Lo Stato Sociale: “Vogliamo farvi riflettere ridendo”

Lo Stato Sociale: “Vogliamo farvi riflettere ridendo”

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Lodo Guenzi si racconta, tra "L'Italia peggiore", i concerti e la venerazione per Cechov.

Sono indubbiamente la band italiana del momento, quelli capaci di dividere il pubblico tra chi li odia e chi li apprezza, chi li vede come “la voce di una generazione” e chi li vede solo come dei presuntuosi.

Ma alla fine Lo Stato Sociale sono solo 5 amici che vanno in giro a fare quello che gli piace, come ci ha raccontato in quest’intervista Lodo Guenzi, voce della band, che vedremo in tour ancora per alcune date prima di nuovi misteriosi progetti per il 2015.

Ne “L’Italia peggiore” c’è un pezzo che si intitola “La musica non è una cosa seria”: dopo due dischi per voi lo sta diventando?

In realtà il pezzo voleva proprio celebrare il fatto che lo stava diventando, come hai colto: a me sembrava chiaro ma non lo era per tutti a quanto pare; insomma se da una parte ci sono i “professoroni” che vogliono farti credere che la musica sia una roba seria io volevo dire che la musica bisogna che rimanga un gioco almeno in parte, pur facendolo in modo professionale e serio. E’ un piacere fare fatica, sudare, fare interviste, fare promozione, fare 200 date quando le fai con gli amici e sai che stai facendo una cosa che ti piace sul serio. Anche se magari poi sei nervoso o ti girano le scatole, per la musica si va oltre a questo.

Vista questa riflessione mi viene da chiederti: come si fa ad andare sul palco a far ridere e divertire tutti anche nei giorni in cui magari avresti solo voglia di stare a casa perchè sei nervoso?

Per quanto mi riguarda nello stare su un palco c’è un processo di rielaborazione, la vita non rimane fuori, ma anzi sfrutti ciò che ti accade nella vita per rendere al meglio sul palco. Ad esempio per me la rabbia ha avuto un aspetto molto importante in alcuni live, tirando fuori un mio lato ironico e umoristico che altrimenti non avrei messo sul palco. Un regista russo dei primi del novecento, Mejerchol’d, le cui teorie sono alla base della recitazione biomeccanica, parla proprio di una traslazione tra il quotidiano e l’extraquotidiano: quando sali sul palco butti fuori in un secondo quello che hai preparato o che hai vissuto in precedenza, tutto sta nel riuscire a cambiare istantaneamente una volta che sei sopra il palco. Ad esempio l’anno scorso ho avuto la polmonite per un mese e mezzo durante il tour estivo, eppure salivo sul palco e facevo lo show come sempre, perchè riuscivo appunto a “cambiare” sul palco, come un vero e proprio attore.

Riguardo al vostro pubblico, una certa generazione vi ha molto responsabilizzato, citando i vostri pezzi, prendendoli quasi come inni di ciò che appunto vivono loro; questo vi pesa o non date importanza a come vengono letti i vostri brani?

Io non so se ci pesa, secondo me ci influenza: il tipo di spettacolo che facciamo noi, sul ciglio tra il rock ‘n’ roll, la cosa impegnata e il cabaret è data dal fatto di voler far passare delle parole, dei concetti in cui noi crediamo, ma senza avere il ruolo degli indottrinatori. Noi ci mettiamo lì e tra un momento di rock’n’roll e un momento in cui magari si parla della strage di Bologna facciamo un balletto, evitando così di apparire come dei Beppe Grillo del caso, dei santoni appunto. Un pezzo come “Mi sono rotto il cazzo” rischia, senza la giusta autoironia, di esser visto come un inno da capo-popolo, la nostra volontà è proprio quella di non cadere in questo ruolo, ironizzando e “smitizzando” certe parole. Cerchiamo di dire cose vere in modo leggero.

Non ti fa paura però il fatto che qualcuno possa strumentalizzare le parole che hai scritto leggendole fuori contesto?

Sì, chiaro e può succedere; per chi viene a vederci l’antidoto a questo pericolo siamo noi stessi, che appunto ironizziamo o facciamo i “pagliacci” sul palco. Poi per quanto riguarda la critica musicale che magari legge i nostri pezzi in un certo modo, non m’importa, è giusto che la critica ci sia e faccia quello che deve fare, ma quando non si riesce a cogliere lo spirito evidente con cui facciamo le cose o lo si fa per malizia o per incapacità e dunque non gli dò importanza. In questo Paese comunque c’è un problema nel percepire i diversi piani di lettura delle cose, bisogna sempre etichettare un qualcosa e comportarsi di conseguenza. Quando poi invece non si fa così e semplicemente si vivono le cose a livello empatico, ecco che va tutto molto meglio e si colgono i vari aspetti di una canzone, piuttosto che di uno spettacolo o un film o quant’altro.

Riguardo al discorso dei piani di lettura mi veniva in mente Foster Wallace che riusciva a unire vari registri letterari e vari piani del discorso paradossali, riuscendo a dare chiavi di lettura ironiche o surreali anche ad eventi di importanza mondiale o a cose serissime (come accade in “Considera l’Aragosta”) tutto nell’arco di poche righe, magari è quello che provate a fare voi nell’arco dello spettacolo. Mi chiedo quindi: c’è tra le tue fonti d’ispirazione?

Io non l’ho mai letto, ma per Bebo è un mito. Per quanto mi riguarda, senza andare a scomodare leggende della letteratura, un certo immaginario con cui siamo cresciuti è quello di Luttazzi, la Guzzanti, Paolo Rossi, per risalire al teatro di Gaber e Luporini: quella maniera di raccontare le cose intrattenendo, facendo ridere, ma gettando delle “esche” su argomenti importanti, che poi spetta a chi guarda approfondire. Poi dentro di me ci sono anche quegli autori un po’ più tragici e rabbiosi degli  anni ’90 che mi hanno certamente toccato, come Ravenhill ad esempio o Sarah Cain. Poi io sono un “adepto” di Anton Cechov e da autore di brani teatrali ti dico che certamente la sua arte ha influenzato il nostro spettacolo: se riuscissimo a mettere insieme un’oncia di quello che hanno fatto questi grandi saremmo già soddisfatti.

Quali sono i progetti futuri de Lo Stato Sociale? Magari proprio esplorare ancora di più una dimensione teatrale?

Noi andremo in giro ancora un po’ e poi succederanno alcune cose, alcune insospettabili; stiamo scrivendo delle cose e alcune diventeranno anche canzoni, ma siamo in un momento di passaggio e “L’Italia peggiore” mi sembra un disco di transizione, come si dice, anche se fino a poco fa non lo percepivo. Di certo stiamo cambiando, ma siamo sempre di più un gruppo, siamo sempre più uniti tra noi e tutte le nostre individualità sono libere di esprimersi. Succederanno cose diverse che riguarderanno diversi di noi.

Ultima domanda, visto che siete appunto un gruppo, com’è andare in giro in tour in così tanti?

Sì, noi siamo in 9 durante il tour e succedono sempre un sacco di cose, ci divertiamo e accadono un sacco di gaffes, una che mi viene in mente riguarda Robbo, il nostro tour manager e stage manager, che è di Reggio Emilia: quando andiamo a suonare lì vengono a vederci anche i suoi genitori, l’ultima volta mentre lo presentavo a Bebo è venuto in mente di aggiungere “che è di là che fa le canne”; Robbo giura di aver visto i suoi alzarsi e andarsene dalla sala in quel momento…e non c’erano posti a sedere!

Queste le ultime date de “L’Italia peggiore Tour” in calendario:

6 dicembre Firenze – Auditorium Flog
7 dicembre Santa Maria a Vico (CE) – Smav
12 dicembre Catania – Barbara Disco Lab
13 dicembre Lecce – Officine Cantelmo

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