Mogwai live a Bologna. Qualcuno ha ordinato del post-rock? (Recensione)

Mogwai live a Bologna. Qualcuno ha ordinato del post-rock? (Recensione)

Diciamolo subito: i re del post-rock sono ancora loro.

A 17 anni di distanza da “Ten Rapid” e “Young Team”, che ne rivelarono l’ispirazione e la potenza questi ragazzi scozzesi sanno ancora regalare serate da brividi, riuscendo a coniugare intensità chitarristica e intensità emotiva, spalancando le porte su un mondo fatto di suggestioni ed immagini uniche.

Sono le 22 quando i Mogwai salgono sul palco dell’Estragon, già sold-out in prevendita e decidono di aprire le danze con “Heard about you last night”, brano apripista anche nel loro ultimo lavoro “Rave Tapes”: si capisce subito come andrà la serata, con gli amplificatori che vibrano e le teste del pubblico che si muovono all’unisono, istantaneamente rapite da quello che stanno ascoltando.

Basta chiudere gli occhi e ci si ritrova su una scogliera scozzese, sferzata dall’oceano, con le chitarre che, come vento impetuoso, spettinano i capelli e i pensieri, mentre le percussioni affondano senza freni. E’ “Rano Pano” e subito dopo, senza respiro, arriva “I’m Jim Morrison, I’m dead”, accolta da un boato di tutto l’Estragon, che sembra muoversi all’unisono, come, appunto, un’onda di quell’Oceano Atlantico sul quale si affaccia la Scozia tanto cara a Stuart Braithwaite e soci.

Con “Mastercard” si vira verso un rock più classico, a tratti ipnotico, rispetto alla lunga suite di “Jim Morrison”, quasi che adesso si stesse rivivendo la scena di un film al rallentatore, fissando l’attenzione sui dettagli.

Questo fanno i Mogwai, riescono a spostare (e a farti spostare), nell’arco di un paio di pezzi, lo sguardo e l’attenzione su ciò che loro vogliono valorizzare, che sia un dettaglio strumentale o piuttosto l’atmosfera circostante, in un eterno gioco di rimandi che non sfocia mai nell’autocompiacimento, nel dirsi “quanto siamo bravi”….e bravi lo sono sul serio!

E’ questa la loro forza, far apparire tutto di una semplicità disarmante, tutto casuale, quando tutto invece è perfettamente studiato, proprio come in “Ithica 27 o 9”, tuffo nei ricordi di quei Mogwai che iniziavano nel 1997 e già sbalordivano tutti.

Salto in avanti ed ecco “Deesh”, che getta sull’Estragon un alone di cupezza e rabbiosa malinconia, subito rasserenata da “How to be a werewolf” e dalle sue sonorità più ariose, che ti fanno muovere e sorridere, come in una giornata estiva in cui si ha voglia di fuggire verso il mare.

“Blues hour” colpisce per la sua solennità e perché per la prima (e unica) volta nella serata si sente cantare Braithwaite, che si limitava altrimenti a ringraziare sentitamente il pubblico bolognese, davvero caloroso e attento come si conviene ad una platea che osservi i Mogwai.

“Mogwai fear Satan” è una vera esplosione di potenza e di incanto, con rallentamenti e ripartenze da urlo, meraviglioso spaccato su quella che è la cifra stilistica di questi ragazzi di Glasgow, ma il vero apice si raggiunge al momento del bis, quando i Mogwai si spendono in tre pezzi da lasciare senza fiato, primo tra tutti “White noise”, seguita a ruota da una commovente “Auto rock”, intensa come non mai, per finire con il rock liberatorio di “Batcat”, una vera bomba sganciata sui presenti.

In un’ora e mezza di show i Mogwai riescono a presentare e a far sentire a proprio agio nel loro mondo sonoro, nelle loro mille sfumature, regalando istanti di pura poesia musicale.

Quando la precisione è talmente perfetta da apparire casualità, si sta assistendo a qualcosa di straordinario. E quel qualcosa, probabilmente, sono i Mogwai.

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