi, e già con gli italianissimi M+A la serata ha cominciato ad entrare nel vivo sullo stage laterale dedicato a dj set e live elettronici: danzerecci ma ricercati, spensierati e trascinatori, questi giovani musicisti hanno saputo coinvolgere i presenti con il loro breve ma intenso set, che ha incluso per la maggior parte i brani tratti dall’ultimo album intitolato “These Days”. Dopo le 21.00 il maltempo ha smesso definitivamente di dare fastidio all’ormai numerosa folla, giusto in tempo per l’arrivo sul main stage degli His Clancyness, la band nata dalla creatività dell’italo-canadese Jonathan Clancy, già dietro a Settlefish e A Classic Education: a loro è stato affidato il compito di precedere gli head-liner Panda Bear ed MGMT, esibendosi in un live dedicato soprattutto all’ultima fatica “Vicious”, data alle stampe nel 2013.

Neanche due minuti dopo la fine della loro performance Panda Bear è arrivato sul palco per eseguire dal vivo alcuni dei suoi pezzi più significativi: un’ora di musica onirica e colorata – come le immagini che scorrevano dietro all’artista mentre cantava e suonava – ha fatto da adeguato traino agli attesi MGMT.
Divenuti star mondiali dopo un azzeccatissimo album d’esordio – “Oracular Spectacular” del 2007 – Benjamin Goldwasser ed Andrew VanWyngarden da allora di strada ne hanno fatta parecchia, pubblicando anche “Congratulations” nel 2010 e il disco omonimo intitolato “MGMT”, l’anno scorso. Inutile dire però che il duo newyorkese, seppur facendo bene il proprio lavoro, non è mai riuscito ad eguagliare o superare la “quasi perfezione” raggiunta ad inizio carriera, come dimostra il fatto che anche la scaletta di ieri ha incluso (fortunatamente) moltissimi vecchi successi. Alcune canzoni sempre belle da ascoltare (e motivo della presenza di gran parte degli accorsi ieri al Magnolia) sono state senza dubbio “Time to pretend”, “Electric Feel”, “Kids”, “The Youth” e “Congratulations”, che da sole valevano il prezzo del biglietto. Gli MGMT hanno suonato per un’ora e mezza (che trattandosi del timing di un festival non è poco) stupendo piacevolmente chi si aspettava molto meno: sono bravi musicisti, e un loro live è imperdibile per chi, come me, dall’inizio degli anni 2000 ad oggi ha scoperto per poche realtà musicali interessanti come quella creata da loro. Appuntamento a stasera con The Dandy Warhols, The Horrors, Temples, Telegram e Foxhoud, per la seconda serata.

MGMT setlist Unaltrofestival, Milano @Magnolia – 14 luglio 2014

Introspection (Faine Jade cover)
The Youth
Of Moons, Birds & Monsters
Mystery Disease
Time to Pretend
Cool Song No. 2
Electric Feel
Weekend Wars
Siberian Breaks
Kids
Alien Days

Encore

Congratulations

Photocredit Samuele Tosi

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Mentre nel frattempo Germania e Argentina si stavano avviando verso i tempi supplementari, che avrebbero poi decretato i “crucchi” campioni del mondo (cose che è sempre meglio non vedere in diretta), i Morcheeba facevano la loro apparizioni in Piazza Duomo a Pistoia, davanti a una platea vogliosa di ballare e cantare con i loro brani e di emozionarsi con la voce di Skye.

Lei appare in tutta la sua ebanica bellezza, fasciata in un abito bianco con gonna di piume e tacco alto, tanto per ribadire che le sue qualità non stanno solo nella voce e attacca “Make believer”, tratta dal loro ultimo lavoro “Head Up High”, che li ha ricondotti verso i ritmi tanto cari del trip-hop.

Si capisce subito che il motto della serata sarà “Take it easy” e Skye inizia ad ancheggiare in tutta la sua bellezza, accompagnata da tutta la Piazza, mentre nell’aria la sua voce leggiadra intona “Part of the process”, ricordando a tutti che cosa hanno significato i Morcheeba per la musica quando nel 1998 usciva “Big Calm”, probabilmente il loro capolavoro, da cui vengono eseguite in rapida sequenza anche “The Sea” e “Shoulder Holster”, intervallate da “Gimme your love”, quasi a voler dire “ecco cosa siamo stati, ecco cosa siamo tornati ad essere”.

Con “Otherwise” ecco che parte il controcanto a squarciagola del pubblico, per quello che è uno dei singoli più conosciuti, mentre “Let’s dance” fa letteralmente scatenare tutti, guidati da una Skye in formissima, che invita ad ancheggiare e battere le mani a tempo.

Altro tuffo nel passato con “Trigger hippy”, datata addirittura 1996, agli albori dell’era del trip-hop di cui i Morcheeba sono stati gli alfieri più prosperosi, mentre nel bis spazio alla malinconica “I’ll fall apart”, su cui Skye chiede a tutti di accendere una luce (telefonini, accendini e quant’altro) creando uno spettacolo bellissimo che merita una sua foto dal palco.

Chiusura con l’immancabile “Rome wasn’t built in a day” e ultimi frenetici passi di danza su “Face of danger” a chiusura di una serata in cui i pensieri sono svaniti e non importa se la Germania è campione del mondo…consoliamoci con l’aver scoperto, per una sera, la  “Morcheeba”.

SCALETTA MORCHEEBA PISTOIA 13-07-2014

Make Believer
Never an easy way
Part of the process
The sea
Gimme your love
Shoulder Holster
Otherwisw
Let’s dance
Crimson
Trigger Hippy
Blindfold
Release me

Encore:
I’ll fall apart
Rome
Face of danger

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Arrivata ormai alla 38esima edizione, la rassegna MonfortinJazz ha saputo portare ancora una volta una serie di straordinari artisti capaci di esplorare le tante facce della musica con influenze che spaziano dal tradizionale jazz o rock a quello più eclettico e innovativo. L’edizione 2014 ha in programma 6 concerti, dal 10 luglio al 2 agosto, e la nostra redazione ha deciso di seguire proprio il concerto di apertura: i Gov’t Mule.
Messi da parte i temporali degli ultimi giorni, l’Auditorium Horszowski, detto anche il “Salotto a ciel aperto”, ha ospitato questa grande jam band americana, nata nel 1994 dal progetto parallelo di Warren Haynes degli Allman Brothers Band.
Con all’attivo ben 10 album, tra cui l’ultimo “Shout!” sfornato appena nel 2013, la band capitanata dall’eccezionale chitarrista Warren Haynes ritorna in Italia ad un anno esatto dall’ultima esibizione, non proprio fortunata, alle Officine Creative Ansaldo di Milano dove, come tutti i presenti ben ricorderanno, la qualità dell’audio non aveva favorito un show memorabile; per fortuna al Monfortinjazz han saputo riscattarsi!
Alle 21.30, con l’arena ormai piena, uno degli organizzatori sale sul palco e interrompe l’attesa, ringrazia il numeroso pubblico accorso per l’occasione, tra i presenti ci sono molti stranieri e molti forestieri e questa cosa non può far altro che ricompensare l’organizzazione per tutto il lavoro svolto in questi 38 anni; dopo aver illustrato il programma di questa edizione lascia subito lo spazio alla band poiché proprio Warren in persona ha chiesto di iniziare presto a causa della ricca e lunga performance che ha voglia di proporre per l’occasione.
All’ingresso on stage della band il pubblico li accoglie con una prima ovazione, molti si alzano in piedi in segno di ammirazione e devozione alla storia rock e già dai primi accordi di “John the Revelator”, famoso canto popolare blues, e “Banks of the Deep End” si capisce che la serata sarà davvero intensa e ricca di emozioni.
Ma qui a Monforte d’Alba non è solo la musica a parlare, l’atmosfera, le stradine, i colori, i profumi e quell’arena che sembra uscita da un quadro hanno tutte una storia dietro; qui il tempo sembra essersi fermato sulle note della chitarra di Warren, una scaletta da brividi che ha miscelato le essenze dei suoni blues con quelle del funky, i riff rock con i tecnicismi jazz, una esplosione di note che hanno trasportato il pubblico in completa estasi.
Un pubblico di appassionati, di intenditori che hanno seguito con attenzione ogni singolo passaggio, assaporando il gusto intenso, proprio come si gusta il vino di queste zone.
Warren non è un tipo di molte parole, lascia parlare lo strumento al suo posto, così come hanno voce gli altri componenti della band: Matt Abts alla batteria, Danny Louis alla chitarra e tastiera e Jorgen Carlsson al basso che ha sostituito l’altro componente degli Allmann, Allen Woody.
Le due intense ore di passione e musica si sono concluse con la bellissima “Soulshine” e una standing ovation meritatissima; così per ringraziare i suoi fans Warren dopo il concerto è rimasto per molto tempo a firmare autografi e chiacchierare con il pubblico, gesti di gentilezza da parte di veri artisti che li rendono più umani e reali agli occhi degli spettatori.
I prossimi appuntamenti con il MonfortinJazz li potete leggere qui e da parte nostra vi consigliamo assolutamente di venire in questo posto magico, dove tutto ha un sapore di genuino e vero dove i concerti non sono dei veri concerti ma una sorta di rito da gustare proprio come degli eleganti sommelier.

Setlist:
John The Revelator
Banks Of The Deep End
Rocking Horse
Funny Little Tragedy
Devil Likes It Slow
Captured
Scared To Live
Mr. Man
Inside Outside Woman Blues
Thorazine Shuffle

Encore
I’d Rather Go Blind
Soulshine

Il Teatro Manzoni di Pistoia si presenta subito come lo scenario perfetto per l’unica data italiana del 2014 di Mark Lanegan: intimo, raccolto, ma capace di scaldarsi fin dai primi vocalizzi del “signore del grunge”; lui è lì sul palco, avvolto nella sua classica tenuta total black e accompagnato unicamente da un ottimo chitarrista, capace, col suo suono corposo e vivido, di non far rimpiangere l’assenza di una band completa.

Al resto pensa la voce unica di mister Lanegan, quella voce che sembra provenire da strade polverose ed epoche lontane, che ti racconta mondi e storie vissuti con un’intensità pazzesca, avvolgendoti come una coperta calda in pieno inverno.

Si parte con “Judgement time” e subito si ha l’impressione di star assistendo a qualcosa di epico a pochi centimetri dai nostri volti, narrato con una semplicità disarmante, che rende tutto ancora più unico.

Lanegan è capace di passare dal pezzo tradizionale americano “The cherry tree carol” al dolore sofferto di “Don’t forget me” senza mai perdere di intensità, aiutato da un accompagnamento chitarristico di ottimo livello, che evita di far percepire dei pericolosi cali di tensione, dei vuoti, tra un brano e l’altro.

Il pubblico, che gremisce il teatro praticamente in ogni ordine di posti, va in visibilio su “Phantasmagoria Blues” e si stupisce meravigliosamente sulle cover in scaletta, tra cui va di certo fatta notare una splendida “You only live twice” di Nancy Sinatra.

Nel finale Lanegan si spara i classiconi “Wild flowers”, “Bombed” e soprattutto “Halo of Ashes” degli Screaming Trees, dando definitivamente il là all’estasi di tutto il teatro, che applaude e canta a scena aperta.

Mark Lanegan ha così confermato di avere una classe (oltre che un’ugola) immensa, da consumato re del palcoscenico, che non ha bisogno di troppi suoni e fronzoli per dimostrare il proprio talento.

Ulteriore nota di merito, che ne conferma la grandezza, il fatto di essersi fermato a firmare autografi e scambiare una parola con tutti alla fine del live. Un vero signore.

SCALETTA MARK LANEGAN PISTOIA 10-07-2014

Judgement Time
The Cherry Tree Carol ([traditional] cover)
One Way Street
Don’t Forget Me
Phantasmagoria Blues
Can’t Catch the Train (Soulsavers cover)
Mack the Knife (Bertolt Brecht cover)
You Only Live Twice (Nancy Sinatra cover)
Lonely Street (Carl Belew cover)
I Am the Wolf
One Hundred Days
On Jesus’ Program (O.V. Wright cover)

Encore:
Wild Flowers
Bombed
Halo of Ashes (Screaming Trees song)

 

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Continuano gli appuntamenti con il Milano City Sound Festival. Questa volta l’appuntamento è con gli ZZ Top: rock blues all’ennesima potenza capace di far ballare anche la nonnina che ascolta il concerto dal palazzo di fronte l’Ippodromo del Galoppo.
Dopo aver passato quasi un decennio senza toccare la nostra penisola, il trio negli ultimi anni sembra sempre più predisposto a venirci a trovare e i fans sono sempre pronti ad accoglierli con entusiasmo.
La mia particolare esperienza con loro inizia quando avevo 1 anno, forse meno, cresciuta a pane e ZZ top, mi ritrovo ad un loro concerto già all’età di 11 anni; era il 1996 ed ero a Jones Beach (NY), sono passati 18 anni e sono a Milano per rivederli ancora e con più consapevolezza.
Ad aprire il live milanese era previsto un ospite d’eccezione, il grande chitarrista Jeff Beck ma a pochi giorni dal tour ha dovuto annullarlo a causa di problemi di salute, al suo posto una band tutta da scoprire e apprezzare: Ben Miller Band. Tre simpatici individui con bizzarri strumenti che nelle loro mani diventano un suono corposo e caldo, tipico delle sonorità sudiste; una miscela esplosiva di bluegrass e blues proveniente dal Missouri. Ben Miller alla voce, chitarra, armonica e cigar box guitar, Scott Leeper al washtub bass e il batterista Doug Dicharry che ha suonato anche la washboard e il trombone, non hanno fatto per niente rimpiangere l’assenza di Beck, il pubblico incuriosito li ha accolti con applausi e ovazioni già dalle prime note. Lasciato il palco, intorno alle 21.30, l’ippodromo è bello pieno, le ultime Harley Davidson hanno parcheggiato davanti all’ingresso e il trio del Texas è pronto a scatenarsi. Le posizioni on stage sono sempre le stesse da 40 anni, al centro il batterista Frank Beard, alla sua destra il bassista Dusty Hill e alla sua sinistra il chitarrista e cantante Billy F. Gibbons. Niente è cambiato da allora e in tutti questi anni, l’energia dei riff del loro puro hard rock, i movimenti coordinati e le chitarre di peluche bianco si mantengono intatte anche con il passare del tempo senza risultare mai scontate o noiose.
Nella scaletta presentata ci sono alcuni brani tratti dall’ultimo lavoro “La Futura” del 2012 ma soprattutto successi storici come “Gimme All Your Lovin’”, “Legs” “Sharp Dressed Man” oltre ad una serie di cover di tutto rispetto.
La serata chiusa con “La grange”, “Tush” e la cover “Jailhouse Rock” è stata davvero emozionante, gli stand del merch sono stati presi d’assalto dai fans, le zanzare sono state clementi e l’unica pecca che mi sento di dover annotare riguarda il suono; band come gli ZZ Top han bisogno che il suono sia potente, quasi devastante, che riempia con ferocia ogni angolo della location, in questo caso credo siano stati attenuati, rendendo lo show un tantino meno aggressivo. Escludendo questa piccola nota che sicuramente non ha reso meno bello il live, credo di poter dire con certezza che essere di nuovo qui, davanti a questi 3 personaggi, che fin da piccola sono stata abituata a chiamare “Zii” è stata ancora una volta un ’ esperienza unica, ti ricorda quanto ami la musica e quanto ormai fa parte della tua vita, fin da… sempre.

Setlist:
Got Me Under Pressure
Waitin’ for the Bus
Jesus Just Left Chicago
Gimme All Your Lovin’
I’m Bad, I’m Nationwide
Pincushion
Flyin’ High
Foxy Lady (The Jimi Hendrix Experience cover)
Catfish Blues (Muddy Waters cover)
Cheap Sunglasses
My Head’s in Mississippi
Chartreuse
Sharp Dressed Man
Legs

Encore:
La Grange / Sloppy Drunk Jam
Tush

Encore 2:
Jailhouse Rock (Elvis cover)

Photogallery a cura di Marco Cometto

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Dopo aver rinviato più volte alcune date del tour europeo, compresa la data italiana di giugno, Lemmy e i suoi Motörhead finalmente attraccano a Milano, al City Sound Festival all’Ippodromo del Galoppo. E’ proprio il caso di usare il termine attraccare visto che poco prima dell’esibizione c’è stato un pesante temporale che per un attimo ha fatto temere il peggio e l’annullamento della data.
Per fortuna dopo l’apertura del concerto affidata a Pino Scotto con il suo rock arrabbiato e le sue parole di disprezzo verso i talent scout e trasmissioni televisive, il cielo ha graziato i fans e la serata si è svolta in perfetto orario.
Alle 22 in punto, dopo aver asciugato il palco, Lemmy e il suo pesante metallo inglese son saliti sul palco sulle note di “Damage Case” accolti dal boato e gli applausi della folla. La successiva oretta è stata un concentrato di vecchi brani intervallati da un assolo di Phil Campbell con la sua chitarra luminosa e un assolo di batteria affidato a Mikkey Dee, per finire con la più famosa “Ace of spades” seguita dal bis “Overkill”. Lemmy da parte sua ha provato a coinvolgere il pubblico con qualche frase ma le condizioni di salute non ottimali hanno decisamente inciso sull’energia e la qualità della sua voce.
Per chi si aspettava un concerto vecchio stile probabilmente è rimasto deluso, per chi invece è cresciuto a suon di Motörhead è stata l’occasione perfetta per rivederli ancora e poter applaudirli per (forse) un’ultima volta.
Un’ippodromo non sold out ma che è riuscito a riunire i vecchi e storici fans, quelli che seguono la band da sempre, con i nuovi e più piccoli sostenitori, quelli che hanno colto la palla al balzo per vedere per la prima volta queste leggende del rock n roll.

In fondo all’articolo la photogallery del concerto e per l’occasione anche il nostro partner Ricette Rock ha sfornato una ricetta che si adatta perfettamente al cantante: “Sformato ai Porri di Lemmy“; titolo divertente ma ricetta gustosissima, da provare.

Setlist:
Damage Case
Stay Clean
Metropolis
Over the Top
Guitar Solo
The Chase Is Better Than the Catch
Lost Woman Blues
Doctor Rock
(With drum solo)
Just ‘Cos You Got the Power
Going to Brazil
Killed by Death
Ace of Spades
Encore:
Overkill

A cura di Marco Cometto Photo