Recensioni concerti

I report dei più importanti concerti in Italia: band italiane e internazionali, rock, pop, elettronica, punk, alternative e molto altro altro ancora. Photogallery e recensioni, report e scalette del concerto, immagini, video e racconti di tutta la musica live in Italia.

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E’ finalmente tornato in Italia Passenger – nome d’arte di Mike Rosenberg – il 30enne cantautore inglese che nel 2013 ha scalato le classifiche di tutto il mondo con la sua ormai conosciutissima “Let Her Go“.
Dopo un breve periodo trascorso con un gruppo omonimo, l’artista ha deciso di intraprendere la carriera solista (mantenendo lo stesso nome) e dando alle stampe alcuni album: il più recente è “Whispers”, pubblicato lo scorso 10 giugno. E’ stato lui stesso ad anticipare così la notizia del suo tour:

“Ho in mente un sacco di performance per strada nei prossimi mesi, prima che inizino i festival. Non posso più fare solo show acustici, ho dovuto adeguarmi alle nuove esigenze. Suonare per strada resta la cosa che preferisco fare in assoluto. E’ un modo onesto di fare musica. E’ per tutti ed é gratis. Cosa potrebbe esserci di meglio?“.

Venerdì scorso (24 ottobre 2014) Infatti, un Fabrique completamente sold-out lo ha ospitato, e la sua performance è stata vissuta proprio come quella di un artista di strada, che per puro caso si è trovato davanti migliaia di persone da ringraziare e con le quali chiacchierare.
Sembra incredibile pensare che un artista, solo imbracciando una chitarra acustica, possa avere una tale padronanza sopra ad un palco così grande e coinvolgere così tanta gente, eppure durante tutto lo show il cantastorie Mike ha incantato il suo attento pubblico. E’ salito su un palco senza una band, senza una maschera, senza un costume, solamente con la chitarra e la voce: con queste poche ma fondamentali risorse è riuscito perfettamente a trasmettere il proprio messaggio e la propria musica.

Le sonorità che è riuscito a creare, diritte al numeroso pubblico, hanno toccano le corde dell’anima di ognuno dei presenti grazie soprattutto ad una voce potente, piacevole e coinvolgente. Passenger ha anche parlato molto tra una canzone e l’altra e ha proseguito per un’ora e un quarto raccontandosi e facendosi conoscere: ai presenti non è rimasta alternativa che ascoltare e godersi lo spettacolo. Dopo alcuni brani nuovi ed altri meno recenti, un emozionante momento corale su “Let Her go” e un encore di chiusura, lo show si è concluso, con la certezza che Passenger, anche senza una band, è senza ombra di dubbio capace di parlare a giovani e meno giovani con il linguaggio universale della musica.

Live report a cura di Marco Cometto

 

Sabato 25 ottobre , il Gran Teatro Geox ha avuto uno splendido sold out per il concerto di Francesco Renga, impegnato con il suo Tempo Reale Tour.  L’artista in questa tournèe, ha voluto come opening act la cantante Irene Fornaciari che applaudita dal pubblico durante l’esibizione, conferma di portare nel suo dna il gene del padre, il grande Zucchero.

Il concerto si apre con lei, che esegue alcune canzoni fra cui la bellissima “ Il mondo piange” e  l’interpretazione straordinaria di “Emozioni” di Battisti, applaudita e acclamata dal pubblico.

Poi arriva lui, Renga, sorridente e carico con il brano “Vivendo adesso”a cui seguono “Dove il mondo non c’è più”,”L’impossibile”,”Come te” e “Cambio direzione”.

Non ci sono parole per descrivere l’entusiasmo dei fan fin dalle prime note, entusiasmo che con lo scorrere dei brani è cresciuto sempre più fino a diventare adrenalina pura.

Il palco era allestito in modo semplice, con grandi effetti luci e una luna sullo sfondo, su cui si dipingevano di volta in volta immagini e scritte diverse. Una band notevole e l’ inconfondibile calda e forte voce di Francesco Renga, hanno descritto in musica la carriera dell’artista bresciano, che spesso ha introdotto i brani anche con pensieri  sulla sua vita e quella che ci gira intorno ogni giorno: “ la felicita, dice Renga, spesso ce l’abbiamo davanti, ma continuiamo a cercarla affannandoci mentre invece è proprio lì, magari nella persona che ci sta accanto”.

Un concerto durato più di due ore con una scaletta di ben  27 canzoni, tantissime, senza far mancare nessuna di quelle che hanno segnato la sua carriera in ascesa. Tra i brani anche la canzone ”Raccontami”  con cui si è fatto conoscere al grande pubblico come voce solista al Festival di Sanremo del 2001, “Tracce di te” dedicato alla madre scomparsa e “Dimmi” dedicata al padre, “ho scritto questa canzone, dice Renga, prima che i suoi ricordi iniziassero a sbiadirsi completamente”.

Poco prima della fine del concerto, c’è stato un momento unico, in cui il cantante ha invitato il pubblico ad andare sotto il palco per cantare tutti insieme e vicini. Tutti increduli ma entusiasti si sono avvicinati a lui, per lo più un pubblico femminile, allungando le braccia verso il cantante per riuscire a toccare la sue mani. Francesco Renga era felicissimo e ancora continuava a saltare e a sorridere come ha fatto per tutto il concerto. Chiude il concerto con il brano “Meravigliosa” per poi ritornare a cantare ancora sul palco,  acclamato e applaudito.

L’artista non si è risparmiato durante il suo live e si è dato completamente ai suoi fan coinvolgendoli da subito e chiudendo con un bis iniziato con la famosissima e bellissima “Angelo” canzone con la quale ha vinto il Festival di Sanremo nel 2005, “La tua bellezza “e “Dovrebbe essere così”. Saluta e ringrazia tutti i suoi collaboratori e Padova che con quel suo pubblico, ancora una volta ha premiato nel cuore tutto il lavoro e la fatica di essere Francesco Renga.

Photogallery a cura di Mimmo La Macchia e Live report di Kathi Fraccaro

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Il compositore statunitense incanta l'Estragon con un set dall'atmosfera magica.

Immaginate di non essere davanti a un palco, ma bensì in auto e che, per una qualche magia incredibile, scorrano davanti a voi i paesaggi più disparati: dalla spiaggia al tramonto, fino ad un prato in campagna, passando per le montagne e le metropoli. Insomma praticamente gli screensaver del vostro pc, quelli classici, che prendono vita e vi emozionano, vi fanno muovere, vi “contagiano”.
Ecco, questo è quello che succede, più o meno, assistendo al live di Tycho, che lunedì 20 ottobre ha riempito l’Estragon di Bologna nella sua unica data italiana.
Scott Hansen e la sua band entusiasmano quanti erano accorsi lì per loro con un set variegato, frizzante, energico, in cui i brani dello splendido “Awake” si alternano con quelli dei precedenti lavori del musicista americano: impossibile non scatenarsi su “Adrift” o lasciar andare i pensieri su “Past is prologue”.
Il concerto di Tycho è una specie di seduta antistress collettiva: la mente è libera di vagare, il corpo di muoversi e la musica è naturale sottofondo e compagno di viaggio di questa “gita” alla scoperta di se stessi.
Chiudere gli occhi e lasciarsi guidare dalle note: è questo il segreto (e la “tattica”) che dovrebbe mettere in pratica chi vede un live di Tycho e loro sul palco sono i primi ad essere entusiasti e divertiti di quello che riescono a regalare, a livello emotivo, alle persone che li osservano.
Felici di questa prima visita a Bologna, città che li ha accolti a braccia aperte, Tycho e compagni lasciano dietro di sè una scia di sogni, bellezza, intensità.
Insomma, un’esperienza unica: un viaggio di andata e ritorno intorno al mondo senza mai spostarsi da sotto il palco.

TYCHO SETLIST ESTRAGON

Adrift
Apogee
L
Dye
Hours
See
Elegy
Past is prologue
PBS
A walk
Spectre
(E)
Awake
Montana

E’ un po’ la parabola della musica moderna: per avere successo occorre apparire in televisione. Per i Kaiser Chiefs, sta succedendo la stessa cosa. Con il loro primo album Employment, datato 2005, erano diventati una delle band di riferimento dell’indie-pop britannico: due milioni di dischi venduti, concerti sold out e grande popolarità. Poi il lento declino, con le “sole” 700 mila copie di Yours Truly, Angry Mob, il crollo delle 200 mila di Off with Their Heads e l’anonimato totale di The Future Is Medieval, che nemmeno entrò nelle classifiche di vendita. L’uscita dal gruppo del batterista e compositore Nick Hodgson sembrava aver dato il colpo di grazia alla fortuna dei Kaiser, che parevano destinati a sparire. Poi la chiamata del frontman, Ricky Wilson, alla trasmissione tv The Voice Uk ha sparigliato le carte, riportando la band agli antichi fasti con l’ultimo lavoro Education, Education, Education & War. L’album ha immediatamente conquistato il disco d’oro per le vendite Oltremanica, grazie anche una ritrovata verve compositiva.

In tutti questi alti e bassi, il fil rouge che ha sempre garantito la sopravvivenza del gruppo, è stato il grande feeling con il palco, le esibizioni dal vivo e la propensione all’intrattenimento. Così è stato anche ieri sera (sabato 18 ottobre) al Gran Teatro Geox di Padova, dove i ragazzi di Leeds hanno ricordato a tutti quanti cosa siano capaci di fare in un concerto.

Nell’ultima delle quattro date italiane (organizzazione D’Alessandro & Galli – Zed Live Entertainment), hanno sfondato con uno show memorabile. Una scaletta leggermente modificata da quella proposta nei primi tre concerti, ha reso omaggio, soprattutto ai primi due e all’ultimo album, ignorando quasi completamente, gli anni del declino. Wilson, non è stato in grado di stare fermo un solo attimo, animando il pubblico, correndo sui banconi del bar, bevendo birra, gin e champagne, ballando sulle pensiline delle uscite di sicurezza e, ovviamente cantando, senza mai perdere un colpo, parafrasando il titolo di una loro canzone.
Una performance divertente, durata poco più di un’ora. Sedici brani e tanta energia spesa, con i simpatici “siparietti” delle interviste ai fan e della festa per il compleanno del bassista Simon Rix.

La gente in sala ha dimostrato di gradire, accompagnando negli “eccessi” di Ricky e scatenandosi in un continuo crescendo, fino al bis, chiuso dall’immortale Oh My God, cantata all’unisono da tutto il Geox, sotto lo sguardo perplesso della security, forse abituata ad altre atmosfere, più ingessate e ovattate.
In apertura di serata si sono esibiti The Ramona Flowers, gruppo britannico, impegnati già da alcuni mesi a supporto di altre band come Bastille, Bombay Bicycle Club e che rivedremo in Italia a novembre per 3 date come opening act dei Lamb. Già perfettamente “rifiniti” musicalmente, anche se solo con un album all’attivo (“Dismantle and rebuilt”), presentano una miscela di melodia molto simile a quella degli U2 con inserti elettronici tipicamente della scena di Bristol, città da cui provengono.

La setlist della serata:
One more last song
Everyday I Love You Less and Less
Everything Is Average Nowadays
Ruffians on Parade
Caroline, yes
Never Miss a Beat
Na Na Na Na Naa
My Life
Coming Home
Modern Way
Bows and arrows
Ruby
I Predict a Riot
The Angry Mob

Encore:
Misery Company
Oh My God

Photogallery a cura di Vincenzo Nicolello

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Sono passati 10 anni dal debutto del quintetto inglese ma la carica agonistica è rimasta immutata come fosse il primo concerto, come fosse il primo singolo I predict a Riot da cantare a squarciagola insieme al pubblico in delirio.

Preceduti dai Ramona Flowers, Kaiser Chiefs ci regalano un breve (poco oltre l’ora) ma intensissimo evento dove adrenalina ed energia fanno da leit motif, una performance Rock a tutto tondo che ha saputo spaziare dagli esordi fino all’ultimo lavoro uscito questa primavera Education, Education, Education, & War.

I Kaiser Chiefs hanno popolato le classifiche del decennio passato (non solo in terra di albione), con alcune superhit strepitose una fra tutte Modern Way che fu anche rivisitata dal Buena Vista Social Club in chiave latin o Ruby che è entrata nelle nostre teste con il suo refrain e da lì non è più uscita.

Paladini orgogliosi di quella nuova ondata British che sa interpretare un rock alternativo ricco di influssi che vengono dal passato i Kaiser Chiefs si ritagliano uno spazio ben preciso nell’ampio panorama rock con un marchio di fabbrica che è ormai una garanzia di successo.

La sequenza di successi proposta nel live è molto ricca e dopo i sopracitati tormentoni anche   Everyday I Love you Less and Less   non sfigura per niente;  il frontman Ricky Wilson va a galleggiare sul pubblico che lo trasporta, il drumming preciso e potente del nuovo batterista Vijay Mistry si fa sentire incluse le velocissime rullate tipiche dei Kaiser Chiefs.

Spazio anche al nuovo disco dicevamo con una manciata di brani tra i quali My Life, Coming Home e Factory Gates che eseguite dal vivo acquistano una verve di grande impatto. Momenti irripetibili con Never Miss a Beat che batte il tempo 4/4 infuocando il dancefloor e poi ancora tutti insieme a cantare Na Na Na Naa perché i Kaiser Chiefs incarnano lo spirito new wave e punk in un’unica anima rock, e concludere il concerto con Oh My God ripetendo il ritornello fino allo sfinimento è la tempesta musicale perfetta.

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Michael Gira è uno sciamano. Michael Gira è un pirata armato di chitarra. Michael Gira è semplicemente un signore del rock. Uno che basta guardarlo e lo sai che farà qualcosa che ti lascerà di sasso.
Ed è ciò che accade quando lui e tutti gli Swans salgono sul palco dell’Estragon poco dopo le 22, preceduti da un’intro di gong sul cui ritmo si innestano via via gli altri strumenti.
Quello che succede da questo momento in poi è una celebrazione, un rito laico del rock in cui lui, Gira, è lo sciamano, il celebrante e noi gli umili adepti ammessi alla funzione: una funzione che si spiega a suon di amplificatori, di distorsioni, di poesia, in un continuo, irrefrenabile, instancabile caracollare, gesticolare, dare tempi e modi.
Solo guardarlo è uno spettacolo, suscita un’attrazione magnetica, sprizza carisma da tutti i pori e poi, beh, aggiungeteci una voce potente, viscerale, che sembra provenire dai recessi più profondi, il tutto coadiuvato da una band affiatata, ispirata, capace di produrre un muro di suono in cui anche la minima distorsione, il minimo sibilo, che appare casuale, è in realtà perfettamente studiato per portare ogni brano all’apoteosi.
E’ così che tra un “Frankie M“, una straordinaria “The Apostate“, davvero da brividi e una carrellata di brani che non concedono mai un attimo di respiro o di tregua (tra gli altri “Don’t go”, “Just a little boy”, “Bring the sun/ Black hole man”) il pubblico di Bologna va in visibilio, chiude gli occhi e si costruisce il proprio personale trip sulla strada tracciata da Gira e compagni.
E quando si esce dal live se ne esce svuotati, spossati, ma allo stesso tempo rigenerati da un’energia nuova, una carica di purezza e perfezione instillata da ogni nota partorita da quelle chitarre.
Trenta anni dopo il grande sciamano, il grande burattinaio del rock, con le sue sfuriate e la sua classe, è ancora lì, immutato, solo un po’ invecchiato, che, a braccia aperte racconta che la funzione è finita e i suoi Cigni sanno ancora spiccare il volo (e farlo spiccare a chi li ascolta).
Ite Missa Est.

Domenica 31 Agosto, la serata finale dell’edizione 2014 del Pride Village di Padova, ha ospitato come madrina, Conchita Wurst.
Nata in Austria nel 1988, Conchita inizia la sua carriera di cantante nel 2006 arrivando seconda al Talent Show austriaco ed entra a far parte del gruppo vocale degli Jetz Anders. Nel 2011 vince il reality show canoro “Di Grosse Chance” e nel 2012 arriva seconda proprio all’ Eurovision Song Contest a Copenaghen, concorso che l’ha vista vincitrice quest’anno con il brano Rise like a phoenix.
L’artista austriaca nel tardo pomeriggio si è concessa a fotografi e giornalisti nell’incontro tenutosi con la stampa iniziato intorno alle 20.00
La partecipazione di Conchita alla serata conclusiva della settima edizione del Padova Pride Village, è l’unica tappa italiana dell’artista e non è un caso che lei stessa abbia deciso di presenziare proprio al Pride Village. La cantante infatti da anni è impegnata socialmente per i diritti civili, per combattere ignoranza e discriminazione e ogni tipo di omofobia. Conchita non manca in ogni occasione di ricordare il suo disprezzo verso la Russia e in particolare per Putin, che ha emanato delle leggi incivili rendendo impossibile la vita ai gay, costretti a nascondersi per non essere picchiati.
L’artista austriaca è felice di essere in Italia, ama il nostro paese e in particolare la pizza; ringrazia l’organizzazione per essere stata invitata a questo evento in modo da poter contribuire a diffondere il messaggio che ormai è il suo credo quotidiano, e cioè che ogni individuo ha il diritto di poter essere quello che sente di essere, e di manifestarlo secondo la propria personalità e i propri sentimenti.
Si presenta curata nel suo aspetto in jeans e maglietta lurez con tacco 12, capelli lunghi sciolti, truccatissima, non volgare e, con la barba molto ben curata.
La sua barba dichiara, non è simbolo di moda da seguire, ma lei si piace davvero così e in questo è stata supportata anche dai suoi genitori sin da giovanissima.
Tom Neuwirth, in arte Conchita, dichiara di riuscire a dividere moto bene il personaggio femminile, da Tom , dato che ora sono molto ben scanditi gli impegni dell’artista, riuscendo ad avere una vita privata più tranquilla possibile, cosa a cui tiene molto.
Conchita, invitata in parecchi paesi a far sentire di persona la sua straordinaria voce, dice che in tutto questo suo girare il mondo, ha visto ovunque che i gay sono discriminati, ma senza capirne il motivo.
Dopo aver sfilato in passerella per Jean Paul Gaultier in occasione della presentazione della collezione di Haute Couture Autunno/Inverno 2014-2015, per la quale lo stilista l’ha voluta espressamente come modella, Conchita ha sostenuto di voler rimanere impegnata nella musica, infatti sta lavorando alla realizzazione di un proprio album. La moda potrebbe essere un secondo sogno per la cantante, ma per ora il suo pensiero è solo per la Musica.
La conferenza stampa si conclude con Conchita che posa per qualche foto ricordo e corre subito dopo al sound-check in attesa dell’evento più atteso della serata.
Intorno alle 23,00 Conchita si è esibita davanti al suo pubblico in un piccolo concerto, proprio a testimoniare il grande impegno nella lotta ai diritti che sta portando avanti. Il Pride Village è pieno di persone, che vedono in lei una icona da seguire e una persona che non li fa sentire soli, ma importanti.
I fan durante il concerto son rimasti affascinati e conquistati dalla sua voce, che potente e ben modulata, riesce a far sentire suo ogni brano, interpretandolo e facendolo arrivare al pubblico in modo del tutto unico e personale.

Live report e foto a cura di Mimmo Lamacchia

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Ieri sera – 12 agosto 2014 – il litorale di Pisa ha accolto circa 12 mila appassionati di musica dal vivo per quello che si è rivelato il maggior evento dell’estate musicale della zona: il concerto di Manu Chao. Oltre a circa 11 mila possessori di biglietti venduti in prevendita infatti, si sono riversate in Piazza Viviani altre centinaia di persone paganti, accorse da tutta Italia in occasione della serata oppure presenti in Toscana per qualche giorno di vacanza (da famiglie al completo a sostenitori del Che con tanto di bandiera sventolante).

La tappa di Marina di Pisa e’ stata la terza ed ultima nel nostro paese per Manu Chao, che con il suo tour 2014, “La Ventura”, aveva già fatto ballare il pubblico di Trieste e Gallipoli nelle scorse settimane. Dopo due ore di musica in apertura – affidata ai ritmi in levare dei Mellow Mood, ma anche a Raphael e Tamales de Chipil – l’ex voce dei Mano Negra ha fatto il proprio ingresso sul palco poco prima delle 22.00 accompagnato dai colleghi Michel Gambeat, Madjid Fahem e Philippe Teboul, ed accolto dal boato di entusiasmo della folla.
Classe 1961, all’anagrafe Jose Manuel Thomas Arthur Chao, il cantante di origini franco-spagnole si è esibito per oltre due ore proponendo una scaletta riarrangiata e variegata, che ha attinto sia dal repertorio portato al successo coi Mano Negra, che dai lavori solisti (molto apprezzati l’esordio “Clandestino” e il disco del 2007 “La Radiolina”): tra i brani più cantati ci sono stati sicuramente i noti “Me gustas tu”, “Que paso Que paso” e l’omonimo “Clandestino”. Anche il lungo bis però ha riservato qualche canzone ben accolta, “Bienvenida a Tijuana” e “Desaparecido” su tutte.
Non sono mancate nemmeno “La primavera”, “Bongo Bong”, “Mentira”, “Minha Galera” e “Lagrimas de oro”, eseguite all’unisono con i cori dei presenti, che hanno partecipato attivamente ad ogni fase del lungo concerto, caratterizzato da un mix di stili musicali, lingue e culture.
“Grazie Pisa, grazie Toscana per il cuore”, ha ringraziato ad un certo punto Manu Chao mimando ripetutamente il battito grazie al rimbombo del microfono contro il suo petto, per poi ricominciare subito a suonare. “Hasta la victoria siempre” ha poi aggiunto in chiusura colui che molti considerano il “Bob Dylan latinoamericano”, poco prima di congedarsi una volta per tutte, almeno per quest’anno. Noi però, con la voglia di ballare ancora nei piedi e nei cuori, il “Desaparecido” speriamo di rivederlo molto presto in Italia.

Si è conclusa con Paolo Fresu la 38esima edizione del MonfotinJazz, la rassegna musicale 2014 organizzata a Monforte D’Alba nel cunese; una edizione che ha visto grande affluenza da parte del pubblico nonostante il dispiacere di dover annullare il concerto dei Plaza Francia lo scorso 29 luglio a causa di questa estate all’insegna del mal tempo.
Per fortuna, il live di Fresu non è stato annullato, anche se il cielo non è stato proprio clemente, e l’artista sardo ha potuto dar spettacolo con il suo inconfondibile stile.
Come abbiamo già ampliamente raccontato con il live report del concerto dei Gov’t Mule, lo scorso 10 luglio, la magia che si respira qui ha dell’incredibile, si entra in una sorta di varco spazio temporale dove la musica diventa un tutt’uno con la location e il pubblico. Proprio a quest’ultimo va l’applauso per la determinazione nel seguire, anno dopo anno, l’evolversi di questa rassegna musicale; appassionati e curiosi non solo del posto ma anche dall’estero arrivano dai paesi più disparati per gustare il vino, l’aria e la musica di qualità.
La partecipazione del Paolo Fresu Quintet al festival è stata l’occasione giusta per proporre al pubblico del jazz tradizionale miscelato perfettamente a nuove interpretazioni del genere, grandi classici che si intrecciano con nuove forme di improvvisazione e virtuosismi. Dalla tromba di Fresu nascono melodie delicate che richiamano i suoni della sua terra ma che rivelano, tra le righe, anche un senso di evasione, di scoperta della world music pur restano fedele alle sue origini; questa singolare interpretazione di Fresu è resa possibile anche dai musicisti che sono al suo fianco,Tino Tracanna (sax tenore e soprano), Roberto Cipelli (pianoforte e piano elettrico), Attilio Zanchi (contrabbasso) ed Ettore Fioravanti (batteria); 4 elementi che da 30 anni rafforzano il concetto espresso dal trombettista e caricano lo spettacolo di quello spessore degno dei migliori jazz club del mondo. Dopo una breve introduzione e presentazione di rito da parte dell’organizzatore, dove ha ringraziato tutti gli sponsor ma soprattutto i volontari che da anni permettono lo svolgersi della manifestazione, sul palco è salito il quintetto e dall’alto invece è scesa una sottile nebbia che ha reso l’atmosfera ancora più ovattata; complice la bella arena e, appunto, la nebbiolina, in automatico l’anima sembra esser stata trasportata in un jazz club di Chicago, con il fumo delle sigarette e le luci delle candele sui tavolini, una sensazione davvero intensa e suggestiva.
Dopo i primi tre brani, c’è già una piccola pausa e Paolo Fresu lascia la tromba per il microfono, presenta i suoi compagni di avventura, con una ironia semplice ma molto piacevole racconta come il quintetto sia rimasto sempre lo stesso da 30anni, “le migliori relazioni sono quelle dove non ci si vede sempre, noi abbiamo iniziato tre decenni fa e siamo ancora insieme”. Tutto il resto del concerto si snoda tra brani originali e piccoli aneddoti sulla vita di Fresu, raccontati con una naturalezza devastante resa ancora più piacevole dalla complicità dei suoi partner che ricordano, scherzando, “quando lo abbiamo conosciuto non parlava mai, pensavamo fosse muto, adesso non riesce a star zitto”.
A fine concerto, una tavola imbandita di bicchieri contenti vino Barolo ha accolto gli ospiti all’uscita dall’anfiteatro; un’occasione imperdibile per gustare il vino di queste terre e assaporare quel nettare con la testa ancora inebriata dalle note soft di un incredibile concerto.
Un applauso finale, con standing ovation, va agli organizzatori, che ogni anno da 38 anni credono nelle loro potenzialità, credono nella manifestazione e al fatto che oltre al buon vino questa zona è capace di produrre anche dell’ottima cultura musicale e delle importanti serate per l’aggregazione sociale. Attendiamo la 39edizione per seguirla ancora più da vicino e farci nuovamente rapire dal potere della musica.

Live report e photogallery a cura di Marco Cometto

Che non sia una estate particolarmente favorevole per i concerti all’aperto ormai è un dato di fatto; ne sanno qualcosa anche i Simple Minds che solo due giorni fa si sono esibiti sotto l’ennesimo nubifragio a Lignano Sabbiadoro (Guarda la gallery) ma per fortuna le loro esibizioni italiane si sono concluse al Gru Village con un tempo clemente e temperature piacevoli. Ultimo appuntamento musicale per la rassegna nel centro commerciale Le Gru alle porte di Torino; sul palco per questa edizione si sono alternati mostri sacri della musica, come Dream Theater e Steve Hackett, a serate più giovanili e movimentate con Caparezza e Salmo fino ad arrivare alla serata in puro stile retrò dei Simple Minds.

L’arena gremita di fans ha accolto varie generazioni, da chi è cresciuto con questa musica ai nostalgici veri e proprio fino ai curiosi che sono stati attirati dall’importante nome in cartellone.
Concerto iniziato in perfetto orario alle 22 con “Waterfront”, contenuto nell’album del 1984 “Sparkle in the Rain”, e durato ben 2 ore con una scaletta che ha spulciato tra i grandi classici della band. Poche canzoni politiche e più spazio agli anni ’80 con un Jim Kerr scatenatissimo già dalle prime note; avere un frontman così carismatico ha permesso alla band di restare sulla cresta dell’onda per decenni proponendo sempre repertori degni di grandi e indimenticabili concerti.
Per i primi tre brani, quelli che spettano ai fotografi (tra cui il nostro collaboratore), il cantante ha dato il meglio di sé; ha giocato con le fotocamere, con occhiolini ammiccanti e linguacce, ha gattonato sul palco e fatto roteare il microfono, insomma, se c’è un obiettivo Mr. Kerr non si tira indietro… e non si tira indietro neanche per saltare e ballare per tutto il resto del concerto, tanto che dopo un’ora e mezza di show, in una mini pausa, ha esclamato “minchia se sono stanco”, espressione che sicuramente ha imparato nella “sua” sicilia, dove si è trasferito già da un po’ di anni e dove ha aperto anche un albergo.

Insomma, uno scozzese a cui piace l’Italia e lo dimostra anche quando, sempre in italiano, dice al pubblico torinese che è un dispiacere esser mancato dal capoluogo piemontese per ben 20 lunghi anni, “Come è possibile mancare da così tanto tempo?”, ha chiesto, ricevendo in risposta un lunghissimo applauso di approvazione.
Il resto del concerto è stato davvero emozionante ed energico, la gente si è proprio divertita, con l’apoteosi della partecipazione durante le canzoni “Don’t You (Forget About Me)” e “Alive and Kicking” entrambe classe 1985.
Che dire, il tempo passa, ma la musica di qualità resta immutata negli anni, nei decenni, e possiamo solo sperare che Jim Kerr e socì decidano di tornare presto a Torino e che non ci sia da attendere altri 20 lunghi anni, questa volta sarebbe decisamente un attesa fin troppo stancante.

Setlist:
Waterfront
Broken Glass Park
Love Song
Mandela Day
Hunter and the Hunted
Promised You a Miracle
Glittering Prize
Imagination
I Travel
Dolphins
Theme For Great Cities
Dancing Barefoot
(Patti Smith cover)
Let the Day Begin
(The Call cover)
Someone Somewhere In Summertime
See The Lights
Don’t You (Forget About Me)

Encore:
Big Music
New Gold Dream (81-82-83-84)

Encore 2:
Let It All Come Down
Alive and Kicking
Sanctify Yourself

Un ex monastero, oggi casa di accoglienza per bambini affetti da patologie neoplastiche. Questo il nuovo “live aid” di Bob Geldof. L’artista irlandese si è presentato nello sperduto borgo di Craviano di Govone, a metà strada tra Asti e Alba, dove lo scorso 27 luglio, ad attenderlo c’erano circa 500 spettatori.
Geldof, in perfetta forma, è salito sul palco subito dopo lo show dei Modena City Ramblers, accompagnato da alcuni membri del suo storico gruppo Boomtown Rats.
La sua scaletta ha ripercorso in lungo e in largo il suo repertorio, in un mix di colori e musica entusiasmanti. Tra il pubblico anche molti giovani, che probabilmente mai avevano visto Bob, ma forse ne avevano sentito parlare, grazie alla sua abilità nel mettere insieme tutti i nomi del rock mondiale, con il solo obiettivo di aiutare l’Africa.
Ma Geldof è anche ottimo artista. I suoi 62 anni, l’hanno ingrigito, reso maturo, ma non hanno scalfito la sua verve sul palco. E’ partito subito forte con il suo brano forse più noto: The great sound of indifference, per poi proporre pezzi della sua storia più sconosciuta come I Don’t Like Mondays e Rat Trap, scritti si dal suo pugno, ma per essere eseguiti proprio con i Boomtown Rats.
Una cavalcata di oltre due ore, che ha trascinato proprio tutti, anche i volontari di Craviano e gli stessi Modena, che alla fine hanno deciso di cantare il bis insieme a quello che è un vero mito della musica mondiale.

La scaletta:

The great song of indifference
A sex thing
Systematic 6-Pack
Dazzled
When the wife comes
Wlaking back to happiness
Banana Republic
Harvest moon
Scream in vain
One for me
Mudslide
I don’t like mondays
How i roll
Joey’s on the street again
Mary says
Rat Trap.
Encore:
Silly pretty thing
Diamonds smiles
The great song of indifference (con i Mcr).

Live report e photogallery a cura di Vincenzo Nicolello

Ore 21:48, si abbassano le luci e si innalza l’inconfondibile muro di suono e poesia degli Afterhours che, in un concerto di quasi due ore e mezza, hanno spostato le lancette dell’orologio indietro di 17 anni, al 1997, anno di uscita di una delle pietre miliari del rock made in Italy, quel “Hai paura del buio?” eletto miglior album indipendente degli ultimi 20 anni.

E proprio la domanda “Hai paura del buio?” dà il via alle danze e alla levata di mani al cielo con uno dei brani più significativi e controversi della band: 1.9.9.6. Non sono servite le proteste dei cittadini di Prato a far togliere dal brano (o meglio a far togliere nuovamente) la bestemmia che c’è all’inizio della canzone. Ma se ogni religioso dismettesse i panni da fervente si renderebbe conto che per far rivivere l’anima di quell’album c’è bisogno anche di questo: c’è bisogno del profano, della rabbia verso il sistema, ma anche delle note pungenti e sarcastiche. Togliere anche solo uno degli elementi di quell’album, forse, farebbe crollare la cortina che vi si è creata intorno. E, forse, questo non è un gruppo per credenti religiosi.

La sacralità c’è, però, eccome. E’ rappresentata dal rispetto categorico nella scaletta di Manuel &co nei confronti della tracklist dell’album, ripetuta come una Messa di cui Manuel è Sacerdote e di cui scandisce i ritmi serrati e incalzanti. Brani violenti e duri si contrappongono tra i pezzi più intimistici. Intimità che si celebra fino in fondo in “Simbiosi”, dove Manuel si fonde come una Trinità: lui, la sua chitarra e il suo pubblico. Nient’altro.

E poi torna il “Veleno”, con la graditissima partecipazione di Nic Cester (presente nella versione Deluxe dell’album, proprio nello stesso brano), che dà qualche minuto di pace alle corde vocali di Manuel Agnelli, e ci regala una versione ancora più spinta del pezzo, dove Giorgio Prette picchia ancora più duro sulla sua batteria invitando il pubblico accorso (forse in numero minore rispetto alle attese) a una partecipazione vibrante.

“Mi trovo nuovo” è solo l’ultimo dei 19 brani di “Hai paura del buio?“, che però dà il via a un concerto nel concerto, per un’altra ora di emozioni in un excursus “a sorpresa” di brani tratti da tutta la carriera della band: dalla dura Strategie, alla riflessiva Padania, a “La verità che ricordavo”, passando per “La sottile linea bianca”. Una lunghissima e sorprendente selezione di brani indimenticabile per tutti i fans. Il Bye Bye ce lo danno proprio con “Bye Bye Bombay” in un commiato tra il pubblico in estasi e un Manuel Agnelli completamente stremato che crolla sul palco.

Diciassette anni dopo non abbiamo più paura del buio, ma gli Afterhours ci piacciono ancora da morire.