Il ritorno di Cat Power incanta Villa Arconati

Il ritorno di Cat Power incanta Villa Arconati

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L’ultima volta che si era vista su un palco italiano, Chan Marshall era diversa: capelli biondo platino, diventati cortissimi dopo la dolorosa fine dell’ennesima storia d’amore, viso gonfio e occhi spenti, una band alle sue spalle per presentare il lavoro allora in uscita, Sun. Tre anni dopo, l’artista di Atlanta torna ad esibirsi nel nostro Paese, e il contesto è diverso, visto che si presenta in modalità solo e senza album da promuovere.
Prima di lei tocca al live del folk-man di Pittsburgh William Fitzsimmons che, accompagnato dal violino e dalla voce celestiale di Abby Gundersen, regala momenti di vera intensità: suono pulito, esecuzione impeccabile, testi sentimentali ma mai banali. Il ragazzo ha talento, si sa, ed è anche capace di scherzare: “Mi chiamo William Fitzsimmons e faccio musica heavy-metal. No, scherzo, le mie canzoni sono fottutamente tristi”.

Poco dopo, il palco gigantesco è tutto di Cat Power. Cambiata ma sempre bellissima, i capelli sono di nuovo lunghi, come tanto tempo fa. La prima parte dello show vede Chan sola con la sua chitarra elettrica. Senza una scaletta precisa ha la totale libertà di pescare i brani che più le va di condividere con in pubblico che affolla il giardino adiacente la splendida Villa Arconati, resistendo al freddo e alle zanzare. Apre la bocca e inizia a cantare Old Detroit, ed è subito chiaro che qualcosa di magico sta per accadere. Chan Marshall è la sua stessa voce, e il pubblico, in un religioso silenzio, a questa voce rimane appeso. La tormentata inquietudine esistenziale che da sempre la accompagna e che spesso ha dato vita a live improbabili, nevrotici, sabotati ora dovrebbe essersi attenuata anche per via dei cambiamenti nella sua vita personale (è diventata mamma da poco più di un anno). Eppure in parte è ancora li, intrappolata in quella voce perfetta che sembra avere vita propria, fuori dal tempo e dallo spazio. A Hate segue una nervosa e allo stesso tempo delicatissima Great Expectations, ed è tempo di passare al pianoforte. Qualche colpo di tosse, un sorso di tè caldo, Chan dice che l’Italia le è mancata, qualcuno risponde che lei è mancata a noi, ed è vero. Fool, Maybe Not, 3, 6, 9 che, spogliata dalla veste elettrica con le quali era stata incisa diventa una ballata quasi difficile da riconoscere. La parte al piano prosegue, nel silenzio assoluto disturbato soltanto dai suoni della natura circostante. Il rumore dei grilli con il vento che smuove gli alberi fa pensare a Speaking For Trees, (il cd/dvd realizzato nel 2004 che la vedeva suonare da sola in una foresta della Greene County). Cat Power è sempre stata un’artista libera, anche troppo e le difficoltà nel gestire la sua stessa libertà le ha sempre manifestate in maniera estremamente sincera. Anche stasera, sul palco, è fin troppo onesta. Interrompe l’esecuzione di un brano dopo l’altro solo per tossire, quando arrivano gli applausi borbotta in continuazione “sorry” e si rivolge ai tecnici del suono più volte. Qualcosa la tormenta, eppure sembra davvero tutto perfetto. Let me go, Hit The Road Jack e la sempre attesa The Greatest concludono il set al piano. Di nuovo alla chitarra, ci si avvia verso la fine del concerto, pare. Say, Naked If I Want To, l’ipnotica Werewolf, Cat come sempre alterna i suoi stessi brani ai classici del blues e alle cover già incise (in The Covers Record, il suo quinto disco, datato 2000). Chiede di nuovo scusa, vuole l’intervento del responsabile di palco, dice di “non voler mettere nessuno nei guai”. Pare evidente che il tormento è ancora tutto dov’è sempre stato. Al pubblico ne sfugge il motivo, ma a tutti è chiaro che a questo punto ci sia bisogno di un abbraccio. E allora in piedi, le poltrone non servono, si cerca di recuperare la distanza chilometrica che separa da Chan. L’abbraccio è reciproco, un applauso infinito accompagna la sua uscita dal palco e, senza interrompersi, il rientro che la vede sedersi di nuovo al pianoforte. Altri due brani e il concerto termina, stavolta davvero, con Colors & The Kids. E soprattutto con la promessa di rincontrarsi ancora, magari con un nuovo lavoro in uscita, sperando che il tempo che ci separa passi in fretta.

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