Interviste

Le interviste di Concertionline ai protagonisti della musica: tutta la musica italiana e internazionale raccontata dalle parole degli artisti e delle band. Musica rock, pop, metal e non solo.

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Si chiamano The Anthonys Vinyls e sono nati artisticamente nei pressi di Roma nel 2010: il gruppo è composto da Massimiliano Mattia (voce/chitarra elettrica), Matteo Leone(chitarra elettrica/voce), Luca Palazzi (basso) e Matteo Lanna (batteria). Abbiamo rivolto loro qualche domanda in occasione dell’uscita del nuovo lavoro della band, intitolato “Like a Fish” e dato alle stampe lo scorso 6 dicembre.

Vi definite una band di genere indie/ pop: da quali gruppi/artisti traete maggiormente ispirazione?

Siamo molto legati all’alternative rock anni ‘90 e alla scena indie del 2000: gruppi come Oasis, Blur, Strokes, Arctic Monkeys e Franz Ferdinand sono innegabili fonti di ispirazione per noi, ma ci piace molto ascoltare cose nuove. Ci definiamo come delle spugne, siamo sempre pronti ad assorbire novità interessanti, attualmente stiamo ascoltando Foals, Late of the Pier e tanto altro.

Come nasce una canzone nel vostro gruppo, di solito?

Di solito i nostri brani nascono così: Matteo (chitarrista) porta in sala prove un’idea di canzone registrata su un pc o un telefonino e poi la elaboriamo tutti insieme. Per quanto riguarda il testo invece si parte da una melodia composta da una serie di parole inventate simili all’inglese e Massi (voce)  poi ci costruisce un testo il più assonante possibile allo slang in modo da non snaturare metrica e melodia della canzone.

Lo scorso 6 dicembre è uscito il vostro secondo disco: potreste parlarci brevemente di questo lavoro?

È un lavoro molto più maturo, abbiamo cercato di toccare il meno possibile i suoni, volevamo un disco “vero” e crediamo di esserci riusciti. La parte musicale prende spunto dalle colonne sonore dei telefilm anni ‘70/’80 con basso e batteria molto funk, mentre le chitarre tendono ad assecondare la voce sostenendola nelle parti più acute.

“Running man”, il primo singolo estratto, di cosa parla?

È un invito ad alzarsi e reagire alla pigrizia che spesso ci assale. Sono anni molto particolari e la nostra generazione vive con disagio questa situazione. Siamo fermamente convinti che ci si debba impegnare in prima persona e non aspettare su un divano che le cose cambino.

Avete aperto per Linea 77 e molti altri gruppi importanti: quali sono i vostri prossimi impegni live, se ne avete?

Ora siamo concentrati nella promozione di “Like A Fish”, vogliamo fare un lavoro più professionale e con tempi meglio scanditi, probabilmente tra febbraio e marzo riprenderemo l’attività live, magari organizzando un piccolo Tour in giro per l’Italia.

E nel 2014 a cosa vi dedicherete?

Ci auguriamo che il 2014 sia un anno intenso, musicalmente parlando, vorremmo suonare molto. I primi giorni sono già partiti bene, abbiamo infatti lanciato il videoclip di Running Man realizzato da Marco Pellegrino. Si tratta di un lavoro in cui crediamo molto, un video animato realizzato attraverso un lavoro di grafica su ogni scatto fotografico.

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Giampiero Jum Troianiello (voce, chitarra), Pasquale Omar Caldarelli (chitarre), Carmine Franzese (chitarre), Mario Urciuoli (basso), Pasquale Rummo (batteria) sono i Beltrami. Abbiamo fatto qualche domanda alla band che l’anno scorso ha dato alle stampe il primo lavoro di studio intitolato “Intorno”: ecco l’intervista.

Le vostre influenze musicali passano per Elbow e Tom Waits, oltre a loro, chi apprezzate?

Apprezziamo quasi tutto il cantautorato italiano in misura, ovviamente, diversa e con una certa propensione per ieri, anche se il nostro “oggi” ci ha regalato progetti davvero validi. E poi i grandi gruppi del rock internazionale, i grandi nomi che abbiamo ascoltato, che abbiamo ammirato e ai quali guardiamo sempre quando vogliamo capire cosa è stata capace di fare la Musica.

Chi di loro ha contribuito in modo determinante a ciò che siete oggi? Perché?

Pensiamo che tutto quello che abbiamo ascoltato, anche quello che ci è dispiaciuto fino a farci schifo, ci è servito, ci ha influenzato, ha contribuito a formare ciò che siamo oggi. Del resto, se decidi di mettere in piedi un progetto di inediti, sei portato ad ascoltare le cose nuove e riascoltare quelle vecchie con “orecchio critico”, nell’analisi di ciò che per i tuoi parametri è costruttivo o viceversa, è bello o viceversa. Il lavoro difficile sta nel portare questi “contributi”, questa sorta di suggerimenti indiretti, nel tuo lavoro, nelle tue canzoni, senza che appaiano come banali copie e che possano rappresentare ciò che sei.

Intorno è il vostro primo disco ufficiale, riuscireste a riassumere il lavoro a chi non lo conosce, in modo da convincerlo ad ascoltarlo?

Intorno è un disco molto eterogeneo, proprio perché (in relazione alle domande di prima) non riusciamo a farci piacere solo un genere. Così abbiamo deciso di cercare un altro tipo di legame tra le dieci tracce e ci siamo accorti che nei colori delle nostre sonorità e, soprattutto, nei testi, questa cosa esisteva. È un disco che parla di rapporti di qualsiasi forma e intensità e che guarda davvero intorno, a chi l’ha scritto ma anche, molto probabilmente, a chi lo ascolta. Provate e poi fateci sapere, magari.

Dall’inizio di dicembre è in rotazione radiofonica il secondo singolo estratto “Tu, il mare”, che tipo di brano è? A quali altri siete legati?

“Tu, il mare” è una ballata molto riflessiva, che affronta le dinamiche di un rapporto non esclusivamente di coppia, un rapporto molto simbiotico, basato sull’empatia. Il ritornello è la richiesta, l’incoraggiamento a superare i propri limiti e i propri ostacoli semplicemente lasciandosi guidare da una persona di cui ci si fida tanto. Una cosa apparentemente banale ma che nasconde nell’applicazione pratica tantissime difficoltà.

Siamo legati, in maniera chiaramente diversa, a tutti i brani di “Intorno”. Ad ognuno di essi poi, con il tempo, abbiamo legato delle storie provenienti da aneddoti live, da recensioni da parte di coloro che l’hanno ascoltato, da esperienze nostre. Insomma, ogni pezzo ha una sua vita e Noi, come ogni genitore farebbe, li seguiamo crescere e avere il loro percosso, essendo sempre più legati a quello che gli succede.

Cosa vi porterà secondo voi il 2014, artisticamente parlando?

Sicuramente delle scelte importanti ad inizio anno, per rispettare i buoni propositi e proseguire coerenti anche nel 2014. Poi ancora musica live, speriamo quanta più possibile, e la prima parte del lavoro in sala che tanto ci manca, quello dedicato alla scrittura dei nuovi brani per quello che, con calma, sarà il nostro secondo disco.

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Abbiamo rivolto alcune domande alla band Heretic’s Dream, attiva artisticamente dal 2010: il gruppo, che lo scorso 15 ottobre ha dato alle stampe il nuovo lavoro intitolato “Walk the Time”, ci ha raccontato come è nato il disco, e come è stato realizzato. Ecco l’intervista a Francesca Di Ventura, carismatica vocalist della formazione romana.

In poche parole: chi sono gli Heretic’s Dream? Potresti descrivere il tuo gruppo ai nostri lettori?

A giugno 2010 avrei risposto, una coppia di eretici innamorati con il sogno di trovare musicisti desiderosi in dare forma alle proprie visioni musicali. Oggi rispondo: cinque visionari ereticamente desiderosi di dare vita al proprio amore per la musica, in tutte le sue forme.

Lo scorso 15 ottobre è uscito il vostro disco “Walk The Time“: ti andrebbe di introdurre il vostro lavoro a chi ancora non l’ha ascoltato?

Walk the time” è il prodotto di un anno di rivoluzioni, professionali e umane degli Heretic’s Dream: cambi di line up, difficoltà personali, ansie lavorative ma anche soddisfazioni musicali, nuove amicizie. È una “camminata” introspettiva nel tempo di un’esistenza che ha nome e cognome ma in fondo rappresenta l’umanità nell’intreccio romantico e complesso dei sentimenti umani.

In che senso questo album segna la vostra evoluzione artistica?

Poiché il termine evoluzione implica un’accezione positiva, certamente la produzione lo è. Il lavoro svolto dal Kick Recording Studio di Roma rende giustizia ai suoni che riteniamo rappresentativi della band. Il primo disco, “The unexpected move”, aveva belle idee ma forse la produzione, eseguita in UK, dove certo non è il metal a farla da padrone, non lo ha valorizzato. Malgrado ciò ha registrato un discreto successo di critica e pubblico. Quest’anno abbiamo potuto anche contare sulla presenza di sei guest stars e, per due brani, anche sulla produzione artistica del maestro Gabriele Bellini, che da “semplice” guest sul brano “Chains of blood” è divenuto poi produttore artistico in “Outcasted” e “The broken silence” (produzione presso La Fucina Studio, Firenze), che fanno parte oltre che del nostro disco anche della sua Underworld Collection II. A livello di contenuti, lascio al pubblico il giudizio in merito all’evoluzione. È certamente un album che sentiamo molto perché è il nostro vissuto e gli intrecci delle emozioni si riflettono sugli arrangiamenti e sulle scelte stilistiche.

Qual è la parte più importante o intensa del vostro lavoro secondo te?

Non riesco a delineare qualcosa di più significativo nell’attività della band: comporre, provare, girare un video, rispondere alle domande di un’intervista, fa tutto parte della realtà dei musicisti. Ho volutamente lasciato fuori dalla lista ciò che forse ci dà più soddisfazione e ad oggi è stata la fase più intensa: suonare live. Il rapporto con il pubblico, questo è la nostra energia vitale.

A tal proposito, che impegni avete per le prossime settimane? Concerti in vista?  

A Dicembre abbiamo 3 concerti: venerdi 13 al Brancaleone di Roma in diretta Radio Popolare Roma, martedi 17 al Locanda Blues e venerdi 20 al Circus di Firenze, per la presentazione della Undeworld Collection II del maestro Bellini.
A Gennaio abbiamo 3 date già fissate tra cui una cui teniamo particolarmente: un evento di beneficenza, acustico, al Teatro Ordigno di Rosignano a supporto degli Eldritch, il cui fantastico leader, Terence Holler, è uno degli special guests del disco (ha duettato con me nella ballad Fighting Time), così come il tastierista, Gabriele Caselli, guest su The broken silence.

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Lo scorso 7 novembre è uscito “SOTTOPELLE”, il primo album realizzato dalla giovane band romana, Libra: si tratta di un disco elettronico cantato in lingua italiana, realizzato con originalità e passione. Abbiamo rivolto alcune domande alla band, che ci ha raccontato alcuni dettagli sui brani in esso contenuti, sulle esigenze artistiche che hanno portato al risultato finale e sull’importanza dell’aspetto live. Ecco l’intervista completa:

“Sonorità elettro-minimal dal respiro internazionale con cantato in italiano”, così recita la vostra cartella stampa: ci raccontate un po’ chi siete, e com’è iniziato il vostro cammino artistico?

Siamo 4 ragazzi che fanno musica perché non potrebbero fare altro, anzi forse non vorrebbero e basta. Suoniamo da tanto tempo in un box sotto terra, ora il box è rimasto ma si sono aggiunti campionatori, pads e sintetizzatori. In quest’ultimo anno abbiamo lavorato al nostro primo disco sotto la direzione artistica di Antonio Filippelli. Ci piace la musica elettronica, specie se suonata e ad un certo punto abbiamo deciso di provarci anche noi.

Lo scorso 7 novembre è uscito il vostro disco d’esordio “SOTTOPELLE”, come è nato e cosa contiene?

“Sottopelle” è il risultato di un processo creativo lungo e ragionato. Ci siamo interrogati sulle nostre influenze comuni e siamo partiti da quelle per creare una forma che fosse nostra. Alla base ci sono i nostri ascolti: dagli ultimi Radiohead, agli XX, James Blake e non solo. In generale volevamo fare qualcosa che fosse attuale con gli occhi puntati verso il mondo e non solo verso l’Italia. Il risultato è un disco di 10 tracce, timide ed avvolgenti.

A me è sembrato che i testi siano importanti quasi  quanto la parte musicale nel vostro lavoro…c’è una parte che prevale rispetto all’altra? Quale?

Sono entrambi parti fondamentali del nostro lavoro e spesso l’equilibrio cambia da brano a brano ma in generale direi che nel nostro caso prevale la musica. Creare la giusta atmosfera con i giusti suoni è fondamentale; la musica deve essere interessante e deve dare qualcosa a prescindere dal testo, anzi spesso deve dare qualcosa che solo lei può dare. Una volta raggiunto questo s’inseriscono le parole.

A quali brani siete più legati?

I 10 brani che compongono “Sottopelle” sono tutti brani scelti, non sono i primi 10 che abbiamo scritto, sono i 10 sopravvissuti di una rosa più ampia. Ognuno di essi è nel disco per un motivo ben preciso e per questo è molto difficile trovare uno o più preferiti. Se proprio dovessi sceglierne uno ti direi “La Paura di Cloe” perché credo di aver trattato in esso un argomento molto vero e condiviso, specie fra i ragazzi e le ragazze della mia età.

Quali ‘esigenze creative’ vi hanno motivato a intraprendere la strada della musica?

Suoniamo tutti da quando eravamo molto piccoli e siamo stati molto fortunati ad incontrarci. Credo che dentro di noi ci fosse da sempre la voglia e il bisogno di creare qualcosa che fosse nostro utilizzando un linguaggio che abbiamo studiato e stiamo continuando a studiare. C’è da dire anche che la musica non è l’unica forma d’arte che apprezziamo e che utilizziamo, d’altronde viviamo in un mondo multimediale.

Quanta importanza ha per voi l’aspetto live? Concerti in vista?

Il live è il momento in cui chiediamo alla gente di viaggiare con noi, ed è quello più emozionante e unico. Abbiamo elaborato un nostro set particolare con batteria elettronica, campionatori e drum machines per riuscire a riproporre un disco così elettronico dal vivo senza però abbandonare la vena acustica. Usiamo video e luci perché ci piace stimolare anche visivamente la gente che viene ai nostri concerti. Per rimanere aggiornati sulle date basta seguirci sulla nostra pagina facebook; ora che il disco è fuori stiamo programmando un tour, da indipendenti sappiamo quanto sia importante suonare in giro per farsi conoscere e non vediamo l’ora di farlo.

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Classe 1989, toscana, nonostante la sua giovane età la pianista Giulia Mazzoni ha ben in mente che strada percorrere e nella vita ha già portato a termine molti obiettivi importanti: ha scritto e diretto lo spettacolo intitolato “Il viaggio: dialogo tra musica, pittura e parola”, e lo scorso giugno ha dato alle stampa il suo primo lavoro solista intitolato “Giocando con i bottoni”. Ecco cosa ci ha raccontato nel corso di questa recente intervista.

Sei molto giovane, qual è stato il percorso artistico che ti ha portato dove sei adesso?

Tutto è iniziato per caso. Non provengo da una famiglia di musicisti quindi il mio incontro con il pianoforte è avvenuto inaspettatamente. Ero in quinta elementare e ricordo che, durante una ricreazione, stavano suonando un pianoforte. Ogni volta che potevo andavo in quella “stanza dei segreti” e giocavo con lui. Non avendo ancora una formazione musicale, suonavo inconsapevolmente e liberamente, come se giocassi con le costruzioni. E’ stato un momento molto importante perché ho conosciuto il mio migliore amico, il pianoforte, ed ho potuto sviluppare con lui un rapporto molto profondo attraverso il gioco, il mezzo di scoperta più profondo e libero per un bambino. Successivamente, in prima media, ho iniziato a studiare musica, prima alla scuola “G. Verdi” di Prato e poi al Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Il mio percorso artistico si è sviluppato contemporaneamente agli studi musicali e alla scuola. Fin dal primo momento in cui ho messo le mani su un piano, ho capito che mi sarebbe piaciuto poter raccontare attraverso i suoi tasti le mie emozioni e la mia vita. Ho iniziato così a proporre la mia musica in concerto e a farmi conoscere fino a quando il mio produttore mi ha notata, credendo in me e nella mia musica, permettendomi così di iniziare questa bellissima avventura che mi ha portata alla realizzazione del mio primo album, “Giocando con i bottoni”.

Infatti lo scorso 18 giugno è uscito il tuo album d’esordio “Giocando con i bottoni”: puoi raccontarci qualcosa su questo tuo primo lavoro, partendo dal titolo e arrivando ai brani che lo compongono?

“Giocando con i bottoni” è un album composto da 14 pezzi originali per piano solo (di cui uno per toy piano), che raccontano attraverso le note di come è il mondo visto da Giulia. Sono fotografie di vita passata e presente, nei quali cerco di affrontare, attraverso un linguaggio romantico ed onirico, diversi temi: il sogno, l’infanzia, l’amore, la passione, i desideri, la morte e molti altri. Il titolo del disco riprende un episodio della mia infanzia: quando avevo 2 anni amavo sedermi dentro ad una cesta di vimini e giocare per ore con dei bottoni colorati. Dentro quei piccoli e semplici oggetti era racchiusa la mia infanzia, provavo emozioni e viaggiavo con la fantasia. Da adulti perdiamo la capacità di emozionarci per le piccole cose; sarebbe bello tornare a vedere il mondo con gli occhi di quando eravamo bambini. Dopo anni, ho poi riprovato quelle stesse sensazioni di stupore e magia nei tasti del pianoforte; oggi sono diventati loro i miei bottoni.

“Piccola luce”, il tuo singolo, tratta il delicato tema della violenza sulle donne: purtroppo negli ultimi anni il problema si è moltiplicato, che messaggio hai voluto trasmettere attraverso la tua canzone?

“Piccola luce” racconta delle luci ed ombre della vita. Possiamo cadere, perderci e smarrirci, ma in fondo alle tenebre c’è sempre una piccola luce. Sta a noi trovarla. Questa idea è stata tradotta dal regista Federico Monti in una sceneggiatura forte, che narra la storia di una giovane prostituta che riesce a fuggire da una situazione di sofferenza e violenza e a ritrovare la sua “piccola luce”, rappresentata dalla sua famiglia. Nel video, come nel brano, ho voluto che si trasmettesse un messaggio di speranza. Il tema della violenza sulle donne è estremamente delicato e sono stata felice di aver prestato la mia musica per poterne parlare.

A chi consigli di ascoltare l’album? A quali brani sei maggiormente legata?

Consiglio di ascoltare il mio disco a tutti coloro che amano la musica, nella speranza che possano trovare un’emozione. Sono legata a tutti i brani, ogni composizione è una parte di me, un frammento di Giulia.

A breve sarai protagonista di due date live in Toscana: quanto è importante per te l’aspetto dal vivo nel tuo lavoro?

L’aspetto live è per me fondamentale. Il concerto è un momento di condivisione profonda e totale con le persone. Siamo solo io e il pianoforte che raccontiamo delle storie. E’ un viaggio meraviglioso nel quale poter “giocare con i bottoni”. Ogni live è un racconto diverso, nel quale scrivere con il pubblico una storia nuova ed imparare qualcosa.

Dopo le date a fine luglio che programmi hai per quest’estate?

Potete seguire tutti i miei programmi dal sito ufficiale www.giuliamazzoni.com e dalla mia pagina Facebook Giulia Mazzoni Official (https://www.facebook.com/giulia.mazzoni.official), dove verranno pubblicate tutte le mie prossime date. Sul mio sito ufficiale trovare anche un piccolo blog che gestisco direttamente, “Il mondo visto da Giulia”, dove potete entrare nel mio universo fatto di note e di vita!

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Abbiamo rivolto alcune domande al cantautore Enrico Bicchi, che ha dato alle stampe il suo primo album intitolato “Fino all’ultimo respiro”, collaborando niente meno che con i Faithless: un insieme di influenze artistiche che vanno dalla new-wave italiana anni ’80, passando per Smiths, Cure, Bowie e tanti altri, ecco cosa ci ha raccontato l’artista.

“Fino all’ultimo respiro”, il tuo primo album, è “un disco visionario improntato sul presente e sul futuro, su un linguaggio inedito”: mi spieghi meglio cosa significa?
Per capirlo è necessario ascoltarlo, in realtà  significa che è  una cosa completamente nuova che mi rappresenta ad un livello esponenziale. Anche la frase più semplice ha dei significati reconditi che si diramano in altri e altri ancora. Ho preso ispirazione da Orwell a Bowie, mischiando il tutto con alcuni concetti futuristi.

In questo tuo lavoro d’esordio hai collaborato con più componenti dei Faithless”: in che modo hanno apportato il loro contributo? Com’è nata questa collaborazione?
2. Avevo scritto di getto “La Rivoluzione Addormentata”, mi serviva un’esplosione di avanguardia sonora che avevo in testa e abbozzato nel provino. L’ho girata a Jamie Catto e da lì è nato tutto…insieme anche ad Alex Forster e Dave Randall.

Hai ripreso persino la new wave italiana degli anni ’80, come  sei arrivato a rielaborarla in chiave attuale? Puoi farci qualche nome tra gli artisti ai quali ti sei ispirato?
Credo che la new wave italiana sia la cosa più avanti musicalmente parlando. Garbo ad esempio me lo ascolto spesso, mi piace molto. Quella situazione spettrale, lunare quasi dei primi anni ’80 mi sembra molto attuale con i tempi odierni, quel muro sembra non essere mai crollato…dopo un apparente fotogramma.

Oltre all’Italia ci sono omaggi anche a Bowie, Smiths, Cure e altri grandi gruppi, è così?
Sì. Bowie e Ian Brown in primis…ma “London Translation Sky” è un omaggio ai Verve…e poi aleggia quel sarcasmo grottesco smithsiano.

L’album è composto in totale da nove pezzi, dei quali due strumentali: a quali sei maggiormente legato e per quale ragione?
“Fino All’Ultimo Respiro” è talmente legato e pazzesco che non ti saprei dire un pezzo che preferisco. Credimi, non ascoltavo mai le mie cose preferivo sempre ascoltare i “grandi” come Bowie, Stone Roses, Oasis,  Smiths…ecc. ecc. Invece ora mi ritrovo una volta al giorno a mettere questo disco che più lo sento e più mi piace, nella sua ricercatezza. Ti dico “A Kiss In The Future” perché forse rappresenta davvero qualcosa di mai sentito in Italia.

Quest’estate ti vedremo esibirti dal vivo o hai altri programmi?
Il mio programma estivo è di promuovere al meglio “Non Ti Diverti” catturando l’attenzione dei principali network.

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I Sadside Project hanno dato alle stampe l’album “Winter Whales War” lo scorso febbraio: il disco contiene le collaborazioni artistiche di Roberta Sammarelli, Adriano Viterbini, Alberto Mariotti e tanti altri: il duo, attualmente impegnato nell’attività live, ci ha raccontato alcune curiosità sul nuovo lavoro, ma anche impegni attuali, aspirazioni future e influenze musicali.

Lo scorso febbraio è uscito il vostro nuovo lavoro, Winter Whales War: che percorso artistico vi ha portato alla pubblicazione di questo album?

Il disco è una sintesi di quello che abbiamo ascoltato, ma anche vissuto in quest’ultimo anno, abbiamo provato ad inserirvi tutte le nostre influenze musicali, senza risultare troppo sconnessi dal punto di vista di coerenza di genere. Poi in realtà nei dischi si racchiudono anche emotività e sensazioni, non soltanto influenze musicali.

Perché consigliereste ai nostri lettori di ascoltarlo?

Perchè sono intonato e Domenico suona bene la batteria, e perché penso che ci siano delle canzoni divertenti da ascoltare in macchina canticchiando verso la propria meta; perché un po tutti abbiamo sognato d’esser pirati.

Le vostre influenze arrivano da terre oltreocenano, tra psichedelia, garage e blues. Come mai avete deciso di proporre al pubblico italiano questo tipo di musica? Cosa ascoltate di solito?

Ascoltiamo un sacco di musica, penso che sia importantissimo per qualsiasi artista ascoltare tantissima musica, è come andare a scuola. Non abbiamo mai pensato di scrivere canzoni per un pubblico o comunque in funzione di un ascolto, di conseguenza la scelta dell’inglese o del genere è stata abbastanza istintiva e naturale.

All’album hanno collaborato Roberta Sammarelli dei Verdena, Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Alberto Mariotti e Wassilij Kropotkin dei King of the Opera, e alcuni musicisti romani membri di Boxerin Club, Indie Boys Are For Hot Girls ed Ancien Régime: come sono nate tutte queste collaborazioni? In che modo ognuno di questi artisti ha portato il proprio contributo concorrendo al risultato finale?

Siamo un duo è vero, ma mi piace considerare i Sadside Project un progetto aperto, le collaborazioni con gli artisti che hai sopra elencato hanno reso “Winter Whales War” un disco collettivo pieno di gente.
Abbiamo sempre amato coinvolgere i nostri amici all’interno dei nostri lavori, perché pensiamo che la collaborazione  nel campo artistico sia davvero una cosa arricchente. Proprio per questo quando possiamo cerchiamo di coinvolgere più musicisti possibili anche durante i live.

A quale brano siete maggiormente affezionati e perché?

Gianluca: Non riesco a scegliere, ma tre principalmente: “Molly”, perché è per il mio cane che non c’è più; “1959” perché l’assolo lo ha fatto papà, e “My Favorite Color” che è dedicata alla persona che amo. (Che risposte mielose che ti ho dato!)

Avete aperto i concerti di Joe Lally dei Fugazi, e anche alcune date del “Wow” tour dei Verdena: con chi altro vi piacerebbe condividere il palco prossimamente?

La settimana scorsa abbiamo suonato con i Ministri ed è stata un esperienza molto bella, vorrei fare l’opening act ai Blink 182! Più seriamente ai The National, ma forse il mio sogno segreto rimangono gli Strokes.

Avete in programma date estive? Dove e quando possiamo vedervi live?

Per tutti gli aggiornamenti basta cliccare sulla pagina facebook sadsideproject e mettere un bel mi piace!

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Si chiamano “I topi non avevano nipoti”, e la settimana scorsa hanno dato alle stampe il loro primo singolo intitolato “Le cavie”: da queste due notizie si può subito intuire che sono tutt’altro che omologati. Abbiamo rivolto qualche domanda a questa nuova band, formatasi nel 2012 dall’entusiasmo di artisti provenienti da altri progetti. Ecco cosa ci hanno raccontato:

Prima di tutto, una domanda che vi faranno spesso: come mai un nome così inusuale per una band?

Molti pensano che la difficoltà più grande per un gruppo sia trovare la giusta alchimia tra i componenti o il giusto connubio tra testi e musica. Per nostra esperienza non è stato così. Il nome è stata la decisione più critica che abbiamo affrontato fino ad ora. L’idea era di sfruttare i giochi di parole e, una volta proposto I Topi Non Avevano Nipoti, ci siamo trovati subito in accordo. Per la pazzia, per la simmetria e per il suo esser palindromo: tutto questo ci ha conquistati.

Il vostro singolo “Le cavie” è un “motto che racconta la vita di un personaggio non curante di ciò che lo circonda e della società con tutte le sue regole”: in che senso? Vi siete ispirati a qualcosa o qualcuno in particolare per scriverne il testo?

Il personaggio è realmente un disadattato, una persona che non riesce a ritrovarsi nei meccanismi delle regole che ci sono state imposte e vive per questo seguendo il suo ideale di libertà. Questo è il sogno di ognuno di noi, difficilmente realizzabile nella realtà, ma per questo ci sono mille valvole di sfogo: la musica, i viaggi, gli interessi, l’arte…ed è solo questo che ci aiuta a sopravvivere agli ingranaggi di una vita che a volte ci va troppo stretta.

“Io non lavoro, io non funziono”, cosa significano queste parole per voi, oggi?

Inizialmente siamo partiti dal concetto ironico che il vocabolo “work” in inglese ha sia il significato di “lavorare” che di “funzionare”. Il personaggio della nostra canzone nel ritornello urla a squarciagola proprio “Io non lavoro, io non funziono”, non per dimostrare una mancanza di voglia di lavorare, ma per destabilizzare l’ingranaggio principale del sistema che gli è stato imposto, in cui non riesce a ritrovarsi.

Da quello che abbiamo potuto ascoltare puntate molto su ironia ed originalità: quali sono secondo voi le qualità positive della vostra musica?

Vogliamo costruire le nostre canzoni caratterizzandole con un sound fresco e innovativo e con dei testi ironici che creino spunti di riflessione per gli ascoltatori. Vogliamo creare un prodotto interessante che non si limiti ad essere usa e getta.

Vi siete formati nel 2012 ma provenite da altri progetti artistici: quando e perché avete sentito l’esigenza di intraprendere questo nuovo percorso?

I nostri progetti passati non erano andati in porto, per cui abbiamo fatto tesoro delle esperienze positive e negative che abbiamo vissuto e abbiamo intrapreso questo nuovo viaggio mettendo a frutto tutto quello imparato fino ad ora, per il resto il futuro deve essere ancora scritto.

State lavorando al vostro primo disco, la cui uscita è prevista in autunno: potete anticiparci qualcosa su ciò che ascolteremo?

Il sound per cui ci state conoscendo rimarrà intatto nel disco che verrà,  siamo ancora in fase di creazione e ci piace tenervi un po’ sulle spine!

Per l’estate, oltre al disco, avete in programma concerti, vacanze, altro?

Stiamo prendendo contatti per suonare live, i primi buoni riscontri cominciano ad esserci, ma ancora nulla è definito. Comunque ogni news è istantaneamente pubblicata sul nostro profilo Facebook, quindi seguiteci per rimanere aggiornati!

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Cristian Bugatti, in arte Bugo, è un artista originale e sperimentatore: dopo il profetico “Contatti” del 2008, il cantautore ha dato alle stampe nel 2011 il disco “Nuovi rimedi per la miopia”, e recentemente ha pubblicato un “Best of live”. E’ stato anche attore, e da circa tre anni vive tra India e Italia. Nei mesi estivi intraprenderà un tour acustico che lo poterà ad esibirsi in alcune città; ecco il calendario dei live acustici di Bugo:

28 giugno, Udine – Home Page Festival @Parco del Cormor
6 luglio, Milano – Magnolia
7 agosto, Cittanova (RC)
23 agosto, Cesena – Rassegna Acieloaperto c/o Rocca Malatestiana di Cesena

Gli abbiamo rivolto qualche domanda, leggete qui cosa ci ha raccontato:

Farai un tour acustico nei mesi estivi, come mai hai preso questa decisione?

Semplicemente perché ne ho voglia.

C’è qualche città in particolare nella quale sei contento di tornare/andare? Perché?

Nessuna in particolare. Ogni città ha le sue caratteristiche a cui mi lego, tutte in qualche modo sono speciali.

Da qualche tempo vivi in India, in che modo vivere in un paese così diverso dall’Italia ha cambiato il tuo modo di approcciarti alla musica e al processo compositivo, se così è stato?

Non c’è stato alcun cambiamento. Scrivo sempre le canzoni con la chitarra acustica.

Cosa ti piace dell’Italia e cosa dell’India e come ti trovi vivendo a fasi alterne in entrambi i paesi?

Dell’Italia adoro il cibo, mentre non vado matto del cibo indiano! Mi piace vivere a fase alterne perchè mi muovo, ma io sono italiano e quindi sento che ad un certo punto mi manca più l’Italia che l’India.

Hai pubblicato un best of live, perché consigli ai tuoi fan di ascoltarlo? Cosa troveranno al suo interno?

Non lo consiglio solo ai miei fan, ma a tutti. Ci sono le mie canzoni più importanti, nella dimensione che mi è più congegnale, cioè quella live. Sono canzoni che dicono tanto di me, ed è la base su quello che andrò a fare in futuro.

Sei già al lavoro su nuovo materiale? A quando il seguito di “Nuovi rimedi per la miopia”?

E’ presto per dirlo, ma sono già in fase di composizione.

Hai collaborato con i Bastard Sons of Dioniso nel brano “Ti sei fatto un’idea di me”, che hai scritto per loro: come è nato questo brano? Conoscevi già la band?

Si, certo, li conoscevo. Mi sono immaginato una canzone che parla del pregiudizio e ho pensato a loro. Tutti abbiamo pregiudizi, ma non vogliamo ammetterlo.

Puoi farci qualche nome su chi reputi artisticamente interessante, oggi, in Italia?

Bugo, che domande!

Cosa pensi, sinceramente, dei talent-show musicali?

Mi fanno cagare!

Esplosioni d’aria, vita che batte forte. Il sole custodisce il tempo, i profumi lo divorano. Il mondo è un tarassaco, sul palmo di una mano. Soffiarne via la leggerezza, liberandolo in volo”

Così gli YOUAREHERE definiscono il loro ultimo EP “Primavera”, composto da sei brani pubblicato lo scorso aprile dall’etichetta Bomba Dischi. La band romana nata nel 2011, si prepara a dare alle stampe un nuovo full-lenght album a breve, e considera questo primo lavoro un assaggio delle sonorità che sentiremo nel loro prossimo lavoro. Ecco cosa ci hanno raccontato nel corso di una recente intervista.

Potete raccontare ai nostri lettori come è nato “Primavera”, il vostro nuovo EP, e cosa c’è all’interno di questo lavoro?

Primavera è un EP che può essere considerato un breve assaggio delle sonorità e delle atmosfere che proporremo nel nostro prossimo full lenght album, al quale stiamo già lavorando. All’interno di Primavera c’è soprattutto una nostra personale ricerca sonora che crediamo sia la naturale evoluzione di quanto era presente in As When The Fall Leaves Trees (il nostro disco d’esordio).

Quali sono le vostre più recenti influenze artistiche?

Se si parla di cose recenti che in qualche modo influenzano la nostra produzione, forse Atoms for Peace, Moderat, Modeselektor. Ma crediamo che le influenze siano in continuo aggiornamento: ad esempio attualmente ascoltiamo molto Fuck Buttons, Daughter, Flying Lotus, ma anche James Blake, John Grant, Nosaj Thing. Insomma tutte cose molto diverse tra loro.

Qual è secondo voi il punto di forza della vostra musica?

Non abbiamo la pretesa di aver reinventato la Musica, ma allo stesso tempo riteniamo di aver creato un suono originale. Se è facile rispondere alla domanda sulle influenze, più difficile, anche per noi, è definire il nostro genere musicale. Crediamo sia un buon segno. Con YAH puoi passare dall’intermezzo struggente al pezzo ballabile, il tutto in maniera omogenea.

Rispetto al 2011, anno del vostro debutto discografico, in che modo e quanto siete cambiati?

Se intendi dal punto di vista musicale, non crediamo di aver avuto un cambiamento così drastico. Come già detto, Primavera è molto legato ad alcune cose di As When. Forse l’unica differenza che può saltare all’orecchio è il maggior risalto che abbiamo dato alla parte ritmica dei pezzi.

Le vostre performance sono caratterizzate da “visuals cinematici” e atmosfere post-rock: in che modo questi due tipi di arte si contaminano nei vostri live?

La nostra musica è per lo più caratterizzata dal “loop” e da atmosfere strumentali, concetti che si sposano alla perfezione con visual cinematici, luci e immagini. Più in generale crediamo che dal vivo la musica elettronica, più di qualsiasi altro genere, abbia estremo bisogno di immagini e di visual che accompagnino la performance.

Per l’estate avete date live in programma?

Per ora abbiamo in programma due concerti: il 21 Giugno a Roma al Chiostro del Bramante e il 22 Giugno all’Isola Maggiore del Lago Trasimeno, per il festival Music for Sunset.

Photo Credit Gino Ruggeri

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Adriano Viterbini è un musicista ed un autore molto apprezzato, nonché membro fondatore di Bud Spencer Blues Explosion e Black Friday. Poco tempo fa – precisamente il 22 marzo 2013 – ha dato alle stampe il suo primo lavoro come solista (prodotto da lui in prima persona, insieme a Bomba Dischi) intitolato “Goldfoil”: per questo motivo gli abbiamo rivolto alcune domande.

Poco tempo fa hai esordito con un disco solista, intitolato “Goldfoil”. Per prima cosa ti chiedo, è stata un’idea recente, o qualcosa a cui pensavi già da tempo anche mentre eri impegnato a tempo pieno con i BSBE?

Goldfoil nasce perché ho sentito forte l’esigenza di far emergere la mia anima , di portare in superficie una mia attitudine più pacata e sotto voce, vicina a ciò che sento… sto maturando una mia consapevolezza,  sto lavorando e approfondendo il significato di espressione musicale e con questo disco ho cominciato il lavoro, sono molto soddisfatto.

Puoi raccontarci qualcosa su questo tuo primo lavoro? Cosa troverà al suo interno chi ancora non l’ha ascoltato?

Questo primo lavoro a mio nome è un po’ il mio biglietto da visita nel mondo del Blues. Volevo fare un disco senza bandiera, che potesse parlare tutte le lingue, da qui l’idea dell’album strumentale. Brani miei e rivisitazioni si alternano, un disco che ha accompagnato anche momenti difficili della mia vita e che ne porta il retrogusto, ma anche un senso di pace e tranquillità, che tanto adoro.

La collaborazione con Alessandro Cortini, dei Nine Inch Nails, è stata voluta o, diciamo “casuale”? Come è stato lavorare con lui?

Alessandro è membro attuale dei NIN, e la collaborazione nasce grazie al confronto avvenuto tramite amici comuni. Per me è un grande onore poter condividere un brano con uno dei musicisti migliori del mondo.

Pochi giorni fa hai suonato al Mojo Station Blues Festival, che ha ospitato per il nono anno consecutivo il meglio del panorama blues nazionale ed internazionale. Com’è stata questa esperienza? C’è qualcuno che apprezzi particolarmente con il quale hai condiviso il palco?

Poter condividere il palco con i Tres è stata una bellissima esperienza…ho tantissimo da imparare da loro, specialmente da Roberto Luti, che considero incredibile. Il Mojostation festival è uno dei più riusciti e sentiti festival del blues in Italia…secondo me un avvenimento prezioso, ci tengo a ringraziare Gianluca Diana (mojo station) per il suo lavoro  appassionato.

Le tue influenze artistiche hanno origini lontane, sia in termini di tempo che di spazio: come riesci a far arrivare in maniera così diretta al pubblico italiano una ‘forma musicale’ apparentemente diversa da quelle a cui siamo abituati, quella del blues?

Il blues è vicino agli esseri umani, una musica su misura per tutti. Colpisce con violenza o si lascia ascoltare come sottofondo educato. Adoro questa musica, non mi lascia mai solo e riesco ad esprimermi tramite essa in ogni genere musicale a cui mi approccio.

Sei attualmente in tour come solista: quali sono i prossimi appuntamenti?

In estate gli eventi potrete trovarli sul sito di DNA concerti o sulla mia pagina facebook.

E con i BSBE c’è qualcosa in preparazione?

Lavoriamo in segreto.

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EvaLorys è un’artista pop di origini nordiche che ha studiato musica e danza fin dall’infanzia.  Il 15 aprile 2013 ha dato alle stampe il suo singolo d’esordio intitolato “Mister”, preludio alla pubblicazione di un album in studio. La musicista ha scelto di non diffondere la propria immagine, almeno durante questa fase iniziale, partendo dalla convinzione che il messaggio di un testo e la bellezza di una melodia debbano tornare ad essere la vera ragione per fare musica. Ecco l’intervista che ci ha rilasciato.

Hai scelto di non diffondere la tua immagine per il lancio del singolo, partendo dalla convinzione che “il messaggio di un testo e la bellezza di una melodia debbano tornare ad essere la vera ragione per fare musica”: puoi raccontare ai nostri lettori come sei arrivata a questa decisione così inusuale in un mondo dominato dall’immagine?

L’immagine non ha niente a che fare con quell’essenza risalente ad un’epoca in cui la musica generava grandi ed estasianti emozioni, periodi in cui si cercava ancora e solo la “verità”… Desidero solo essere coerente con me stessa e dimostrare che l’immagine non è il mezzo principale per dire “qualcosa”.

Il tuo brano d’esordio è una denuncia verso i politici che fingono di fare i nostri interessi per fare i loro, un tema più che mai attuale: mi spieghi meglio questa affermazione?

Al giorno d’oggi ci siamo svegliati un po’ tutti e chi prima riusciva a vivere di sotterfugi mai rivelati, ora non ha più tanto spazio per giocare. Nell’era tecnologica, dominata da internet, c’è molto spazio per la verità. Il mio brano “Mister” non si rivolge solo al mondo politico, ma ad ognuno di coloro che, potendo, non allungano una mano per porre rimedio alla sofferenza di chi sta peggio.

Ti sei avvicinata alla danza e allo studio di pianoforte e canto fin da piccola e oggi tratti temi sociali impegnati: in che modo, nel corso degli anni, il tuo modo di approcciarti all’arte, è cambiato?

Vivendo la vita, ti accorgi che oltre i sogni esiste la realtà che, per tanti, è molto dura. Penso che non sia giusto vivere un’esistenza solo come sopravvivenza, è per questo che sento dentro di me, molto forte, l’esigenza di esprimere la richiesta di attenzione a diritti non rispettati, a pensieri soppressi, che tanti vorrebbero gridare al mondo.

La musica è un potentissimo mezzo di comunicazione: come pensi che sia meglio utilizzarla per far sì che un messaggio raggiunga più persone possibili in maniera efficace?

Trasmettendo meno superficialità con un mezzo come la musica considerato universalmente un’attività di puro intrattenimento. La musica può essere riflessione, trasmissione di messaggi e non deve sottomettersi ad icone troppo false e lontane dalla realtà. ADDIO AI SOPRAMMOBILI !!!

Hai progetti, eventi o altro in programma per l’estate 2013?

Sto riflettendo…dipende dal “clima”…