Recensioni

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Era il 2000, ora siamo nel 2014. Sono passati ben 14 dall’uscita dell’album Hybrid Theory dei californiani Linkin Park e finalmente la sottoscritta ha avuto il piacere, l’onore e la fortuna di assistere ad un loro live show! Aspettare 14 anni per un concerto è davvero una lunga attesa, anche se nel frattempo la band di Chester e soci ha sfornato e ci ha regalato ben altri 4 album e il sesto “The Hunting Party” è in in uscita il 17 giugno.
Partiamo con ordine, chi si aspetta una recensione su cosa ho visto resterà deluso, perché effettivamente non ho visto proprio niente! Per questo motivo non sarò in grado di raccontare come era fatto il palco o come erano disposti i musicisti , complici le migliaia di persone presenti e la mia famosa bassezza. Quello che posso raccontare riguarda come tutti gli altri sensi, vista esclusa, hanno vissuto questo concerto. Per compensare a questa mancanza abbiamo inviato sotto al palco la nostra collega fotografa Emanuela Tardocchi, vedrete le sue foto in fondo alla recensione!

Il 29 Gennaio Vivo Concerti ha annunciato il ritorno in Italia dei Linkin Park: dopo quasi 4 mesi di attesa per e con oltre 30000 fans che han comprato il biglietto, l’unica data italiana del gruppo americano che si è svolta lo scorso 10 giugno è andata sold out in pochissimo tempo e il City Sound Milano 2014 ha aperto la stagione con il botto.
L’organizzazione è apparsa impeccabile: 2 ingressi aperti per far entrare il pubblico già nel primo pomeriggio, tensostrutture per la vendita di cibi e bevande, assenza della gradinata sul fondo per far posto a tutti e un’atmosfera incredibile già dalle prima ore del mattino.
Ad aprire le danze alle 20 ci han pensato i Fall Out Boy: 15 brani tiratissimi partendo con “The Phoenix”, tratto dall’album Save Rock and Roll, per poi passare a tutti i loro grandi successi, compresi la cover di Micheal Jackson “Beat it” e “Dance, Dance”.

Ma come previsto però, erano tutti lì per i Linkin Park: la band si è fatta attendere fino alle 21.40, quando ormai il tramonto aveva già lasciato spazio alle luci e ai led dei wall sul palco. Dopo essere entrati sulle note di “Catalysm“, brano tratto dall’album A thounsand sun, sono carichi, li sento dalla voce, e riesco addirittura a intravedere qualche pezzettino di maxi schermo: poco importa, è l’atmosfera quella che conta. “Guilty all the same” e “Given up” seguono a raffica, intorno a me vedo gente che salta e canta, più di 30000 persone che sono lì per ricordare alla band che dovrebbe venire più spesso in Italia. La voce di Chester è pulita, è arrabbiata, si sente nell’aria che il gruppo sta attraversando una nuova fase. Infatti l’ultimo album è bello tosto, e segna il ritorno a quel rock duro, quel nu metal per cui tutto il mondo li ha conosciuti.

Durante il concerto, ovviamente, non mancano ritorni al passato con brani rappati di Mike Shinoda come “Pupercut”, “With You” o “Runaway”. Il pubblico è estasiato, conosce a memoria ogni singola canzone, vuol far sentire la propria voce e Chester glielo concede; in più di un brano viene lasciato ampio spazio alla folla, soprattutto sulle famosissime Numb, In the end e Faith. Dopo una breve pausa e intermezzi di musica dance-elettronica affidata a Joe Hahn, arriva la sorpresa tanto attesa: Mike, con un fogliettino di supporto in mano, spiega in un quasi perfetto italiano che per la canzone successiva “Until It’s Gone”, lui e i suoi colleghi hanno in mente un progetto speciale. Tutti i fans sono, infatti, invitati dal cantante a registrare la canzone con i propri smartphone e a caricarla sul sito indicato: con tutti gli spezzoni di registrazioni pervenuti verrà poi composto un video ufficiale. La particolarità di questo esperimento è stata la concomitanza con il flash mob organizzato dal Fans Club Linkin Park Italia, che ha reso la canzone un tripudio di colori, forme, luci ed emozioni.

L’encore si conclude con le canzoni “New Divide”, “What’s I’ve Done” e “Bleed It Out”. Uno SPETTACOLO. Non riesco a trovare nessuna altra parola per descrivere l’energia trasmessa da questa band. Non parlo solo da fan, che da ragazzina ascoltava i loro cd, parlo da adulta che riesce a farsi trasportare dall’atmosfera delle cose, dalla positività delle persone e dalla musica.
Dispiaciuta per la fine del concerto, mi incammino con le altre migliaia di persone verso casa, continuo a canticchiare le loro canzoni e mi auguro per la prima volta con tutto il cuore di riuscire a rivederli dal vivo molto presto. Questo live che può tranquillamente essere considerato uno tra i più attesi in Italia in questa calda estate.

Setlist:
Act I
The Catalyst / The Requiem
(Mashup Intro)
Guilty All the Same
Given Up
Points of Authority
One Step Closer

Act II
Blackout
Papercut
With You
Runaway
Wastelands
Castle of Glass
Leave Out All the Rest / Shadow of the Day / Iridescent

Act III
Robot Boy
Joe Hahn Solo
Burn It Down
Waiting for the End
Wretches and Kings / Remember the Name / Skin to Bone
Numb
In the End
Faint

Encore:
Until It’s Gone
A Light That Never Comes
Lost in the Echo
Crawling
New Divide
What I’ve Done
Bleed It Out

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Si chiude in Italia e proprio a Torino il PHAEDRA FAREWELL TOUR, l’imperdibile ultimo tour mondiale dei Tangerine Dream. Dopo 45 anni di presenza sulle scene e l’uscita di oltre 150 album, nominati 7 volte ai Grammy Awards, i Tangerine Dream, sono tutt’oggi considerati i pionieri del rock elettronico aprendo la strada al synth-pop degli anni ’80 e anticipando di quasi due decenni la stagione della new age. Definiti dal New York Times “The World’s Leading Synth Band”, i Tangerine dream, sono noti proprio per rivoluzionato la scena musicale, creando della nuova musica strumentale, nuovi suoni, nuovi effetti e tecniche di produzione.

Formatasi nel 1967 da Edgar Froese, i Tangerine Dream abbandonano gli strumenti rock tradizionali per concentrarsi solo sui sintetizzatori elettronici, tanto da portarli ad essere considerati tra i principali esponenti del krautrock e della musica cosmica oltre ad essere fonte di ispirazione per grandi pittori, fotografi, architetti per la realizzazione delle proprie opere.
Dopo vari cambi di lineup, attualmente la band è una sorta di collettivo musicale, in quanto edgar froese è rimasto l’unico membro stabile e si avvale della collaborazione di numerosi musicisti esterni.
Non c’è posto migliore del Teatro Colosseo di Torino, quindi, per farsi trasportare dalla musica di questa band: note che han la capacità di farti uscire da te stesso e dal tuo spazio per trascinarti dentro un viaggio, in un luogo sperduto, su uno strano pianeta lontano dal nostro.
Ascoltiamo il consiglio dello scrittore Paul Morley, in “Metapop”:

“Ero con questo suono, che sembrava il suono dell’amore, del sesso, dell’intossicazione, del futuro. La musica dei Tangerine Dream era per me l’esperienza più sessuale che si potesse desiderare”.

Infatti veniamo subito immersi in un vortice di dissonanze, echi, riverberi, rumori e distorsioni elettroniche, sospeso nel vuoto dell’assenza totale di ritmo. Una sensazione strana che fanno venire in mente le saghe spaziali di Isaac Asimov, oppure al magico balletto delle astronavi di “2001: Odissea Nello Spazio”, il capolavoro di Stanley Kubrick. Una quasi immersione nell’ abisso cosmico, che assomiglia molto da vicino al buio della mente, ai recessi più oscuri della psiche.
Il live che dura ben 3 ore, con una pausa di 20 minuti, ha ricostruito parte della storia della band, le canzoni sono state rivisitate per non annoiare mai il pubblico ma per renderlo il più partecipe possibile. Il teatro è pieno di attenti ascoltatori, coinvolti anche dall’ottimo gioco di luci e dalla scenografia molto ben curata dove ogni musicista ha avuto il suo spazio sia fisico che musicale.
E nonostante Edgar Froese mostri sul palco le sue debolezze di salute, non alzandosi mai dalla sua sedia, è riuscito in ogni caso a regalare uno spettacolo incantevole, e a confermare i Tangerine Dream come una delle migliori band di tutti i tempi, lasciando in dote alle generazioni successive un patrimonio di inestimabile valore.

Sul palco di Torino Edgar Froese (tastiere e chitarra), affiancato da: Thorsten Quaeschning (tastiere), Linda Spa (flauto, sassofono, tastiere), Iris Camaa (percussioni, batteria elettronica), Bernhard Beibl (chitarra) e Hoshiko Yamane (violino).

Setlist: First part:
Odd Welcome
Burning the Bad Seal
The Midnight Trail
Sorcerer Theme
Twilight in Abidjan
Hermaphrodite
Sleeping Watches Snoring in Silence
Song of the Whale, Part One: From Dusk
Horizon (Warsaw Gate Mix)
Sphinx Lightning

Second part:
Josephine the Mouse Singer
Logos (Extract)
Alchemy of the Heart
Grind
Warsaw in the Sun
Oriental Haze
Three Bikes in the Sky
Das Mädchen auf der Treppe
Marmontel Riding On A Clef
Trauma
Encore:
Phaedra 2005
Darkness Veiling The Night
Arcangelo Corelli’s La Folia
The Silver Boots of Bartlett Green

Live report e photogallery a cura di Marco Cometto

Manca poco ormai alla fatidica data del 22 giugno quando il Circo Massimo di Roma ospiterà the Greatest Rock ‘n’ Roll Band in the World, the Rolling Stones. Dopo aver interrotto il tour Oceanico per la scomparsa della compagna di Jagger, L’Wren Scott, la band ha intrapreso il tour europeo toccando città diverse città, tutte sold out.

Ci sono dei concerti che non si può davvero fare a meno di vedere almeno una volta nella nostra vita, quei concerti per cui è stata inventata la parola “Imperdibile”. E in questo mese di giugno sta per verificarsi proprio uno di quegli eventi, uno dei più importanti del panorama musicale non solo italiano, ma internazionale. La nostra redazione non ha resistito e approfittando del ponte del 2 giugno è andata ad assistere al concerto di Zurigo, previsto il 1 giugno.
Troviamo tanti italiani che hanno fatto la stessa scelta, essendo per il nord più vicino Zurigo che Roma, ma anche altri che come noi, han voluto bissare e seguire gli Stones per ben 2 date. Con la calma e la precisione svizzera lo stadio Letzigrund si riempie piano piano e alle 20.00 non si vede un solo posto vuoto, sold out anche questa data, 50.000 fans in trepida attesa.
Alle 20.30 una voce annuncia “Lady and Gentleman The Rolling Stones” e cosi il silenzio quasi religioso di attesa si trasforma subito in un ovazione generale. Si inizia con Start Me Up e si capisce subito che Mick è in gran forma, arriva per terza It’s Only Rock ‘N’ Roll (But I Like It) che manda in delirio totale lo Letzigrund Stadium. Poi arriva l’aggressiva Gimme Shelter, dell’album Let it bleed del 1969 (a mio parere la piu bella canzone degli Stones), dove Mick duetta con la corista “storica” Lisa Fischer. A metà live, Jagger lascia il palco e durante You Got The Silver e Can’t Be Seen i riflettori sono tutti per Keith Richard. Durante l’”infernale” Sympathy For The Devil, invece, tutto lo stadio, con un gioco di luci e fumo, diventa rosso fuoco e Jagger nel panni del diavolo in persona si è dimenato come se ne fosse davvero impossessato. A chiudere lo spettacolo prima del bis è il turno di Brown Sugar ma il pubblico ovviamente è ancora assetato di rock e al ritorno sul palco la band si porta dietro lo Zurich Choir per cantare You Can’t Always Get What You Want. Lo show si conclude definitivamente con (I Can’t Get No) Satisfaction e un classico spettacolo pirotecnico. Incredulo di ciò che ho visto, che è stato anche meglio della mia migliore previsione, me ne torno in albergo continuando a cantare, ovviamente, gli Stones.
Due ore di spettacolo che raccontano 50 anni di musica ruvida, di rock, di storia , di amore tra trionfi e tragedie, di una band che sembra abbia venduto l’anima per l’eterna giovinezza; uno show che non si limita solo all’aspetto musicale ma anche sociale di un secolo.
Particolare attenzione è stata data al pubblico, infatti la set list per ogni concerto viene creata sulla base delle richieste fatte dai fans in una votazione on-line sui social. La band ha anche suonato rarità ‘Worried About You’, ‘Out Of Control’, caratterizzato Keith alla voce solista. I Rolling Stones non sono soltanto un miracolo di longevità: sono la quinta essenza del rock.

Quindi appuntamento al Circo Massimo in una location davvero particolare e molto suggestiva per un concerto del genere, e chissà cosa hanno messo in serbo per noi Italiani.
Nell’attesa, iniziamo a familiarizzare con la mappa del circo che la D’Alessandro e Galli ha messo a disposizione e con una miniclip dell’evento di Zurigo.

Noi non aspettiamo altro… e voi?

SET LIST

Start Me Up
You Got Me Rocking
It’s Only Rock ‘N’ Roll (But I Like It)
Tumbling Dice
Worried About You
Doom And Gloom
Let’s Spend The Night Together
Out Of Control
Honky Tonk Women
BAND INTRODUCTIONS
You Got The Silver (with Keith on lead vocals)
Can’t Be Seen (with Keith on lead vocals)
Midnight Rambler (with Mick Taylor)
Miss You
Gimme Shelter
Jumpin’ Jack Flash
Sympathy For The Devil
Brown Sugar

ENCORE

You Can’t Always Get What You Want
(I Can’t Get No) Satisfaction

Dopo l’annullamento della prima giornata causa maltempo – e nonostante le minacciose nubi che ieri, 2 giugno, incombevano sull’Arena Joe Strummer di Bologna – possiamo dire che la sesta edizione del Festival Rock in Idro si è conclusa al meglio.
Il Day 4 infatti si è svolto senza particolari intoppi presso la nuova location e ha visto alternarsi, puntualissimi, numerosi gruppi: We Are Scientists, The Brian Jonestown Massacre, The Fratellis, Miles Kane, Manic Street Preachers, Biffy Clyro, Pixies e Queens of the Stone Age.
We Are Scientists e The Brian Jonestown Massacre si sono dati il cambio sotto il sole delle prime ora del pomeriggio, offrendo una carica performance di apertura: più spensierati i primi, più introspettivi i secondi, hanno saputo intrattenere senza incertezze i numerosi presenti. Subito dopo l’evento ha cominciato ad entrare nel vivo con i Fratellis, che intonando, tra gli altri, i successi “Chelsea Dagger” e “Henrietta”, hanno fatto ballare e cantare la folla.

Intorno alle ore 17.00 invece è arrivato il momento di ascoltare la rivelazione (ora solista) Miles Kane, che dal vivo ha convinto anche chi aveva solo ascoltato un suo brano per caso alla radio: l’ex componente di Rascals e Last Shadow Puppets infatti, ha dato prova di possedere abilità tecnica, voce tagliente e presenza scenica. Tra i momenti più apprezzati del suo set ci sono state le esecuzioni dei singoli “Taking Over”e “Better than That”, la corale “Don’t forget Who you are” e il breve omaggio ai Rolling Stones con la reinterpretazione di “Sympathy for the Devil”. Un’ora più tardi sono arrivati gli storici Manic Street Preachers che, a quasi trent’anni dalla loro formazione avvenuta nel 1986, sono ancora in pista: l’esibizione è filata liscia toccando il punto più alto in chiusura con il brano contro la guerra, nonché loro più grande successo, “If you tolerate this, your children will be next”. Bisogna però dire che la collocazione di questo gruppo all’interno della quarta giornata di Rock in Idro è sembrata a tratti poco adatta, se si considera il genere proposto dagli altri gruppi meno ‘tradizionali’ saliti sul palco nel corso di lunedì 2 giugno.

Dalle 19.00 in poi è arrivato il momento dei tre gruppi più attesi dell’evento, tutti passati anche per Milano lo scorso anno registrando altrettanti sold-out: Biffy Clyro, Pixies e QOTSA. Gli scozzesi Biffy Clyro – o meglio “Biffy fuc**** Clyro”, come loro stessi si definiscono – ormai detentori di una certa fama anche dalle nostra parti, hanno dato vita ad uno show che ha alternato pezzi recenti a canzoni più ruvide e datate, ancora più apprezzate dal pubblico. “Bubbles”, “Who’s Got A Match?”, ma anche “Many of Horrors”, “Living is a problem because everything dies”, “The Captain”, o ancora la ballata agro-dolce “God and Satan”, hanno dato prova per l’ennesima volta della grande passione che la band di Simon Neil riversa in ogni live che propone. Ai Pixies è stato invece affidata la penultima performance della giornata, dopo che già lo scorso novembre, sul palco di un Alcatraz tutto esaurito, avevano regalato un live memorabile. Con una set-list ridotta a causa dei soliti obblighi temporali che un festival impone, hanno comunque colpito nel segno: il maggior riscontro è arrivato con i successi “Monkey gone to heaven”, “Here comes your man” e per il nuovo brano “Bagboy”, ma l’highlight è stato sicuramente toccato sul finale con “Where is my mind”, cantata a squarciagola dalle migliaia di persone presenti.

Per chiunque salire sul palco dopo Black Francis e soci senza rischiare di non reggere il confronto sarebbe stato difficile, ma non per Josh Homme, Jon Theodore, TroyVan Leeuwen, Michael Shuman e Dean Fertita. I Queens of the Stone Age infatti, attesi headliner dell’ultima giornata di Rock in Idro 2014, hanno veramente chiuso col botto: un’ora e un quarto di concerto senza encore e senza intervalli (Homme preferisce dare più spazio alla musica e meno alle parole) che ha intrattenuto, colpito ed emozionato. Per quanto riguarda la scaletta proposta, alcune canzoni sono state tratte dall’ultimo album “…Like Clockwork” (“The Vampire of time and memory”, “Fairweather Friends”), ma non sono mancati cenni dal precedente “Era Vulgaris”, o dal sempre apprezzato, “Songs for the deaf”, uscito nel 2002: sulle note di “No One Knows” e “Go with the flow” è infatti scattato il delirio collettivo e insieme al gruppo scatenato sul palco ha cantato senza risparmiarsi anche il vasto pubblico. L’unica segnalazione negativa sulla serata riguarda il volume della voce del cantante, percepito più basso di alcuni strumenti, almeno da chi si trovata in posizione laterale rispetto al palco: nonostante questo però la potenza della musica di Homme e soci è riuscita a raggiungere il cuore e la mente di tutti i presenti, confermando che i QOTSA sono ad oggi tra le migliori band in circolazione, tra i “must see” per chi è appassionato di musica dal vivo.

Setlist Queens of The Stone Age, 2 giugno 2014 @Bologna, Arena Joe Strummer,Rock in Idro Day 4:

You Think Ain’t Worth a Dollar, but I Feel Like a Millionaire
No One Knows
My God is the Sun
Burn the Witch
Smooth Sailing
In My Head
Feel Good Hit of the Summer
The Vampyre of Time and Memory
If I had a Tail
Little Sister
Fairweather Friends
Sick, sick, sick
Better Living Through Chemistry
Go with the Flow
A Song for the Dead

Sabato 31 maggio Biagio Antonacci ha inaugurato la stagione dei grandi eventi live a San Siro.
Il concerto milanese, dopo la tappa di sabato scorso a Bari, è il secondo ed ultimo evento live, previsto per l’estate 2014 dal cantante di Rozzano.
Infatti questi due eventi speciali, rientrano nel progetto “Palco Antonacci” organizzato e promosso dalla F&Pgroup, per ripercorrere la storia musicale e professionale di Biagio a cui farà seguito in autunno un tour che con ogni probabilità partirà intorno alla data del suo cinquantunesimo compleanno.
Alle 21, 15 si spengono le luci e con il brano ” Se io se lei”, eseguito in tedesco, da Nadia Von Jacobi, voce fuori campo, Biagio fa il suo ingresso sul palco sollevato da una pedana tra il boato di San Siro.
Il concerto è una grande festa è ha inizio con “Cado” , brano dance che da fa ballare tutto il pubblico presente.
Quasi 50 mila fan per una serata di grande successo impreziosita anche da due ospiti eccezionali, come Eros Ramazzotti e Laura Pausini, che si sono alternati in duetto con Biagio Antonacci. I tre artisti hanno eseguito anche una versione particolare di ” Tra te e il mare” molto apprezzata dal pubblico.
Biagio Antonacci ha regalato ai suoi fan un live speciale, più di due ore di concerto senza mai risparmiarsi e con la voglia di trasmettere e condividere emozioni e poesia, con il pubblico, che ha ricambiato con energia, con calore e con affetto, applaudendo, incitando e cantando in coro tutte le canzoni della scaletta.
Una festa tra le emozioni di ieri e di oggi, 25 anni di carriera tra i successi di sempre e le nuove canzoni del suo ultimo album ” L’Amore comporta” uscito lo scorso 8 aprile.
Sul palco con Biagio, Gabriele Fersini, Emiliano Fantuzzi e Massimo Varini alle chitarre, Mattia Bigi al basso, Fabrizio Morganti alla batteria, Massimo Tagliata alla fisarmonica, Alessandro Magri alle tastiere e Leonardo Di Angilla alle percussioni.
Biagio Antonacci dopo il successo del suo primo live a San Siro nel lontano 2007, ha saputo ripetersi e confermarsi, con un successo di pubblico diopo la magnifica serata di sabato sera, attende con impazienza le date del nuovo tour previsto per l’inverno 2014.

A cura di Mimmo Lamacchina

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Gli Yes arrivano in Italia per due appuntamenti che si inseriscono in un Tour Europeo chiamato “Farewell Tour”, partito da Oxford in Inghilterra e che terminerà il 5 giugno a Oslo, in Norvegia. Quando si parla di Farewell l’appuntamento diventa imperdibile e siamo stati invitati a seguire lo show di Milano. Un concerto attesissimo al Teatro della Luna e non c è location migliore per ascoltare comodamente seduti in poltrona i capolavori del progressive rock mondiale, un acustica perfetta, suoni puliti di brani che, oltrettutto, dal vivo non presentavano da molto tempo. Apprezzata da più generazioni, la musica degli Yes propone una fusione di progressive art-rock con dinamici contrasti strumentali e liriche astratte. Una di quelle band che, come i Pink Floyd o i Genesis, hanno fatto la storia del rock mondiale con più di 30 milioni di album venduti in tutto il mondo. La band ha eseguito integralmente i tre album “The Yes Album“, “Close to the Edge“,e “Going for the One“, quarantacinque anni di carriera in una botta sola, un viaggio all’interno del mondo degli Yes, attraverso le diverse epoche che la loro musica ha attraversato. Alle 21.20 inizia l’opera, si capisce subito dalle prime note della Gibson di Howe che non scherza, sul palco la band schiera al microfono Jon Davison, da circa un anno e mezzo nuova voce stabile degli Yes a sostituire Jon Anderson. Il concerto scorre veloce e piacevoli con brani da forti emozioni come “Yours is No Disgrace”, “I’ve Seen All Good People”, “Starship Trooper”, “Close to the Edge” “And You And I”, “Going for the One,” “Wonderous Stories,” “Awaken,” e molte altre grandi hit. Le due ore e mezza di live scorrono veloci senza pause, tutti attenti ai virtuosismi di Chris Squire e compagni, ma al ritorno sul palco per i il bis quando inizianio le note di Roundabout il pubblico non resiste e scatta in piedi per correre sotto palco ad applaudire una band che ha scritto la storia della musica mondiale.

La line-up
Questa la line-up dei concerti degli Yes in Italia nel 2014: Chris Squire (basso), Steve Howe (chitarra), Alan White (batteria). Rispetto alla formazione originale mancano soloJon Anderson e Rick Wakeman, due pezzi da novanta, degnamente sostituiti da Geoff Downes alle tastiere – già membro dei Buggles e degli Asia – e dall’americano Jon Davison – Glass Hammer e Sky cries Mary – alla voce.

Orientativamente la scaletta a presentato questi brani:
The Firebird Suite (Igor Stravinsky)
Close to the Edge
And You and I
Siberian Khatru
Going for the One
Turn of the Century
Parallels
Wonderous Stories
Awaken
The Yes Album
Yours Is No Disgrace
Clap
Starship Trooper
I’ve Seen All Good People
A Venture
Perpetual Change

Encore:
Roundabout

Live Report a cura di Marco Cometto

Quando si parla di musica prog si parla quasi sempre di paesi nord-europei; oggi il nostro live report riguarda Roine Stolt e di uno dei suoi tanti progetti: The Flower Kings.
Formatasi nel 1993 rispecchia un genere progressive più simphonic/melodico ricordandoci quello degli anni 70′ con l’uso massiccio di tastiere vintage (Mellotron, Hammond, ecc..). Dopo vari cambi di musicisti, la band si presenta da qualche anno con la seguente line-up: Roine Stolt (chitarra, voce), Hasse Froberg (voce, chitarra) Tomas Bodin (tastiere), Jonas Reingold (basso) e Felix Lehrmann (batteria).
Ad aprire la serata conosciamo i Karmakanic; il tour all’inizio prevedeva la presenza di alcuni membri dei Pain of Salvation ma a causa dei problemi di salute di Daniel Gildenlöw, c’è stato questo cambio dell’ultimo momento. Capitanati dal bassista Jonas Reingong, dal tastierista Lalle Larsson e dal cantante Göran Edman, hanno creato l’atmosfera giusta per accogliere i Flower Kings.
Suono caldo e intimo, un mix di sonorità complesse e passaggi tecnici tipici del prog stile Yes o Genesis. Le voci dei tre artisti unite al tecnicismo del basso e della testiera han saputo ricreare la giusta miscela molto apprezzata dal pubblico maturo del Bloom di Mezzago.
Dopo un’ora di musica, annunciano l’ultimo brano…e sulle ultime note appare da un angolo Roine Stolt con la sua chitarra per dare un assaggio di cosa è previsto per le due ore successive.
Tempo di un cambio palco veloce e alle 21.50 salgono al completo i Flower Kings. La sala non è al massimo della capienza ma tra i presenti c’è tutto il vero pubblico prog, quello che incontri ad ogni concerto, che sia a Milano o a Veruno. La band ha proposto una setlist degna di un concerto memorabile: il tocco di chitarra preciso e inconfondibile di Roine, un po’ più malinconico in questo nuovo lavoro “Desolation Rose”, e l’arrivo del batterista Felix Lehrmann hanno portato sicuramente uno stimolo ed una spinta che mancava.
Il pubblico avvolto dall’energia sprigionata dalle due ore di live li richiama per il bis e loro cosa fanno? Escono insieme ai Karmakanic e ci suonano “solo” ‘The musical box selling England by the pound’ e quando mi accorgo che il mio orologio segna quasi l’una trovo lo stesso la forza e la voglia di cantare con loro questo inno prog, insieme a tutti gli altri fans.
Come ogni artista dovrebbe fare, a fine concerto, tempo 10 minuti, e ritroviamo tutta la band a firmare autografi, un clima rilassato, chiacchiere come tra amici e foto con visi sorridenti, per portare a casa non solo il ricordo di una bella serata ma anche la malinconia di dover aspettare chissà quanto per un altro concerto così intenso.

Si ringrazia Ultrasuoni Music e Bloom per l’invito.

Photogallery e live report a cura di Marco Cometto

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parov stelar full bandSerata sfavillante all’Alcatraz per l’arrivo di Parov Stelar con la sua band al gran completo, portato in Italia per un unico show da un grande promoter come Barley Arts  che sicuramente ha visto lungo nell’organizzazione di questo evento.

Sold out previsto e confermato e palco grande allestito di tutto punto con un luccicante visual fatto di schermi e piani sfalsati  sicuramente di grande impatto visivo a supporto della performance musicale di questa  grande Band di 5 elementi che Parov dirige sapientemente dall’alto della sua postazione programming.

Dare una sola definizione di  Parov Stelar  è riduttivo perché l’artista austriaco ha spaziato nella sua carriera musicale sin dal 2000, dai mixer della produzione alle consolle DJ fino alle tastiere e al programming in genere. Insomma un personaggio che ha composto e prodotto decine di Hit utilizzate in moltissime compilation di musica Club culture ma anche in alcuni  spot pubblicitari  di automotive.

Electro Swing è bello , è una musica che fa ballare che tiene il tempo del jazz e allo stesso tempo del breakbeat dove una sezione ritmica favolosa apre la strada a dei superbi solisti alla sezione fiati Tromba e Sax che si alternano in straordinari solo; la voce femminile è perfetta per questo genere e Cleo Panther interpreta la sua parte di frontwoman con disinvoltura e classe  .

In un perfetto ensemble la Full Band di Parov Stelar è capace di scatenare il pubblico in swing continuo che a tratti velocizza e diventa Ska oppure rallenta fino al downtempo . Questa è house music di classe che prende lo swing e lo reinterpreta con modernità e tecnologia senza perdere quellla nuance senza tempo che questo genere porta con se.

I suo più grandi successi vengono snocciolati da Shine a Coco da Love a Catgroove , e poi Keep on Dancing, la stupenda Jimmy’s gang, Night in Torino, Chambermaid Swing e in esclusiva per la serata alcuni brani del nuovo Ep Clap Your Hand previsto per Maggio .

Una serata perfetta dove la musica swing si incorona regina incontrastata del ritmo dove la club culture vive una straordinaria performance  con una band vera che suona che canta che balla che regala  il Groove perfetto l’electro swing assoluto di Parov Stelar !!!

fERDIDAS

Si ringrazia la Barley Arts per l’invito.

A cinque anni di distanza dalla loro precedente comparsa nel nostro paese (1 marzo 2009, La Casa 139), i Metronomy sono tornati dalle nostre parti ieri sera per un’unica tappa italiana che si è tenuta sul palco dei Magazzini Generali di Milano. La breve ma intensa performance di apertura è stata affidata ai We were Evergreen – tre ragazzi di Parigi che a maggio pubblicheranno un disco d’esordio intitolato “Towards” – purtroppo però al loro live ha assistito una folla abbastanza ridotta a causa dell’orario dalla bassa affluenza (ore 20.00) in cui è stato proposto. Poco dopo la sala si è riempita e Joseph Mount e soci sono saliti sul palco alle ore 21.00 in punto, tra gli applausi dei presenti.

Il gruppo si è presentato in completo elegante coordinato e rispetto all’ultima volta anche in formazione rinnovata (a quella attuale siamo abituati da “The English Riviera” in poi): dopo la dipartita di Gabriel Stebbing avvenuta nel 2009 infatti, al cantante ed al tastierista Oscar Cash, si sono aggiunti la batterista Anna Prior e il bassista Gbenga Adelekan, oltre ad un nuovo chitarrista, come abbiamo avuto modo di notare nel corso del live di ieri. Smesse le luci intermittenti che erano soliti tenere sul petto e che si illuminavano a ritmo, i Metronomy sono passati ad utilizzare un’intera scenografia, un po’ onirica e un po’ kitsch, che rispecchia perfettamente la loro personalità.

La band britannica, fresca di pubblicazione di un quarto album di studio intitolato “Love Letters”, ha dato prova ancora una volta di originalità, percepibile sia dallo stile musicale che dalla presenza scenica (tra balletti a tema e battute), ma  anche di una certa maturità artistica: considerati tra le realtà d’oltremanica più interessanti degli ultimi anni – nella loro Inghilterra collezionano un sold-out dopo l’altro – i Metronomy sono ormai una certezza, soprattutto dal vivo. Benché il nuovo album suoni in maniera più soft rispetto ai precedenti, i singoli “I’m Aquarius” e “Love Letters”, ma anche “The Most Immaculate Haircut” (con tanto di cicale registrate in Toscana), nella versione live appaiono carichi e convincenti, sicuramente in maniera maggiore rispetto alla versione su disco. Inutile dire che l’apprezzamento più tangibile è stato espresso dal pubblico per brani più datati: da “The English Riviera” (che da appunto  il nome al penultimo album) allo scanzonato “Everything Goes My Way”, fino a  “The Look”, “Corinne” e “The Bay”, tra i più riusciti e trascinanti della serata, che è arrivato a chiudere il primo blocco. Qualche perla è arrivata anche dal secondo e (da me) apprezzato lavoro “Nights Out”, uscito nel 2008, come ad esempio i singoli “Heartbraker” e “Radio Ladio”.

Dopo una pausa brevissima c’è stato il tempo ancora per tre canzoni, per le presentazioni di rito e per i saluti: poco meno di un’ora e mezza di musica volata via, con l’augurio espresso da Joseph Mount di tornare presto ad esibirsi nel nostro paese. Che dire, lo speriamo anche noi e attendiamo (questa volta a breve) fiduciosi un nuovo divertente appuntamento con i Metronomy.

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BRUNORI SAS Live – Vol. 3 IL CAMMINO DI SANTIAGO IN TAXI | Opening Act – MOLLA

12 aprile 2014 – Demodè Club, Modugno (BARI)

“Arrivederci amarezza, oggi mi godo questa dolcezza e domani chissà…”

Dario Brunori e la sua “piccola impresa musicale”, la Brunori Sas, zittiscono il vociare del demodè. Puntuale Dario fa il suo ingresso sul palco e va ad accomodarsi al pianoforte. Bastano poche note per capire quale canzone ha l’onore di aprire il concerto: “Arrivederci Tristezza”. Accolta con urla soffocate di gioia, il pubblico emozionato accompagna il Nostro dalla prima all’ultima strofa. Tutti cantano con tutti. Lasciandoci l’amarezza alle spalle voliamo sulle note della più vivace “Il Santo Morto” per la quale “abbiamo perso l’abbonamento alla rivista di Padre Pio” dice Dario ridendo. La poesia del cantautore abbraccia tutte le fasce d’età: ironicamente, guardando una famigliola nel pubblico, immagina come il bimbo avrebbe di sicuro preferito essere a casa a vedere Peppa Pig. E continua: “Ma sono tutti tuoi? C’è la crisi demografica ma tu dai una mano, complimenti”. Quello con il pubblico è un continuo dialogo, una comunione di contentezza per essere lì – nello stesso posto e alla stessa ora – a condividere qualcosa che allontana la tristezza e che, per dirla con le parole di Dario, scaccia le mosche del malumore. E si va avanti. Per “la tradizione post punk new wave” una inedita versione di “Lei, lui, Firenze” rapisce e conquista. Parentesi gossippara da far invidia a Barbara D’Urso è quella in cui Dario ci mette a parte della nascita del suo nipotino, tale Piripicchio Brunori. “Lasciatemi un po’ speculare sulla mia famiglia”. “Fra milioni di stelle” fa venir voglia di baciare e abbracciare chiunque. La sala del demodè è gremita, non si respira, il caldo è infernale, lo si soffre anche sul palco. E infatti Brunori promette di togliersi la giacca di flanella a fine concerto che tanto se l’è messa solo per fare un po’ il figo. Intanto però già qualcuno lo incita con il solito tormentone: “Nudo! Nudo!”. Il pubblico viene asperso dall’acqua santa del sudore di Dario, gocce preziose della sua fronte che lui sparge come una benedizione. Gli animi si quietano quando torna al pianoforte. Commossi si ondeggia su “Kurt Cobain” e “Nessuno”. Le mani si alzano e qualcuno tira su accendini. Troppi, invece, quelli che tirano su smartphone e tablet vari ed eventuali (sigh!).  “Le transenne sottopalco – ammonisce Dario – dovrebbero servire a contenere il pubblico dal desiderio di possedere fisicamente il cantante e non per appoggiarsi a riposare!”. E così si riprende quota con “Come stai” e “Mambo reazionario”. Brunori è un animale da palcoscenico, un trascinatore di folle. Siccome però “la situazione è troppo festaiola, ecco un reading sulla morte”. In realtà si procede con l’incantevole “Una domenica notte” e si viene presi da una specie di ottimismo senza una ragione. Ancora, inarrestabile, Dario attacca con “Le quattro volte” passando in rassegna capodanni, carnevali, Natali, prime comunioni e primi funerali e duecento capodanni ancora. E “si può nascere un’altra volta, poi rinascere ancora un’altra volta se ti va”. La tripletta finale è esplosiva, sono i pezzi che tutti aspettavano: “Italian Dandy”“Tre capelli sul comò” e “Guardia 82”. E’ una vera e propria festa, un tripudio di risa. “Grazie di cuore Bari, ci stiamo davvero scialando!”, l’entusiasmo generale non è spezzato dalla fine del concerto e con il bis di “Sol come sono sol” e “Rosa” il demodè esplode col botto. La Brunori Sas chiude in bellezza. Saluti, applausi e poi finalmente l’aria fresca della notte restituisce ossigeno ai nostri polmoni esausti ma felici.

 

Live Report a cura di Marianna McFly Castellano

 

Diciamolo subito: i re del post-rock sono ancora loro.

A 17 anni di distanza da “Ten Rapid” e “Young Team”, che ne rivelarono l’ispirazione e la potenza questi ragazzi scozzesi sanno ancora regalare serate da brividi, riuscendo a coniugare intensità chitarristica e intensità emotiva, spalancando le porte su un mondo fatto di suggestioni ed immagini uniche.

Sono le 22 quando i Mogwai salgono sul palco dell’Estragon, già sold-out in prevendita e decidono di aprire le danze con “Heard about you last night”, brano apripista anche nel loro ultimo lavoro “Rave Tapes”: si capisce subito come andrà la serata, con gli amplificatori che vibrano e le teste del pubblico che si muovono all’unisono, istantaneamente rapite da quello che stanno ascoltando.

Basta chiudere gli occhi e ci si ritrova su una scogliera scozzese, sferzata dall’oceano, con le chitarre che, come vento impetuoso, spettinano i capelli e i pensieri, mentre le percussioni affondano senza freni. E’ “Rano Pano” e subito dopo, senza respiro, arriva “I’m Jim Morrison, I’m dead”, accolta da un boato di tutto l’Estragon, che sembra muoversi all’unisono, come, appunto, un’onda di quell’Oceano Atlantico sul quale si affaccia la Scozia tanto cara a Stuart Braithwaite e soci.

Con “Mastercard” si vira verso un rock più classico, a tratti ipnotico, rispetto alla lunga suite di “Jim Morrison”, quasi che adesso si stesse rivivendo la scena di un film al rallentatore, fissando l’attenzione sui dettagli.

Questo fanno i Mogwai, riescono a spostare (e a farti spostare), nell’arco di un paio di pezzi, lo sguardo e l’attenzione su ciò che loro vogliono valorizzare, che sia un dettaglio strumentale o piuttosto l’atmosfera circostante, in un eterno gioco di rimandi che non sfocia mai nell’autocompiacimento, nel dirsi “quanto siamo bravi”….e bravi lo sono sul serio!

E’ questa la loro forza, far apparire tutto di una semplicità disarmante, tutto casuale, quando tutto invece è perfettamente studiato, proprio come in “Ithica 27 o 9”, tuffo nei ricordi di quei Mogwai che iniziavano nel 1997 e già sbalordivano tutti.

Salto in avanti ed ecco “Deesh”, che getta sull’Estragon un alone di cupezza e rabbiosa malinconia, subito rasserenata da “How to be a werewolf” e dalle sue sonorità più ariose, che ti fanno muovere e sorridere, come in una giornata estiva in cui si ha voglia di fuggire verso il mare.

“Blues hour” colpisce per la sua solennità e perché per la prima (e unica) volta nella serata si sente cantare Braithwaite, che si limitava altrimenti a ringraziare sentitamente il pubblico bolognese, davvero caloroso e attento come si conviene ad una platea che osservi i Mogwai.

“Mogwai fear Satan” è una vera esplosione di potenza e di incanto, con rallentamenti e ripartenze da urlo, meraviglioso spaccato su quella che è la cifra stilistica di questi ragazzi di Glasgow, ma il vero apice si raggiunge al momento del bis, quando i Mogwai si spendono in tre pezzi da lasciare senza fiato, primo tra tutti “White noise”, seguita a ruota da una commovente “Auto rock”, intensa come non mai, per finire con il rock liberatorio di “Batcat”, una vera bomba sganciata sui presenti.

In un’ora e mezza di show i Mogwai riescono a presentare e a far sentire a proprio agio nel loro mondo sonoro, nelle loro mille sfumature, regalando istanti di pura poesia musicale.

Quando la precisione è talmente perfetta da apparire casualità, si sta assistendo a qualcosa di straordinario. E quel qualcosa, probabilmente, sono i Mogwai.

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I Camel arrivano in Italia dopo 14 anni con un tour celebrativo, “The Snow Goose”, a ricordare lo storico compagno di band Peter Bardens purtroppo scomparso. Tocca all ‘Hiroshima Mon Amour di Torino ospitare il primo di due appuntamenti.
La formazione è composta da numerosi dei membri storici che si sono susseguiti negli anni: Andy Latimer (chitarra, voce, flauto), Colin Bass (basso, voce, tastiere, chitarra acustica), Guy LeBlanc (tastiere) e Denis Clement (batteria), ospite speciale il tastierista Jan Schelhaus.
L’evento è sold out e il pubblico presente sembra affamato di buona musica, così alle 22 in punto inizia il live: a rompere il ghiaccio è il tocco di chitarra unico di Latimer sulle note di “The great mark” seguita da “Rhayader”. Le successive due ore di musica sono state un sublime tuffo in tutta la discografia dei Camel, riff brillanti e coinvolgenti che hanno lasciato a bocca aperta tutti i fans.
Una pausa ha diviso lo show in due parti, giusto il tempo di far riposare il frontman Andy Latimer, ma poi la canzone “Never let go” seguita da “Song within a song“ hanno dato il via alla seconda ora di puro progressive rock.
A chiudere la serata è stato il brano “For today”, dove è scattata una vera e propria standing ovation del pubblico che, non avendone abbastanza, ha chiamato ancora la band per un ultimo pezzo “Lady fantasy”.
I fans più temerari hanno aspettato impazienti l’aftershow; la band è uscita dai camerini e si è concessa un bicchiere di vino, quattro chiacchiere e un po’ di foto ricordo. Personalmente, considero questo concerto uno degli show più belli e emozionanti degli ultimi anni e si spera di rivederli presto nel nostro bel paese.

Ecco la scaletta THE SNOW GOOSE

The great mask
Rhayader
Rhayader goes to town
Sanctuary
Fritha
The snow goose
Fiendship
Migration
Rhayander Alone
Flight of the snow goose
Preparation
Dunkirk
Epitaph
Fritha alone
La princesse perdue
The great Marsh (reprise)

SECOND HALF
Never let go
Song within a song
Echoes
The hour candle ( a song for my father)
Tell me
Watching the bobbins
Fox hill
For today

ENCORE
Lady fantasy

Si ringrazia Hiroshima Mon Amour e Blue Sky Promotion per l’invito.

Live report e photogallery a cura di Marco Cometto