Recensioni

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Erano almeno tre anni che i Primal Scream non calcavano i palcoscenici Italiani e per questo comeback il mitico binomio Vivo Concerti- Alcatraz doveva essere la giusta cornice per la performance della band scozzese capitanata da Bobby Gillespie .

Oltre tre decenni di musica che li hanno visti passare con grande agilità da sonorità rock e rock blues a quelle  elettroniche , dub e tecno giusto per non farsi mancare nulla, in un repertorio sconfinato fatto anche di molte hit di successo.
Insomma i Primal hanno dimostrato di saper cambiare, (non solo formazione) , di essere imprevedibili come una giornata di Marzo e di aver voglia ancora oggi di stupire i propri fans ogni qualvolta tornano in studio a comporre musica e live a suonarla .
Il concerto è forse il modo migliore per immergersi nello sfaccettato mondo Primal Scream e il lato più Rock e “Alternative Blues” è quello che emerge prepotente ed inconfondibilmente unico al calar delle luci della ribalta.

Bobby è l’anima storica del gruppo sempre in forma con la voce unica riconoscibile tra mille, con le sue movenze leggiadre e suadenti  trascinante presenza capace di portare il pubblico sulla sua lunghezza d’onda supportato dalla band composta da 2 guitarmen, un’ amazzone bassista, tastiere e ritmica.
Il disco nuovo More Light dato alle stampe quest’estate è protagonista per almeno un terzo della scaletta dei Primal ed è proprio “2013” a far da apripista della serata. E poi ancora Hit Void, splendida Goodbye Johnnie,  Invisible City, Culturecide fino al grande singolo estivo It’s alright It’s Ok arricchito da una piccola cover medley di “Oh Happy Days”.

Il lato oscuro Primal viene evocato dalle sirene e luci strobo che aprono una straordinaria versione di Swastika Eyes che per 5 minuti fanno sobbalzare l’audience seguita da Shoot Speed/Kill Light   anche lei tratta da quel disco capolovoro uscito nel 2000 intitolato Xtrmntr che ha forse marcato indelebilmente il periodo più creativo dei Primal Scream.
Si pesca anche dal passato perché il pubblico ha fame di sano rock’n roll e Rocks e Country Girl sono perfette per far ballare e saltare.
Una piccola perla opalescente arriva sulle note di “Walking with the beast” con Bob assolutamente ispirato capace di trascinarci in un viaggio musicale che non ha confini, originale e unico.
Richiamati sul palco dopo 90 minuti tirati di grande musica  i Primal ci sorprendono ancora con una versione allucinogena di “Higher than the sun”; più in alto del sole, psichedelia pura, luce incandescente, fluido musicale che entra in circolo.

A cura di fERDIDAS

Photogallery del concerto (Ph Marco Cometto)

E se vie siete gustati il concerto non c’è modo migliore per continuare ad assaporare i Primal Scream con questa ricetta ideata e dedicata a loro da RicetteRock.com

Insalata di Quinoa, Carote e Fagiolini alla Primal Scream

 

 

 

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Lo scorso 19 novembre Tom Odell è stato protagonista di un concerto sul palco del Factory di Milano, cercherò di raccontarvi come è andata.

Milano si trova da giorni sotto la pioggia, il che rende la fila davanti ai cancelli del locale molto noiosa: arrivo con una mia amica nei pressi di Lambrate, in una zona molto e dico molto isolata.
Ci sono già delle ragazze appostate davanti alla venue, tutte con la mano marcata da un numero, a significare che loro sono le prime e quindi tu che arrivi, sei dopo di loro. Circondato da una folla di indie e ragazzine accompagnate dai genitori (alcuni provenienti anche dall’Emilia-Romagna), che a ogni movimento della crew urlano, faccio passare il tempo, cantando canzoni degli Arctic Monkeys con altre ragazze conosciute molto simpatiche. Alle 19.30 aprono i cancelli, ritiro il mio tagliando d’ingresso ed entro nel locale per mettermi in terza fila.

Ad aprire il concerto italiano di Tom Odell è un’artista di strada di nome Soltanto, con cui ho avuto un litigio mesi fa riguardo una canzone che aveva suonato, una cover dei Coldplay(mio gruppo preferito). La sua musica non è male, magari un po’ troppo melodica, però l’accostamento violoncello e chitarra devo dire che suona bene. Dopo 4 canzoni mi rivolgo alla compagnia che oramai si era creata dicendo “Ragazze se mi fa i Coldplay lo uccido” e infatti, cascasse il mondo, il cantante conclude “Vorrei finire con una cover, di un gruppo a me caro: Fix You dei Coldplay”: tutti si girano verso di me come per dire “e mo che fai?litighi?” Alla fine mi limito a cantarla a squarciagola e basta. Lo staff comincia il cambio-palco e io incomincio a guardarmi in giro.

Un pochino in ritardo inizia il concerto: intro con “Baby, I love you”, canzone resa famosa dai Ramones. La performance dell’artista entra poi nel vivo con la prima canzone del suo unico lavoro di studio intitolato “Long Way Down”, ovvero “Grow Old With Me”. Urla, pianti, manate, spintonate (peggio che ad un concerto degli Iron Maiden) fanno salire a me e ai miei timpani una rabbia assurda.
Quando poi Tom, con la sua band, parte con “Sirens” tutti si esaltano dall’emozione. Per me la parte più intensa invece arriva al titolo di una canzone dei Beatles “Oh My Darling”. Nel corso dell’esecuzione del brano il ragazzo se la cava bene: è molto bravo al pianoforte, la voce non cala neanche nelle parti più difficili ed è seguito da una band veramente all’altezza.

Dopo “Till I Lost” e “Supposed To Be” arriva la canzone che ha portato in alto Tom Odell facendogli vincere i Brit Awards e facendolo soprattutto conoscere in tutto il mondo: “Another Love”.
Il pezzo è un inno all’amore, quell’amore sofferto, dove si vorrebbe dare tanto, ma oramai non se ne hanno più le forze: la commozione, l’emozione che mette questo giovane talento nel cantarla dal vivo è sorprendente. “Hold Me”, invece è energica, ed anticipa il piccolo e inutile encore. Tom saluta, si passa la mano sulla fronte sudata e lancia il sudore addosso alle ragazzine in prima fila, che farebbero di tutto per avere un contatto con lui.

Dopo una breve pausa il cantante rientra sul piccolo palco. “Gone It Last” e “See If I Care” riprendono il concerto: si vede che si sta stancando, ma comunque mette tutto se stesso soprattutto nella cover di Etta James “ I Just Want To Make Love To You”. L’ultima canzone a chiudere il live è “Cruel”: le capacità tecniche della band di Odell si evincono soprattutto da questa chiusura: stile e passione nel proprio lavoro di certo al gruppo non mancano. La performance finisce energicamente, Tom si asciuga con uno straccio azzurro che diventerà oggetto di una lite furibonda tra le ragazze adoranti della prima fila.
Ricapitolando: ottima tecnica da parte di Tom Odell e della sua band. Il giovane cantante però, nonostante il suo percorso artistico sia ancora acerbo, presenta ogni tanto degli atteggiamenti da super-star.

SETLIST:

Grow Old With Me
Can’t Pretend
Sirens
Sense
I Know
Oh! Darling
(The Beatles cover)
Till I Lost
Supposed to Be
Another Love
Long Way Down (Short)
Hold Me
Gone at last
See If I Care
I Just Want to Make Love to You
(Etta James cover)
Cruel

Si ringrazia la Barley Arts per l’invito.

A cura di Gianluca Quadri

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Inizio a scrivere questa recensione cosciente del fatto che non so cosa dire. Non so come esprimere la mia felicità dopo sabato sera, non so come farvi capire il bellissimo spettacolo che è avvenuto davanti ai miei occhi, posso solo provare a raccontarvi il trionfo dei White Lies.

Per la milionesima volta mi sono ritrovato ai Magazzini Generali, di nuovo a vedere qualcuno proveniente dalla Gran Bretagna. Arrivo con la mia amica e compagna di avventure e concerti Camilla verso le sette e trenta. Piombiamo proprio durante la performance del gruppo spalla “In the Valley Below” formato da un batterista (felicissimo di suonare solo la grancassa), un tastierista con una voglia di vivere come quella di uno scolaro il lunedì mattina, una cantante (la Florence Welch nera) che cercava attenzioni dal secondo cantante e chitarrista. Gruppo, a mio parere, un po’ noioso e monotono, eccentrico però, soprattutto per la presenza sul palco di catene, usate come strumento. “Fanno paura” precisa la mia amica.

I White Lies salgono sul palco puntuali alle otto e trenta e iniziano lo show con un pezzo che stabilisce dal primo istante che hanno la carica giusta per la serata: “To Lose My Life”, traccia del loro primo album da cui ha preso anche il titolo, apre le danze.
Io sono emozionantissimo perché li rivedo per la seconda volta dopo l’I-Day Festival a Bologna e sentivo la loro mancanza e so, quasi per certo, che io mancavo a loro perché Harry (il cantante) dal palco mi vede urlare e muovermi, mi guarda e mi sorride annuendo come per dire “sei un pazzo e mi fai paura”. Tutti dicono che me lo sono sognato, io sostengo il contrario. Secondo pezzo è “There Goes Our Love Again”, secondo singolo del loro ultimo lavoro “Big Tv”: dalle note della canzone proviene voglia di ballare, di muoversi e di scatenarsi, le luci e i laser fanno da contorno a questa sensazione. La felicità per i fans che li ascoltano da anni arriva soprattutto durante la canzone “ Farewell to the Fairground” che è forse la loro più famosa e che ti fa venire voglia di urlare a squarciagola “Keep on runnin’, there’s no place like home”.

Io sono sul punto di perdere la voce e l’energia, la mia maglietta è mezza bagnata, fa caldo, ma poco importa perché stiamo assistendo ad un concerto di una band che sembra rigida, ma che non lo è: sono felici di essere qui in Italia ancora, dicono, e sono soddisfatti del pubblico che è li con loro.
La festa non finisce qua perché partono “ E.S.T” e “ Gettin Even” primo singolo del loro ultimo lavoro.
“Questa canzone ci ha permesso di arrivare fino a qua, di essere quello che siamo, spero vi piaccia” e attaccano con “Unfinished Business”, e il pubblico canta e urla quelle parole di quella canzone che ha fatto la loro storia, quel primo singolo che li ha fatti conoscere.
Dopo una cover di Prince “ I Would Die 4 U”, i White Lies partono con “Death” , altro capolavoro del loro primo album, capolavoro che preannuncia una piccola pausa.

Pochi minuti passano, le energie tornano e si riparte con l’encore: “Big Tv”. La scaletta è sempre la stessa per ogni data che fanno in giro per l’Europa, ma a nessuno importa, ci si accontenta così. Ci si accontenta soprattutto se poi finiscono col botto. “Questa è la nostra ultima canzone, grazie di essere venuti. Hope to see you soon” La serata si conclude con “Bigger Than Us”, canzone dal loro secondo lavoro “Ritual” che è un manifesto della grandezza dei White Lies.

Dopo aver perso la voce, la voglia di vivere causata dalla fine del concerto, mi accorgo di quanti soldi abbia dato ad artisti inglesi per assistere a tutti i loro concerti, ma i White Lies non potevo perdermeli, loro sono veramente più grandi di noi.

Photogallery del concerto (Ph Marco Cometto)

Si ringrazia Vivo Concerti per l’invito.

Recensione a cura di Gianluca Quadri

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Dopo i sold out della data zero di Morbegno e la data di Mantova, Max Pezzali, con il suo Max 20 Live Tour, approda anche al Palaolimpico di Torino. Ovviamente anche questa appuntamento è andato sold out in pochissimo tempo, tanto da obbligare Setup Live e Live Nation ad aggiungere una nuova data (il 14 dicembre) per far fronte alle numerose richieste dei fans.

Devo dire che per me è stato davvero stranissimo essere ad un concerto di Max, nonostante il mio animo rock, devo ammettere che quando ero piccola i suoi 883 erano il gruppo italiano più in voga e, ad oggi, mi è praticamente impossibile non conoscere le sue canzoni. 20 anni di carriera, in 2 ore di show, una marea di canzoni da cantare con tutto il fiato che si ha.
Il live è iniziato in perfetto orario, alle 21.00 in punto si spengono le luci, l’aria di festa che si viveva poco prima, durante l’attesa, sfocia in un boato pieno di aspettative. Il primo brano è la recentissima “Ragazzo inadeguato”, ultimo singolo estratto dall’ultimo lavoro del cantante seguita a ruota da “I Cowboy non mollano” dove per l’occasione Max ha abbandonato il cappellino da baseball per indossare quello da vero cowboy.

La scaletta è stato un vero piacere, ben 23 pezzi, che hanno ripercorso tutti e venti gli anni della sua carriera, intervallati da mix mesciati da dj alla sinistra del palco. Ed è proprio il palco che è stato davvero un bel vedere: enorme, con 5 maxi schermi, 4 laterali e 1 centrale dove per quasi tutta la durata del concerto si sono alternate immagini in diretta del pubblico e del cantante ai dei video con i testi delle canzoni.
Boati e sorrisi per l’esecuzione delle canzoni “Rotta per casa di Dio” e “Gli anni” seguita dopo pochissimo da “Come mai”. All’interno del Palaolimpico sembrava di essere tornata indietro di anni e credo di non essere stata l’unica ad aver provato quella sensazione; c’erano dei giovanissimi nel pubblico ma la maggior parte avrà avuto la mia età o poco meno. Quando poi, sulle note della canzone “Con un deca”, dei cannoni hanno sparato banconote delle vecchie diecimila lire con il faccione del cantate stampato su, la malinconia dei tempi passati è arrivata di colpo. Con un deca si poteva fare davvero “campare” per una settimana!

Ma è durante il bis che l’amore ha attraversato tutto il palazzetto! Un medley di “Nient’altro che noi”, “Ti sento”, “Io ci sarò”, “Eccoti”, “Una canzone d’amore” ha visto innamorati con gli occhi lucidi, baci, abbracci, accendini accesi…insomma, una concentrazione di amore e spensieratezza.
Confermo la mia tesi, non sarà più un genere che seguo tanto ma Max Pezzali è stato un pezzo anche della mia storia e sono felice che a distanza di 20 anni, abbiamo festeggiato insieme questi anni passati. “Grazie Mille”.

Si ringrazia Setup Live e Live Nation per l’invito.

Photogallery del concerto (ph Marco Cometto)

Setlist

Ragazzo inadeguato
I cowboy non mollano
L’universo tranne noi
Lo strano percorso
Rotta x casa di Dio
Gli anni
Quello che capita
Come mai
Il mio secondo tempo
Sei un mito
Sei fantastica
Hanno ucciso l’uomo ragno
Come deve andare
Nessun rimpianto
La dura legge del gol
Il Presidente di tutto il mondo
La regola dell’amico
Nord sud ovest est
Il mondo insieme a te
Con un deca
La regina del Celebrità
Tieni il tempo
Nient’altro che noi
Ti sento vivere
Io ci sarò
Eccoti
Una canzone d’amore
Sempre noi

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Suede in concerto, Bologna l'unica data italiana

Brett Anderson è lì, pantalone nero e camicia, anch’essa nera, completamente aperta a mostrare gli addominali ancora scolpiti: si sta dimenando da più di un’ora, da vero divo del rock, tenendo il palco in modo superbo ed esaltando un pubblico in delirio per lui e per i Suede, tornati in Italia dopo un’assenza apparsa infinita e capaci però di stoppare le lancette del tempo e farci tornare agli anni ’90, quando “Coming Up” era un disco meraviglioso che raccontava, a suon di ottimo pop, le sofferenze amorose di tutti.

Brett Anderson è lì, dicevo, a pochi metri da me e dice “Bene, la prossima è una canzone che conoscete, voglio che ci cantiate sopra, forza”.

E in quel momento il delirio precedente è solo un pallido ricordo rispetto a quello che accade: partono le note di “The Beautiful Ones” è un’orda di ragazze e di donne che hanno sognato Brett Anderson nella loro adolescenza si riversa sotto al palco, consapevole che quella canzone ha segnato un momento delle loro vite, un momento meraviglioso che è bello rivivere per una sera.

Il pubblico per lo più over 30 che affolla l’Estragon stasera ha con Brett e soci un legame speciale, di quelli che si hanno solo con le band che ti hanno segnato nei momenti in cui stavi crescendo; probabilmente pochi di loro speravano di poter rivedere Anderson da vicino dopo così tanti anni ma l’occasione, inaspettata e per questo più bella, è arrivata con questa data bolognese, unica nel nostro paese.

Una data che ha permesso di ascoltare quelli che sono stati dei veri inni del brit-pop, pezzi quali “Trash” o “She’s in fashion”, “Animal nitrate” e chi più ne ha più ne metta, per un live adrenalinico e romantico, viscerale e appassionato.

L’unica pecca che si può rimproverare ai Suede è di aver concentrato tutti i brani lenti in un preciso momento del concerto (da segnalare le meravigliose versioni di “Still life” e “The 2 of us”, da brividi), il che forse ha rappresentato un calo nell’attenzione del pubblico, apparso comunque troppo felice di rivedersi davanti queste vere icone per potersi davvero distrarre da loro e da un Brett Anderson magnetico come non mai.

Chapeau a questa grandissima band e lunga vita a loro…anche perchè, diciamolo, “Bloodsports” è un signor album, a quasi vent’anni da “Coming Up” ed anche i brani degli ultimi Suede non hanno sfigurato a paragone con le hit.

Poche band dopo le reunion (ormai all’ordine del giorno) possono dire altrettanto.

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Un Mediolanum Forum stracolmo di pubblico e sold-out ha ospitato ieri sera a Milano l’unica tappa autunnale in Italia degli Arctic Monkeys, che aveva rischiato di essere rimandata a causa dei problemi di laringite riscontrati nei giorni scorsi dal leader della band Alex Turner: di sicuro il cantante si è ripreso completamente, visto che non ha dato segni di cedimenti, anzi, è apparso carico, naturale e a suo agio sul palco.

La band ha fatto il suo trionfale ingresso on stage puntuale poco dopo le 9.15, accolta dal boato della folla circa mezz’ora dopo la performance di apertura dei talentuosi Strypes:  Turner e colleghi, freschi di pubblicazione del loro album “AM” – del quale abbiamo potuto osservare un rimando scenografico alle loro spalle – hanno dato vita ad una scaletta eterogenea, che ha attinto sì dall’ultimo lavoro, ma anche da quelli precedenti. Dopo l’incipit con la nuova e trascinante “Do I wanna know” il gruppo ha infatti proposto la psichedelica “Brainstorm”, alla quale tradizionalmente è riservato uno dei primi posti in scaletta.  Sono state poi molto apprezzate le corali “Dancing Shoes”, “Teddy Picker” e “Crying Lightning”, interpretate dalla band con un certo trasporto, che ha provocato anche un alto apprezzamento da parte del pubblico.

Alex Turner, classe 1986, negli anni ha subito certamente una trasformazione: da giovane timido con la voce potente si è trasformato in un credibile divo rock, dal look scanzonato e dalle gesta alla Elvis: pur non essendo “oggettivamente bello”,  sul palco risulta infatti sensuale e sicuro di sé. Tra una canzone e l’altra ha conversato amabilmente con i presenti, presentando i suoi compagni di avventura (a tratti rimasti in ombra) uno per uno, introducendo i brani e mimando le parole presenti nei testi: un vero e proprio leader insomma, senza però risultare spocchioso o arrogante.  Su “I Bet You Look Good On The Dancefloor” e “Fluorescent Adolescentnoi dalle tribune abbiamo assistito ad una strage di pogo ed entusiasmo: è scontato che i primi lavori della band provochino un maggior trasporto rispetto ai nuovi, ma bisogna dire che “AM” dal vivo è apparso molto più potente rispetto alla versione su disco (prova ne è stata il finale da urlo sull’attesissima “R U Mine”). L’unica eventuale mia puntualizzazione riguarda la durata dello show, del totale di 90 minuti: parlando in maniera del tutto personale, penso che un’ ora e mezza sia decisamente scarsa per sperimentare live il peso specifico di questa band, sicuramente tra le migliori dell’ultima generazione.

Arctic Monkeys, 13 novembre 2013, Mediolanum Forum di Assago – Setlist:

Do I Wanna Know?
Brianstorm
Dancing Shoes
Don’t Sit Down ‘Cause I’ve Moved Your Chair
Teddy Picker
Crying Lightning
Fireside
Reckless Serenade
Old Yellow Bricks
Why’d You Only Call Me When You’re High?
Arabella
I Want It All
Pretty Visitors
I Bet You Look Good on the Dancefloor
Cornerstone
No. 1 Party Anthem
One for the road
Fluorescent Adolescent
I Wanna Be Yours

ENCORE:

Snap Out of It
Mardy Bum
R U Mine?

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Quando la tua amica di infanzia, con cui sei cresciuta a botta di rock e grunge, decide di farsi 850 km per venire a trovarti ma soprattutto per fare un concerto insieme, vuol dire che ne vale davvero la pena esserci. Il concerto in questione non è roba da poco, non è il classico concertino di una band qualunque, sto parlando dei Queens Of The Stone Age, sold out al Mediolanum Forum di Assago.
Da mesi attendevamo questo evento, gli sms scambiati con la mia amica si concludevano sempre con la stessa identica frase “compro o non compro il biglietto?!”, alla fine il biglietto è stato comprato e il 3 novembre è arrivato!
Tralasciando la particolare emozione di vivere ancora una volta con lei un concerto, evitando di perderci in ricordi di infanzia quando andavamo a vedere nei piccoli paesini live da 40 paganti, questa volta abbiamo davvero assistito ad uno spettacolo indimenticabile!
Ad aprire le danze, ci hanno pensato gli Band of skulls. Il trio inglese ha saputo scaldare il pubblico a dovere e sono convinta che sia stata una scelta coerente con la musica proposta dagli headliner della serata.
Cambio palco e arrivano loro, capitanati da Josh Homme, i QOTSA! Devo ammettere che l’inizio con “Keep Your Eyes Peeled” non mi è piaciuto tantissimo, non credo abbiano scelto una canzone adatta per aprire lo show, è stata poco d’impatto, troppo soft. Ma con la seconda “You Think I Ain’t Worth a Dollar, but I Feel Like a Millionaire” seguita dalla mia preferita in assoluto “No One Knows” hanno dato fuoco al palazzetto. Tutti in piedi sugli spalti, tutti a saltare nel parterre, un intero forum a cantare. Le due ore di musica successiva sono state forti, la prima parte dai toni un po’ più pacati ma la seconda è stata decisamente devastante. Nella scaletta hanno alternato successi del passato con brani tratti dall’ultimo lavoro “…Like Clockwork”.

Simpatici momenti hanno preso vita tra una canzone e l’altra, in particolare quando Josh ha parlottato qualche frase in italiano dai toni colorati e osè oppure quando per problemi tecnici è stato costretto a riiniziare per 3 volte lo stesso brano. A rendere tutta l’atmosfera ancora più bella c’ha pensato la scenografia: un palco decisamente casto, senza molte stramberie, ad ogni musicista la propria postazione ma alle loro spalle un enorme wall di led che ad ogni brano mostravano immagini surreali alternate a giochi di luce scenografici. Basta davvero poco per creare la giusta ambientazione.

Dopo la famosa “Go With the Flow”, la nuovissima “I Appear Missing” per l’encore si sono affidati a “The Vampyre of Time and Memory” seguita da “Feel Good Hit of the Summer” l’energica e sempre stupenda “A Song for the Dead”.
Insomma che dire, i Queens Of The Stone Age ci son piaciuti tantissimo, ci hanno fatto saltare, urlare e divertire e noi non possiamo che essere fieri che abbiano scelto proprio l’Italia come prima data per il loro tour europeo. Speriamo di non dover aspettare ancora altri anni per rivederli.

RicetteRock ha deciso di dedicare una ricetta anche a questa band:
Riso al Vapore Speziato ai Ceci alla QOTSA

Vedi la photogallery (ph Marco Cometto)

Si ringrazia Vivo Concerti per l’invito

Setlist
Keep Your Eyes Peeled
You Think I Ain’t Worth a Dollar, but I Feel Like a Millionaire
No One Knows
My God Is the Sun
Burn the Witch
I Sat by the Ocean
Misfit Love
…Like Clockwork
In the Fade
If I Had a Tail
Kalopsia
Little Sister
Smooth Sailing
Make It Wit Chu
Sick, Sick, Sick
Better Living Through Chemistry
Go With the Flow
I Appear Missing

Encore
The Vampyre of Time and Memory
Feel Good Hit of the Summer
A Song for the Dead

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Stay - Low (testo e video)

Tornati in Italia dopo il super show del maggio scorso al Teatro dell’Antoniano di Bologna, i Low si confermano come ciò che sono: delle autentiche leggende dell’alternative mondiale. Di fronte a un teatro Puccini in visibilio, Alan Sparhawk, Mimi Parker e Steve Garrington regalano un’ora e mezzo di pura estasi, in cui il candore e la purezza di certi suoni sa miscelarsi, fino a creare un amalgama inconfondibile, con le distorsioni e le svisate chitarristiche più genuinamente rock.

Tutto questo in un ambiente e con un’atmosfera minimale, con i 3 che si presentano puntualissimi sul palco alle 21.30 (il loro arrivo è preceduto addirittura da un countdown che comincia quando mancano solo 10 minuti all’inizio dello show) e, con pochi fronzoli, attaccano “Plastic Cup”, primo singolo di “The Invisible Way”, disco che ha confermato quanto la band di Duluth sia ispirata anche a distanza di 20 anni dagli esordi.

“On my own” regala brividi di piacere, mentre con “Holy Ghost” Mimi Parker dimostra tutto il suo talento di vocalist, oltre che di batterista: il suo tocco soffice eppure energico è la perfetta immagine, sottoforma di gesto, di ciò che riesce a fare con la voce, armonizzandosi in modo perfetto con Sparhawk, fino a creare un gioco di chiari e scuri che è parte della cifra stilistica dei Low, come si nota in pezzi quali “Especially me” o l’acclamatissima “Words”, capace sempre di emozionare.

In un susseguirsi di “violenta intimità”, arrivano a toccare le orecchie e i cuori brani come “Sunflowers” o l’impressionante “Pissing”. Il pubblico è ipnotizzato da questi tre musicisti, tanto schivi sul palco, quanto allo stesso tempo felici e onorati dall’essere in Italia, dove davvero sono acclamati forse anche in modo superiore alle loro aspettative.

C’è un rapporto di totale empatia tra la band e le persone accorse in questo teatro fiorentino, tanto è vero che, non contenti dei 19 brani in scaletta e dei sorrisi elargiti da Steve, Mimi e Alan (che forse per l’emozione inverte anche le parole di Dinosaur, creando con la Parker, intenta a fare il controcanto, un divertente siparietto), tornano sul palco per un ultimo struggente commiato in musica.

Degno finale di una serata che sarà difficile dimenticare, intensa come la malinconia venata di speranza che sanno regalare solo i brani dei Low.

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Ancora una volta i fratelli Cavanagh decidono di passare in Italia con un nuovo tour, questa volta in acustico: Daniel, Vincent e la voce di Lee. Negli ultimi anni con i loro show hanno toccato spesso le nostre città, anche due volte all’anno, e ogni volta per i fans che li seguono da sempre è un evento eccezionale da vivere a 360 gradi.

A questo giro, per il loro tour chitarre e voci, anche io ho avuto l’onore di vederli per la prima volta dal vivo. Senza parole, sono rimasta senza parole! Ok, in effetti, se fossi senza parole probabilmente questa recensione resterebbe un foglio bianco, quindi mi sforzerò di raccontare come ho vissuto, in modo totalmente personale, l’attesa per questo evento, il momento del live e il post concerto.

L’attesa. Quando mi è arrivato il comunicato stampa che parlava di questo tour la prima mia esclamazione è stata: “NON CI CREDO”. 3 date in Italia, una a Bologna il 28 ottobre, una a Moncalieri (TO) il 29 ottobre e quella che mi ha sorpreso più di tutte è stata Salerno il 27 ottobre. Si, perché dovete sapere che da brava salernitana ho pensato bene di abbandonare la città natale proprio perché non mi ha mai offerto molto a livello musicale ma leggere il nome Salerno/Anathema mi ha di nuovo riempito di orgoglio. Purtroppo anche se piena di un ritrovato orgoglio, la logistica mi ha portato a seguire il concerto all’Audiodrome di Moncalieri. I mesi prima sono stati un susseguirsi di aspettative e, senza neanche capire come, mi sono ritrovata in un vortice di contatti con fans storici, gruppi su facebook e organizzatori del tour.

Il giorno prima. Mi sono arrivate voci da Salerno sulla prima data, devo dire che escludendo qualche problema tecnico, tutti i fans son rimasti contenti anche se molti non erano miei compaesani bensì siciliani, pugliesi e calabresi. Peccato!

Lo show. E poi è arrivato il giorno del mio show. L’atmosfera viene riscaldata per l’occasione dal DJ set di Giuliano Di Bello; la scaletta dei brani proposti sono stati scelti proprio con Vincent Cavanagh. A seguire l’ottima performance del gruppo spalla che ha seguito gli Anathema per questo tour italiano: L’alba di Morrigan. Voce calda di Ugo e i coinvolgenti suoni, mi hanno fatto entrare di diritto nella schiera dei loro nuovi fans e mi son ripromessa di rivederli prossimamente in una veste meno acustica. Gruppo decisamente azzeccato come supporter.
Cambio palco e dalla scala spuntano dei riccioli rossi, direzione palco. Danny Cavanagh prova a sistemare il jack della chitarra ma iniziano qui i lunghi problemi tecnici della serata. Un intero show tormentato da jack che non funzionano, microfoni spenti, tastiere impazzite. Sicuramente qualcuno del pubblico sarà tornato a casa scontento ma io, personalmente, ho avuto il piacere di vedere anche il lato umano di questi artisti. Danny nell’attesa che risolvessero i primi problemi tecnici ha deciso di improvvisare un paio di famosissime cover “Image” di John Lennon e “Nothing else matters” dei Metallica. Molto apprezzate dal pubblico. Sulle prime note di “Thin air” sbuca anche il fratello Vincent e può iniziare il concerto. Suoni armoniosi, chitarre e voci che avvolgono tutto il pubblico.

Scenografia essenziale, un wall dove è proiettato un cielo stellato e la scritta Anathema che ricorda molto la copertina dell’ultimo dvd “Universal”. Seguono le mie due canzoni preferite “Untouchable part 1 e part 2” e le sento vibrare dentro, la voce femminile di Lee, comparsa proprio sul palco per questi due brani è di un dolce devastante. Nella scaletta scelta per l’occasione, ovviamente, non sono mancate le bellissime ballate tratte dal nono album “Weather Systems” e dal precedente “We’re Here Because We’re Here”. Addio vecchi suoni doom metal dei vecchi Anathema, sono solo un lontano ricordo.
Problemi tecnici a parte mi ha stupito la capacità dei due fratelli di intrattenere il pubblico, anche nei momenti di imbarazzo, hanno scherzato con il pubblico e si sono scusati tantissime volte e anche se alla fine sono andati via un po’ nervosi, la performance di Vincent solo voce e chitarra, senza nessun tipo di amplificazione, ha reso lo show davvero unico e acustico.

Il post show. Attendo per qualche decina di minuti gli artisti per poter fare una foto, ma capisco anche la loro stanchezza e anche un po’ di delusione per tutti questi problemini, quindi dopo un po’ decido di andare ma senza essere scontenta o delusa. Semplicemente li ho capiti, ascoltati e apprezzati anche per come hanno affrontato tutto. Attenderò con ansia il prossimo tour, sapranno sicuramente riscattarsi.

Vedi la photogallery (ph Marco Cometto)

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Una Milano uggiosa ed un Alcatraz completamente sold-out hanno accolto ieri sera i Pixies, attesi nel locale meneghino per la loro unica tappa italiana. Dopo la performance in apertura degli AAAK (As Able As Kane), la venue ha iniziato a popolarsi di over 30 nostalgici dei ‘90’s ma anche di ‘nuove reclute’, giunti per assistere all’attesissimo show.
Black Francis, Joey Santiago e David Lovering hanno fatto la loro comparsa sul palcoscenico puntuali poco dopo le 9.15, questa volta accompagnati dalla bassista Kim Shattuck (Pandoras, Muffs) che ha preso il posto della dimissionaria Kim Deal. Lo scambio è avvenuto dopo che la storica Deal ha lasciato il gruppo a maggio di quest’anno, andandosene a seguito di circa 25 anni di permanenza nella formazione cult statunitense. Bisogna però dare atto alla sostituta di aver fatto il suo dovere senza far rimpiangere nemmeno per un momento la collega e guadagnandosi dunque la piena approvazione del pubblico.

Tra distorsioni, chitarre taglienti ed una energia da far invidia alle giovani band emergenti, la serata è trascorsa velocemente ed intensamente: i momenti di “amarcord” ed emozione scaturiti dalla musica dei quattro artisti – che sono tornati a nove anni di distanza dall’ultima reunion del 2004 – hanno fatto fermare il tempo per un’ora e tre quarti.
Senza proferire parola tra un brano e l’altro il quartetto di Boston ha suonato un pezzo dopo l’altro, con solamente una piccola pausa a precedere l’unico encore del concerto .Dopo l’apertura con “Caribou” lo show è infatti entrato nel vivo con “Monkey Gone to Heaven”, “Velouria” e altri ottimi brani come “Here Comes Your Man”, e il nuovo e potente singolo “Bagboy”. Il gruppo ha anche eseguito alcune cover: “In Heaven” di David Lynch (contenuta nella colonna sonora della pellicola “Eraserhead”), “Head On” dei The Jesus and Mary Chain, “Winterlong” di Neil Young e “Big New Prinz” dei Fall.

La scaletta proposta però ha soprattutto dato nuova vita ai brani che i Pixies hanno composto e pubblicato nel corso della loro carriera, alcuni molto conosciuti, altri invece dedicati a palati più fini: “Crackity Jones”, “Debaser”, “Tame”, “Motorway to Rosewell” e “Broken Face”, solo per citare alcuni esempi. La chiusura, neanche a dirlo, è arrivata con il grido corale che ha accompagnato “Where is my mind”, dopo la quale la formazione ha lasciato lo stage, tra applausi, apprezzamenti e soddisfazione.
Certo i Pixies, cuore pulsante dello stile musicale ruvido e urlato reso importante negli anni ’90, non hanno perso il tiro di un tempo: nonostante l’età anagrafica per loro (e per tutti) avanzi infatti, sono riusciti a rimanere credibilmente ciò che erano, facendo ballare la mente e il cuore dei loro fan, vecchi e nuovi.

Pixies @Alcatraz – Milano, 04 novembre 2013 – SETLIST:

Caribou
Monkey Gone to Heaven
Velouria
Havalina
Vamos
Here Comes Your Man
Bagboy
River Euphrates
Cracktivity Jones
Something Against You
Distance Equals Rate Times Time
Wave of Mutilation
Winterlong (Neil Young cover)
Cactus
Nimrod’s Son
Indie Cindy
Ed Is Dead
Brick Is Red
Break My Body
Bone Machine
What Goes Boom
I’ve Been Tired
Blue Eyed Hexe
Broken Face
Isla de Encanta
Tame
Hey
Big New Prinz (The Fall cover)
Head On (The Jesus and Mary Chain cover)
Gouge Away
Debaser

Encore:

Motorway to Roswell
In Heaven (Lady in the Radiator Song – David Lynch)
Andro Queen
Where Is My Mind

Si ringrazia DNA Concerti

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E’ un sabato sera piovoso. Milano come al solito viene ricoperta da nuvole grigi della serie “io stasera manco esco di casa”.
Il traffico continua imperterrito, la gente come al solito corre dappertutto, magari per recarsi ad un concerto. Magari per recarsi ad un concerto ai Magazzini Generali per vedere quello che è l’icona brit-pop del momento: Miles Kane.

Ore 20: ancora nessuno sul piccolo palco del piccolo locale milanese. Doveva presentarsi “ The Heart and The Void” ma nessuno riesce a vederlo: si bhè parlo al singolare in quanto questo nome sa molto di band, invece è tutt’altro. E’ il progetto solista di un certo Enrico, che viene dal sud Italia e precisamente dalla Sardegna.
La mia reazione nel vederlo sul palco dopo pochi minuti è del tipo: “ah,un tizio del soundcheck” ma mi sbagliavo a quanto pare.
Copia italiana di Bon Iver, con la sua sola chitarra fa da spalla alla serata brit milanese: canta più o meno 4/5 canzoni, tutte uguali, bisogna dirlo. E’ un progetto dove purtroppo ogni singola nota ci riporta alla canzone precedente. Comunque è un ragazzo sicuramente simpatico, volenteroso di fare e saprà farsi sentire in futuro. Mette giù la chitarra e lascia lo spazio ad un’icona del rock.

L’attesa sale, il pubblico aumenta e io mi trovo sempre più accerchiato da personaggi strani: una famiglia inglese che litiga con dei ragazzi italiani perchè escono dall’uscita di emergenza a fumare, tenendo la porta aperta; un ragazzo che prende l’occasione di “provarci” con una ragazza sola di fianco a lui che rimane sorpresa, ma viene rassicurata dal tipo dopo aver sentito “ non ti preoccupare, io sono fatto così”
Tutto ciò lo dico per sottolineare come l’atmosfera all’interno del locale sia semplice e tranquilla, fin quando le luci non si spengono, l’intro inizia e sale lui.

Considerata come la nuova stella del brit-pop dagli inglesi; migliore amico del frontman degli Arctic Monkeys, Alex Turner; amico di Paul Weller e Noel Gallagher che lo sostengono e seguono in tutto il suo percorso: Miles Kane, camicia nera sotto una giacca altrettanto nera, con una voglia assurda di spaccare, neanche il tempo di incominciare che si mette sul bordo del palco ad incitare il pubblico, facendo la faccia da duro.
La prima canzone infatti è proprio quella che ti fa salire l’adrenalina nel corpo, che ti fa scuotere la testa: “ You’re Gonna Get It” è li che ti invade il cervello, i muscoli e che ti fa iniziare a urlare come un matto, seguendo Miles in ogni cosa. E’ il rockettaro per eccellenza, con quella chitarra fa magie. Magie che continuano in “Taking Over”, terzo fantastico ed energico singolo tratto dal secondo lavoro di Kane ovvero “Don’t Forget Who You Are”. Le canzoni si susseguono senza fermarsi, in tutti i sensi, perchè tra una e l’altra non c’è un momento di pausa, è un maxi mash-up che fa di questo artista un genio, icona del brit inglese. Le sorprese non finiscono con l’arrivo della canzone “ Better than That” e con un altro mash-up direi geniale di “Give Up” e “ Sympathy for the Devil” ,dei mitici Rolling Stones.

L’atmosfera è così carica che nel mezzo del pubblico si crea un pogo allucinante: nei concerti a cui ho assistito, nei locali piccoli come i Magazzini Generali, ne ho visti solo due di poghi così terribili, questo e quello al concerto dei Two Door Cinema Club che, ammettiamolo, sono tutto tranne che band da pogo. Miles ad un certo punto inneggia al ritornello dell’ultima canzone, facente parte del mash-up: “ you’re pretty, good looking, but i’m looking far away out”. Kane canta, il pubblico ripete. Kane urla, il pubblico urla con lui. Uno spettacolo unico, lo devo ammettere.
“How are you on the right? On the left? Back? Left? Right? Left? Right?” sembra una cosa scritta a caso e invece è quello che ad un certo punto dice il cantante per sentire quanto è energico il pubblico, quanto lo segua, quanto sia gasato come lo è proprio lui.
Pubblico che si eccita alla canzone prima dell’encore “ Don’t Forget Who You Are” secondo singolo dell’omonimo album che da il titolo al tour.
Alla fine della canzone tutti continuano a ripetere il ritornello, Miles aspetta ad uscire, accompagna il coro,ma poi esce salutando col suo solito segno della vittoria.

Pausa. Pausa sofferta e fastidiosa, ma che vede dopo poco il ritorno del cantante, solo, che prende in mano una chitarra acustica e inizia a cantare una delle sue ballad “Colour of the Trap”. Tutti alzano in alto gli accendini e cantano con lui.
Ultima canzone a chiudere lo show di un’ora e poco più è “ Come Closer” , prima traccia del suo primo album che vede la partecipazione di Jeff Wootton (Gorillaz e co.): una chiusura spettacolare, sia da parte della band, che anche di quella del pubblico che viene coinvolto nel finale da Miles.

Proprio così si chiude la serata Brit a Milano. Sono fiero di quest’uomo perchè ha saputo fare un bellissimo spettacolo, la stessa sera dove molte più persone han scelto il concerto dei 30 Seconds To Mars al forum.

Live report a cura di Gianluca Quadri

Si ringrazia Vivo Concerti per l’invito.

Setlist
GONNA GET IT
TAKING OVER
REARRANGE
CONDITION
QUICKSAND
BETTER THAN THAT
KINKCROWLER
GIVE UP
DARKNESS
TAKE THE NIGHT
MY FANTASY
TONIGHT
INHALER
DFWYA
ENCORE:
TRAP
COME CLOSER ( con Jeff Wootton)

Nella notte del ritorno all’ora “illegale” le lancette non tornano indietro di una sola ora ma vorticosamente scorrono in un flashback pluridecennale rievocando voci tenebrose, ritmi ipnotici e atmosfere dark electro che ci trascinano in una vorticosa spirale di tenebra e rock. Riecheggiano echi di dark wave nel piccolo Club Arci Tambourine a Seregno con una serata in Concert + Dj set finale dove la musica oscura che viene da lontano sa trasformarsi in un sound moderno, mai banale, alternative, out of the pop .
Eh allora sul palco si materializzano prima gli Starcontrol tre giovani di grande impatto visivo con ciuffi wave e una grande voglia di suonare e farci sentire cosa sanno fare, senza esagerare, senza “tirarsela” e senza voler strafare.

Davide alla voce, Laura al basso e Moreno alla chitarra e programming con un pugno di canzoni fanno intravvedere una grande forza e una vena compositiva che spazia dal sound primi New Order fino ad echi di Sisters of Mercy . E’ bello sentire pezzi come “ A Dream” o “Persian Carpet” e vedere che tutta l’inconsapevolezza giovanile degli Starcontrol produca un sound così bello e nuovo con le radici che affondano nel passato.
E veniamo al main event della serata la Reginetta Dark Electro Tying Tiffany , presenza scenica carismatica, oscura ed inquietante con una voce dai toni altissimi supportata dal fido chitarrista-programming e dal nuovo selvaggio percussionista.

Tying Tiffany ha percorso nella sua giovane carriera tutte le strade della musica dark electro con echi punk e new wave che hanno sicuramente maggior appeal in altri territori europei (Germania ad esempio) dove questa musica ha notevole seguito e una schiera di produzioni di alto livello.
Ma noi fidi paladini di questo alternative sound sin dai suoi albori siamo pronti ad applaudire T-Tiffany ad acclamarla, ad urlare insieme a lei le sue canzoni e a complimentarci con lei al termine della intensa performance.

In attesa di un nuovo lavoro in studio riascoltiamo con piacere molti brani degli ultimi due dischi Dark Days , White Nights e Peoples temple e ritmicamente passiamo da 3 Circle, a Miracle, Show me What You Got fino a Drownin e She Never Dies in un apoteosi ritmica affascinante.
La serata termina in bellezza con il Dj Set tematico con Numa Echos e 3 Immaginary Boys a rievocare la tenebrosa notte dark che tutto avvolge e tutto travolge.

Live report a cura di fERDIDAS