Recensioni album

Recensioni, informazioni e notizie sugli album dei più importanti artisti italiani e internazionali: recensioni rock, pop, punk, elettronica, new wave e molto altro. Informazioni sulle tracklist, sui singoli in uscita e sulle date di pubblicazione degli album.

Il Circolo Magnolia nella sua versione “estiva” ha accolto il live della band di Detroit  Protomartyr in uno degli stage esterni alla struttura fortunatamente coperto anche per il pubblico, in una serata alquanto infelice dal punto di vista metereologico .

L’evento incluso nell’ambito del Festival Magnolia Estate ha permesso di apprezzare una performance live senza dubbio interessante non foss’altro per respirare l’aria di questa ondata post punk del secondo millennio che reinterpreta i fasti di quel rock che imperversò negli anni 80.

Se vogliamo anche la storia dei Protomartyr formatisi nel 2009 è abbastanza particolare considerando che il quartetto nasce da un nucleo di tre giovani elementi chitarra Greg Ahee , basso Scott Davidson e batteria Alex Leonard al quale si unisce in modo quasi casuale il quarto e più “maturo” membro, il vocalist Joe Casey.

Lo stesso Casey  che sino ad allora non aveva mai partecipato in una band decise che era forse giunto il momento  per lui e per gli altri membri di iniziare ad incidere pezzi propri, per non finire come migliaia di altri musicisti a suonare in qualche bar, cover di altri .

E la creatività non è mancata ai Protomartyr considerando che sono arrivati già a produrre il loro terzo album The Agent Intellect uscito a fine 2015 e che ha permesso loro di distinguersi nell’ambito della scena Indie di Detroit.protomartyr-the-agent-intellect

I ragazzi salgono sul palco alle 22,30 con tanta voglia di suonare , poca scenografia, look poco appariscente ma tanta sostanza e ottima tecnica.  L’energia profusa dai Protomartyr è subito disponibile con Coward Starve estratta dal nuovo disco e il singolo che lo aveva preceduto Blues Festival .

La chitarra di Greg si sdoppia in esibizioni solo e accompagnamento arpeggiata e distorta al contempo come nella bellissima Pontiac 87  mentre  la base ritmica solida e precisa non fa mancare il suo apporto di orginalità al suono della band.  Il vocal di Casey è particolarmente intrigante sia nei toni più bassi sia nelle interpretazioni punkeggianti e rabbiose che abbiamo ascoltato in Scum, Rise e Uncle’s Mother .

Nonostante si privilegi l’ultimo album nella scaletta non mancano due pezzi del disco d’esordio quali  Ypsilanti e 3 Swallows dove si apprezza la versione più grezza e punk dei Protomartyr.

Per il gran finale la band cala due assi i pezzi senza dubbio più conosciuti, Dope Cloud e la stupenda cavalcata di Why Does it Shake ! una canzone con due partiture ritmiche dal grande impatto sul pubblico.
Lo spazio per un unico encore è Come and See a chiudere il report che ha raccontanto di un’ ora di live intenso e magnetico.

TWBB Official

Voglio chiudere il mio trittico di recensioni dedicate alla musica Blues tornando sul patrio suolo per presentarvi il nuovo disco del trio varesino dei There Will Be Blood, “Horns” in uscita nel prossimo weekend (10 Giugno su etichetta Ghost Records) , quindi anteprima assoluta per tutti i nostri lettori.

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Ascoltate questo disco perchè il blues lo sappiamo fare anche noi !!! La frase “Italians Do It Better” non è troppo presuntuosa perchè nelle 12 tracce di Horns i There Will Be Blood riescono a sprigionare un sound Power Blues di grande respiro internazionale grazie ad un ottima produzione e al vocal rigorosamente inglese.

Il trio è composto da due chitarristi con un DNA da bassisti (Riccardo e Davide )  e da un batterista Mattia che sin dall’inizio del loro percorso, inziato nel 2009,  hanno costruito una solida base musicale fatta di blues rock, potente, orecchiabile ed energico.

Questo nuovo capitolo è senza dubbio il più interessante e maturo della band perchè sin dal primo ascolto è evidente che i tre ragazzi hanno ampliato gli orizzonti musicali e non solo, spaziando dai meandri del Mississipi delta agli  immensi spazi polverosi del Texas fino a raggiungere il New Mexico,  utilizzando sapientemente nuovi strumenti come tastiere , fiati, armonica  ma senza perdere il filo rosso di riff, cassa e timpano !

E dunque il viaggio inizia con una classica Burn Your Halo con un assolo di armonica da brivido su una base indiavolata e per avere un assaggio di fiati su strati di massicio rock’n’ roll la traccia 2 Fire è un vero portento, ma se volete fare stomping ascoltate Undertow !!!

Il Lento incedere di Reviver è il preludio ad un’immaginifica cavalcata all’inseguimento di Tex alla traccia 7  Ride , western style morriconiano, cori e voce compresi, terminata al tramontar del sole con la titletrack Horns vero e proprio guitar solo  .

Troviamo anche uno struggente Gospel Blues “Blind Wandering” alla traccia 4 e non ci vogliamo far mancare niente con i classiconi Short Breath e Lust per andare a concludere con una grande Ballad TexMex,  Till Death Do Us Part per cantare tutti insieme intorno al falò.

Io ve li consiglio anche dal vivo There Will Be Blood sapranno infondervi un energia positiva che vi accompagnerà a lungo !!

TRACKLIST

1. Burn Your Halo 2. Fire 3. Blind Wandering 4. Undertow

5. Mismatch 6. Reviver 7. Ride 8. Turn Your Back 9. Horns

10. Short Breath 11. Lust 12. Till Death Do Us Part

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COPERTINADi fronte ad una interessante novità discografica che ci arriva tra le mani in anteprima qui in redazione, abbiamo sentito la necessità impellente di recensire questo disco anche perchè di fatto si tratta di un esordio assai promettente.

Parliamo di The Last Days of Oakland di Fantastic Negrito, artista dalla vita rocambolesca e avventurosa che è passato attraverso gli alti e bassi che il destino gli ha proposto sul suo cammino, arrivando finalmente ad un momento di svolta e di maturazione artistica grazie alla pubblicazione del suo primo  disco che uscirà il prossimo 3 Giugno per Believe Recordings Italy.

Dentro le 13 tracce troviamo un melting pot originale fatto di Blues, Rn’B, Roots e perchè no anche Pop, dove la straordinaria Voce di Fantastic Negrito ( Xavier Dphrepaulezz all’anagrafe) si eleva su un master di chitarre dal sapore delta blues, base ritmica variegata, tastiere hammond e cori black gospel.

Provate subito un assaggio del Singolo “Working Poor” e apprezzerete il sound blues di Fantastic Negrito. A seguire una struggente About a Bird con un assolo di chitarra da brividi, che fa il paio con la 7 In the Pines e poi la traccia 4 Scary Woman ritmata con la pulsazione costante e il pianoforte che danza forsennato .

Passando alla traccia 9 con la stupenda Lost in The Crowd , possiamo respirare la densa atmosfera blues alla Muddy Waters con la voce di Xavier che vira dalla cristallina purezza alla ruvida pietra .

La conclusione del disco alla 13 traccia, spetta ad  una sublime Nothing Without you che fa capire se ancora non fosse chiaro che siamo di fronte ad un grande talento .

Fantastic Negrito  Tha Last Days of Oakland Altamente consigliato l’acquisto  !!!

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Tracklist

1 Last Days of Oakland

2 Working Poor

3 About a Bird

4 Scary Woman

5 What Do You Do (interlude 1)

6 The Nigga Song

7 In The Pines

8 Hump Thru the Winter

9 Lost in the Crowd

10 El Chileno (Interlude 2)

11 The Worst

12 Rant Rushmore

13 Nothing Without You

 

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Photo Credits Official Cosimo Maffione

E’ prevista per domani 22 Aprile su etichetta INRI, l’uscita in digitale del terzo Capitolo della trilogia Surf Rock della band torinese dei  Monaci del Surf.  La specialità della casa è la rivisitazione in chiave Power Surf Rock di alcuni classici del rock e non solo, che già nei primi due capitoli abbiamo potuto apprezzare in tutta la loro originalità e freschezza sia su disco ma soprattutto nei loro live elettrizzanti e danzerecci all’ennesima potenza.

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I Monaci del Surf sono 4 nella classica formazione basso batteria e doppia chitarra ,  mascherati e misteriosi, nomi in codice:  Il Cobra, il Tigre, Il Toro e L’Elefante.

Sapranno stupirvi con il loro rock strumentale, dove la voce è quasi sempre sostituita dalle slide guitar che arpeggiano irriverenti con raffiche rapide,  dove il tempo è scandito dai pistoni della sezione ritmica con cavalcate sonore che superano raramente i 3 minuti.

Uscite dalle sicure  autostrade e percorrete strade polverose in mezzo alla campagna o lunghe litoranee sferzate dalle onde, la giusta colonna sonora che vi accompagnerà è quella dei  Monaci del Surf .

Già perchè tra le 14 Tracce del nuovo disco vi imbatterete in cover di grande impatto prima fra tutte il singolo Heart Shaped Box dei mitici Nirvana

oppure una Rettore d’annata in una Lamette Surf spettacolare.

Il classicone Electro dei Depeche Mode Personal Jesus  è qui reinventato dai nostri Monaci e non crederete alle vostre orecchie, si perchè anche senza la vox suprema di Dave Gahan il tutto funziona alla grande.

Potrete ballare il Limbo di Chubby Checker o lo Ska di One Step Beyond ma badate bene sempre surfeggiando sulle onde elettriche del rock  sognando la California dei Mamas & Papas o perchè no centrifugare il classico italiano il Cuore è uno Zingaro del nostro Nicola di Bari.

Molto belli anche i  due inediti firmati Monaci del Surf Il Mostro di Pongo e Basta che preludono allo stupenda medley finale Quella Lenta sequenza perfetta di quattro classici che solo qui troveranno la simbiosi assoluta. Ascolterete la Blue Monday dei New Order che stringe la mano a Wicked Game di Chris Isaac  e la Mohammed dei Dandy Wharols che abbraccia  Rain dei The Cult.

Un consiglio spassionato ; non perdete la prossima imminente tournee dei Monaci del Surf che attraverserà la penisola partendo da Torino, con già molte date confermate e moltre altre da inserire !!!

Què Viva El Surf , Què Viva el Rock !!!

Tracklist

1. Heart Shaped Box ( Nirvana)

2. Personal Jesus ( Depeche Mode)

3. Lamette ( Donatella Rettore )

4. Come Out and Play ( The Offspring )

5. Il Mostro di Pongo ( Monaci del Surf )

6. Limbo Rock ( Chubby Checker )

7. One Step Beyond ( Madness)

8. Basta ( Monaci del Surf )

9. California Dreaming ( The Mamas & The Papas )

10. Just Dropped In ( Kenny Rogers)

11. Game of Thrones ( O.S.T. )

12. All About That Bass ( Meghan Trainor )

13. Il Cuore è uno zingaro ( Nicola di Bari )

14. Quella Lenta ( Mohammed, Wicked Game, Blue Monday, Rain )

 

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Il titolo è già tutto un programma perchè è di ottimo Blues Rock di cui stiamo parlando. Già perchè l’enfant prodige Joe Bonamassa, sempre on stage, e sempre in cerca di una nuova chitarra per la sua immensa collezione vintage,  trova anche il tempo di scrivere nuovi pezzi e comporre così un nuovo disco di inediti “Blues of Desperation” uscito fresco fresco alla fine di Marzo.

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La fama di Joe è nota non solo al pubblico di genere (Blues ovviamente) ma si è allargata anno dopo anno raggiungendo grandi livelli di ascolto che travalicano trasversalmente il mondo del rock grazie alla sua maestria tecnica e compositiva.

E’ senza dubbio ormai considerato uno dei più grandi chitarristi rock, uno che ha saputo imparare dai grandi del passato, miscelando sapientemente la tradizione del blues rock di Muddy Waters o B.B. King con la creatività e la follia di Jimi Hendrix, alla tecnica di Eric Clapton e la forza di Steve Ray Vaughan.

Bonamassa ha alle spalle migliaia di ore passate imbracciando il suo strumento , tra session , concerti e collaborazioni,  e certamente ascoltando il nuovo disco si sente tutta la carica di questo straordinario background. Non dimentichiamo che Joe è anche dotato di una grande vocalità con un timbro black soul importante capace di impreziosire le 11 tracce del nuovo disco.

All’interno troviamo la quintessenza del Blues rock con tutti gli ingredienti necessari a preparare una miscela di grande impatto. Voce blues con tonalità calde ed avvolgenti, assoli di chitarra per veri intenditori, base ritimica precisa e potente che in alcuni casi fa uso della doppia batteria il tutto condito da una  produzione come sempre super professionale.

Si inizia subito forte con This Train sferragliante cavalcata con uno sterpitoso duetto chitarra- pianoforte che fa il paio con la track 8 Distant Lonesome Train, proseguendo poi con i due grandi singoli che hanno preceduto l’album vale a dire Mountain Climbing e Drive. Questa sequenza basterebbe già per fare di questo disco un numero uno del genere e non solo.  Come dire ascoltare per credere !

Ma Joe è pronto a stupirici anche più avanti, perchè la titletrack Blues of Desperation è un sincopato rock blues a due livelli di intensità che ci ammalia con le sue chitarre graffianti le sue distorsioni oltre sei minuti di “disperazione blues”.

I classiconi blues non possono mancare e pezzi  come Livin Easy , What I’ve known for very long time e ancor di più la straordinaria You left me nothing but the bill and the blues.

C’è lo spazio anche per un un country rock come The Valley Runs low giusto per non scontentare nessuno perchè in fondo quello che vogliamo ascoltare da Bonamassa è la sua chitarra, immergerci nella magia del blues , immaginando di viaggiare lontano su queste note…….

Tracklist

1. THIS TRAIN

2. MOUNTAIN CLIMBING

3. DRIVE

4. NO GOOD PLACE FOR THE lONELY

5. BLUES OF DESPERATION

6. THE VALLEY RUNS LOW

7. YOU LEFT ME NOTHIN’ BUT THE BILL AND THE BLUES

8. DISTANT LONESOME TRAIN

9. HOW DEEP THIS RIVER RUNS

10. LIVIN’ EASY

11. WHAT I’VE KNOWN FOR A VERY LONG TIME

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A 2 anni dal precedente lavoro “Electric Chair” esce “Extreme Boogie” nuovo album dei The Cyborgs che grazie a Metatron abbiamo ricevuto in questi giorni in redazione. Intanto è un grande piacere per me fare la review del disco perché seguo le vicende del gruppo anche da grande fan, e, dopo averli visti calcare il palco di Barolo come openers ai grandi Deep Purple, non posso fare a meno di avere la mia dose di boogie giornaliera .

Sono i due Robot italiani  Cyborg 1 e Cyborg 0 , rappresentanti dell’ Elektrock Boogie, con il loro visual  enigmaticamente mascherato  che cela i volti di due straordinari blues rocker, coppia perfetta che a dispetto dell’esigua compagine è in grado di duplicarsi e di dare vita ad una travolgente miscela di blues, rock ed electro.

Vedere per credere , e l’immagine di copertina di Extreme Boogie  è la perfetta rappresentazione delle loro performance live dove Cyborg Uno si occupa da solo della sezione ritmica (basso e batteria) e di un guazzabuglio di altre diavolerie robotiche sonore , mentre Cyborg Zero canta con il micro incorporato nella maschera riffando vertiginosamente sulla chitarra elettrica.ITV021_cover

Devo dire che il disco mi è piaciuto subito al primo ascolto per la sua energia e freschezza e si ha la netta percezione di una progressiva maturazione compositiva che i The Cyborgs stanno percorrendo disco dopo disco e che ci siano riusciti anche e soprattutto trovando risorse nei ritagli di tempo della loro infinita tournee che li vede incessantemente percorrere in lungo e in largo l’Italia e l’Europa.

Preceduto da un paio di grandi singoli che ritroviamo puntualmente all’interno del disco quali la rutilante Bee Leave Me e la più recente e frizzante Spanish is sexy, Extreme Boogie si apre con 2 straordinari Elektro Boogie,  I’m just a Cyborg and I dont believe in God e la titletrack  dove il blues da ballare ci da una scarica elettrica ad alto voltaggio trasformandoci in un branco di tarantolati.

Interessanti la traccia 6 e 11  SoS e Oxyehho perché il blues si spinge in territori rock’n’roll con le chitarre distorte e la batteria in 4/4 a dimostrare che i 2 robot sanno muoversi nello spazio musicale con destrezza e creatività.

Composto da 13 tracce Il disco si chiude  con due stupendi “alternative blues”, Zero Blues e Game Over che certamente affondano le loro radici nel delta  ma che si arrichischino e nutrono della linfa vitale del mondo Cyborgs fatta di  Robovoice , tastiere,  synth e sound effect .

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I testi descrivono con ironica leggerezza la storia , la biografia e la “leggenda” dei The Cyborgs , la musica ha la capacità di sdoganare il blues verso un pubblico giovane e di farlo uscire dalla nicchia; 5 stelle il mio giudizio finale in spasmodica attesa di vedere e gustare l’album live !!!

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Marilyn Manson - The Pale Emperor

Quando il Reverendo ritorna per la sua predica rock , l’attesa di ascoltare le sue nuove creazioni  si carica di pathos,  sofferenza ed emozione si generano nell’etere  anche e non solo nelle schiere dei suoi fans.

E cosi dopo un paio di anni dal precedente Born Villian, Marylin Manson pubblica agli albori di questo 2015 il nuovo disco “ The Pale Emperor” . Le aspettative sono sempre grandi considerando che il personaggio Marylin con le sua  bizzarra , contradditoria e provocatoria personalità  da sempre  fa discutere e dividere sia il pubblico che i critici sulle sue doti di musicista.

E così recensire il suo nuovo disco non è impresa semplice se si tiene conto del passato e dell’aura dell’artista Marylin Manson.  L’approccio che ho considerato utile è stato quello di cancellare, resettare e non considerare niente della storia di Marylin Manson e provare ad analizzarlo come un qualunque nuovo disco di rock alternativo .

Lavoro con  10 tracce + 3 extra nella versione deluxe  che si apre con una potente  e alternativa  opening  “Killing Stranger” , grande rock blues satanico  dal ritmo sincopato che ci fa capire subito che la vena compositiva di Marylin è in gran spolvero,  la voce sofferente , dilaniata, primordiale  è  grandiosa, i testi sempre provocatori , ma soprattutto si percepisce una cura maniacale negli arrangiamenti.

 Deep Six  pubblicata  anche in versione Video suona più tradizionalmente metallica e ritmata  mentre Third Day of a Seven  Day Binge  ha un atmosfera pazzesca, cupa e onirica allo stesso tempo  con  una voce a tonalità sfaccettatte  .  The Mephistofeles of Los Angeles  insieme a The Devil Beneath my feet ci mostrano il rock mansoniano alla massima potenza , batteria sovraesposta e  chitarra distorta .

Questo è rock che suona alto e forte  al di là del personaggio al di là del bene e del male che vi piaccia o no e quando ascolterete il Cupido che imbraccia il fucile anziché l’arco e le frecce  capirete che l’essenza di Marylin Manson nel 2015 è quella del’artista maturo che non rinnega il passato ma che sa mettersi in gioco su un piano più tradizionalmente rock con sorprendenti sfumature blues .

Le tre perle finali presenti nella versione deluxe ( che consiglio) sono 3 riarrangiamenti i unplugged e semiacustici  di  Third Day of a Seven Day Binge che si ripropone come  Day 3 mentre The Mephistofeles of Los Angeles diventa  Fated, Faithful , Fatal  invece Odds of Even  si scarnifica per sublimarsi nella struggente   chiusura del disco  “ Fall of the House of Death”

IL Reverendo è tornato

 

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C’era un tempo in cui Gianluca Grignani smembrava i preconcetti della musica leggera italiana creando un disco come La Fabbrica di Plastica, un album che si è abbattuto come un fulmine a ciel sereno nella musica di un paese che stava per essere orfana di Lucio Battisti e che si accingeva ad entrare nel nuovo millennio con una formula completamente alterata per creare artisti; i talent show. Proprio quella “Fabbrica di Plastica” che ci descrisse in quel disco. Non siamo contro i talent, li seguiamo, una volta no ma abbiamo capito che in un paese ormai povero se non nullo di cultura mainstream, il talent è rimasto l’unico mezzo per avvicinare alla musica i giovanissimi, sperando che abbiano la critica e l’audacia per espandere il loro bagaglio culturale,senza soffermarsi e fermarsi al singolo prodotto confezionato dalle case discografiche per essere venduto dopo il successo televisivo.

Gianluca Grignani è stato un “teen idol”, è nato come prodotto, si è ribellato, si è preso le sue responsabilità e ne ha pagato le conseguenze, perdendo il treno del successo su larga scala (che aveva appena tracciato con il suo esordio), intraprendendo una strada tortuosa, fatta di ricerca, sperimentazioni, album più e meno riusciti, perdendosi nell’infinita miriade di cantautori italiani pur mantenendo quello stile tutto suo. Anno dopo anno ha pubblicato materiale più o meno meritevole, prodotto più o meno bene, a volte nei testi, a volte nella sola musica, a volta nel genere, a volte negli arrangiamenti. Ma dopo Sdraiato Su Una Nuvola non è più riuscito a pubblicare un lavoro completo, come un contenitore pieno di ogni ingrediente per poter terminare la propria creazione. Ha ottenuto risultati buoni, altri meno buoni, i fans si sono divisi in esaltati e nostalgici, la svolta pop sancita con il successo radiofonico de “L’aiuola” e l’uscita de “Il Re del Niente” ha segnato uno spartiacque tra due tipologie di artisti che si sono avvicendati a cavallo del 2000. Ma il periodo più difficile per Gianluca Grignani a nostro modo di vedere è arrivato negli ultimi 5 anni, conscio del fatto di essere un talento sprecato, ha dovuto rimboccarsi le maniche affrontando un percorso ancor più difficile del precedente; un’autoproduzione con mezzi e fondi limitati. Questo percorso musicalmente inizia nel 2008 e termina nel 2014, con 3 album, una biografia e tantissimi episodi e scandali che lo hanno riguardato.

Questo succede agli artisti che vivono nella propria altalena di emozioni e difetti, errori e vita percorsa sul filo di un rasoio tra giusto e sbagliato. Grignani è stato criticato, l’abbiamo criticato e personalmente scrive chi l’ha criticato, e tralasciando tutte le vicende personali che ci accomunano, oggi possiamo tranquillamente affermare la necessità di parlare a viso aperto del suo ultimo album “A Volte Esagero”, pubblicato il 9 Settembre 2014.
Cominciando dicendo che Gianluca Grignani ha interamente cambiato manager ed ufficio stampa (spesso le critiche più ferree che abbiamo espresso erano più rivolte a codesti piuttosto che all’artista stesso, rei di non aver mai accompagnato adeguatamente Gianluca Grignani negli steps che percorre la breve vita della post-produzione e della promozione di un album, tour compreso).
Un album, “A Volte Esagero”, la cui gestazione è partita già dopo la pubblicazione di Natura Umana, scritto in 3 soli mesi nel 2011, a prova del fatto che fu un album che fece da intermezzo, un prodotto che DOVEVA essere pubblicato. A Volte Esagero è stato registrato tra gli Air Studios di Londra e il Forward Studio di Roma (ed alle registrazioni hanno preso parte anche Lele Melotti, grandissimo batterista e Cesare Chiodo, bassista eccellente).

Il disco, prodotto insieme ad Adriano Pennino, presenta testi e musiche di Gianluca Grignani e parte con un intro che è anche il primo singolo pubblicato a Giugno 2014, “Non Voglio Essere un Fenomeno”. Ma andiamo con ordine. Gianluca Grignani si affaccia con questo nuovo album attraverso ballad sottili ed emozionanti, alternate a ritornelli di puri power chords rockeggianti, ed i suoi classici arpeggiati che lo hanno caratterizzato negli anni, a volte sfiorando anche piccoli accenni di psichedelia e progressive.
Ma non è tutto, Grignani tira fuori anche il lato nascosto privato di se stesso e lo fa in una delle perle dell’album, Madre. Un album che sembra quasi scusare l’attesa per tutto questo tempo, in cui si sente un pizzico di ammissione dei problemi che da sempre lo rincorrono e la voglia di riscattarsi. Insomma un cantautore ritrovato, che a suo dire, ha curato ogni minimo dettaglio personalmente di ogni brano , e avvalendosi di grandi collaborazioni. Un album veramente gustoso, musicalmente ricco, azzeccando inserimenti di archi di violino, strumenti a fiato, sax , flauti traversi, e un pizzico di elettronica digitale, che inserita nei punti giusti non guasta. Tanto si sente l’impegno nel cantato, eliminando (e diciamolo , finalmente!) i tanto fastidiosi ugolii che spesso trovavamo in Natura Umana, sostituendoli con assoli di ogni singolo strumento, con acuti graffianti e decantate dolci e sottili. Ma occhio, A volte Esagero è un album che difficilmente sentiremo in live come nella versione studio, essendo come detto in precedenza molto ricco , a livello strumentale nel registrato, nel live apparirà più asciutto e povero, dove solamente una mini orchestra potrebbe compensare (e se in tour si servirà di qualcosa del genere grideremo al miracolo, ma probabilmente il tutto si risolverà con delle tracce registrate), ma se l’artista riuscirà a dare nelle sue performance la professionalità che serve e la giusta concentrazione con il quale è stato creato l’album, allora il risultato sarà più che soddisfacente per gli occhi e per le orecchie degli spettatori.

Video di “Non Voglio Essere un Fenomeno” – Gianluca Grignani

Ma tornando all’intro del disco, ovvero Non Voglio Essere un Fenomeno, possiamo dire che è il brano con il quale Grignani ha deciso di ritornare sulla scena e promuovere il nuovo album. E tutto fa pensare ad una scelta ponderata e azzeccata, in visione vendite,ma al contrario delle altre canzoni, sembra essere nata solamente per questo scopo. Dobbiamo ammettere che al primo ascolto, considerando la possibilità di almeno altre 8/9 tracce di un album siamo rimasti dubbiosi sulla scelta, ma già dal secondo ascolto la musica è appunto, cambiata. L’apertura elettronica, quasi dub, fa saltare quasi increduli. Su questo filo fa l’esordio la voce di Gianluca , che rompe il ghiaccio, e si capisce subito che la musica è cambiata. “Quando sei uno come me che non vai a genio a tutti sai che ci provi ma non ci riesci mai..” , cosi inizia la strofa del brano , e fa capire che questa volta Grignani ne ha per tutti, con la consapevolezza di un uomo maturato. Risulta un po’ povero all’inizio ,sciapo , ma giusto il tempo di arrivare al ritornello per spalancare i volumi ed aumentare i gain , ed il brano esplode. Le chitarre elettriche fanno il loro esordio, il tanto famigerato distorto arriva, e delle triadi sottili accompagnano la ritmica del ritornello, dando il via ad un gradevole piacere per le orecchie. Ma il clou del brano arriva al minuto 2:58, dove anticipato da uno stacco discendente d’archi, entra prorompente l’assolo di Michael Thompson, famoso chitarrista Newyorkese (con gia delle collaborazioni eccellenti come ad esempio Phil Collins, Celine Dion, Bolton, Cher oltre che la carriera con la sua band) e mette quella ciliegina su quella torta già bella cosi. Un grande in bocca al lupo a Salvatore Cafiero nella riproduzione live. Il brano riscuote un discreto successo nel giro radiofonico , grazie al testo divertente e trasportante del ritornello,che entra nelle orecchie di chi lo ascolta e suscita la curiosità di ciò che sarà l’album.

Il testo del brano è evidentemente una presa in giro verso tutti i fenomeni della musica commerciale che prendono posizione e potere su un palcoscenico giusto per il tempo di una canzone (o quasi). Fenomeni dal facile canto ma privi di reali capacità e doti nella scrittura musicale, che quindi vivono di interpretazioni finchè i parolieri esauriscono i “gettoni” (cioè i testi per le canzoni) per cui sono stati pagati. E Grignani mette a nudo (anche) questo aspetto prendendosi come esempio, perché come dicevamo prima, anche lui è stato un fenomeno a suo tempo ammettendo che “esser famosi è già fuori moda per me” riferendosi chiaramente al suo bruciante esordio da teen idol, ormai nel passato del cantautore.

Un brano che apre le porte di un disco pieno di tematiche, come nel secondo brano, L’amore che non Sai, una traccia deliziosa , nel suo stile, nel suo modo di porre una prospettiva sull’amore, quel Gianluca Grignani che conosciamo, che osserva e scrive i più intimi particolari di una donna che non si accorge di quanto quest’uomo la ami. Inizia tutto con una strofa dolce e romantica, cantata con una vocalità inedita per Grignani, come un risveglio al mattino, con degli archi che precedono la chitarra classica, con qualche elegante armonico qua e la, che accompagna fino all’intro del ritornello, dove la ritmica con un non troppo prorompente overdrive fa da sfondo ad un ritornello pieno e ampio. Esplosione di archi e di chitarre, per poi passare al bridge, a mio avviso veramente bello, studiato perfettamente, dove i violini fanno la parte da padrone, che sfuma poi verso la fine del brano.

Il testo è tipicamente nel suo stile come abbiamo detto precedentemente, è descrive l’amore che vive insieme alla sua famiglia, confessando alla propria metà tutto il proprio amore, presentando anche quello che non riuscirà mai ad esprimere, perché come tutti i sentimenti, l’amore non ha la completezza materiale che possa renderlo visibile concretamente ed il tutto viene compensato dall’alchimia di amare una persona come voi vorreste essere amati, consci del fatto che la vostra metà potrà donarti nel corso della vita un amore che nessuno conosce, se non coloro che hanno avuto figli, e cioè l’amore di essere padri di creature che a loro volta ti insegneranno ad amare in un modo che non hai mai conosciuto. Un brano, questo, dove Grignani riconosce che si può amare e scoprire amore sempre nel corso della propria vita,senza mai smettere, abituarsi, credere di conoscerne già tutti i contorni, in sintesi parla dell’amore che non sappiamo, dandone un’espressione infinita, perché ad ogni forma d’amore che nella vita abbiamo conosciuto e che continuiamo a dare, riceve e condividere, possiamo star certi che ce ne sono altre infinità che ancora non hanno investito la nostra vita e che forse non conosceremo mai.

Il disco prosegue con la title track A Volte Esagero che da il nome al disco, francamente ci saremmo aspettati di più. Al contrario anche del deludente Natura Umana, dove comunque il brano di rilievo, appunto la title track, era uno dei più belli e forti dell’album, qui A volte Esagero non lascia il sapore in bocca di qualcosa di gustoso, un brano appena sufficiente, nell’arrangiamento e soprattutto nel testo, eccetto qualche verso nel ritornello, ma dove la parola “Fratello” viene incessantemente ripetuta, anche nell’intero disco. Classico schema strofa/ritornello/strofa/ritornello/bridge/ritornello finale, senza l’esplosione o nel caso l’esagerazione di un super assolo, che lascia a bocca asciutta. Il brano che deve e doveva esagerare, non lo fa. Al posto di una pennata dolce e ritmica, avrebbe dovuto dar giù di power chords, per un titolo cosi.

Il testo di questo brano si presenta con il verso “Resto qui a guardare le onde contro a un muro girare” che è ispirato dal brano Watching the Wheels di John Lennon, brano postumo pubblicato nel 1981 (un anno dopo la sua morte) nell’album Double Fantasy, un inno alla pigrizia (le onde sul muro non sono sogni ma semplici pensieri scaturiti dall’ozio). Troviamo assonanze tra questo brano e quello che fu di Lennon in quanto quello di Lennon fu scritto in risposta a chi non comprese il suo tirarsi fuori dalle scene per anni, relegandosi al “solo” ruolo di marito e padre mentre quello di Grignani è scritto quasi per manifestare un continuo bisogno di fuga dal suo ruolo di artista musicale per riallacciarsi alla strada, quella strada da dove viene, alla continua ricerca di emozioni e non solo ricordi di esse, ma che nella parte finale ammette con orgoglio ciò che è e sarà per sempre il suo mestiere. Queste le emozioni che lo portano ad esagerare, ed ecco che da qui il disco comincia un suo “lato b” di confessioni.

Questa parentesi del disco inizia con il brano Il Mostro, forse uno dei più belli dell’album. La sua apertura è cupa, misteriosa, con uno stile che avvicina ai The Cranberries ma che possiamo trovare nella discografia di Grignani in brani come Scusami Se Ti Amo ed un pizzico di psichedelia. Le triadi risuonano con un effetto chorus che veste perfettamente la parte iniziale del brano, su di un pad che da la sensazione di essersi persi in un posto buio e tenebroso (non a caso il brano doveva iniziare con un discutibile verso che ci presentava Cappuccetto Rosso). Ed eccolo li che comprare, il mostro! Il ritornello arriva , e non si può far altro che rimanere a bocca aperta, l’effetto sulla voce di Gianluca è affascinante, il wah wah e il distorto sulle chitarre funzionano alla grande, ed è il risultato di un gran bel pezzo. Il testo, stupendo, è l’ammissione di una delle sue ormai famose “esagerazioni” e ne conferisce bellezza la costruzione geniale, che pone Grignani come una donna attratta dal “Mostro” che interpreta la “tentazione” a cui non riesce a rinunciare e di cui non riesce ad ammetterne i mali. Altra interpretazione che si può dare al testo del brano ci dirige ad un messaggio verso una persona che ha deluso Grignani, una persona forse caduta in tentazioni che lui conosce bene e da cui non è riuscita a tenerla lontana, chi lo sa? Nota di merito al bridge, dove l’assolo di sax è qualcosa di meraviglioso, e con l’aggancio e il reprise del ritornello calza a dovere, dove si inserisce anche la chitarra (di Alberto Radius, gran maestro della 6 corde), che insieme al sax vanno a sfumare pian piano verso la fine del brano (e questa ultima scelta, quella di non finire in modo brusco ma lentamente, è la migliore decisione che potesse prendere).

Il disco nel lato “confessionale” prosegue con il brano Madre, vera perla dell’album , emozione allo stato puro, e tenerezza. Un brano che andrebbe bene sia in versione studio che in versione live preferibilmente acustica, chitarra classica e piano. Violini e chitarra acustica si dividono le parti nella strofa, mentre il ritornello , stupendo, si chiude dopo un accompagnamento con non troppo rumore, con un piano raffinato. Da notare – e qui va un applauso – il flauto traverso, in pieno stile del miglior Ian Anderson dei Jethro Tull inserito a sorpresa , molto delizioso e particolare. Un brano in cui sembrano riaffiorare i ricordi di Grignani, emozioni materne, e l’amore verso la donna che l’ha cresciuto. E della quale sente ancora il bisogno in questo mondo dove si trova perso, arreso e spaventato, dove senza il suo aiuto, le paure lo perseguitano, paure che lui allontana soffiandole vie costruendosi una sicurezza di spirito che però nella solitudine di un letto ove i pensieri si fanno fitti e ci si sente vulnerabili, tali paure scendono giù, calando, insieme alla quella sicurezza e forza che era solo una maschera con cui ogni giorno si protegge. Un Grignani che apre al suo mondo privato, e personale. Testo molto intimo, la cui tipologia di scrittura riporta agli esordi, in quanto si presuppone che sia stato scritto tra il 1994 ed il 1996 ma che fu scartato perché (la leggenda narra) ritenuto un testo troppo maturo per un ragazzo appena ventenne.

A questo punto il disco ha un riempitivo che disorienta i fans di Grignani, Rivoluzione Serena, un brano non proprio nel suo stile a livello musicale ma che nel testo presenta quegli ingredienti che hanno reso negli anni Grignani un artista free spirit, un testo che inneggia alla pace ed al cambiamento senza le ripercussioni dei conflitti per ottenerlo, tale stile dona all’album un momento di pausa dopo una doppietta devastante, con un funky ben curato che scorre piacevolmente, con l’Hammond che nel ritornello fa il suo dovere, anche se ne avremmo apprezzato maggiormente una versione più distorta, ma va dato merito anche alla “jam session” sullo stacco nel secondo ritornello ed alle trombe nella parte finale.

Il disco riprende con Maryanne; molto bella , intensa, la strofa si presenta con un Hammond che fa da tappeto alle 6 corde, mentre il ritornello nel cantato riflette i tratti tipici di Grignani, ritmica con un leggero distorto ed un riff delicato a seguire. Nella seconda strofa uno slide leggero entra e da un sapore di purezza e di vittoria. Un brano che risulta gradevole, e dimostra la grande sensibilità di Grignani, che nel testo racconta di una ragazza madre di colore che vive le vicissitudini di una vita che non è quella che ha sempre desiderato ma che nonostante questo cerca comunque di valorizzarla nel significato,nel sacrificio,donandole un valore intrinseco che solo la sensibilità dell’autore del brano (e di chiunque non si soffermi di fronte ai pregiudizi) può cogliere.

L’album prosegue e si avvia alla conclusione con un trittico di brani che inizia con Fuori dai Guai, una traccia che riporta a sonorità riconoscibili in album come La Fabbrica di Plastica per la durezza ma dove si può riconoscere un giro eseguito con tempi maggiori che ricorda molto quello di Polly dei Nirvana. La strofa rimane sulla stessa falsa riga, dove la batteria da il tempo, quello giusto, e gli armonici danno il via al testo e un’elettrica, con un pò di phaser, costruisce il riff principale. Il ritornello è molto bello, non pesante, dove c’è il solito tappeto dell’elettrica, ma leggero, che da modo al basso di continuare il suo ruolo da protagonista. Inaspettato e piacevole il bridge, dove tutto si sfuma, l’effetto delay con in sottofondo un ritmo dance anni 90 che alleggerisce per qualche secondo il brano e da un tocco soft e rilassante, per poi riesplodere in pieno con l’arrivo del solo che porta alla chiusura del brano. Testo incalzante e diretto che ha il suo massimo picco sul bridge e nella strofa finale, la cui tematica ripercorre uno dei concept dell’album, ovvero l’esagerazione, che porta il protagonista a ritrovarsi sempre al centro delle “cazzate”, a cui lo stesso cerca di dare una giustificazione, appellandosi alle paure ed alla ricerca dell’amore di cui spesso si sente privato. Un brano accompagnato da un sound piuttosto gravoso, quasi a trasporre il significato delle parole nella musica, rotolando via e proseguendo oltre.

L’uomo di Sabbia è il brano in cui si deve necessariamente scendere a compromesso tra le penne di questa recensione. C’è chi dice che sembra scritta da Gigi D’alessio, chi invece la giudica una vera perla del disco. E’ opinione condivisa che il testo sia un sunto (molto più riuscito) di tutto ciò che si voleva comunicare con Natura Umana. Un brano che parla della crisi economica come crisi culturale, sociale, umana ed esistenziale, le cui metafore donano all’ascoltatore la possibilità di poter apporre alle parole ed alla musica diverse interpretazioni e diverse immagini, come la “ruota che gira” nel mondo, semplice e logico esempio di come (e qui ci spingiamo oltre, azzardando) la lotta di classe abbia portato prima in confitto la classe operaia con quella imprenditoriale, mentre oggi queste due (insieme) sono in conflitto con quella che possiede la ricchezza finanziaria, privandone la maggior parte della popolazione e che deteriora i paesaggi in un degrado urbano che è la prova più sconcertante di tale crisi. In una ruota che gira e che pone sempre ad un uomo realizzato e fiero (il classico self-made man), un altro calpestato e distrutto. Il tutto condito da un sound sintetizzato con l’elettronica, esperimenti già intrapresi in Emozioni Nuove.

Si giunge a conclusione dell’album con Come Un Tramonto. Il brano è profondo a dir poco, l’arpeggio nella strofa e l’Hammond leggero creano un’atmosfera stupenda, con un bellissimo ritornello. Un power chord leggermente sfumato con un violino che lo accompagna e Grignani che canta in modo eccezionale e mette in mostra le sue vere doti. L’arrivo della batteria nella seconda strofa da il “la” alla canzone, che poi sembra un tutt’uno col ritornello. Il bridge sembra un sogno, si aprono i violini e gli archi e Grignani li segue, non sbagliando una nota, e crea un vero e proprio capolavoro che raggiunge l’apice nel verso “per te che sei l’immenso colore di un dipinto che fa arrossire anche me” cantato in maniera quasi lirica se non effettivamente così, un verso che ci trasporta sul finale in un’aria che è la giusta conclusione per questo disco.
A VOLTE ESAGERO è un disco che taglia i ponti con gli ultimi 5 anni della carriera di Gianluca Grignani, perché pur essendo la fine di un percorso iniziato con RRS e Natura Umana, questo album è l’inizio della svolta professionale dell’artista, che oltrepassati i 40’anni ha il dovere di virare verso concezioni più mature della musica, che già in questo disco appaiono chiare, prendendo si spunto dal proprio “cassetto”, facendo riemergere vecchi pezzi, ma mixando ciò con quello che la sua verve attualmente mette nero su bianco. A VOLTE ESAGERO è un disco completo nella struttura, costruito in maniera genuina, che comprende tematiche come l’amore, i desideri,i bisogni, i vizi, le tentazioni, le esagerazioni, le paure, le speranze, e le soddisfazioni di un artista che ha sin’ora navigato in acque tempestose e che oggi si ritrova a terra in quel porto sicuro che è quel suo modo di fare musica che oggi prende forma in maniera concreta e definita.

FENOMENO. VOTO: 7,5
Adesso sarà interessante scoprire come questo buon lavoro sarà trasposto dal vivo; si parla di due grandi eventi nel 2015, la collaborazione scenografica con Marco Lodola (che ha curato la però non entusiasmante copertina, mentre le foto del booklet sono a cura di Marcella Milani) e tante altre novità che investiranno il percorso artistico di Gianluca Grignani a braccetto con quest’ultimo album. Tutto quello che sappiamo al momento che è stato creato un buon prodotto discografico, promozionato anche in VINILE (senza contare la diffusione via web con i canali streaming), che il secondo singolo è la title track (rilasciato il 26 Ottobre 2014, mentre il videoclip è appena apparso in anteprima su Vanity Fair) e che il presale del tour dovrebbe iniziare ad ottobre 2014.

Ma potremmo mai finire così questa recensione? Certo che no, quindi per tutti i fans di Gianluca Grignani concludiamo con il commento esclusivo all’album di Massimiliano Lalli, artista di cui non servono ulteriori presentazioni:

“A Volte Esagero” è un ritorno in grande stile per Grignani. C’è tanto, tantissimo in questo album e non stiamo parlando affatto di un album facile. Sarebbe stato molto semplice, con le caratteristiche e lo stile di Gianluca confezionare un LP ad uso e consumo della massa, invece il risultato è un grande album denso di storie ed impressioni, per nulla semplice all’approccio, anzi, si parla di un disco profondo e difficile. Eppure è bello vedere che la risposta del pubblico è stata così immediata; è bello vedere che un album dal concetto così internazionale, concepito nel suo insieme come una vera e propria opera, come si faceva una volta,abbia fatto breccia. E’ un disco per tanti versi spiazza, la Title Track confonde, ti fa andare in una direzione, per poi catapultarti in un universo profondo e poetico. In Italia molti confezionano dischi fatti di due, tre singoli e il resto è un mare di noia, un “riempitivo” come si dice in gergo. Qui non ci sono pezzi riempitivi, anzi, in questo disco i brani sono in competizione, tutti di gran livello e per tutti i gusti musicali e poetici. Non c’è molto da aggiungere, il disco di Gian dovete ascoltarlo in macchina, in casa, in aereo, mentre scopate con la vostra tipa, o mentre cucinando vi pensate Cracco; facendo un giro nell’autunno e farvi venire la pelle d’oca. Basterebbe “Madre” in loop per farne un gran disco “…dovrò soltanto stare attento alla sera, sul cuscino che insieme alle mie paure la maschera non cali piano”, ma Grignani si sa, a volte esagera e stavolta ha esagerato con 10 canzoni di altissimo livello e un disco che è una goduria per le orecchie. Grande ritorno.

Tracklist album “A volte esagero” di Gianluca Grignani
01. Non voglio essere un fenomeno
02. L’amore che non sai
03. A volte esagero
04. Il mostro
05. Madre
06. Rivoluzione serena
07. Maryanne
08. Fuori dai guai
09. L’uomo di sabbia
10. Come un tramonto

CREDITS: Gianluca Grignani – voce, chitarra, Cesare Chiodo – basso, Alberto Radius – solo chitarra ne “Il Mostro”, Lele Melotti – batteria, Maurizio Fiordiliso – chitarra, Adriano Pennino – tastiera, programmazione, Michael Thompson – solo chitarra in “Non voglio essere un fenomeno” Roberto Schiano – trombone, Alessandro Papotto – sax.

Articolo a cura di Alan Tommaso Piazza e Piergiorgio Pierantoni

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Il 9 Settembre  il nuovo album di Gianluca Grignani sarà disponibile in tutti gli store ed online ma proprio un giorno prima dell’uscita abbiamo l’opportunità di assistere alla presentazione stampa nella “Domus Aurea” di Sony Music.

Mentre le note del nuovo lavoro “A volte Esagero” scorrono in sottofondo si materializza un Grignani in gran forma , frizzante come se fosse all’inizio della sua quasi ventennale carriera , e pronto ad affrontare le nostre domande con la sua verve e il suo stile di sempre.

Gianluca Grignani è arrivato al decimo disco un grande traguardo nella propria carriera artistica ma anche una nuova linea di partenza dalla quale l’artista milanese si rimette in gioco ed inizia una nuova gara, una nuova sfida come succede sempre quando viene dato alle stampe un nuovo lavoro.

10 tracce nuove tra le quali il primo singolo “Non Voglio essere un fenomeno” che abbiamo già iniziato ad apprezzare da qualche mese, compongono un disco che ha avuto una gestazione abbastanza lunga nella ricerca della perfezione , dove lo stesso Grignani ci ha confermato di aver profuso tantissima energia  nella creazione prima e nella produzione poi coadiuvato da Adriano Pennino e con la presenza di importanti Session tra le quali le chitarre di Michael Thompson e Alberto Radius.

Un artista deve poter esprimere la propria creatività senza limitazioni e Gianluca Grignani riscopre la libertà di scrivere, di raccontare storie , storie vere che non sono solo le sue ma sono quelle che accadono anche a noi , tutti i giorni nella vita vera.   Grignani ci racconta come le fasi creative possono variare e come una canzone possa essere composta di getto in un caso e come invece ci possano volere anni a costruirne un’altra.

Raccontare gli altri e il raccontarsi si sovrappongono , canzoni con testi che declinano l’amore in tutte le sue sfaccettature, episodi e frammenti di sentimenti di passioni  di paure.

Parlando del lato più tecnico del disco e della produzione, Grignani spiega la ricerca di sonorità più moderne ed internazionali miscelata  con la mediterraneità della sua composizione , la volontà di raggiungere ove possibile la perfezione traccia dopo traccia e dal primo ascolto devo dire che Gianluca ha f
atto centro.

La sua voce è più matura con un timbro rock melodico di grande effetto sia nei brani più low-fi  che in quelli più tirati e ci aspettiamo da lui una grande Tournee nel prossimo anno per presentare live questo disco. Anche qui Grignani sta lavorando metodicamente per preparare una grande scenografia del palco e un paio di grandi eventi che non ha voluto ancora svelare .

Abbiamo conosciuto un grande artista che ama parlare di musica ma anche di se stesso e della sua vita con sincerità e trasparenza , un Gianluca Grignani che apprezza il grande rock degli Stones dei Pink Floyd e che si toglie il cappello di fronte ad artisti come Michael Jackson e che se dovesse fare un featuring lo farebbe con un rapper magari con Marracash perché è nel mondo rap che vede la grinta, la voglia di raccontare canzoni, il fuoco sacro della creatività , la linfa vitale dell’artista.

Sequel to the prequel - Babyshambles (copertina, tracklist, canzoni)

Vi abbiamo già accennato all’uscita del nuovo album dei Babyshambles di Pete Doherty in occasione dell’uscita del singolo “Nothing comes to nithing”, canzone che mette in evidenza un buona attitudine melodica. Il terzo lavoro in studio della band si intitola “Sequel to the prequel” e sarà acquistabile nei negozi di dischi a partire dal prossimo 2 settembre. Registrato tra Londra e Parigi il nuovo, terzo album di Pete Doherty e compagni vanta una cover art davvero pregevole che potete vedere qui sotto realizzata dall’artista inglese Damien Hirst, attualmente uno dei più stimati e apprezzati oltremanica, che ha preso spunto da una fotografia della band scattata dalla leggendaria Pennie Smith. Chi è costei? Pennie Smith è niente meno colei che ha realizzato lo scatto dell’immagine nella copertina di “London Calling” dei Clash. Insomma ci sono tutti i presupposti per un evento artistico coi controfiocchi. Di seguito anche la tracklist dei brani di “Sequel to the prequel”.

Tracklist album “Sequel to the prequel” dei Babyshambles:

1. Fireman
2. Nothing Comes To Nothing
3. New Pair
4. Farmer’s Daughter
5. Fall From Grace
6. Maybeline
7. Sequel To The Prequel
8. Dr. No
9. Penguins
10. Picture Me In A Hospital
11. Seven Shades Of Nothing
12. Minefield

Copertina album “Sequel to the prequel” dei Babyshambles:

Sequel to the prequel - Babyshambles (copertina, tracklist, canzoni)

Giungla - Paola e Chiara (copertina, tracklist, canzoni)

Paola e Chiara ce l’hanno fatta! Il loro annuncio choc è riuscito ad attirare l’attenzione sul loro nuovo album “Giungla” in uscita il prossimo 11 giugno. Sentite qua: “Dopo diciassette anni dedicati alla musica – scrive la Iezzi – mi sento di dire che nessuno ha mai veramente creduto in noi. Ecco perchè ‘Giungla’ è probabilmente l’ultimo disco. Il pop dance all’estero è una realtà, un business, qui non si capisce perchè siamo le uniche a farlo. L’avete notato, vero? No, ecco”. Questo il messaggio postato su Facebook da Chiara Iezzi proprio alla vigilia della pubblicazione di “Giungla”. Salite alla ribalta nel lontano 1997 con la partecipazione al Festival di Sanremo con il brano “Amici come prima”, Paola e Chiara hanno alternato nel corso degli anni 2000 grandi successi, come ad esempio “Vamos a bailar” e “Festival”, a lunghi momenti di anonimato. Evidentemente stanche di tutti questi alti e bassi nella loro carriera hanno deciso che è probabilmente giunto il momento di appendere il “microfono al chiodo”. Sarà vero? Intanto godetevi il nuovo (e forse ultimo) “Giungla”.

Tracklist album “Giungla” di Paola e Chiara:

Divertiamoci (perché c’è feeling) feat. Razza Krasta
Tu sei l’anno che verrà
Tu devi essere pazzo feat. Moreno
Non c’è me senza te
E se per caso
Ma tu non puoi (più chiamarla felicità)
Stai dove sei
Non piangere per me
Non sei più tu
Ultime gocce d’estate
Che mi importa di te Cover Rihanna California King Bad
La voce dentro me
Divertiamoci (Perché c’è feeling) [Nico Romano Rmx] – [Bonus track]
把心放开 (A modo mio Chinese Version) – [Bonus track]

Copertina album “Giungla” di Paola e Chiara:

Giungla - Paola e Chiara (copertina, tracklist, canzoni)

Comincia a trapelare qualche notizia in più in merito al nuovo album di Selena Gomez. La giovane star di Hollywood pubblicherà “Stars dance” (questo il titolo del suo debutto discografico) il prossimo 23 luglio, già anticipato dai singoli “Come & get it” e “Slow down”. Un album che a detta della stessa Selena Gomez sarà influenzato pesantemente dalle sonorità che hanno reso grandi artisti come Britney Spears, Taylor Swift e Skrillex.

Qui di seguito potete intanto apprezzare la copertina ufficiale di “Stars dance” e la tracklist dei brani, tra cui spicca “Of love will remember”, pezzo dedicato alla sua turbolenta relazione con l’ex Justin Bieber: “Questo è il brano più personale nell’album, di sicuro. – ha infatti ammesso la giovane artista – Penso sia un modo dolce di rilasciarlo. Non è un approccio aggressivo, ciò che le persone probabilmente invece si aspettano. (…) Sono certa che la amerà anche lui” ha concluso.

Tracklist album “Stars dance” di Selena Gomez:

“Birthday”
“Slow Down”
“Stars Dance”
“Like a Champion”
“Come & Get It”
“Forget Forever”
“Save the Day”
“B.E.AT.”
“Write Your Name”
“Undercover”
“Love Will Remember”

Copertina album “Stars dance” di Selena Gomez: