Recensioni

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DIMARTINO LIVE @CORVO TORVO | BITONTO (BA) | 1° NOVEMBRE 2013

Ultimo appuntamento pugliese con DIMARTINO prima della chiusura di un lungo tour che lo ha visto impegnato per più di un anno in giro per le principali città italiane. Torna in Puglia, dunque, e lo fa con tutta la passione e l’energia del rush finale. Sono circa le 22:30. L’atmosfera è calda (in tutti i sensi). Il pubblico freme. Ed ecco fare il loro ingresso Antonio Di Martino (voce e basso), Giusto Correnti (batteria, percussioni) e Angelo Trabace (tastiere, synth).
E subito, senza convenevoli, come fanno le stelle “si cade giù in un secondo, si cade come le stelle del cinema muto”. In un attimo le dita agili di Trabace ci introducono in cambio idea. Di Martino canta a occhi chiusi e la sua vena poetica, lucida e trasognante, ci travolge: “se non fossimo noi due, saremmo altri due”. Un estratto audio tratto da La Scuola di Daniele Lucchetti introduce il brano la lavagna è sporca: “la scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno!” e qui il buon Correnti sfodera le sue mille braccia fondendosi in un tutt’uno con la batteria. Le melodie trascinano il pubblico in un viaggio ben studiato, un piacevole saliscendi di emozioni, come una montagna russa a rallenty  dove l’apice del ritmo lascia a tratti il posto alla dolcezza infinita: ormai siamo troppo giovani.
E’ un Live incalzante, sembra non esserci tempo per dire tutto e per spiegare ciò che vibra dentro, per raccontare amori e malinconie, piccoli addii quotidiani, la vita e la morte. E poi il tragico e bellissimo, maledetto autunno. E’ bello da ascoltare, è bello da vedere. Loro sono lì, a un passo da me, e io posso sentire sulla pelle l’onda d’urto della musica. E sì, ho i brividi. Lo ammetto, sono sotto il suo giogo e non posso che dire: venga il tuo regno. Che poi Di Martino lo giura che non è mica una sua frase questa qui, pare sia di uno più famoso. La calma viene rotta dal mood elettronico pulsante e (no)stalgico di no autobus: “bacerò un astronauta per avere un contatto con le stelle, con l’assenza di gravità, per sentirmi più lontano da voi dal traffico, dai letti comodi, da me”. La tonalità di cercasi anima è un po’ alta e allora respiro profondo e boom!
Come se la cantasse per la prima volta, il Nostro afferra il microfono e ci urla la sua disperata ricerca “su un bancone della carne o tra le gambe di una ragazza il giorno della festa o tra i barattoli del sale o nel cuore di un tacchino il giorno di Natale” che poi, alla fine, ha perso la sua voce, ha perso la sua anima e non ha più parole per continuare. Ma anche se così fosse, anche se non avesse davvero più parole, ci pensa il pubblico a intonare non siamo gli alberi tanto che il microfono è ormai rivolto verso di noi che, come il Piccolo Coro dell’Antoniano, rispettiamo ligi i tempi e le pause. E quasi ci dondoliamo compiaciuti mentre Di Martino culla il suo basso.
Ora non prendiamoci in giro, a tutti scappa il sorrisetto beffardo nel ricordare il videoclip musicale di questo brano (regia di Giacomo Triglia) e se per caso non lo avete visto, bè, vedetelo. Si scivola rapidi verso la penultima cena e allora sì, la fame c’è, quindi “ci mangeremo così, con tutti i vestiti e i capelli, le ossa, il terrore in bocca, vedrai bastano pochi morsi ma buoni per divorarci bene”. Ed è così, sentiamo il gusto di ogni morso dato a questa magica serata di musica, ma di quella musica bella bella che a trovarla in giro mica è così facile e che quando la si trova non si è mai sazi. A seguire una cover di Piero Ciampi, sobborghi. E poco dopo un brano dedicato a tutti quelli a cui non interessa la lezione: non ho più voglia di imparare. I tre moschettieri, bloccati su un palco senza vie d’uscita, si scambiano sguardi complici. Sono costretti, dunque, a evitare la moina del ‘Fuori! Fuori! Bis!’. Il tempo di consentire a Giusto Correnti di asciugare le sue sette camicie di sudore e si riprende con piccoli peccati e poi, difilato, non torneremo più: “questa stanza non ha più pareti”, no, infatti ci siamo solo noi e siamo tanti e… Antò, fa caldo! E così, mentre tutti dormono, parto. Ma il pubblico non sembra intenzionato a lasciarlo partire, proprio no. Allora Di Martino annuncia un ultimo brano: amore sociale. E vicino a me un ragazzo si fa largo e avanza tra la folla dicendo ‘fatemi passare, devo piangere’. E io sorrido malinconica, perché in fondo lo trovo meravigliosamente disarmante. E allora sì, hai ragione, passa e piangi. Ma alla fine, tra me e me penso, speriamo lui segua davvero il consiglio “proverò a non pensarti più”.
Dal pubblico una ragazza urla marzo ’48 e la sua richiesta viene esaudita. Sono decisi a dare anche l’anima stasera, perché poi chissà quando ci rivedremo. E così ci vengono date in dono ancora un paio di perle: l’uccisione di Babbo Natale, cover di Francesco De Gregori e l’adrenalinico macellare è lecito. Una serata speciale, di quelle che ti restano addosso a lungo. Quindi grazie ai musicisti, al pubblico, al Corvo Torvo e alla Talacchio Promotion per averci fatto questo splendido regalo. Che dire, adesso è a me che mancano le parole per continuare, così le prendo in prestito dal talentuoso Antonio Di Martino: “sarebbe bello non lasciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile”. À la prochaine fois.

 

Live Report a cura di Marianna McFly Castellano

 

Photo di Gaetano Lo Porto

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Ritrovarsi una pagina bianca dove dover scrivere la recensione del concerto dei The Darkness al Live Club di Trezzo Sull’Adda è davvero riduttivo. Non si può scribacchiare di uno spettacolo così irriverente e divertente avendo a disposizione solo delle parole e dello spazio. Bisognava esserci. Punto.

Arrivo al club, mi ritrovo una fila chilometrica davanti all’ingresso e il parcheggio già pieno, segno che, anche se il concerto non è andato sold out durante le prevendite, alla cassa non ci saranno più tanti biglietti.
Entro in sala e cerco un posticino adeguato per godermi lo show dall’alto. Come previsto il locale straripa di gente pronta a scatenarsi. Alle 21 entrano in scena i milanesi Rhyme. Ottima presenza scenica, canzoni molto rock, riff taglienti, hanno coinvolto il pubblico presente con brani tratti dal loro primo album “First” e dal secondo “The Seed And The Sewage”. Han chiuso la loro performance con il brano “Party Right”, recente singolo estratto dal loro ultimo lavoro. Promossi a pieni voti.
Cambio palco e alle 22.00 le note dei Thin Lizzy con The boys are back in town fanno ben capire che i The Darkness sono ritornati in città! La carica hard rock e l’energia si nota subito dalla prima canzone “Arrival”: il leader Justin Hawkins è già scatenatissimo e come una trottola corre e salta on stage! Quando parte “Bareback” il cantante si spoglia della sua giacca con la calda pelliccia e si presenta con una delle sue tutine migliori, aderente all’inverosimile e decisamente “scollata”!

La gente è in delirio, oltre alla ottima musica sta assistendo ad un vero e proprio show, vedo tanti sorrisi divertiti e facce stupite. La band è in ottima forma ma è lo showman Hawkins che attira la maggior curiosità: canzone dopo canzone improvvisa dei siparietti, degli irriverenti mini show, dove passa dal caricarsi in spalla una cassa a spia ad attaccarsi sul corpo i plettri con il solo aiuto del sudore; si dimostra ironico girandosi di spalle al pubblico e invitandolo a lanciargli qualsiasi cosa mentre agita il suo posteriore in modo decisamente sfacciato ma il top lo raggiunge quando on stage trova un accendino e inizia a “darsi fuoco” ai capezzoli. Un pazzo! Ecco l’unica cosa che mi veniva in mente in quel momento… un pazzo fuori dal comune!

Durante il live si sono susseguiti brani tratti da vecchi album come “She just a girl, Eddie” o “Nothin’s gonna stop us” tratti da “Hot Cakes” alternati a brani ancora più vecchi come “Givin’ up”, “Friday night”, “I believe in a thing called love” tratti dal primo album “Permission to land”.
A chiudere il live durante il bis hanno proposto “Love on the Rocks with No Ice”.
A mio parere uno dei live più divertenti e piacevoli a cui abbia mai partecipato, glam rock unito a sonorità heavy metal, ironia e sfacciataggine che hanno fatto da giusto contorno allo show.

Noi di concertionline.com ci siamo gustati un bel concerto, a chi legge questa recensione posso solo consigliare di aprire una bella bottiglia di vino, cucinarsi questa “Pasta alla Norma The Darkness” proposta da RicetteRock.com che è dedicata ai The Darkness e attendere prossimo album e prossimo tour.

www.ricetterock.com/ricette-veloci/primi/pasta-alla-norma-alla-darkness/

Per la photogallery del concerto a cura di Marco Cometto clicca su
www.concertionline.com/foto-concerti/the-darkness-a-trezzo-sulladda-foto-concerto/

Setlist
The Boys Are Back In Town
(Thin Lizzy cover)
Arrival
Bareback
Black Shuck
Growing on Me
She Just a Girl, Eddie
One Way Ticket
Physical Sex
Nothin’s Gonna Stop Us
Get Your Hands Off My Woman
Love Is Only a Feeling
Friday Night
Forbidden Love
Street Spirit (Fade Out)
(Radiohead cover)
Givin’ Up
Stuck in a Rut
I Believe in a Thing Called Love

Encore:
Love on the Rocks with No Ice

Si ringrazia Ricetterock.com e Live Nation per l’invito.

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E con il loro “New Generation Tour” che i Riverside sono approdati in Italia direttamente dalla Polonia , per inondare il Factory di Milano di note prog – metal. Mercoledì 2 ottobre, la location poco fuori Milano ha accolto il popolo del prog per una serata all’insegna della buona musica e l’ottima compagnia. Guardandomi intorno riconosco volti amici, volti che ho già visto seguendo altri concerti dello stesso genere, sembra essere ad una riunione di vecchi compagni, sorrisi anche tra chi non si conosce, una atmosfera molto piacevole e rilassante. Sul palco, come supporter ci sono i Maqama, riff graffianti e bella energia ma è con i Riverside che la serata si accende.

I primi due brani, “New Generation Slave” e “The Depth of Self-Delusion” tratti dall’ultimo album “Shrine of new generation slaves” aprono le 2 ore di intensa musica. Con i loro suoni particolarmente psichedelici che si avvicinano molto allo stile dei Porcupine Tree, sono riusciti a ritagliarsi uno spazio nella musica prog dell’est e non solo; in un genere dove si prediligono gruppi anglosassoni, loro han saputo emergere egregiamente e non a caso non han dovuto fare tanta gavetta per poter arrivare a far tour europei molto richiesti. Suoni puliti ma sanguigni, con limitati tecnicismi e virtuosismi, ma che han creato un loro stile particolare e che è riuscito a soddisfare tutto il pubblico in sala. Nota stonata della serata, segnalata anche dal bassista e leader Mariusz Duda, è stata l’acustica un po’ da “chiesa” che riecheggiava nella location, ma, il cantante, grazie alla sua presenza scenica, a qualche battuta e alla bravura della sua band è riuscito egregiamente a sorvolare il problema e a regalare una bella serata decisamente a tutti.

In occasione di questo concerto, Ricette Rock ha preparato una ricetta dedicata proprio a questa band.
Involtini di Manzo alla Riverside, assolutamente da provare:

www.ricetterock.com/ricette-veloci/secondi/involtini-di-manzo/

Qui troverete una parte della photogallery della serata di Marco Cometto

Band
Mariusz Duda – Basso, voce
Piotr Grudziński – chitarra
Piotr Kozieradzki – batteria
Michał Łapaj – tastiere

Setlist:

New Generation Slave
The Depth of Self-Delusion
Feel Like Falling
Reality Dream III
Living in the Past
We Got Used to Us
Egoist Hedonist
02 Panic Room
Conceiving You
Escalator Shrine

Encore:
Celebrity Touch
Left Out

Si ringrazia Live Nation per l’invito.

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E’ da ben dieci mesi che non frequento posti come l’Alcatraz di Milano. Oramai mi ero abituato agli stadi immensi,al palco gigantesco,alle scenografie mozzafiato.
Ieri sera, però,sono tornato alle origini e devo dire che locali come questo, mi mancavano davvero tanto.

Arrivo come al solito in anticipo nel locale più famoso della città, mi metto in fila e subito mi viene un infarto: mi passano a due centimetri di distanza, rullo di tamburi, gli Editors in persona; per essere più precisi il cantante Tom Smith e il bassista Russel Leetch, (seconda voce, synth e cuoco provetto della band). Nessuno si accorge di niente se non pochi fan che al posto di urlare indicano i due ragazzi e si scambiano delle occhiate quasi grondanti di lacrime per tornare poi ai loro discorsi. Io in tutto questo realizzo solo dopo essere entrato nel locale che sarebbe stata una serata a dir poco indimenticabile.

Mi metto in posizione strategica sulla destra del palco e noto che il pubblico, che piano piano cresce, ha un’età media di almeno venticinque anni. Verso le otto e mezza sale sul palco il gruppo spalla, la vera rivelazione della serata.
Sono cinque musicisti: due cantanti, che si dividono tra chitarra e Mug, una ragazza che suona il violino, un batterista e ovviamente un bassista. Si chiamano Balthazar, vengono dal Belgio e hanno uno stile tutto nuovo di fare musica; un mix tra indie e alternative con sfaccettature electro niente male.
Le canzoni principali eseguite sono quelle dell’album Rats, datato 2012, molto particolare nel suo genere con brani eseguiti sia dal cantante che dal primo chitarrista, e pezzi eseguiti a quattro voci le quali, unite tra loro, formano un’armonia perfetta.Il cantante ha un timbro che, a parer mio, si avvicina molto a quella di Bob Dylan, ma molto più rozzo anche se dal vivo rende veramente tanto.Sono la vera novità del concerto, la band perfetta per aprire quella che sarà la serata degli Editors.

Il palco viene sistemato velocemente, i synth posizionati al loro posto, i microfoni regolati alla perfezione. L’attesa sale, aumentata anche dalla musica di sottofondo che ad un tratto si stoppa per dare il via al live: scendono le luci – rimane solo qualche riflettore che emette luce blu come scenografia – e parte una intro che fa urlare il pubblico ansioso di vedere il gruppo più innovativo del panorama inglese.Entrano i cinque componenti degli Editors, prendono in mano gli strumenti e danno il via al delirio.
Ad aprire il concerto è “Sugar”, seconda traccia dell’ultimo album della band britannica, “The Weight of Your Love”: Tom è letteralmente euforico, continua a muoversi sul palco, andando da una parte all’altra senza mai fermarsi. Finita la canzone l’unica cosa che dice è “ ciao Milano! “
Le canzoni sono un susseguirsi continuo, finché, all’inizio di “Smokers outside the hospital doors”, il pubblico esplode, il gruppo anche ed è festa: tutti si muovono, la band incita i ragazzi a muoversi, le prestazioni musicali sono eccellenti.

Tom ha una voce a dir poco particolare: già in studio è qualcosa di unico, dal vivo poi è indimenticabile; quel timbro che caratterizza il cantante non scende mai di tono, neanche quando, dopo aver suonato il pianoforte, sale sopra di esso mentre canta, guardando il pubblico che rimane sbalordito.
Sono innamorato di questa band ormai da anni, ma in quella serata credo di aver visto di tutto, soprattutto durante una canzone del primo repertorio della formazione, introdotta da Tom al grido di “ This is an old song”: parte “All Sparks”, seguita da un boato del pubblico che è felicissimo di poterla sentire live. La hit che fa uscire la vera essenza del gruppo è un’esplosione di chitarre e batteria, che instilla in ogni corpo presente una carica impressionante; una carica che si rinnova poi con le due canzoni più famose dell’ultimo album: “Formaldehyde”, secondo singolo, e la bellissima “A Ton Of Love”, primo singolo che ha segnato il loro ritorno sulle scene.
Ma le sorprese non sono finite qua: gli Editors eseguono pezzi indimenticabili come “An End Has a Start” o la toccante “Munich”, che li ha portati a farsi conoscere.

La parte più commovente (e in ogni concerto almeno una ce ne deve essere) la regala Tom, seguito dal chitarrista solista, nel corso dell’esecuzione di “ The Phone Back” , proposta in chiave acustica: io sono in lacrime, il pubblico altrettanto mentre urla “bravo” al cantante; lui per rispondere sorride e continua a cantare e dopo aver finito ringrazia tutti.

Fino a qua tutto bene, noto che la folla è eccitata quanto lo sono io, si fa coinvolgere, condivide ogni emozione col gruppo che, dopo aver suonato Honesty, si ferma per una piccola pausa, pronta per ritornare sul palco per finire coi botti.

Altri grandi classici arrivano a chiudere la serata: dalle atmosfere elettroniche e cupe dell’album “In This Light On This Evening” fino ad altri brani che hanno segnato la carriera della formazione inglese. L’encore è composto da tre canzoni: “Bricks and Mortar”, “Nothing” e il loro successo più grande, la canzone che ha segnato la band rendendola qualcosa di unico e inimmaginabile, “Papillon”.Non è la classica versione da oltre cinque minuti, ma è quella estesa, perfetta per finire il concerto come si deve; la carica che da questa canzone è indescrivibile, soprattutto in questa versione prolungata.
Tom continua a ripetere “It kicks like a sleep twitch”, mentre, suonando la chitarra, viene accompagnato da tutta la band verso la fine.
Il gruppo saluta, ringrazia ed va via dal palco velocemente, facendo tornare alla realtà tutti quanti mentre si preparano ad uscire.

Ora vorrei chiedere a tutte le persone che capiteranno su questa pagina una sola cosa: mentre leggete questa recensione, ascoltatevi qualche canzone degli Editors, solo per potervi immedesimare al cento per cento in quella che è stata la serata più alternativa della mia vita.

Si ringrazia DNA Concerti per l’invito.

Recensione di Gianluca Quadri

Per la phtogallery della serata clicca qui

www.concertionline.com/foto-concerti/editors-a-milano-foto-concerto/

Setlist:
Sugar
Someone Says
Smokers Outside the Hospital Doors
Bones
Eat Raw Meat = Blood Drool
Two Hearted Spider
You Don’t Know Love
All Sparks
Formaldehyde
A Ton of Love
Like Treasure
An End Has a Start
Bullets
In This Light and on This Evening
The Phone Book (Acustica)
Munich
The Racing Rats
Honesty

Bis:
Bricks and Mortar
Nothing
Papillon

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Live Music Club. Tutto pronto per una serata Metal-Prog. On stage ci sono gli americani Shadow Gallery. Con le loro strutture musicali complesse e virtuose han saputo colpire e trascinare il pubblico presente.

Alle 22.00 in punto, senza nessun gruppo spalla, si son spente le luci e sul palco Gary Wehrkamp e soci hanno fatto il loro ingresso. Partenza con il botto con i brani “Room V” e “The Andromeda Strain”. Carica a mille e tante aspettative per la serata. Tecnica impeccabile, sonorità e vibrazioni degne del miglior prog metal in circolazione e nonostante il cantante abbia ammesso di avere un fortissimo mal di gola è riuscito a regalare un’ottima prestazione. Più di 2 ore di musica no stop, un intermezzo dedicato al batterista Joe Nevolo che con un assolo ha lasciato il segno, uno show assolutamente imperdibile per gli amanti del genere e non. Questa band attiva fin dal 1985 ha iniziato l’attività live dal 2009 e questa scelta non ha potuto far altro che essere una decisione azzeccatissima. Musicisti così non possono esser ascoltati solo sui dischi, vanno vissuti.

Photogallery di Marco Cometto

Formazione attuale:

Gary Wehrkamp – Pianoforte, chitarre, tastiere, voce
Brendt Allman – chitarra, chitarra acustica, voce
Carl Cadden-James – basso, voce, flauto, basso fretless
Chris Ingles – Pianoforte, tastiere
Joe Nevolo – Drums
Brian Ashland – Vocals

Setlist:

Room V
The Andromeda Strain
Don’t Ever Cry, Just Remember
Questions at Hand
Alaska
In Your Window
Pain
Drum Solo
Stiletto in the Sand
War for Sale
Mystery
New World Order
Chased
Ghost of a Chance
Christmas Day

Encore:
2 Minutes to Midnight
(Iron Maiden cover)
Gold Dust
Crystalline Dream

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Altro appuntamento alla Rock ‘N’ Roll Arena di Romagnano Sesia. Sul palco questa volta abbiamo scoperto il lato solista e a 6 corde di Ben Kenney, noto bassista degli Incubus. Ad aprire il concerto la band bolognese Divanofobia, vincitrice di diversi concorsi musicali, che ha presentato alcuni brani tratti dal loro ultimo album “I fantasmi sognali”. A seguire i colorati ed pazzoidi What A Funk (guarda qui la bella gallery delle bands supporter) che hanno caricato il pubblico per accogliere al meglio Ben Kenney e la sua band.

Con all’attivo, fresco di stampa, l’EP “Leave on your makeup”, il polistrumentista Ben e soci  si son dimostrati particolarmente disponibili e simpatici sia al Meet And Greet con i fortunati fans, sia on stage. Divertenti e piacevoli da ascolta e da vedere, il gruppo han saputo trasmettere al pubblico presente all’arena, passione ed entusiasmo; sorridenti e entusiasti dell’atmosferta creatasi hanno anche brindato con un bel bicchiere di vino alla nostra salute.

Photogallery di Marco Cometto
Setlist:

Intro
Not Today
Leave On Your Makeup
Habit
Aftertouch
Concord
Rubber Sheets
How Would You Know?
Wrong
New Amsterdam
Worlds Collide
Eulogy
Of Space and Time
(City and Colour cover)
Let’s be Honest

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Amanti della musica Prog, spero vivamente che il week end del 6, 7 e 8 settembre voi abbiate partecipato ad uno dei migliori festival di musica Prog in Italia.

A distanza di 10 giorni dal Ver1:  2 Days Prog + 1 mi ritrovo di nuovo qui a ricordare i piacevolissimi e intensi giorni trascorsi in questo piccolo paese, Veruno, in provincia di Novara.
Tre giorni di ottima Musica, bella compagnia e tanta tanta gente, in un ambiente rilassatissimo e accogliente.

Ho avuto l’onore di conoscere e lavorare con gli organizzatori, oltre che assistere ai concerti, e mai come questa volta mi è sembrato di essere al centro di qualcosa di magico, di assurdo e di grandioso. Certo, detta così sembra che io abbia assistito ad un concerto dei Rolling Stones ma in realtà l’atmosfera che ho vissuto con questa esperienza ha davvero dell’incredibile.
Circondata da persone che anche in momenti critici (e ce ne sono stati, proprio come in tutti gli spettacoli) hanno sempre mantenuto la calma, risolto ogni problema e tutto sorridendo e rispettando il lavoro degli altri, sempre pronti a chiedere ‘per favore’ o a ringraziarti. Una sorta di grande famiglia che ha conferito al festival un tocco in più che difficilmente ho incontrato ad altri concerti.

Il programma di Veruno Musica ha previsto 12 band, 4 per ogni serata, è stato organizzato uno spazio al Forum19 per il Meet & Greet con gli artisti, uno spazio ristoro con tanto di pizzeria, una zona venditori/espositori, dove oltre a varie bancarelle che vendevano rarità e gadeget musicali è stata allestita l’esposizione di 3 fotografi che hanno raccontato con le loro immagini, e 3 stili diversi, le precedenti edizioni del festival.

Il 6 settembre ha visto on stage, ad aprire le danze, gli italiani MirrorMaze (dalla vicinissima Borgomanero)  e i Soul Secret (dalla lontanissima Napoli) con il loro sound tendente decisamente al prog metal. Alle 20.15 è l’ora di un gruppo più storico, si tratta dei Galahad: in attività dal 1985 e con ben 15 album all’attivo, hanno conquistato applausi e consensi per più di un ora di show. Ma il pezzo forte della serata, e probabilmente anche di tutto il festival, è stata la Neal Morse Band: anche se orfani di Mike Portnoy, che è in tour con i Winery Dogs, hanno saputo regalare al festival quel tono internazionale e prestigioso che solo artisti di questo calibro sanno dare. Neal è stato a dir poco strepitoso, ottima presenza sul palco, simpatico e intrattenitore, travolgente e passionale, ha davvero lasciato tutti soddisfatti sia della qualità della musica che del repertorio scelto per l’occasione.

Il 7 settembre è stato il turno de La Coscienza di Zeno, ancora spazio ad una band italiana, seguita dai francesi Elora che han portato, con carattere e qualità, il loro rock Prog sul palco pomeridiano del festival. Nella prima parte della serata gli inglesi e mistici Haken salgono sul palco e incantano con delle sonorità diverse, molto virtuosi ed ecclettici, sono formati da alcuni dei migliori musicisti londinesi e non a caso hanno fatto da supporter per diversi gruppi famosi come i Pain of Salvation e Riverside. Il pubblico però attende il pezzo forte, anche questa volta, gruppo storico, formato da eccezionali musicisti dai grandi nomi come Gary Green e Malcom Mortimore, con il loro progetto musicale  Three Friends, nati da una costola dei Gentle Giant. Perfette e frizzanti armonie, strumenti che si intrecciano tra di loro in modo assurdo, vecchi brani ma che hanno un suono del tutto attuale e contemporaneo.

Ultimo giorno di festival, 8 settembre, il cielo durante il soundcheck minaccia pioggia ma lo show deve continuare; con un occhio ai nuvoloni e un occhio al palco, assisto alle prove e assaporo gli ultimi momenti tranquilli del week end. Dopo il meet and greet al Forum19 dove abbiamo il piacere di conoscere alcune band, ci ritroviamo di nuovo tutti in piazza per ascoltare la prima band: gli Psycho Praxis. Direttamente da Brescia, un gruppo giovane, fresco ma che ha ben chiara la sua missione, entrare nella scena prog, fondendo questo genere con suoni più hard, con brani solidi, intensi e coinvolgenti. Alle 18 è il turno, lasciatemelo dire, dei miei preferiti: i Moon Safari. Con il loro primo concerto in assoluto in Italia, direttamente dal nord della Svezia, sono stati la rivelazione del festival. Musica prog ma con venature melodiche che hanno trasportato il pubblico in un’altra dimensione, quasi più intima; per chiudere la loro brillante performance, dopo il “one more! one more!” degli spettatori, hanno ben pensato di regalare un brano a cappella, tutti riuniti al centro intorno ad unico microfono. La pioggia ha voluto metterci lo zampino tra il secondo e terzo gruppo in programma, un bell’acquazzone estivo, una mezz’ora di pioggia ma l’organizzazione ha retto perfettamente il colpo, un pò di ritardo sulla tabella di marcia ma tutto è filato liscio. Sul palco arrivano i Curved Air: altra band storica, capitanata dalla bella ed energica Sonja Kristina, dove le esperienze più diverse dei singoli musicisti hanno creato un vero mix di musica prog, folk and fusion. Il pezzo forte della serata è stato l’arrivo sul palco di Alan Sorrenti, accompagnato per l’occasione anche dalla sorella Jenny. Alan, che si è presentato con una spettacolare giacca azzurra con migliaia di fiocchi di neve stampati su, in questo contesto è ritornato un pò alle sue origini musicali; quel rock progressivo sperimentale degli anni settanta che con l’album Aria lo aveva consacrato come artista prog anche se poi nel corso della sua carriera ha voluto sperimentare anche altri generi, come il pop e la disco.

Ver1: 2 Days Prog +1 è stato davvero un evento a tutto tondo, non solo per il paese ma anche per i veri amanti del genere. E’ stata l’occasione giusta per conoscere gente fantastica, scoprire nuovi gruppi e sonorità, ci si è veramente sentiti parte di una grande famiglia e non è da tutti organizzare un festival, totalmente gratuito, basato sulla qualità ma soprattutto sulla passione. Attendiamo impazienti di conoscere le date definitive per il 2014.

Photogallery di Marco Cometto

 

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Anche se quest’anno gli originali MTV Days non si sono svolti, la bellissima location della Reggia di Venaria ha ospitato un evento diverso e sempre legato al nome MTV.

Si tratta degli MTV Digital Days, un contenitore che ha riunito musica e innovazione per un pubblico giovane e giovanissimo. Svoltosi nella prestigiosa Reggia di Venaria, il 13 e 14 settembre, questo evento ha saputo raccogliere consensi da parte del pubblico, due serate all’insegna dei Dj Set che han fatto ballare anche i più pigri. All’esterno dell’area musica, è stata allestita una zona “Startup Village” dove giovani innovatori, per lo più under 35, hanno presentato le loro startup, riguardanti la musica e non solo. Una sorta di vetrina anche per invogliare altri ragazzi a creare, inventare e migliorare ciò che non và.

Il programma delle due giornate è stato fitto di Eletronic, la prima sera con 2MANYDJS DJSET, PINK IS PUNK e RESET!
la seconda sera on stage DISCLOSURE DJSET, RIVA STARR e MOTEL CONNECTION, oltre all’MTV SPIT, con MAX PEZZALI – DJ DOUBLE S – FRED DE PALMA – KIAVE – NITRO – SHADE.
Una nota di colore e sorrisi anche per la visione della riunione dei Cosplay, tutti vestiti come dei manga o eroi dei fumetti e film che hanno ravvivato il pomeriggio concedendosi a tantissimi scatti fotografici dei curiosi.

Photogallery di Marco Cometto

 

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Signore e signori, quello a cui si è assistito al Teatro Verdi di Firenze la sera del 12 settembre è stato qualcosa di davvero unico: due artisti, anagraficamente separati da ben 30 anni, ma così concettualmente e artisticamente vicini che è difficile immaginare un connubio altrettanto perfetto.

David Byrne, un uomo che non ha bisogno di presentazioni e che “ha scritto la colonna sonora delle nostre vite” (come dirà St. Vincent nel ringraziarlo) e Annie Clark (aka St. Vincent), una delle cantautrici più ispirate degli ultimi anni hanno costruito uno spettacolo che era un vero e proprio musical, con balletti e semplici coreografie ad accompagnare ogni brano. E che brani!

Dall’iniziale “Who”, passando per l’immancabile “This must be the place” (accolta da un’ovazione e dedicata da Byrne a Sorrentino, regista che lo ha diretto nel grandioso film che prendeva il titolo dal pezzo) fino a pezzi come Strange Overtones (vecchia collaborazione di Byrne con Brian Eno) o ancora “Lightning”, tratta proprio da “Love this giant”, il disco composto insieme dai due artisti e che ha richiesto “ben tre anni di lavoro, tra disco e tour”, come precisa Annie Clark.

David Byrne e St. Vincent si compenetrano artisticamente e non si rubano mai la scena, dividendosi il palco come se avessero cantato insieme da sempre, mentre alle loro spalle una superband composta da ottoni, tastiere e batteria si muove leggiadra, regalando un’atmosfera orchestrale a dir poco straordinaria, unica, partecipando persino alle coreografie messe su dai due “mostri sacri” in primo piano.

La serata scorre tra il delirio del pubblico presente, che al momento del bis non riesce più a trattenersi sulle sedie e si alza in piedi, ad applaudire ed ancheggiare su brani immortali come “Burning down the house”, storico pezzo dei Talking Heads che St. Vincent racconta esser stato il primo che ha ascoltato, il primo col quale a conosciuto la voce di David Byrne, quando lei aveva solo 4 anni e mai avrebbe pensato di poter fare un disco e un tour con un simile artista; arrivano poi un paio di pezzi di miss Annie Clark, biondissima in occasione di questo tour europeo e davvero maestosa sul palco: le sue interpretazioni di “Cruel” e “The Party” sono davvero da brividi, mostrando un talento che ha pochi eguali in ambito musicale.

Il sorprendente finale è tutto per un altro brano “made in Talking Heads”, ovvero “Road to nowhere”, pezzo sul quale la band, David Byrne e St. Vincent decidono di venire a suonare in mezzo al pubblico, con grande sorpresa e gioia per tutti noi che non vedevamo l’ora di ammirarli ancora più da vicino.

Il finale perfetto per una serata perfetta.

Si ringrazia D’Alessandro e Galli e Bitconcerti per l’invito.

Clicca qui per la phogallery di Stefano Mattii

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Il cantante israeliano Asaf Avidan, ieri 2 settembre, ha chiuso la grandiosa rassegna musicale del Gru Village Festival.

Concerto blindato e accenni di proteste e boicottaggi, a causa delle dichiarazioni del cantante riguardanti la delicata situazione israele/palestinese, non hanno fermato la musica.
Per fortuna, mi viene da aggiungere!
Il palco semplice e basilare ospita la formazione ben distribuita, alle 22:00 si spengono le luci e si attende solo lui al centro della scena e alla fine arriva: Asaf Avidan con i suoi capelli alla mohawk, un corpo esile, chitarra rosso fiammante e una voce sopra le righe. La canzone “Cyclamen”, contenuta nell’album “Different Pulses” apre le danze, segue “Setting Scalpels Free” e, dopo una introduzione dove racconta della sua storia con una ex fiamma, è il turno della intima e molto sentita “This cool”.
La scaletta propone brani più lenti ed altri più ritmati, il cantautore ha il pieno controllo del palco e sa interagire e coinvolgere gli spettatori soprattutto attraverso le note soul alternate al folk, con un pizzico di raggae. Un concerto che ti trasporta davvero in giro per il mondo, in diverse dimensioni, proprio grazie a questa miscela di suoni, sembra di essere in Jamaica, dove lui ha vissuto per qualche anno, per arrivare in india con suoni mediorientali, con influenze rock ma con voce soul; un vero e proprio mix entusiasmante per una tranquilla serata di settembre.
A chiudere la serata la famosa “One Day/ Reckoning”, e con durante il bis “Weak” e “Hangwoman”.
E’ stato piacevole trovare un pubblico eterogeneo ma attento, diviso tra quelli che han scelto di accalcarsi alle transenne e quelli, per lo più curiosi, che si son tenuti un po’ a distanza, sotto i gazebo o seduti sul prato ma in entrambi i casi si è vista una partecipazione al ritmo, trasportati dalle note e dalle melodie… quella musica che non ha niente a che fare con guerre, politica, religione e boicottaggi, pura e essenziale Musica.
Si ringrazia per l’invito Gru Village, Hiroshima Mon Amour e Las Chicas Adfarm.

Photogallery di Marco Cometto.

Setlist:
Cyclamen
Setting Scalpels Free
This Cool
Beggar
613 Shades Of Sad
Hoist up the colors
Small change girl
Conspiratory Visions Of Gomorrah
Different Pulses
One day/reckoning song
Love it or leave it

Encore:
Weak
Hangwoman

Sequel to the prequel - Babyshambles (copertina, tracklist, canzoni)

Vi abbiamo già accennato all’uscita del nuovo album dei Babyshambles di Pete Doherty in occasione dell’uscita del singolo “Nothing comes to nithing”, canzone che mette in evidenza un buona attitudine melodica. Il terzo lavoro in studio della band si intitola “Sequel to the prequel” e sarà acquistabile nei negozi di dischi a partire dal prossimo 2 settembre. Registrato tra Londra e Parigi il nuovo, terzo album di Pete Doherty e compagni vanta una cover art davvero pregevole che potete vedere qui sotto realizzata dall’artista inglese Damien Hirst, attualmente uno dei più stimati e apprezzati oltremanica, che ha preso spunto da una fotografia della band scattata dalla leggendaria Pennie Smith. Chi è costei? Pennie Smith è niente meno colei che ha realizzato lo scatto dell’immagine nella copertina di “London Calling” dei Clash. Insomma ci sono tutti i presupposti per un evento artistico coi controfiocchi. Di seguito anche la tracklist dei brani di “Sequel to the prequel”.

Tracklist album “Sequel to the prequel” dei Babyshambles:

1. Fireman
2. Nothing Comes To Nothing
3. New Pair
4. Farmer’s Daughter
5. Fall From Grace
6. Maybeline
7. Sequel To The Prequel
8. Dr. No
9. Penguins
10. Picture Me In A Hospital
11. Seven Shades Of Nothing
12. Minefield

Copertina album “Sequel to the prequel” dei Babyshambles:

Sequel to the prequel - Babyshambles (copertina, tracklist, canzoni)

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Ultimo appuntamento prima della pausa estiva per il Gru Village Festival. On stage sabato 3 agosto ci ritroviamo la spendida, sempre giovane, Cristina D’Avena accompagnata e stuzzicata dagli irriverenti Gem Boy.

Pienone anche per questo live, ma aspettarsi dei bambini e ritrovarsi, invece, generazioni di giovani adulti è sbalorditivo. Piacevole serata dove alle canzoni dolci della cantante sono stati alternati pezzi più ‘maleducati’ dei Gem Boy, il tutto contornato da divertenti siparietti tra Cristina e Carletto.

Spettacolo ben studiato per non annoiare e per far ricordare quei momenti dell’infanzia, quando si era bambini e quei cartoni erano l’appuntamento fisso di ogni pomeriggio.

Photogallery di Marco Cometto