Recensioni concerti

I report dei più importanti concerti in Italia: band italiane e internazionali, rock, pop, elettronica, punk, alternative e molto altro altro ancora. Photogallery e recensioni, report e scalette del concerto, immagini, video e racconti di tutta la musica live in Italia.

Come avevamo annunciato solo qualche giorno fa, questo pomeriggio Ermal Meta si è esibito in un live acustico al Centro Commerciale Oriocenter per poi incontrare i suoi fan e autografare le loro copie del suo ultimo disco, Vietato Morire.

Poco dopo le 17 l’artista ha fatto il suo ingresso tra gli applausi e il clamore dei fans che sin dalle prime ore di questa mattina avevano iniziato a posizionarsi di fronte al palco per potersi aggiudicare la posizione migliore per poter ascoltare e vedere il proprio beniamino.

Dopo un breve saluto Ermal ha imbracciato la sua chitarra e si è esibito sulle note di alcuni dei suoi più famosi brani, ma anche in altri meno conosciuti ai più, ma non di certo ai suoi fan che lo hanno accompagnato cantando ed emozionandosi con lui. Tra le altre ovviamente non sono mancate Odio Le Favole, (canzone con cui si ha partecipato al Festival di Sanremo del 2016), Vietato Morire (il brano vincitore del Premio Mia Martini del Festival 2017) e la cover di Amara Terra Mia, che ha lasciato tutti i presenti – che hanno ascoltato l’intera esibizione quasi in silenzio – senza parole.

Tra i tantissimi presenti ad applaudire Meta, anche una spettatrice d’eccezione che a Bergamo è sicuramente di casa: la giornalista e conduttrice televisiva, nonché moglie del sindaco di Bergamo, Cristina Parodi.

Di seguito la gallery dell’esibizione.
Foto di Silvia Colombo

 

Partiamo da un antefatto: si può ancora credere nei sogni e Prato è una città che ci crede. In particolare ci credono 4 giovani imprenditori pratesi che, in un momento storico un po’ così come quello attuale, decidono di scommettere tutto sulla cultura e inaugurare il più grande live club del centro Italia (1300 metri quadrati), in una ex fabbrica (da qui il nome FAB) e farlo diventare non solo un contenitore di idee (presto saranno inaugurati anche un bistrot e uno spazio co-working per un totale di 1800 metri quadrati di superficie), ma un vero e proprio luogo di sviluppo, in cui l’idea nasce, cresce  e, alla fine, prende vita in forma compiuta. Sul modello del Fabrique di Milano, FAB punta a diventare in futuro un live club di grosse dimensioni, di quelli da “data unica” e a richiamare vari artisti nazionali ed internazionali, senza guardare troppo al genere musicale (anche se, visti gli spazi e l’impianto audio letteralmente straordinario, non è difficile immaginarsi meravigliosi live di elettronica): dimostrazione ne è che, ad appena 48 ore (forse neppure) dall’inaugurazione, arriva la prima data in esclusiva regionale, ovvero quella di Mecna, rapper lombardo che a gennaio ha sfornato, improvvisamente, il suo terzo lavoro, “Lungomare Paranoia”; il rap è musica quasi senza cittadinanza in Toscana ed è confortante aver capito che forse, con FAB, anche questo genere abbia trovato una casa più che confortevole, come hanno constatato i tanti giovani e giovanissimi che hanno affollato il locale muniti di felpe con cappuccio di ordinanza e slang “da strada”.

In realtà Mecna è un rapper atipico, un cantauto-rap si potrebbe dire: i suoi brani raccontano la sua storia, le sue storie, che poi sono storie di paranoie, di tipe, sono storie che lo allontanano dalla scena rap classicamente intesa, contro cui anzi lui si scaglia in alcuni brani.

Da “Il tempo non ci basterà”, fino a “Non serve”, passando per “Superman”, Corrado (questo il vero nome di Mecna) fa ballare, ancheggiare, divertire tutti e tutti in risposta fanno a gara a cantare più forte i suoi brani che sanno a memoria, a farsi i selfie con le due macchine fotografiche che lui distribuisce nel pubblico (idea geniale e foto che finiranno sul suo blog).

Insomma, con FAB Prato ha trovato una nuova casa per la musica, di ogni genere, una casa che diventerà piano piano sempre più ricca….in attesa già di qualche botto a breve distanza e di un lavoro approfondito sui live per la prossima stagione. E anche il rap avrà finalmente il suo spazio.

Quando un artista che segui da quasi 10 anni, che consideri praticamente un amico, riesce a riempire fino all’inverosimile un teatro di grandi dimensioni, sono due i sentimenti che ti pervadono: un po’ di gelosia per i tempi in cui potevi serenamente chiacchierarci senza essere assaltato dagli altri fan e una gigantesca dose di orgoglio per aver visto crescere qualcosa che adesso arriva (finalmente) a tutti. E’ più o meno questo quello che è successo con Dario Brunori e la Brunori sas: l’Obihall di Firenze straripa di giovani prontissimi a scandire ogni parola di ogni canzone, a farsi invadere da gioia e tristezza (“Ho messo in chiaro dall’inizio della mia carriera che scrivo pezzi tristi, smettetela con questo clima di festa che non è cantautorale”, dice Brunori dal palco).

Si comincia subito con “La verità”, ormai una hit conclamata e uno dei pezzi più ispirati della canzone italiana degli ultimi anni: Brunori non deve nemmeno fare lo sforzo di cantarla, che già le voci del pubblico lo sovrastano, in un unisono straordinario.

La Brunori sas, guidata da Simona Marrazzo, la dolce metà del cantautore cosentino, scandisce dal palco i nuovi brani, caratterizzati da sonorità più ballabili e “dritte” rispetto a quanto la band ci avesse abituato nei lavori precedenti, ma non per questo meno impegnati a livello di testi (“L’uomo nero” ne è un chiaro esempio, piuttosto che la carichissima “Canzone contro la paura”, un vero e proprio mantra collettivo da gridare a squarciagola).

Il live prosegue tra volti sorridenti, increduli, con Brunori che non crede davvero ai suoi occhi per l’amore che gli riserva questa città che lo ha praticamente adottato (la sua crew è in buona dose fiorentina): si passa così ai vecchi successi (“vi ricordate le camicie incredibili che mettevo all’inizio?”) e su “Come stai?” l’emozione è palpabile, ma è con il poker “Le quattro volte”, “Fra milioni di stelle”, “Pornoromanzo”, “Lei, lui, Firenze” che si raggiunge l’apice della serata e su quest’ultima potete ben immaginare l’esaltazione del popolo fiorentino per un brano che esalta la bellezza della loro città.

La lacrimuccia su “Arrivederci, tristezza” è ovviamente garantita e “Una domenica notte” suonata subito dopo è un colpo al cuore un po’ sleale, ma mai quanto i bis: “Guardia ’82”, “Kurt Cobain” e “Secondo me” chiudono una serata magica, una serata in cui Dario Brunori e compagni hanno capito davvero che arrivano al cuore della gente, che si sono buttati e ce l’hanno fatta, con leggerezza e poesia.

Perchè in fondo “Vivere è come nuotare, ci si può riuscire soltanto restando sul pelo del mare.”

 

BRUNORI SAS Setlist @ Obihall Firenze (17/03/2017)

La verità

L’uomo nero

Canzone contro la paura

Lamezia – Milano

Colpo di pistola

La vita liquida

Come stai

Le quattro volte

Fra milioni di stelle

Pornoromanzo

Lei, lui, Firenze

Arrivederci tristezza

Una domenica notte

Il costume da torero

Sabato bestiale

Don Abbondio

Rosa

 

Guardia ’82

Kurt Cobain

Secondo me

Anthrax

Quando arrivi sul luogo di un concerto alle 17.30 per un’intervista a Joey Belladonna, non è difficile raggiungere la prima fila e abbarbicarti alle transenne per rimanerci per tutto il concerto. Già due ore prima dell’aperture delle porte, prevista per le 19.30, i primi irriducibili sono in coda davanti all’ingresso. All’apertura delle porte defluiscono lentamente, superando i controlli di sicurezza che si sono fatti più rigidi. Entrati nel Live Club alcuni si dirigono verso le transenne di prima fila, altri prendono posto sulle balconate. Dopo poco inizia la band di supporto, The Raven Age. Alla chiarra c’è un figlio d’arte: George Harris, il figlio di Steve Harris (Iron Maiden). La giovane band suona per circa un’ora, prima di lasciare spazio agli headliner.

Gli Anthrax si fanno annunciare da Mob Rules (Black Sabbath) e I Can’t Turn You Loose nella versione dei Blues Brothers, sparati a palla prima del loro ingresso. Poi finalmente Scott Ian e soci fanno il loro ingresso sul palco e attaccano con Among the Living. La prima parte dello show è tutta dedicata all’album del 1987 che quest’anno celebra il suo trentennale. L’album viene suonato per intero, mentre piovono thrasher che fanno crowd surfing dal fondo della sala per atterrare davanti al palco, presi al volo dagli uomini della sicurezza.

Gli interventi istituzionali, quelli al microfono per presentare le canzoni e ringraziare il pubblico, sono affidati a Scott Ian, ma è Joey Belladonna a interagire con il pubblico per tutta la durata del concerto: sembra che si rivolga a uno a uno a ciascuno dei fan nelle prime file, li guarda, comunica con loro a gesti, lancia plettri, chiede conferme. Tutto torna, se si pensa che poche ore prima ha dichiarato durante l’intervista: “Mi piace in generale osservare le persone, mi guardo sempre intorno per vedere cosa stanno facendo e quali sono le loro emozioni. Mi piace farlo, perché mi fa sentire come se fossi là in mezzo con loro”. Arriva il turno di Indians e sulla testa di Joey non compare il solito vistoso copricapo indiano: non ce n’è bisogno. La location è più intima e il coinvolgimento del pubblico è totale, non occorre nient’altro.

La seconda parte del set include i brani dei loro ultimi lavori, come Fight ‘Em ‘Til You Can’t (Worship Music), Breathing Lightning e Blood Eagle Wings (For All Kings) e i pezzi immancabili della band, sopra tutti Madhouse e Antisocial, che chiude il concerto. La band scende dal palco salutando i fan, accompagnata dalle note di Long Live Rock’n’Roll.

Live incendiario e scaletta tiratissima, gli Anthrax hanno festeggiato come si deve il trentesimo compleanno di Among The Living, più in forma che mai e pronti per il prossimo mosh pit. E noi già non vediamo l’ora di rivederli live.

Questa la scaletta completa del concerto:

Among the Living
Caught in a Mosh
One World
I Am the Law
A Skeleton in the Closet
Efilnikufesin (N.F.L.)
Guitar Solo (Jonathan Donais)
A.D.I. / Horror of It All
Indians
Imitation of Life
Fight ‘Em ‘Til You Can’t
Breathing Lightning
Madhouse
Blood Eagle Wings
Be All, End All
Antisocial

Korn, Milano, Alcatraz

Un Alcatraz sold out ha accolto i Korn domenica sera a Milano.

In apertura gli Hellyeah di Vinnie Paul, ex batterista dei Pantera. Musica intensa e aria di “famiglia”, come dice il cantante Chad Gray salutando il pubblico milanese, a ricordare che quella del metal è quasi una fede. Suonano solo mezz’ora, ciò che basta a far entrare nel vivo la massa di persone che piano piano inizia ad accalcarsi dentro la struttura.

Tocca poi agli Heaven Shall Burn, ventennale gruppo death core tedesco: il cantante Marcus Bischoff scalda il pubblico chiedendo a gran voce un wall of death. La prima linea risponde con un pogo pesante. La band teutonica si è sicuramente guadagnata dei nuovi adepti questa sera, facendo così conoscere meglio anche a noi italiani questo gruppo tedesco di grande fama nazionale che nel nostro Paese è ancora misconosicuto. Una grande performance live che lascia gli spettatori quasi increduli e qualcuno già stanco dal troppo headbanging.

Dopo una breve attesa salgono sul palco Jonathan Davis e compagni. Una piccola parte tra i presenti, i fortunati possessori del VIP Ticket, si sono già goduti nel pomeriggio una performance esclusiva in acustico gruppo di Bakersfield, che ha eseguito Alone I Break solo per loro. La band è in ottima forma: “I’m feeling mean today – Not lost, not blown away…”. Attaccano con Right Now, poi  snocciolano in rapida successione una serie di chicche e vecchi classici, intervallati da Insane e Rotting In Vain, due brani tratti dal loro ultimo album “The Serenity Of Suffering“. Immancabili Somebody Someone, Make Me Bad e Freak on a Leash, che chiude lo show.

Performance granitica di Jonathan Davis, che parla poco e bada alla sostanza, esalta il pubblico e trascina i compagni, agghindato con una curiosa gonnellina a motivi floreali che purtroppo il grosso del pubblico si sarà perso, accalcato in fondo alla sala o troppo impegnato nel pogo di rito.

Questa la scaletta del concerto:

VIP Pre-Show Performance
Alone I Break (Acoustic)

Main Set
Right Now
Here to Stay
Rotting in Vain
Somebody Someone
Word Up!
(Cameo cover)
Coming Undone
(Con “We Will Rock You”)
Insane
Y’All Want a Single
Make Me Bad
Shoots and Ladders
(con “One”)
Drum Solo
Blind
Twist
Good God
Falling Away From Me
Freak on a Leash

 

Report di Francesca Di Vaio e Patrizia Frattini

Appuntamento con il Southern Rock dei Blackberry Smoke sabato sera al Fabrique di Milano con l’organizzazione di Barley Arts che riesce a portare in Italia per un unica data, una band che fa dell’ “always on tour” una missione quasi religiosa, dove trovare uno slot per una performance diventa un’impresa assai ardua per un promoter.

Ma tant’è, la possibilità di vederli live per presentare il nuovo lavoro uscito ad Ottobre 2016 “Like an Arrow” è un occasione veramente imperdibile , perchè sappiamo che loro non deluderanno le aspettative.

Attivi da oltre un decennio con 5 dischi in studio oltre ad alcuni live,  i Blackberry Smoke hanno saputo percorrere le strade già segnate da illustri e leggendari progenitori del genere come Allmann Brothers Band , Lynyrd Skynyrd e ZZ Top, creandosi un discreto seguito di fans e una credibilità musicale che li ha portati a fare molto spesso da opening act per i grossi calibri sopra citati ma anche da headliner in svariati Festival.

C’è da rilevare che proprio nel nuovo lavoro Charlie Starr e compagni hanno esplorato anche nuovi territori rock che potremo definire più “british” senza per questo snaturare lo stile southern country che li contraddistingue sin dai loro primi passi.

Si respira aria di autentico rock sudista con la band di Atlanta schierata in modo classico sul bel palco del Fabrique con Starr leader cantate e compositore al centro dello stage che imbraccia almeno 5 o 6 tipi di chitarra a seconda del brano, ai suoi fianchi Paul Jacskon alla chitarra e Richard Turner al basso elettrico mentre sulla seconda fila abbiamo la potente batteria di Brit Turner e il rutilante Pianoforte di Brandon Still .

Le quinte del palco riportano la bella copertina di Like an Arrow ed è inevitabile che il nuovo disco faccia da fil rouge per tutto il concerto in particolare con il nuovo potentissimo singolo Waiting for the Thunder dove Richard Starr dimostra non solo una grande capacità allo strumento ma anche una notevole estensione vocale degna di un rocker di razza con la batteria di Brit che inizia con ritmica lenta per terminare con una grande cavlacata hard rock davvero prodigiosa.

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La titletrack Like an Arrow che si lascia cantare a squarciagola è una straordinaria miscela di blues rock e southern classic che non lascia indifferenti , mentre le note di Let it Burn ci riportano sulle strade del sud con il piano che si si destreggia nel classico incedere southern rock. La ballad di Good Life sempre dal nuovo disco è perfetta tra il riff di Six Ways to Sunday e la straordinaria Ain’t much Left to me e fa il paio con un altro brano tratto dal disco del 2012 The Whipporwill, One horse Town.

Bellissima la versione di Pretty little lie che fa da preludio alla grande medley basata su Sleeping Dogs di circa 10 minuti a metà dell’esibizione dove abbiamo riconosciuto una stupenda Your Time is Gonna Come dei Led Zeppelin dove la voce di Starr raggiunge le note del grande Robert Plant .

Che dire di Good one Comin’ on dove il rock diventa country oppure Rock’n roll Again che rimanda al classic rock degli Status Quo per non parlare di Holding all the Roses sfrenata cavalcata da suonare in un whiskey bar del Tennesse e per non far torto a nessuno un pò di blues non poteva mancare con la classica Ain’t Got the Blues .

90 minuti intensi di vero rock, dove i Blacberry Smoke riescono a fondere i generi fluidamente tra Country, Blues e Hard Rock guidandoci in un percorso musicale nel profondo sud del Dixieland partendo dalla natia Georgia per poi salire sù nel Tennesse e poi giù giù in Louisiana e in Texas .

 

Lunedì 6 marzo i Baustelle hanno portato le sonorità del loro ultimo, acclamato, lavoro “L’ amore e la violenza” in quel tempio della musica che sta diventando il Nuovo Teatro dell’Opera di Firenze, per l’occasione stracolmo di fan devoti a Bianconi e compagni.

Quello che è andato in scena è uno spettacolo che probabilmente eleva i Baustelle tra le band “oracolo” del pop italiano: grafiche e sonorità rubacchiate ai migliori Pulp d’annata i tre musicisti senesi, accompagnati da una band straordinaria (Andrea Faccioli alle chitarre e Sebastiano De Gennaro alla batteria, tanto per citare due componenti di spicco) hanno regalato due ore di musica straordinaria, una sinfonia ballabile orchestrata alla perfezione, tra ritmi rallentati e improvvise accelerazioni, coadiuvate da azzeccatissime grafiche visual.

La piccola malvagità è stata forse proprio quella di realizzare un live simile in teatro, dato che fin da “Il vangelo di Giovanni”, viene voglia di alzarsi e ballare e la poltroncina rossa in cui si è costretti risulta quasi una tortura.

I nostri hanno però voluto privilegiare l’acustica che gli era concessa da un simile palcoscenico e mai come in questo tour (anzi, mi correggo, già il tour di “Fantasma” aveva fatto presagire questi sviluppi) si è forse notato il lavoro e la cura che mettono i Baustelle negli arrangiamenti e nell’armonizzazione delle voci di Francesco e Rachele, perfetto incastro di toni ed espressioni armoniche.

Quello che ne è scaturito è uno spettacolo oscenamente, volutamente, dichiaratamente pop, quel pop di un livello che in Italia si possono permettere solo personaggi come Franco Battiato.

E’ innegabile che i Baustelle, negli ultimi anni, siano stati probabilmente l’unica band a riuscire a compiere appieno e con simile forza il salto dal mondo dell’indie a quello dei grandi palchi e, dopo alcune fasi di adattamento, adesso anche dal vivo abbiano la capacità di ammaliare e stupire, pur rimanendo sempre fedeli alla propria cifra stilistica. La loro è davvero musica sinfonica (in discoteca?).

BAUSTELLE SETLIST @ Nuovo Teatro dell’Opera – Firenze (06/03/2017)

Love

Il Vangelo di Giovanni

Amanda Lear

Betty

Eurofestival

Basso e batteria

La musica sinfonica

Lepidoptera

La vita

Continental stomp

L’era dell’acquario

Ragazzina 

Charlie fa surf

Monumentale

Un romantico a Milano

Gomma

Bruci la città

La canzone del parco

L’aeroplano

La moda del lento

La canzone del riformatorio

La guerra è finita

Veronica (inedito)

Le rane

 

cosmo-magazzini-generali

Ad aprile 2016 usciva l’album L’ultima festa di Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo. A distanza di quasi un anno ci troviamo ad assistere alla penultima data di un tour devastante e delirante: il 23 febbraio Cosmo è sold out ai Magazzini Generali di Milano, una di quelle città che hanno probabilmente segnato il successo inesorabile di questo secondo album promotore di un genere che prima in Italia semplicemente non esisteva. Dal caloroso benvenuto nelle notti estive del Miami 2016, alla festa nei giardini del Politecnico ad ottobre, è passato per radio e diventato colonna sonora di cene a casa tra amici.

Ora che si avvicina per davvero l’ultima festa -l’ultima data sarà la sera dopo ad Ivrea, città d’origine e attuale del cantautore-, ci chiediamo: qual è lo stato d’animo prima e dopo quest’album che è insieme un evento e un racconto? Cosa è diventata L’ultima festa a distanza di un anno?

Il mood con il quale era stato creato l’album, si può intuirlo dal titolo e dal carattere nostalgico delle canzoni, era quello di chi è arrivato all’ultima spiaggia, all’ultimo briciolo di speranza per un sogno che era cominciato più di dieci anni prima con i Drink To Me. Ma c’è una forza in/visibile che non solo gli ha dato vita, ma l’ha portato avanti per un anno intero, ed è la voglia. La voglia di divertirsi, di sentirsi liberi e di sperimentare, la voglia di fare quel che più piace e come piace.

Tutto questo, in un live come quello milanese che sicuramente nulla toglie agli altri, passa sopra ai sentimentalismi e alle nostalgie e scansa ogni dubbio: lascia a casa i pensieri e muovi il sedere, balla! Grida! Salta! E’ così che Cosmo ci ha convinto e conquistato in quest’anno, tuffandosi a capofitto nel proprio sogno come su una folla sotto al palco, e si è lasciato trasportare fin dove il successo e il pubblico lo hanno portato.
C’è un pubblico affezionato ai ritornelli, agli abbracci e agli stage diving di Marco e i suoi compagni, ma c’è anche il pubblico che con con una cassa dritta di fronte durerebbe in piedi giorni interi. Cosmo lo sa e accontenta tutti, anzi è lui stesso diviso in queste due personalità, inguaribile “cazzone” dal cuore romantico. E non c’è niente di meglio che vedere un ragazzone di 35 anni appena compiuti che sa divertirsi con il proprio pubblico come farebbe con i suoi amici; che si lascia andare si, senza però mai perdere di vista il punto focale: essere se stessi, nella musica, nei testi, nel modo di scriverli e cantarli. Anche la scelta delle canzoni in scaletta da questo punto di vista è molto significativa. Perché se è vero che oggi siamo qui a festeggiare un successo arrivato splendidamente e inaspettatamente lo dobbiamo anche e soprattutto alle fatiche, alle illusioni, ai ricordi di una vita innocente e ai sogni annegati troppe volte nei drink.

La festa si conclude come chiudendo un cerchio, lì dove tutto è cominciato, con le prime canzoni scritte in italiano così, per gioco: Ho visto un dio, prima e Le cose più rare, poi nell’encore. E sarà sempre per gioco che poi forse un giorno ci rincontreremo.


SETLIST:
Cazzate
Dedica
Regata 70
Le voci
Dicembre
Esistere
Impossibile
L’altro mondo
Ho visto un dio
ENCORE
L’ultima festa
Disordine
Lunedì di festa
Le cose più rare

 

Il live è una produzionevia-audio

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Pall Jenkins, oscuro ed imponente, seduto, attacca i primi accordi di “The waiter”: è così che ha inizio un viaggio lungo atmosfere ed emozioni penetranti, dense e melliflue in cui i Black Heart Procession aprono il cammino e noi, spettatori in un Locomotiv Club saturo, li seguiamo attoniti, spesso ad occhi chiusi, immaginandoci in una torrida San Diego, una San Diego notturna ed estiva, pervasa dalle inquietudini (“The old kind of summer”).

Jenkins, Nathaniel e compagni si mostrano solidi e allo stesso tempo ondeggianti, i ritmi che disegnano sono monolitici, ma allo stesso tempo avvolgenti: “1”, suonato nella sua interezza, si conferma un disco di intensità rara, uno di quei dischi che segnano un’epoca, che fanno gridare al miracolo.

Sono trascorsi praticamente vent’anni dall’uscita e non ha perso un grammo della sua consistenza, anzi, è assurto al ruolo di classico per gli amanti dello slow-core e probabilmente del rock più in generale.

Pall Jenkins si nasconde dietro l’aria severa, rivendica le sue origini, si produce in invettive contro il presidente Trump, colpevole di dividere persone, fratelli, che sono cresciuti insieme (San Diego è a pochi chilometri dal confine messicano e lui è cresciuto con compagni e amici di cultura latina, che adesso un muro separerà…); è iconico e allo stesso tempo racconta la sua storia con una tale semplicità che istintivamente sai che ti sta dicendo realmente ciò che pensa e crede.

“The war is over” riscalda i cuori, così come “A cry for love” va a scandagliare la parte più intima, di quei cuori. Ripensandoci a mente fredda, è davvero difficile descrivere un così perfetto concentrato di poesia: è un po’ come essere stati in apnea per più di un’ora, in quel buio venato di blu che si trova sotto la superficie del mare. Poi si riemerge, purificati, estasiati, semplicemente consapevoli dell’esperienza appena vissuta. E felici di averla fatta.

Ieri sera dal Teatro Comunale di Belluno è partito con grande successo l'atteso tour nei teatri della cantantessa

carmenconsloli@belluno

Sabato 25 Febbraio, il teatro Comunale di Belluno, ha ospitato Carmen Consoli, nella data di esordio del suo nuovo progetto “Eco di sirene – Tour Teatrale 2017“.  Il tour ancor prima di cominciare è un gran successo tanto da registrare un sold out così veloce da dover aggiungere nuove date.

Eco di Sirene”, una tournèe acustica che prende il nome da un brano dell’album “Mediamente isterica” del 1998. Si tratta dell’evoluzione di uno dei progetti più amati ed originali della Consoli: L’anello mancante, tour teatrale del 2008 in cui si esibiva da sola. In questa nuova tournèe, la cantantessa si esibirà con due musiciste, Emilia Belfiore al violino e Claudia della Gatta, al violoncello.  “Eco di Sirene” è nuovo progetto in trio, con suono e arrangiamenti molto sperimentali, pensati appositamente per la formazione con archi e chitarra acustica. Un progetto magico ed originale che rispecchia l’anima di grande sperimentatrice di Carmen.

Alla data veneta organizzata da OTR Live ha risposto il pubblico delle grandi occasioni, impaziente di vivere una serata tanto attesa.

Ad aprire il concerto, la giovane Eva, alias Eva Pevarello, cantantautrice, e musicista, affermatasi durante l’ultima edizione di X-Factor. La giovane cantautrice vicentina ha conquistato subito la stima di nomi eccellenti della musica come Manuel Agnelli (suo padre artistico), Giuliano Sangiorgi (autore del suo primo brano inedito pubblicato, “Voglio andare fino in fondo”) e Carmen Consoli (che l’ha scelta per l’apertura di alcuni suoi concerti).

Subito dopo l’esecuzione di Eva, la Consoli fa il suo ingresso con il brano “Sulle rive di Morfeo” accolta da un pubblico caloroso. Seguono i brani “Parole di burro”, “Fiori d’arancio”, “Perturbazione atlantica”, “Geisha”, sempre con la Consoli che da sola domina il palcoscenico.

Con i brani “il sorriso di Atlantide” e “Pioggia di aprile” entrano rispettivamente in scena Claudia della Gatta al violoncello e Emilia Belfiore al violino.

Carmen semplice e graffiante come sempre, conquista tutti i presenti, raccontando del suo essere e sentirsi sirena, di quanto ogni creatura femminile possa essere ammaliatrice e pericolosa al tempo stesso, di quanto il canto di una sirena possa assordare ma anche fare sognare. Ma la sirena non è solo creatura è anche un segnale di allarme, qualcosa che annuncia un pericolo, una guerra.” Parliamo di uguaglianza ma combattiamo per il nostro individualismo, per paura di essere sopraffatti da uno straniero che non conosciamo. Dobbiamo invece capire che il futuro è la convivenza e la possibilità di arricchire la nostra cultura proprio grazie alle diversità.”

Ma il vero dialogo tra la Consoli e i presenti è quello fatto attraverso le sue canzoni, le sue parole. I suoi testi parlano sempre di verità sociali, di situazioni anche difficili che si vivono, temi esistenziali, rapporti a volte complicati tutto come piccoli trailers della vita di ognuno di noi, quasi piccoli copia incolla delle nostre anime.

Ma anche in questo concerto, Carmen lascia spazio ai sentimenti più leggeri, alla voglia di cantare spensierati, rincorrendo i ritornelli dei suoi brani più famosi, quelli che hanno segnato la lunga carriera dell’artista, con una scaletta di 25 canzoni suddivisa in due parti, e un bis con Quello che sento” e “Amore di plastica”.

Al termine del concerto, con un pubblico in Standing Ovation,  Carmen chiama sul palco anche Eva per i saluti finali. Ringrazia tutti i presenti per l’ affetto che non le è mai venuto a mancare e che anche  in questa serata è arrivato come energia e carica per questo tour appena iniziato.

 

di seguito le altre date del Tour : 27 Verona – Teatro Filarmonico, 28 Perugia – Teatro Morlacchi.  Marzo  2 – 3 e 4  Roma – Auditorium Parco della Musica, 5 Venezia – Teatro La Fenice, 8 e 9  Bologna – Teatro delle Celebrazioni, 11 Senigallia(An) – Teatro La Fenice, 18 Pescia(Pt) Teatro Pacini, 19 Genova -Teatro Politeama, 20 – 21 e 22 Milano – Teatro dal Verme, 31 Lecce – Teatro Politeama Greco. Aprile 7 Cagliari –  Auditorium del Conservatorio, 8 Sassari –  Teatro Verdi, 11 Palermo – Teatro Biondo, 12 Agrigento – Teatro Pirandello, 14 Messina – Auditorium Palacultura Antonello, 24 Firenze – La Pergola, 29 e 30  Mantova – Teatro Sociale

 

Photo e recensione  Mimmo Lamacchia

The Dandy Warhols sono tornati nella stessa venue (il Circolo Magnolia di Segrate) grazie anche all’organizzazione di Comcerto dopo alcuni anni di assenza dalle nostre latitudini, per presentare live sia il nuovo disco Distortland uscito nella primavera del 2016 , ma anche molti brani della loro ventennale storia musicale.

Usciti dalla sbornia del successo mediatico che arrivò repentinamente all’inizio del nuovo millennio con la superhit Bohemian like you, la band capitanata da Courtney Taylor Taylor ha poi continuato la sua ottima carriera con una portata inferiore ma non per questo meno qualitativa ed interessante.

Fautori di una Psichedelia Pop che li vede muoversi in ambito rock indie alternativo, The Dandy Warhols dal lontano Oregon, si presentano sul palco grande del Magnolia nel quartetto classico con Courtney alla voce e chitarra, Peter Holmstrom alla chitarra solista, Zia McCabe, tastiere, basso e cori e Brent DeBoer alla batteria.

Interessante da subito notare che il doppio microfono di Taylor permette di ottenere da un lato sonorità vocali filtrate simili al vocoder mentre dall’altro amplifica in modo tradizionale le tonalità particolarmente sfumate della sua voce. Di fatto le due chitarre si alternano sia nella riproduzione di toni più bassi in assenza dello strumento dedicato che Zia McCabe imbraccia solo in paio di episodi, e sia nell’esecusione di interessanti assoli lisergici . La batteria di Brent è precisa senza particolari sferzate ritmiche ma si attesta nel classico 4/4 rallentando o velocizzando a seconda del brano.

Il repertorio di Portland che è senza dubbio un bel disco , viene esplorato partendo dal singolo

thedandywarhols_distortland

molto radiofonico  Styggo con un refrain ripetitivo ma che che continueresti a cantare all’infinito passando a You are killing me più decisa e rockeggiante  per planare infine su Catcher in the Rye.

Dal loro disco Best seller uscito proprio nel 2000 Thirteen Tales from Urban Bohemia ritroviamo alcuni classici come Get off oppure Godless e il già citato Bohemian Like you che il pubblico da sempre aspetta con trepidazione per scatenare tutta l’irrefrenabile voglia di ballare.

Strepitosa We Used to Be Friends con i cori in fasletto e le tastiere di Zia McCabe a disegnare un’onda sonora che sale e scende fino ad infrangersi sulla scogliera.

Ritorniamo addirittura al secondo disco del 1997 con un back in the past di 20 anni per riascoltare Not If You Were the Last Junkie on Earth  e per gli inaspettati encore di Pete International Airport e Boys Better in chiusura di un ottimo concerto che ripaga ampiamente della lunga attesa e riconferma i Dandy Warhols come una band che non ha abbandonato il suono che li ha contraddistinti sin dagli esordi e che ha ancora molto da da dire e soprattutto da suonare.

 

 

 

 

 

 

Ieri sera, 21 febbraio, è iniziato “La fortuna che abbiamo tour 2017” di Samuele Bersani all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Il cantautore romagnolo apre con “Il mostro”, “Le mie parole” e “Lo scrutatore non votante” prima di fermarsi per raccontarsi un po’ al pubblico.

Si susseguono “Occhiali rotti“, “Il pescatore di asterischi“, “En e Xanax” e, mentre la band suona il finale, Bersani scende in platea e saluta il pubblico. Appena risale sul palco le prime note di “Spaccacuore” entusiasmano i presenti, ormai sono completamente assorbiti dall’atmosfera del live.

Nonostante i recenti problemi di salute che lo hanno costretto a cambiare stile di vita, la sua voce comunica intensità ed emozioni e racconta con una esecuzione pulita la poesia dei suoi testi. Altri brani tra vecchio e nuovo repertorio scorrono veloci durante questa prima parte di concerto, conclusa con “Replay”, con la voce di Samuele accompagnata solo dalle note del piano.

Dopo dieci minuti di pausa, Samuele Bersani risale sul palco e parla ancora al pubblico confidando che anche questo live è stato sul punto di essere annullato. Dopo nove giorni di prove ininterrotte poco prima dell’inizio del tour, rientrato a casa per quattro giorni di riposo, è stato accolto invece da 39.5 di febbre e diversi incubi notturni. Sfidando “la sfiga che lo accompagna da oltre un anno e mezzo”, parole sue, apre la seconda parte del live cantando “La fortuna che abbiamo” per arrivare a “Giudizi Universali” in cui gli spettatori diventano il coro che Bersani dirige sul ritornello. Un applauso intenso è il giusto finale di questo pezzo tanto amato.

Non mancano altri brani storici come “Coccodrilli”, “Freak” e “Chiedimi se sono felice”, per poi concludere con “Senza titoli”. Il bis è d’obbligo e caldamente richiesto così, con “Chicco e Spillo” e “Cosa vuoi da me”, si chiude definitivamente il concerto. Un Bersani disinvolto e comunicativo affiancato da musicisti che hanno saputo valorizzare i suoi brani e si sono mostrati all’altezza anche di due cover di artisti d’eccezione quali Sergio Cammariere e Lucio Dalla.

Una fan urla dalla platea “Sei il numero 1!” e Bersani replica “Se fossi un taxi sarei il numero 1!”.

Il tour finirà a Bologna il 15 marzo passando per Bergamo, Padova, Milano, Torino, Bari, Catania, Cosenza, Firenze e Genova; per chi è da quelle parti consigliamo di andarlo a vedere senza troppi se e ma.

Di seguito le foto della serata.

Foto e Report di Mariadora Bolognese