Interviste

Le interviste di Concertionline ai protagonisti della musica: tutta la musica italiana e internazionale raccontata dalle parole degli artisti e delle band. Musica rock, pop, metal e non solo.

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Chiara Dello Iacovo

Un anno fa Chiara Dello Iacovo si stava preparando per salire sul palco di Sanremo Giovani 2016. Oggi, invece, si prepara a al tour “Uscita d’emergenza” (qui tutte le date previste), parte di un percorso che l’ha portata a riapproriarsi del piacere di suonare e di salire sul palco, mentre è già al lavoro sul suo nuovo album. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei per conoscerla meglio e sapere qualcosa di più sul tour e sul suo nuovo lavoro.

Parliamo del tour “Uscita d’emergenza”, iniziato con una anteprima il 22 dicembre e che ora continua dal 19 gennaio in poi. Come mai hai scelto di chiamare il tour “Uscita d’emergenza”?

Tutto è nato da un collegamento di idee casuale che però poi si è rilevato totalmente inerente all’intenzione del tour. Negli ultimi mesi stavo tenendo una sorta di diario poetico su Instagram (questo il link al suo profilo n.d.r.) in cui pubblicavo una foto e scrivevo due o quattro righe in versi. Prima di presentare il tour avevo scritto dei versi che si concludevano con “Clandestini state all’erta vi sto per mostrare l’uscita di emergenza”.

Questo tour è nato per un’esigenza personale, da un punto di vista discografico non c’era la necessita di farlo. Io ho affrontato questi due anni in cui sono stata, anche per mia volontà, proiettata nel mondo della musica in un modo legato a un forte senso del dovere, avevo completamente anestetizzato il mio senso del piacere, quello che ti porta a sentire questo lavoro e non a doverlo fare perché sei su un binario e devi seguirlo. Avevo bisogno di uscire da quello schema, di capire se e perché volessi fare questo lavoro, se e perché avessi bisogno di stare su un palco. È l’inizio di una terra che davvero per me stava dall’altra parte di una porta e vorrei poter trascinare con me tutte le persone che mi seguono. Questo live in cui siamo in trio e in cui quindi abbiamo riarrangiato tutti i pezzi è stato uno stimolo pazzesco, abbiamo ritrovato l’anima di alcuni brani che non avevo mai percepito in questo modo. Adesso ho voglia di suonare tutte le canzoni. Questa fase di sperimentazione, questo sentirsi esente dal senso del giudizio e delle aspettative io non lo avevo mai sperimentato.

Hai curato questo tour non soltanto dal punto di vista musicale ma anche occupandoti dei costumi e delle illustrazioni. È anche questo parte del percorso che ci hai descritto?

Si, se fosse dipeso solo da me, se non avessi fatto Sanremo e quindi avessi poi dovuto far uscire l’album con in copertina la mia faccia, lo avrei già fatto con il primo disco. Io disegno tanto, anche quando scrivo lavoro tanto per immagini, la mia è una scrittura molto inconscia, raramente scrivo in modo razionale. Quindi quando mi hanno detto “Perché non fai tu le locandine?” ho accettato subito e grazie a quello ho capito come volevo poi che fosse il palco. È tutto un fare altro per arrivare poi al punto dove vuoi arrivare, come quando cerchi la felicità: se la cerchi non la troverai mai, se invece fai altro per sbaglio a un certo punto potresti trovare anche la felicità.

Nelle tue performance c’è sempre anche una forte componente teatrale, che sembra ti venga davvero naturale.

Si, quella c’è sempre, più che teatro è teatralità, non mi sento il diritto di arrogarmi compentenze teatrali vere e proprie, si tratta più di un approccio. E a proposito di quello che mi viene naturale: una cosa importante di questo spettacolo è che tutto quello che succede lo abbiamo studiato perché risulti il più naturale possibile, non volevo più sentirmi costretta a fare nulla. Credo che tutto sia partito un po’ dal balletto di Introverso, che era nato per gioco e poi mi sono portata dietro ad ogni esibizione.

A proposito di Sanremo, a cui hai già accennato, siamo a due passi da Sanremo 2017. So che quest’anno hai scelto di non partecipare tra i big a Sanremo, giusto?

Assolutamente. Non mi sento e non sono un big. L’anno scorso prendevo in giro i finti big e quindi per coerenza ora non posso fare proprio la stessa cosa. E poi non avrei avuto niente da dare, qualsiasi persona creativa ha bisogno di tempi di recupero. Trovo assurdo che questa industria sia basata sul consumo fino a esaurimento, tanto poi una volta che si è esaurito un filone c’è subito il prossimo. Io non voglio dipendere da questo.

Quali spazi pensi ci possano essere in Italia per gli artisti indipendenti?

Non lo so, è una domanda che mi faccio spesso. In Italia manca proprio una cultura all’esplorazione musicale.

In questo senso l’esposizione mediatica può forse aiutare.

Ma ormai non funziona più nemmeno quella, si richia di diventare solo il fenomeno del momento che per qualche mese è su tutti gli schermi. E poi il pubblico che guarda Sanremo non è quello che viene ai concerti, si sta creando porprio una divisione netta.

Parliamo invece del tuo nuovo lavoro: so che stai preparando il tuo nuovo album. Ci puoi dare qualche anticipazione?

Stiamo facendo un po’ di esperimenti per capire quale taglio dare. Per la prima volta mi sto interessando al sound, mentre prima mi concentravo su parole e melodia. Frequentando la scena musicale e incontrando altri artisti invece ho provato un sano shock, è stata la cosa più bella dell’ultimo anno. Stiamo lavorando sul carattere dell’album. Credo che l’immagine di me che è emersa all’esterno sia molto più…da angioletto o comunque più bidimensionale di quello che sono in realtà. In questo nuovo lavoro vorrei mettermi più a fuoco. Ho già scritto tutte le canzoni e ora siamo al lavoro su questi aspetti.

Prima accennavi all’incontro con altri artisti, quali sono quelli che ti hanno colpito di più?

L’ultimo in ordine di tempo, che mi ha sconvolto quando l’ho visto sul palco, è stato Francesco Motta, che non conoscevo bene fino a quando mi ha “soffiato” il Premio Tenco. Poi abbiamo suonato insieme al MEI di Faenza, l’ho visto esibirsi dal vivo e me ne sono totalmente innamorata. Io arrivo da due anni molto razionali, sebbene io non sia una persona razionale mi sono convinta di esserlo, forse per riuscire a passare attraverso a una serie di esperienze che se affrontate con un approccio troppo emotivo mi avrebbero distrutto. Attraversavo un periodo di crisi totale quando ho visto il live di Motta. Quando l’ho visto approcciarsi al palco in modo così animalesco è stata una illuminazione, mi sono detta: “Cazzo, ma io ce l’ho quella roba lì, dove è andata a finire?”.

È come quando ti innamori o scopri qualcuno in modo profondo e scopri così dei lati di te.

Un’altra artista che ho conosciuto circa un anno fa è Mimosa. L’ho vista per la prima volta a Roma in un live tastiera e voce. Sono rimasta molto colpita dagli approcci istintuali con gli strumenti. Si è esibita con una rabbia e un’intensità che mi hanno interessato tanto. Ho anche pensato “Guarda come si porta bene quella sua femminilità, come se la gestisce con fierezza”, che è un’altra delle cose che sto cercando di scoprire in me stessa.

Sono da non perdere quindi le prossime date del tour “Uscita d’emergenza”, per avere l’opportunità di scoprire sempre di più su questa giovane artista. Ecco le date del tour.

Chiara Dello Iacovo

Grazie a Pamela Rovaris per il supporto durante la lavorazione dell’intervista.

A tre anni di distanza da Vol.3 – Il cammino di Santiago in taxi, che lo ha consacrato come uno dei migliori narratori della sua generazione, Brunori Sas torna con il quarto album di inediti, in uscita a gennaio 2017 per la sua Picicca Dischi, dal titolo: A casa tutto bene.

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Il disco (registrato nella casa padronale di una vecchia masseria del 1100 e prodotto artisticamente da Taketo Gohara) è musicalmente più complesso e stratificato, e si muove metaforicamente sulla tratta aerea Lamezia-Milano, quella che Brunori ha percorso spesso durante la stesura dei brani. Il mood risente così dell’influsso più ancestrale e sanguigno dei ritmi della Calabria, così come dei suoni più freddi e sintetici della metropoli. Largo quindi alla mandole del ‘700 mischiate ai sintetizzatori, e alle tessiture orchestrali che si fondono con i loop e le drum machine. Il risultato è un quadro sonoro di grande coralità, in costante equilibrio tra due mondi apparentemente vicini ma molto lontani.

“Scrivere eleganti ballate sentimentali o ironici ritratti popolari, in questo momento storico, mi sembrava troppo comodo e forse poco onesto.”

Il racconto, rispetto al passato, attenua il piglio ironico e i filtri poetici e si fa più sobrio e diretto. Le narrazioni sono spesso in forma di dialogo o composte da espressioni prese in prestito dalla rabbia omofoba dei social, dai locali dei Navigli o dai pub della provincia, dai tassisti romani, dalle vecchiette in sala d’attesa o dalle discussioni alle cene coi parenti.

I temi ricorrenti sono quelli dello spaesamento della generazione di mezzo, cresciuta con i grandi valori dei nonni e destinata a cercare una sua dimensione in assenza di riferimenti.

Canzoni che hanno a che fare con la necessità di affrontare le paure quotidiane e con la naturale e pericolosa tendenza dell’uomo contemporaneo a cercare riparo nella comfort zone casalinga, che spesso gli fa ignorare quello che accade fuori.

Un disco con poche risposte e tante domande.

Dal 30 gennaio Dario Brunori inizierà una serie di incontri con gli studenti degli atenei italiani dal titolo “All’università tutto bene”. Il 30 gennaio Brunori sarà appunto all’Università di Siena, l’1 febbraio all’Università di Cassino, il 2 febbraio all’Università di Ancona, il 3 febbraio all’Università di Camerino, il 6 febbraio all’Università di Cosenza e il 14 marzo all’Università di Padova.

Il 24 febbraio invece, partirà da Udine “A casa tutto bene Tour” nei club e nei teatri di tutta Italia. Uno spettacolo che porterà sul palco il nuovo impianto sonoro di questo nuovo disco, senza però tralasciare i brani storici del cantautore. Queste le date del tour:

24 febbraio 2017 – Udine (Pala Mostre)
25 febbraio 2017 – Bologna (Estragon)
2 marzo 2017 – Milano (Alcatraz)
3 marzo 2017 – Treviso (New Age)
9 marzo 2017 – Torino (Teatro Concordia)
16 marzo 2017 – Cesena (Teatro Verdi)
17 marzo 2017 – Firenze (Obihall)
18 marzo 2017 – Napoli (Casa della Musica)
24 marzo 2017 – Grottammare AP (Container)
25 marzo 2017 – Perugia (Afterlife)
31 marzo 2017 – Bari (Demodè)
1 aprile 2017 – Roma (Atlantico)
6 aprile 2017 – Palermo (Teatro Santa Cecilia)
8 aprile 2017 – Catania (MA)
24 aprile 2017 – Genova (Supernova Festival)

Guarda l’intervista video a Dario Brunori sulla nostra pagina Facebook.

Tiziano Ferro - Carmen Consoli - Il conforto

‘Il conforto’ è il nuovo singolo di Tiziano Ferro, con la partecipazione straordinaria di Carmen Consoli. Diretto da Gaetano Morbioli, il clip è un’esperienza visiva fuori dagli schemi, il pezzo è una ballad dalla produzione atipica: elettronica e priva di elementi acustici nel corpo di arrangiamento. Il tema del ‘conforto’ è espresso attraverso l’intenso abbraccio dei due artisti: “Carmen – racconta Tiziano Ferro – mi segue come se avessimo cantato insieme per dieci anni. La sintonia è stata immediata e meravigliosa”. Tiziano Ferro il 7 febbraio torna da super ospite nella prima serata del Festival di Sanremo, dove canterà insieme a Carmen Consoli proprio questo suo nuovo singolo.

Qui il video dell’intervista a Tiziano Ferro, andata in onda giovedì 12 gennaio in anteprima su Rai1, in cui Tiziano Ferro racconta:

“Il conforto è una delle canzoni più importanti di questo disco, Il mestiere della vita, è anche una delle prime canzoni che ho scritto e quando l’ho scritta ha capito subito che sarebbe diventata una delle chiavi di lettura più importanti di questo album. Quando l’ho scritta ho pensato a Carmen Consoli perché è la mia cantante italiana preferita e aspettavo da anni la canzone giusta da cantare con lei.”

“Il conforto del quale si parla è un conforto superiore, non si parla di amore, o comunque dell’amore comunemente inteso. Il conforto è qualcosa di molto più importante, di quasi divino, che sfiora il divino. Il conforto può essere familiare, può essere fraterno, può essere materno, può essere amicale, può essere anche amore, ma è una chiave di lettura quella che io do in questa canzone, insieme a Carmen, decisamente più ampia.”

“Abbiamo girato due volte la scena dell’abbraccio, che ha distrutto emotivamente le altre scene girate, tanto che abbiamo tenuto solo questa scena, realizzando un video fuori dagli schemi”.
 

 

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Il rumour circola da tempo in rete, ma ora è comparso anche sulle pagine online del Sole24Ore: “secondo le informazioni che «Money, it’s a gas!» ha raccolto da fonti di mercato, le novità riguardanti l’Italia per il tour che celebra «The Joshua Tree», l’album del grande salto per gli U2, non finiscono qua: oltre alla data del 15 luglio ce ne sarà infatti un’altra il 16 luglio, per la quale si attende soltanto che Live Nation sciolga le riserve.”

Sempre secondo la stessa fonte, i prezzi dei biglietti dovrebbero variare dai 60 ai 200 euro. Dopo gli scandali legati al secondary ticketing, inoltre, TicketOne coinvolgerà PwC (PricewaterhouseCoopers S.p.A) primaria società di consulenza ed auditing al fine di verificare l’applicazione dei processi distributivi ed i dati delle vendite.

I biglietti per saranno in vendita da lunedì 16 gennaio dalle ore 10:00 per l’Italia. Come sempre, gli iscritti al Fan Club ufficiale potranno accedere ad una prevendita esclusiva su U2.com da mercoledì 11 gennaio ore 9:00 a venerdì 13 gennaio ore 17:00. Ci saranno biglietti di Prato in piedi e Tribune a sedere. Ci sarà un limite di acquisto di 4 biglietti per gli iscritti al fan club e di 6 biglietti per la vendita generale.

Novità importanti anche per quanto riguarda la scaletta del concerto: in una intervista a Rolling Stone USA (qui tradotta dal magazine italiano) The Edge ha dichiarato che la band suonerà per intero le canzoni dell’album The Joshua Tree, probabilmente seguendo la sequenza dei brani sull’album. “Lo spettacolo tuttavia non partirà necessariamente con la prima traccia del lato A, Where the Streets Have No Name, perché credo che quel momento abbia bisogno di essere preparato come merita, per cui stiamo ancora lavorando sulla scaletta ma credo comunque che suoneremo l’album in ordine.”

Quanto al palco e alla scenografia, nella stessa intervista The Edge anticipa che ci sarà un omaggio all’estetica di quell’album, senza però rinunciare alla moernità: “Non vogliamo essere troppo didascalici ma allo stesso tempo vogliamo rendere omaggio all’estetica che accompagnò l’album. Non credo che esagereremo nel lavoro di restyling, tuttavia penso che prenderemo quelle idee di estetica cercando di aggiornarle in qualche modo. È The Joshua Tree 2017, non The Joshua Tree 1986.”

 

 

Non è una novità lo scambio di “cortesie” tra i fratelli Gallagher. L’ultima in ordine di tempo arriva via tweet a commento della notizia che i Noel Gallagher’s High Flying Birds apriranno i concerti europei degli U2 negli stadi. Un bel colpo per Noel, che però deve incassare anche il solito commento velenoso del fratello, che su Twitter sentenzia: “Vedo che tutto quel leccare il cu** sta finalmente iniziando a dare i suoi frutti”.
 


 
Nel frattempo, Noel si dice incredibilmente onorato di suonare con Bono e soci, e in una intervista alla radio Desert Island Discs dichiara: “Amo gli U2. With or without you è una delle più grandi canzoni mai scritte.”
 
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“Che voce George Michael. Un vero soulman ma sottovalutato”. Marco Castoldi, in (p)arte Morgan, ricorda la star inglese da poco scomparsa: “Uno dei più grandi cantanti soul. Il primo disco degli Wham!, Fantastic, è un capolavoro di funky e uno dei primi dischi in cui si rintraccia il rap, una passione di Michael che pur avendo la faccia di un bianco aveva un’attitudine black. L’hanno confuso con la new wave, ma aveva più a che fare con Marvin Gaye che con i Cure”.
 

 
Morgan ha voluto salutare così George Michael, scomparso inaspettatamente il giorno di Natale, in circostanze ancora da chiarire e con l’ombra dell’abuso di droghe. Questa la sua cover di One More Try (dall’album Faith, 1987), registrata in casa sua, a Monza, ieri mattina.
 

 

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Tarja Turunen è diventata la stella più luminosa del symphonic metal grazie alla sua militanza per ben nove anni nei Nightwish, di cui è stata co-fondatrice, e alle sue doti di soprano, compositrice e cantautrice. Nel 2005 Tarja ha intrapreso la carriera solista coltivando sempre entrambe le sue profonde passioni: quella per la lirica e quella per il rock. Attualmente ha all’attivo 7 album in studio e il suo ultimo lavoro “The Shadow Self” è uscito ad agosto 2016. Durante la lavorazione dell’album, il materiale a disposizione era talmente tanto che Tarja ha scelto di pubblicare una sorta di prequel dell’album. Parliamo di “The Brightest Void“, uscito a giugno di quest’anno. Il tour che accompagna l’uscita dell’album, “The Shadow Shows 2016”, è in partenza tra pochi giorni e toccherà Firenze il 28 novembre e Assago il 29 novembre.

La data milanese in particolare è una chicca per i suoi fan: durante il concerto sarà infatti registrato il DVD live che porterà il titolo di “Act II”. Noi abbiamo raggiunto Tarja per chiederle qualche anticipazione sul live e parlare del suo ultimo lavoro.

Parliamo del tuo prossimo live a Milano. Sarà una occasione speciale, in cui registrerai il tuo prossimo DVD Live. Quali anticipazioni puoi darci sul concerto?

Sarà un live speciale e molto lungo, ci saranno maxi schermi e tante novità. Si tratta del tour di presentazione di “The Shadow Self” ma suoneremo anche canzoni di tutti i miei album.

La tua carriera, la tua vocalità e gli stessi due album usciti quest’anno riflettono il tuo eclettismo, la tua anima sia metal che lirica. Ti ritrovi in questa descrizione?

Si, certo. È davvero bellissimo che le persone abbiamo visto questa mia doppia anima. Trovare una sorta di equilibrio tra la musica classica e il rock è stato da sempre uno dei miei obiettivi: sono arrivata al metal come cantante di musica classica e questo è un lato che non ho mai abbandonato, anzi, è un aspetto che mi da forza. Avere la libertà di muovermi in entrambi questi mondi diversi è davvero incredibile per me, sono due aspetti che mi completano.

A proposito di eclettismo: la seconda traccia di “The Shadow Self” è “Demons in You” che tu canti con Alyssa White-Gluz. La tua voce pulita si unisce qui con il growl di Alyssa creando ancora una volta un contrasto interessante. Cosa puoi dirci della collaborazione con lei?

Lei vocalmente è completamente all’opposto rispetto alla mia voce, io non potrei mai cantare come fa lei. Dopo aver registrato questo brano mi sono resa conto che mancava qualcosa: c’era bisogno della sua voce. Sono cose che possono capitare durante la lavorazione di un album, bisogna sempre tenere la mente aperta per accogliere ispirazioni di questo tipo. Lei è stata fantastica e abbiamo lavorato molto bene insieme.

 

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La notizia ufficiale è arrivata ieri: reunion dei Rhapsody nella formazione originale con Luca Turilli, Fabio Lione e Alex Holzwart (che qualche settimana fa hanno lasciato i Rhapsody Of Fire), Patrice Guers e Dominique Leurquin per un tour d’addio nel 2017. Una celebrazione per il ventennale dalla nascita della band (il primo album “Legendary Tales” è del 1997) durante il quale suoneranno per intero l’album “Symphony Of Enchanted Lands”, il loro lavoro più rappresentativo.

Luca Turilli e la sua band, Luca Turilli’s Rhapsody, hanno inoltre in cantiere una novità importante per i loro fan: il loro album “Prometheus, Symphonia Ignis Divinus” sarà infatti il primo disco ad essere remixato in Dolby Atmos. Prometheus: The Dolby Atmos Experience + Cinematic & Live sarà pubblicato il 9 dicembre.

Noi abbiamo raggiunto Luca Turilli per fargli qualche domanda in merito a queste due grandi novità, che in poche ore hanno scatenato i fan del symphonic metal.

È di poche ore fa l’annuncio di una reunion dei Rhapsody per un tour di addio. Cosa ci puoi dire di questo progetto? Come è nata l’idea e come si è concretizzata?

Come puoi immaginare abbiamo ricevuto tantissime proposte perché tutti sapevano che l’anno prossimo sarebbe stato l’anno del ventennale della band. Io e gli altri ne parlavamo già a febbraio/marzo e alla fine e ci siamo subito trovati d’accordo, a parte Alex che in questo momento è impegnato altrove [n.d.r. Parla di Alex Staropoli, cofondatore dei Rhapsody e attuale leader dei Rhapsody Of Fire, il quale ha da poco annunciato Giacomo Voli, ex concorrente di The Voice Of Italy, come nuovo cantante della sua band]. Abbiamo cercato di convincerlo, ma ci ha pensato e ha detto di no. Non è una normale reunion o l’anniversario di un album, qui si celebrano i vent’anno della band ed è un evento che non si ripeterà in cinque o dieci anni, non accadrà mai più. Proprio per questo lo abbiamo chiamato “Farewell Tour”. Siamo veramente emozionati di fare questo tour e di chiudere così un capitolo importante della nostra carriera.

Avete scelto di suonare per intero “Symphony Of Enchanted Lands”, come mai la scelta è caduta su questo album e non su “Legendary Tales”, il vostro primo album, che compie vent’anni insieme alla band?

Perché per noi “Symphony” è più rappresentativo rispetto a “Legendary Tales”. Come dicevo la reunion non è per celebrare un album ma per la band. “Symphony” è l’album che più è rimasto nell’immaginario collettivo, lì ci sono i nostri pezzi più famosi, come “Wisdom Of The Kings”, “Eternal Glory” e altro ancora. Porteremo quindi live quell’album per intero più gli altri classici della band e anche alcune canzoni suonate raramente. Questo sarà anche un modo per suonare quelle canzoni che non avevamo mai avuto la possibilità di suonare dal vivo. Per me sarà anche un addio a quel genere, mentre ora con i miei nuovi progetti sto componendo qualcosa di diverso.

La notizia, lo si vede anche dalla pagina Facebook Rhapsody Reunion, ha scatenato davvero una grande entusiasmo da parte dei fan, con richieste di visitare tutto il mondo. Puoi darci qualche anticipazione, qualche dettaglio sul tour?

Si, assolutamente, cercheremo di andare da tutti i nostri fan nel mondo. Penso che partiremo dal Sud America verso fine aprile per poi arrivare in tutto il mondo e naturalmente faremo tante tappe anche in Italia.

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Parliamo ora del nuovo lavoro della tua band, Luca Turilli’s Rhapsody, della novità del remix in Dolby Atmos: ci racconti come è nata l’idea?

Tutto è nato per caso: Chris Heil, ingegnere del suono di Yamaha, ha sentito per caso la nostra musica provenire dallo studio accanto al suo ed è andato subito ad informarsi su chi fossimo. Ha scoperto così la nostra musica e ha portato una nostra canzone di “Prometheus” ai ragazzi di Dolby e Yamaha, poi hanno ascoltato tutto l’album e hanno deciso di investire per farlo diventare il primo album nella storia della musica ad essere mixato in Dolby Atmos. Per noi è stato incredibile. Loro avevano già collaborato con i Metallica per alcune canzoni, con Roger Waters, ma mai avevano realizzato un album completo e hanno identificato proprio nella musica dei Rhapsody, nella sua poliedricità, nei suoi colori, quella perfetta per valorizzare davvero la loro tecnologia, e vice versa.

La nuova uscita è una chicca non solo per chi potrà godersi il remix in Dolby Atmos, ma proprio per tutti, giusto?

Si, infatti ci sarà un blu ray per ascoltare l’album in Dolby Atmos, cui è necessario essere dotati di un sistema adatto, ma c’è anche un doppio cd live che non è da vedersi come un semplice bonus ma che per noi è importante perché è il primo vero live della mia band su cd, quindi chi non ha la strumentazione necessaria per godere del Dolby Atmos può comunque godersi un doppio cd dal vivo.

 

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Gilby Clarke - Guns N'Roses

L’ex chitarrista dei Guns N’Roses Gilby Clarke ha recentemente commentato durante un’intervista la tanto attesa e chiacchierata reunion dei Guns N’Roses per il “Not In This Lifetime” tour. Gilby Clarke, subentrato nella band in sostituzione di Izzy Stradlin a partire dal 1991, pensa che  la reunion non possa dirsi davvero tale senza Matt Sorum (batterista nella band dopo Steven Adler), Izzy e senza di lui.

“La reunion riguarda solamente Axl, Slash e Duff. Sostanzialmente quello che è successo è che Slash e Duff si sono uniti alla band di Axl. Quindi non saprei se si possa davvero chiamare una reunion. Per me, Matt e Izzy non è una reunion. Se i tempi e la situzione fossero stati azzeccati, tutti sarebbero tornati indietro e avrebbero partecipato a una reunion. I Guns N’ Roses sono una grande band. Credo che tutti vogliano vedere le cose fatte nel modo giusto. E quando sarà il momento, lo faremo.”

Gilby Clarke attualmente sta registrando il suo album solista che prevede la partecipazione come special guest di Stephen Perkins (Jane’s Addiction) and Matt Starr (Ace Frehley).

“È passato molto tempo dal mio ultimo album solista. Ho pensato che fosse il momento. Non ha niente a che fare con i Guns N’Roses. […] Spero di riuscire a farlo uscire entro la fine dell’anno, intorno a Natale.”

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Mancano ormai poche ore alla prima dello spettacolo teatrale Bitchboxer, tratto dal testo di Charlotte Josephine, adattato in italiano dal giovane regista fiorentino Edoardo Zucchetti (già collaboratore di nomi importanti come Zeffirelli, Avati, Gilliam), che ha curato la “mise en scene” in ogni minimo dettaglio.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui in vista della prima di questa sera.

Ciao Edoardo, come ti senti a poche ore dalla prima?

Bene dai, stiamo rifinendo gli ultimi dettagli, stasera finalmente saremo alla prova del pubblico.

Le premesse sono più che positive, questa sera è già sold out…

Già, anche domani mi dicono, ma ho imposto a me e a Carolina Pezzini, l’attrice protagonista, di non pensare alla vendita dei biglietti in queste ultime ore, ma di concentrarsi solo sullo spettacolo in sè.

Come è nata l’idea di mettere in scena questo testo e la scelta dell’attrice?

L’idea mi è venuta leggendo il testo della Josephine e vedendolo messo in scena al Soho Theatre di Londra, poi la scelta di Carolina è stata piuttosto naturale, era perfetta per il ruolo e quando ha letto il testo era entusiasta, anzi lei, essendo italo americana, si è messa anche a fare la traduzione inglese – italiano.

Come ci si sente ad essere il primo ad usare un luogo “magico” per lo spettacolo come la palestra Amici Miei del Mandela Forum?

Guarda, il luogo è appunto magico,  ringrazio anzi i gestori del Mandela Forum che, appena hanno visto lo spettacolo messo in scena al Festival Intercity de La Limonaia, dove ci siamo trovati inaspettatamente a metterlo in scena (inizialmente pensavamo a luoghi più piccoli) e abbiamo fatto un meraviglioso sold out, mi hanno chiesto di trovare uno spazio per portarlo in scena proprio al Mandela Forum. A livello registico è veramente spettacolare poter usare un luogo come la palestra Amici Miei, ho cercato anzi soluzioni che possano stupire un po’ il pubblico. A livello di prove abbiamo avuto un po’ di difficoltà visto che l’allestimento è avvenuto mentre sul palco principale del Mandela c’era “Notre Dame de Paris”, ma alla fine è andato tutto per il meglio.”

Questo spettacolo è un po’  “figlio tuo” in tutto e per tutto

Sì, ho curato io praticamente tutto, dall’allestimento alla questione dei diritti d’autore e ieri sera sono stato gratificato da un tweet di Charlotte Josephine di in bocca al lupo in vista della prima…una grande soddisfazione e una bella responsabilità, ma sia io che Carolina siamo pronti e felicissimi, anzi le cose stanno andando molto bene e sono state aggiunte nuove repliche, per cui partiamo vogliosi, sperando di essere premiati dal pubblico, siamo stupiti e gratificati dall’attenzione che stiamo suscitando.

I posti per lo spettacolo sono limitati a 75, per ricreare l’intimità della palestra, questi gli orari dello show:

Mercoledì 18 Maggio 2016 Orario di inizio 21:15
Giovedì 19 Maggio 2016 Orario di inizio 21:15
Sabato 21 Maggio 2016 Orario di inizio 21:15
Domenica 22 Maggio 2016 Orario di inizio 21:15
Giovedì 26 Maggio 2016 Orario di inizio 21:15
Venerdì 27 Maggio 2016 Orario di inizio 21:15
Mandela Forum – Arena Amici Miei

 

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E' appena uscito "Orecchie da elefante", primo lavoro solista del polistrumentista già nei Sick Tamburo e negli Aura

E’ appena uscito un disco interessantissimo, che mescola il folk americano al brit-rock; questo lavoro si intitola “Orecchie da Elefante” ed è il primo lavoro a nome Ugo Cappadonia, polistrumentista già al lavoro con band quali Sick Tamburo, Aura e Il Pan del Diavolo; proprio Alessandro Aloisi, parte del duo siciliano, ha prodotto il disco e suonato e arrangiato i brani.

Allora Ugo, primo lavoro solista a tuo nome, come ci si sente a scrivere finalmente il proprio nome in copertina? Poi, nonostante si definisca lavoro solista, è stato un bel lavoro di squadra con Il Pan del Diavolo e Alessandro Aloisi in particolare…

“Beh, uscire a mio nome è stata una liberazione direi, ed è stato proprio Alessandro Aloisi a convincermi a farlo, io sono affezionato all’idea di band. Ale è un produttore straordinario e collaborare con lui e con tutto il Pan del Diavolo, con cui già ero stato in tour per un anno circa, è stata una grande esperienza, abbiamo unito i nostri due mondi sonori e ne è uscito veramente qualcosa di cui vado fiero.”

Il disco mescola efficacemente il loro folk-rock e le tue radici più brit.

“Si esatto, Ale ha una cultura musicale vastissima e mi ha portato ad ascoltare gruppi e suoni a cui non avevo minimamente pensato, io gli ho dato la mia chiave di lettura brit: diciamo che ne è venuto fuori un suono che ammicca agli Stati Uniti, ma senza tralasciare l’Inghilterra, ne siamo molto soddisfatti.”

Un disco alla Jack White, mi viene da dire

“Grazie per il paragone, sì diciamo che era uno di quelli a cui pensavamo, “Lazaretto” lo abbiamo divorato. Non penso di potermi paragonare ad un genio come White, però fa piacere essere riusciti a far intuire quel mondo sonoro lì.”

Nei pezzi ci ho visto anche una parte piuttosto dark, era questo il suono o l’idea che volevi ottenere?

“Sì diciamo che fa parte del mio modo di essere, anzi devo stare attento a non esagerare alle volte, per non sembrare troppo scuro e deprimente!” (ride) 

Per quanto riguarda la dimensione live, come renderete il disco?

“Saremo due chitarre, basso e batteria…e magari ci sarà qualche incursione del Pan Del Diavolo con noi quando gli impegni non coincidono. Il tour sta andando bene, ci piace l’idea di essere una band rock “allargata” quando ci sono anche Aloisi e Bartolo”

A livello di scrittura, il disco è fatto di pezzi che avevi nel cassetto o di brani scritti ad hoc?

“Metà e metà, 4 pezzi scritti prima e lasciati sedimentare, gli altri invece li ho scritti in appena due settimane quando completavo le registrazioni.”

Sabato chiuderete la stagione dell’Auditorium Flog a Firenze, in apertura a Giorgio Canali

“Sì, gli avevo già aperto con la mia vecchia band, gli Aura, sarà un onore e un piacere dividere il palco con un vero e proprio mostro sacro del rock italiano. Vedremo di infiammare la Flog a sufficienza!”

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Siamo andati all’ Auditorium Flog di Firenze, in occasione del loro concerto del 16 aprile, per scambiare quattro chiacchiere con i Ministri, in particolare Federico Dragogna, a poco più di 6 mesi dall’ uscita dell’ultimo album “Cultura Generale”.

 

Gordon Raphael non ammetteva l’italiano in studio. È stato difficile lavorare su questo? Come mai era così rigido?
Semplicemente  prova a pensare se ti sei mai trovata in una tavolata dove ci sono tre persone che parlano una lingua e uno da solo che ne parla un’altra, è buona regola sforzarsi di integrare quella persona nella conversazione. Quindi è stato buffo perché io parlavo abbastanza bene in inglese, Divi lo conosce e lo parla abbastanza, Michi un po’ meno, quindi si facevano delle acrobazie per riuscire a dirsi le cose anche tra di noi con lui presente. Poi non era in realtà una persona così rigida, però era proprio da stronzi parlare in italiano. Perché ti viene anche naturale fare tutta una serie di commenti quando stai lavorando ad un disco, alcune esclamazioni, ed è brutto per il produttore essere escluso, rischi anche di sentirti parlare dietro in qualche modo…

Va beh, ma è da avere le manie di persecuzione…
No fidati io faccio anche il produttore e se capitassi in una situazione del genere sarebbe molto fastidioso. Poi ovviamente Gordon è comunque abbastanza un artista a sua volta, quindi devi avere anche la giusta sensibilità per averci a che fare, ma questo non riguarda solo l’inglese, riguarda mille altre cose. Non ultimo il veganesimo, che era più difficile da rispettare della lingua stessa… Sono diventato ferrato su che cosa sia la quinoa.

In “Vivere da signori” criticate uno stile di vita da ricchi, ma poi parlate dei soldi come qualcosa che toglie anche le preoccupazioni. Lavorando nella musica, soffrite di questo? Si può dire che ancora chi fa il musicista in Italia fa fatica a pagare l’affitto?
Il pezzo non è necessariamente una critica. Poi capisco che parte dei miei testi abbiano una leggibilità complessa, infatti non chiedo necessariamente che siano letti come dei saggi di semiotica, ma anche un po’ liberamente. Penso  che in qualche modo Vivere da signori parli più del fatto dell’avere un sacco di soldi e non sapere come spenderli. Voglio dire, se io Michi e Divi improvvisamente avessimo un sacco di soldi -cosa che non abbiamo- cosa ce ne faremmo? Riusciremmo effettivamente a farcene qualcosa?
Mi viene in mente la scena del film Tommy, quello basato sul disco degli Who, dove ad un certo punto la famiglia working class inglese una volta diventata ricca perché Tommy diventa un mago del flipper e diventa un attrazione, arriva ad avere un sacco di soldi e scelgono di investirli comprando tantissimi fagioli, gli stessi fagioli che mangiavano prima. Semplicemente ne comprano tantissimi e ci fanno il bagno. Quindi in qualche modo il pezzo parla un po’ più di questo; insomma immagini come il giracravatte, le ciabatte col pelo, cimeli inutili di cui ti riempi quando hai molto denaro da usare.
Dire che è un po’ di più sul rapporto con la ricchezza, ma parte più che altro dall’espressione vivere da signori, che può essere anche come quando stai facendo le vacanze in Grecia con due lire mangiando i panini che rubi dall’albergo, e poi ad un certo punto ti prendi una merendina al cioccolato e dici “ah, questo è viver da signori”, voglio dire, è tutto relativo.
Per rispondere alla domanda iniziale, ci riusciamo a vivere, senza stravivere di sicuro. Siamo consci del fatto che se avessimo iniziato trent’anni fa ora ci saremmo comprati un appartamento coi dischi venduti, invece abbiamo iniziato dieci anni fa che è comunque un periodo migliore di ora per avere una band di questo genere, quindi ci è andata bene.

Parliamo di Cultura Generale. È un brano particolare a suo modo, scarno se così può definirsi, un po’ fuori dal classico dei Ministri. Che mi dici di questo?
Il pezzo è originariamente un arpeggio di chitarra e voce. Quando eravamo a Berlino, per l’attitudine giocosa di Gordon in quel momento, c’era più voglia di fare qualcosa in quel momento che inseguire una cosa già fatta, e quindi è venuta fuori questa versione stranissima, con Gordon che suona il piano; è stato più un momento. Perché in realtà è una partitura molto da De Andrè se vai a farla con chitarra e voce, ma volevamo che tutto il disco fosse più un’esperienza, fosse più quei giorni a Berlino. Non una strategia, non una costruzione più ampia.

Il fatto che canti in quel pezzo. È perché lo sentivi più tuo?
Divi non l’aveva mai cantato fino a quel momento, lo avevamo sempre ascoltato nel provino che avevo fatto io a casa. Quando glielo abbiamo fatto sentire, Gordon ha detto “ok, tu canti la prima strofa e tu la seconda ed insieme il ritornello” quindi abbiamo seguito le sue direttive ed era contento.

In questo disco, rispetto ad altri, avete fuso più organicamente le tematiche personali con quelle politiche. È stata un’esigenza naturale, segno di un passaggio?
L’espressione tematica politica o canzone politica è sempre un po’ difficile rispetto alla nostra musica.
In realtà, nel momento in cui io sto parlando della mia vita, la mia vita è all’interno di uno stato, all’interno di leggi, di una città, di problemi. Mi sarebbe impossibile parlare non politicamente, inteso in questo senso. Spesso anche quando si sta parlando di quello viene sempre preso come se io parlassi all’esterno, come se stessi criticando, invece ci sono dentro, tutti ci siamo dentro. Non mi tiro fuori dalla critica. In Tempi Bui era veramente vivo in tempi bui e sto diventando buio anch’io, in Idioti è ci trascinate giù con voi.
Sussiste sempre il pericolo di diventare quello che si critica, di dimenticarsi da dove partiva la tua forza, la tua energia nel criticare e pian piano diventare la stessa cosa che stavi criticando. E questo più che essere una colpa è un pericolo, è un pericolo di chiunque, ed è un pericolo normale. Quando sei giovane in fondo non hai nulla da perdere, ti senti tutto battagliero, poi incominci a dover pagarti un affitto, a voler mettere su una famiglia, a voler tutta una serie di cose e ti trovi a essere stanco. A essere stanco quando torni a casa la sera perché hai lavorato tutto il giorno in un posto che non ti piace e magari incominci, pian piano senza accorgertene, a diventare quella cosa che prima ti faceva così cagare.
Ma non è una cosa negativa, è una cosa normale.
Alla base della nostra musica c’è un’energia che mettiamo nel non dimenticare da dove eri partito. Il tenere viva questa energia e questa determinazione, è parte integrante di tutto il nostro lavoro. Però siamo umani, non parliamo di esserne sicuri, cerchiamo di raccontare la nostra lotta nei confronti del dimenticare, del non rendersi conto del cambiamento.
Adesso, senza stare a fare nomi, la musica italiana per così dire politicizzata, è sempre lì a dire “che schifo qui, che schifo lì” però poi la mia domanda è “ma qual è la tua condotta?”
Non abbiamo la presunzione di poter insegnare qualcosa, ogni tanto sentiamo il diritto di poterci incazzare su determinate questioni e ne parliamo. Però poi in questo album c’è tanto della nostra vita dentro e quando parliamo del fuori, parliamo di questo, di stare fuori dal giudizio.

Dunque puoi dire di sentirti un po’ meno Fuori, rispetto a un paio di dischi fa?
Penso che siano semplicemente cambiate le forme di allora nel fare certi pezzi. All’epoca, alcune cose erano un pochettino più semplici, magari anche efficaci, e c’era una volontà di essere più diretti. Non posso dire che sia cambiato tantissimo, perché non siamo cambiati tantissimo, la nostra vita non è cambiata tantissimo, in senso buono. Non c’è stato un grande salto. C’è un po’ più di consapevolezza.
Inoltre prima, anche con risultati buoni, stavamo un pochettino più attenti a quello che ci chiedevano le persone. Non lo facevano neanche direttamente, eravamo noi ad immaginarci un’aspettativa. Questo ha sempre prodotto risultati buoni. In questo disco ci siamo sentiti molto più liberi di dire certe cose, di scegliere certi tempi, certi spazi, certi arrangiamenti. Chiedendoci sempre che cosa voleva la gente, ma preoccupandoci meno del feedback.

Mi hai in parte anticipato perché quel che volevo dire era anche che in questo disco io ho sentito un po’ più una resa, un lasciarsi andare ad uno stile di vita più normale e meno guerriero.
Ma il fatto che noi tra un tour l’altro, ma anche tra una data e l’altra, siamo normali, è quello che ci permette di riuscire a comunicare. Se facessimo una vita diversa, da personaggi, non riuscirei neanche a esprimermi.
Per tante altre cose questo disco è stato molto più rischioso per noi, perché questo disco è stato molto più una sfida tra musicisti. Insomma fare un disco sapendo di non poter avere nessuna correzione dopo, è un rischio che pochissimi corrono oggigiorno. E questo non è necessariamente un vanto. Il rock in questi anni ha sempre funzionato in una maniera un po’ più photoshop, quindi con grande margine di correzione. Scegliere, o meglio ci è capitato proprio di non poterlo fare con Gordon, è stata una bella sfida e ci ha messo in pace con noi stessi. Perché poi ti riascolti e dici “noi siamo così”. Questo per il pubblico è difficile perché è abituato al disco molto pompato e live vuole il disco. Poi quando vengono al live e uno fa un lavoro pazzesco per portarlo sul palco in un certo modo, e il pubblico lo sente comunque pompato a 120decibel poi comunque non si capisce se è soddisfatto davvero. Fare questo disco in questo modo ci ha fatto rendere conto anche quanta ansia c’era nei dischi precedenti di funzionare.

La scelta di Gordon Raphael quindi è venuta da quello, vi ha lasciato più liberi e vi ha solo dato l’esperienza?
Gordon Raphael semplicemente non accetta che possa esistere la postproduzione, peraltro perché non avrebbe saputo neanche farla, ma non è questo il punto. Per lui non esiste. Per lui i dischi vanno registrati come nel ’72 e quindi non c’era la possibilità.
Questo non vuol dire nè che la postproduzione sia male, né che sia bene, però fare questa esperienza è utile.

Dato che hai provato entrambi, per il prossimo disco dovessi scegliere?
Noi facciamo sempre un grande lavoro di pre-produzione, per il prossimo disco forse potremmo essere pronti a portare questa pre-produzione più avanti, anche fino alla fine, ma è davvero presto per dirlo.
Di sicuro ci siamo accorti di mille cose sui suoni, su come arrivare davvero a suonare come le band americane e inglesi che ascoltiamo. Infatti quello che ti dicono spesso in Italia sul come arrivare a quei sound è falso. Perché in Italia ti arriva un disco dall’America o dall’Inghilterra e ti chiedi come hanno fatto a farlo così e le soluzioni che si propongono non sono quelle, sono sbagliate.
E alla fine quello che vale sempre è il partito delle mille prove. Devi arrivare in studio dopo aver provato quei pezzi fino alla morte. Noi abbiamo fatto così, perché comunque il fatto di eseguire quel pezzo una volta ed è così, non puoi ricrearlo in un altro modo, è tutto lì. Neanche se hai tutti gli strumenti del mondo, rimane una cosa umana grazie a Dio.

La scelta di girare il video di Io sono fatto di neve all’Ex Moi. Cosa ha significato per voi quell’esperienza di quella giornata in quel posto?
La scelta è stata fatta insieme al regista Federico Merlo, un ragazzo giovane e bravissimo di Genova, che in parte ci ha lanciato l’idea. L’idea era raccontare una storia di migranti, noi abbiamo accolto la sfida. Il proposito era di raccontare una storia vera, di non fare fiction, e soprattutto di raccontare una storia luminosa, felice, per quanto felice potesse essere. In realtà abbiamo provato varie vie prima di arrivare all’esperienza dell’Ex Moi, alcune che ci sono state precluse anche da organi istituzionali. Volevamo girare in un centro d’accoglienza ma non ce l’abbiamo fatta per questioni di permessi, data l’atmosfera tesa sul tema, attualmente.
Dunque siamo arrivati all’Ex Moi, abbiamo spostato l’attenzione su questo, anche se il pezzo non parla esclusivamente di questo. Il pezzo parla della fragilità e sicuramente ha dentro un sacco di cose che parlano della mia fragilità direttamente, riferita al momento in cui l’ho scritto. Ma come faccio sempre con i testi, volevo che si allargasse a tutti in qualche modo. Con questa trovata siamo arrivati ad un limite ideale, perché in questo momento non si poteva parlare di fragilità e riprendere noi stessi, non con la situazione che c’è in giro, non era davvero possibile.

A livello umano cosa ti ha lasciato?
A livello umano è stato molto molto molto intenso. Siamo andati là tre volte. Una prima volta quando nevicava peraltro, ma abbiamo girato poche scene perché ancora non avevamo preso accordi né organizzato.
Poi siamo tornati lì a girare e a passare la giornata effettivamente insieme a questi ragazzi. È stato intenso perché ti accorgi davvero della paura che abbiamo noi dell’altro e della paura che anche loro hanno di noi in questo senso. Ti accorgi che il metodo di un’occupazione necessaria come in quel caso, è qualcosa che riesce ad unire le persone in maniera superiore a qualsiasi altro centro o legge. Sono persone di stati, culture, etnie, religioni diverse e vivono tranquillamente.

Questo è dovuto proprio al fatto che altrove si trovano tutte le porte chiuse in faccia, no? Creare una loro comunita di esclusi, triste da dire, ma li aiuta.
Sì in parte è per questo.
Semplicemente sono persone che sono state scaricate da tutta una serie di centri di accoglienza che hanno chiuso, si sono ritrovati senza un posto dove andare, e i media locali hanno contribuito nello screditare in ogni modo quel posto, per cui loro si sono fatti forza a vicenda.
Infatti entrare lì dentro con una telecamera rimane ancora complesso. Noi non volevamo riprendere di nascosto, lì volevamo riprendere davvero, volevamo riprendere il loro orgoglio e i loro sentimenti, quindi dovevamo necessariamente coinvolgerli. Questo è stato frutto di un lungo processo, le prime sette ore avremo girato dieci secondi in realtà. Poi, piano piano, siamo riusciti a entrare veramente in contatto e amicizia con le persone presenti nel video.
È stato molto bello, ma non è questo il punto, il punto è che ti sposta la questione dall’aspetto del telegiornale, della cronaca, all’aspetto molto più umano. Ed era quello che volevamo, perché tutta la comunicazione che si fa sull’argomento passa sempre con una grossa fatica di guardare al di fuori. È tutto un “siamo un fallimento”, “i centri di accoglienza sono una vergogna”, ed è sempre un parlare di noi, della nostra colpa e così via; è sempre un parlarsi addosso. E non riusciamo mai a guardare quelle persone e a parlarne davvero. E noi stessi questo lo abbiamo imparato durante il giorno, e loro altrettanto, ed è stato un incontro nel senso più completo del termine, e sarebbe bello che queste cose succedessero un po’ più spesso.

E la musica si conferma veicolo per queste cose, dove le istituzioni sono le prime che ti mettono i bastoni fra le ruote. Voglio dire, lì ci vanno i Ministri e non ci va un ministro sul serio.
Questo di sicuro è stato una cosa che volevamo fortemente ed è anche il fatto di non essere giornalisti che ci ha dato la possibilità di essere ascoltati da loro. Anche qui ci sono state da superare delle diffidenze perché quelle ci sono di sicuro.
É stato anche fondamentale il tramite del Comitato Ex Moi Rifugiati ed Emigranti, composto da ragazzi che lavorano e aiutano quel posto. Soprattutto nella figura di alcune persone che danno due terzi della propria vita a posti del genere senza volere nemmeno un riconoscimento, un ritorno di nessun tipo. Quindi è stata forte anche quest’esperienza di capire il tipo di risorse che abbiamo in Italia, che a volte sono incredibili. Alcuni dei ragazzi che lavorano in questo comitato ne sanno più di immigrazone, burocrazia, documenti e così via, di chiunque altro.

La dimostrazione che la meritocrazia in Italia non funziona, persone che ne sanno così tanto poi non sono valorizzate nei posti che dovrebbero.
È molto complesso questo, non so se sia una questione di meritocrazia, esiste anche il fatto che banalmente ci sono i grandi schieramenti destra e sinistra che ci portiamo dietro dalla seconda guerra mondiale, che sono ancora così bloccati e rendono impossibile una cooperazione di teste funzionanti su problemi del genere. Quindi chi finisce a voler fare queste cose qui, finisce in schieramenti molto forti di un certo tipo che creano problemi di dialogo, e questo è molto complesso, ma non sminuisce di una virgola il loro lavoro, rende solo più lento e faticoso il tutto.

 

Intervista effettuata con la preziosa collaborazione di Serena Lucaccioni (Impatto Sonoro)