Recensioni

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Venerdì 2 Agosto la Reggia di Venaria ospita nella sua rassegna “Sere d’estate alla Reggia” la cantante, vincitrice della scorsa edizione di X Factor, Chiara Galiazzo. Abbiamo il piacere di partecipare e recensire questo evento per la nostra webzine.

Primo impatto in questa location è sicuramente l’atmosfera, il cortile di una reggia ha sempre il suo fascino, le luci e giochi d’acqua della fontana al centro della piazza lasciano incantati e predispongono il pubblico alla visione più rilassata del live. All’angolo del maestoso piazzale è stato montato il palco, struttura semplice ed essenziale, con delle vele di stoffa come sfondo e una platea di posti a sedere circondata da una fila transennata per dividerla dai posti in piedi.

Noto ai lati del palco oggetti, cartelloni, palloncini che riguardano la cantate e mi accorgo che è presente, a sostenerla, proprio il suo fan club; e sarà proprio il suo seguito di fedelissimi a rendere la serata ancora più particolare e colorata.

Alle 22.30 inizia lo show, Chiara in abito bianco che ricorda una dea greca è elegantissima, la sua chioma rossa risalta perfettamente tra le luci e lo sfondo. Ammetto di esser partita un po’ prevenuta riguardante la sua performance ma quasi subito capisco di essermi sbagliata. Ottima voce, bella presenza sul palcoscenico ma a mio parere ancora non matura al 100% per quanto riguarda il rapporto con il pubblico, si percepisce l’imbarazzo dei primi live, l’insicurezza sulle parole da dire o i brani da presentare.

La scaletta è stata ricca di canzoni sue o scritte per lei come “Due Respiri” e “Il futuro che sarà” alternate a cover famose ri-arrangiate come “Over the rainbow”; ma la sorpresa è stata la particolare e attenta partecipazione del pubblico che ha allestito delle vere e proprie coreografie con palloncini colorati, bolle di sapone e occhiali luminosi.

Dal mio punto di vista la ragazza merita attenzione, ha ancora tanta strada da percorrere ma la voce c’è e le basi per continuare anche. Decido quindi, di fissare mentalmente un appuntamento tra un anno o due con un suo live per stabilire quanto sia riuscita a migliorare e a crescere, pur sapendo che non è facile restare sulla cresta dell’onda dopo esser stata scoperta da un talent show come X Factor.

Si ringrazia Live Nation e Hiroshima Mon Amour per l’invito.

Photogallery Marco Cometto

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L’estate torinese anche quest’anno si è distinta per le diverse iniziative musicali, concerti maestosi e live di nicchia, festival di musica elettronica e rassegne di musica jazz, insomma, musica per tutti i gusti.
Noi abbiamo avuto il piacere di partecipare ad alcune serate organizzate al Colonia Sonora Festival a Collegno (TO)

Le danze si aprono il 9 luglio con Daniele Silvestri: accompagnato per l’occasione da una superband, grazie alla quale il cantante è riuscito a spaziare tra i grandi successi e i nuovissimi brani inediti. Abbiamo ritrovato un Daniele Silvestri in ottima forma, con un’anima quasi più rock e con tanta voglia di stupire e sperimentare; l’idea di questo tour, infatti, è proprio quella di proporre dei brani inediti al pubblico prima ancora della pubblicazione dell’album, una sorta di regalo e di anticipazione per tutti i suoi fan. Grande sorpresa e piacere, per il popolo torinese, veder salire sul palco 2 special guest della zona, Samuel dei Subsonica e Bunna degli Africa Unite, spettacolo assicurato. Serata innovativa.

Sabato 13 è stata la volta dell’Elf Fest. Alla sua prima edizione si presenta come un momento incantato all’interno di una rassegna musicale bella tosta. L’idea e l’ambizione degli organizzatori, i MaterDea, in collaborazione con Dracma e Colonia Sonora è quella di far conoscere la cultura celtica-pagana al popolo torinese e di rendere questa festa un evento ricorrente e annuale. Il popolo fatato ha varcato i cancelli del parco sin dalle 14; l’area prato è stata popolata da giocolieri e mangiafuoco e sono stati allestiti stand di armature medievali e oggettistica. Sul palco sin dalle 18 si sono susseguiti diversi stili e diversi suoni: tutto è iniziato con gli Anthologies che han proposto un sound più doom metal per poi passare ai Sail Away dalle sonorità più hard rock, ancora del doom metal con i Tethra per poi introdursi nel gothic con SetaNera e Evenoire. A chiudere l’evento, i padroni di casa, i MaterDea con il loro Pagan Rock. Serata fantasy.

Africa Unite è il nome in cartellone per il 17 luglio. Appena arrivati a Collegno, sembra esserci poca affluenza, mi sembra strano e anche un po’ surreale ma il tempo di 4 chiacchiere in compagnia di amici, mi giro e ritrovo il piazzale pieno di gente. Teste rasta e colori giamaicani spuntano in giro qua e là, sorrisi e voglia di divertirsi si leggono nei volti dei fan. Alle 22.30 inizia il live, le sonorità sono quelle giuste, i presupposti per una bella serata movimentata ci sono tutti e poi alla chitarra c’è Max Casacci, come una sorta di ritorno alle origini per il chitarrista dei subsonica. Serata danzante.

19 Luglio. Per l’occasione vediamo succedersi sullo stesso palco gli Extrema e i Linea 77. Un po’ di sano trash metal italiano per quanto riguarda la prima band e del puro nu metal italiano per quanto riguarda i secondi. Niente da contestare agli Extrema, sanno il fatto loro, sono padroni del palco e della musica che fanno. Curiosità invece per i Linea 77, è la prima volta che li vedo con questa nuova line up, ancora un pochino impacciato al microfono Dade ma onestamente mi è piaciuta la scelta che han fatto dopo che Emi ha lasciato il gruppo. Un altro cantante non avrebbe avuto lo stesso impatto e la stessa accoglienza come quella che è stata riservata a chi fa parte già della famiglia. Serata tosta.

A chiudere la rassegna del Colonia Festival ci pensa Fabrizio Moro il 20 Luglio 2013.
Impatto diretto e schietto, carico e movimentato dall’inizio alla fine del concerto; seguito in ogni sua canzone da tutto il pubblico, fan fedelissimi che arrivano anche da Roma per la prima vera data del cantautore romano nel nord Italia. Un inizio un po’ timido su terra “straniera” ma speriamo che il suo stile e il suo modo di esprimere il suo pensiero possa essere apprezzato anche fuori dalla sua città.

Photogallery di Marco Cometto
In collaborazione con Paolo Pavan per la data degli Africa Unite

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Dallo stadio di San Siro sono passati tantissimi artisti, di ogni genere musicale. Alcuni si portano dietro non solo la loro musica, ma anche una scenografia degna del loro nome, altri invece si accontentano solamente del suono degli strumenti e delle voci del pubblico, insomma uno spettacolo semplice, ma sentito da ognuno. Ho avuto la fortuna di partecipare ad un concerto che, al suo interno, includeva le due cose: musica spettacolare e scenografia a dir poco incredibile.

Arrivo allo stadio con una carica pazzesca, ritiro il mio biglietto e salgo in tribuna stampa. Sono emozionato in quanto è la prima volta che vedo Robbie Williams, addirittura in un luogo come San Siro. Faccio presto conoscenza con alcuni reporter che, come me, erano arrivati in anticipo per assistere anche alla performance dell’artista spalla. Lo stadio si riempie a velocità velocissima, il parterre è pieno e sul palco iniziano a comparire i primi musicisti.

Olly Murs è un ragazzo con un gran talento. Sa come coinvolgere il pubblico, sa come muoversi, ballare e sopratutto non sbaglia mai una nota. Si perchè molti artisti quando si muovono in continuazione sul palco tendono a perdere un po’ di voce, ma è naturale. Lui no. Lui si diverte spostandosi da una parte all’altra del palco, seguito dalla sua band composta da coristi, trombettisti ecc. Il pubblico dello stadio reagisce bene a questa nuova promessa del pop, seguendo il ritmo delle canzoni dalla prima all’ultima, cantando hit come “Troublemaker” che in Italia ha ottenuto un successo clamoroso. Il ragazzo continua, scherza con il suo gruppo, con la gente in piedi nelle prime file e stupisce tutti facendo un medley di tre canzoni di una band anni settanta, gli “Earth Wind and Fire”: il ritornello della conosciutissima “September” si propaga per tutto lo stadio, la carica di “Let’s Groove” e “Boogie Wonderland” si sente nella voce di ogni persona che sta sul palco. Incintando il pubblico a saltare, Olly finisce la sua performance con “Heart Skips a Beat” e sul finire della canzone saluta il pubblico, ringrazia la sua band e passa la palla a Robbie Williams.

L’attesa sale, aumentata anche dalla bellezza del palco: due pedane che si estendono nella red zone, una a sinistra e una a destra, due schermi ai lati del palco e come sfondo la faccia di Williams color oro. Come al solito si ingigantisce la eccentrica persona dell’artista costruendo uno stage che tiene testa a uno spettacolo come il suo.
Entrano gli artisti che accompagnano la popstar, il pubblico inizia a urlare aspettando l’entrata del cantante. Iniziano a suonare un intro finchè dalla cima del palco scende lui, attaccato un filo, fino al centro della pedana, illuminato dalla luce. Un’entrata incredibile. “I’m Robbie fuckin’ Williams”: questa è la frase che da inizio al concerto e alla prima canzone della serata. Il pubblico si trasforma in un’onda unica che segue in ogni cosa il cantante che sa come intrattenere il suo stadio. La scenografia che si presenta è spettacolare: fiamme che sputano fuoco verso l’esterno, coriandoli, luci. Dalla pedana di sinistra esce, trasportato da un meccanismo mobile, il busto argentato raffigurante la faccia di Robbie, proprio come nella copertina del suo ultimo album “Take the Crown”.

La mia euforia è a mille, sono preso dal concerto, da lui e da tutto lo stadio che si muove, canta a squarciagola. Quando Williams esegue la cover di “Minnie the Moocher” di Cab Calloway lo stadio esplode ripetendo l’oramai ritornello tanto famoso. Ancora più sorprendente è la performance di “Kids” introdotta dal riff di chitarra famoso di “Back in Black” degli AC/DC. Proprio quando la chitarra si ferma, entra Olly proprio per cantare con Robbie. Uno su una pedana ciascuno, si divertono un mondo, cantano non steccando, muovendosi accompagnati dalla voce spettacolare di tre coriste; il duo è eccezionale. Posso dire di avere avuto i brividi per questa esibizione.

Le sorprese non finiscono qui: dalla parte destra del palco spunta, sempre su un meccanismo mobile, un mini palco al cui centro c’è un altro busto della faccia di Robbie, questa volta con la lingua di fuori, come la faccia che fa sempre Simmons dei Kiss. Sempre su questo palco piccolino, dove ora il busto sputa fuoco, parte “Bodies”, primo singolo del penultimo lavoro di inediti ovvero “Video Killed the Radio Star”.Finita la canzone(e qui si vede la pazzia della popstar), dopo aver aiutato le coriste a scendere dal mini stage, prende il suo chitarrista lo bacia e da quel momento parte un’altra cover:”Walk on the Wild Side” di Lou Reed seguito poi da un classico, risalente all’era dei Take That.

Col pretesto di non essere più solo (come, dice lui, nel tour del 2006) fa salire sul palco una ragazza, Chiara, di 23 anni. Camminando per il palco la giovane si fa vedere scioccata, felice, piangente, davanti a 75.000 persone. Robbie la porta su un letto, scherzano, ridono, lui la bacia sulla guancia, la ringrazia e iniziano a cantare coinvolgendosi a vicenda tanto da far cantare strofe di “Strong” proprio a lei che tira fuori una voce spettacolare. Tutto ciò fa sembrare quel momento, anche per chi non ha avuto la fortuna di salire sopra al palco, unico e indimenticabile. Le canzoni si susseguono una dopo l’altra, questo a significare la infallibile resistenza vocale dell’artista. Il concerto è anche seguito da momenti ironici come quando prende una chitarra, un foglio, spiegando che vuole dire qualcosa in italiano: ”Ti amo Italia e ho un pene grosso, ti amo”.

Con “Sexed Up” tutto lo stadio s’immerge in un’atmosfera tenera e romantica fin quando Robbie non lo interrompe annusando l’aria e dicendo: ”Sento odore di erba. Qualcuno ha della marijuana? Passatela, voglio fumare”. Dopo questa piccola parentesi simpatica si susseguono “Me and My Monkey” e “Candy”, primo singolo del nuovo album di Williams. Ci sono trombettisti in mezzo al palco, coriste sulle pedane e una popstar che non sta ferma un attimo. Un altro mash-up salta fuori, ovvero quello di “Hot Fudge” e un classico “Rudebox” finchè non si cede la palla a “Rock Dj”, canzone che fa precipitare lo stadio in un’immensa discoteca, piena di luci.

Ecco la pausa, sia per lui che per noi; il pubblico richiede la presenza sul palco di Robbie Williams per un encore. In effetti la “sobrietà” del concerto non finisce lì in quanto, sempre da destra, esce un altra faccia gigante illuminata del cantante, con bocca spalancata, con lui all’interno che canta “Feel” per poi sentirsi ripetere dal pubblico la frase famosa della canzone: ”i just wanna feel real love”.
Con la sua giacca rossa, Robbie ci ringrazia, si complimenta per lo stadio che, secondo lui, è il più bello del mondo e si fa aiutare a cantare quelle note alte di “She’s the one”, altro classico della sua carriera. Si ritorna in quell’atmosfera romantica, particolare e unica, fino all’ultimo pezzo.”Angels”, a mio modesto parere, è la canzone più bella che lui abbia mai scritto: tutto lo stadio canta, lui ci fa ripetere ogni singola parola, insomma brividi dall’inizio alla fine.Fuochi d’artificio, assolo di chitarra, Robbie inizia a ringraziare la sua band, il pubblico e alla fine della canzone, s’inchina con gli altri componenti per poi rifarci cantare a cappella, assieme a lui, il ritornello dell’ultima canzone.

Non ha badato a spese il ragazzo per questo tour e quello che viene fuori da ciò che si vede e da ciò che fa lui è che veramente Robbie Williams è il re del pop e su questo non ci si discute.

Photogallery di Andrea Migliorati

Set list:
Hey Wow Yeah Yeah
Let Me Entertain You
Monsoon
Not Like the Others
Minnie the Moocher (Cab Calloway cover)
Kids (con Olly Murs)
Sin Sin Sin
Bodies
Come Undone ( + cover Take a Walk On The Wild Side di Lou Reed)
Everything Changes (brano dei Take That)
Strong
Gospel
Be a Boy
Millennium (acoustica)
Better Man
Sexed Up
Me and My Monkey
Candy
Hot Fudge / Rudebox
Rock DJ
Encore:
Feel
She’s the One (World Party cover)


Angels

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L’attesa creata dal ritorno dei Blur in Italia era di quelle con pochi precedenti: la band formata da Damon Albarn,Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree è tra quelle che ha certamente accompagnato una generazione, quella di chi è cresciuto negli anni ’90, ma che, con i suoi pezzi è riuscita a sopravvivere anche al suo stesso scioglimento (o congelamento, per meglio dire) diventando molto amata anche tra chi dal vivo negli anni ’90 non poteva vederla live per motivi di età.

Ecco dunque che l’Ippodromo delle Capannelle di Roma era stracolmo in attesa di un evento che si preannunciava come unico o quasi (pare che i Blur non vogliano infatti incidere nuovi album): la loro attesa è stata ampiamente ripagata.

Da poco passate le 22 i Blur sono saliti sul palco carichissimi e dando vita ad uno show adrenalinico, con un Damon Albarn davvero in formissima, che non si fermava mai, saltellando da una parte all’altra del palco e lanciando acqua per rinfrescare le prime file; l’atmosfera si è poi scaldata subito grazie a una scaletta che è stata un vero e proprio best of della band, fin dall’introduttiva “Girls & boys”, seguita subito da “Popscene” e “There’s no other way”, che hanno mandato in delirio il pubblico.

Graham Coxon non ha fatto mancare le svisate con la sua chitarra, ipnotica e sognante quando si è trattato di far rivivere classici come “Caramel” o “Tender” e “To the end”, suonate una dietro l’altra e che, a mio avviso, sono state il vero apice della serata.

“Country house” e “Parklife” hanno rimesso al centro il ritmo, confermandosi dei veri e propri inni generazionali, cantati a squarciagola da tutti.

Nel bis sono arrivate “The universal”, davvero strepitosa, e “Under the westway” oltre a “For tomorrow”.

In chiusura non poteva ovviamente mancare “Song 2”, asciuttissima, 2 minuti di pura libertà e divertimento che, messi in chiusura, hanno prosciugato le restanti energie del pubblico, sorridente e saltellante come non mai.

Insomma, i Blur non hanno deluso regalando una cavalcata nel loro mondo e in quella che certo è ormai storia della musica (almeno per gli anni ’90).

Vedendoli così in forma, viene da pensare….ma davvero questa band ha già detto tutto e con un nuovo disco rischierebbe di ripetersi?

 

Se non fosse stato per il caldo torrido che si respirava, si sarebbe potuto tranquillamente dire che eravamo in Islanda; già, perchè la band capitanata da Jonsi Birgisson riesce ogni volta ad ammantare i luoghi in cui si esibisce di un alone di magia tutto personale, qualcosa di unico e di evidentemente riconducibile al magico luogo da cui provengono.

Stavolta ho avuto il piacere di assistere a dei Sigur Ros oscuri come non mai, il che era dovuto alle sonorità del loro ultimo lavoro, “Kveikur”, che indubbiamente proietta la band verso lande sonore più cupe e, per certi aspetti, più rock.

Queste sonorità, eseguite in modo perfetto da Jonsi e soci, per quanto l’acustica di piazza Napoleone non sia delle migliori in alcuni punti (forse è dovuto all’impianto più che alla piazza?) hanno, se possibile, esaltato ancora di più quelli che definisco i “momenti di luce abbagliante”, che fanno parte della storia dei Sigur Ros: brani come “Glosoli” e “Hoppipolla” (come sempre attesissima e amatissima) sono parsi ancora più spettacolari e luminosi, il tutto coadiuvato da una grafica che, sul maxischermo che faceva da sfondo al palco, proiettava giochi di luce e paesaggi islandesi, assolutamente delle meraviglie della natura.

Insomma il concerto dei Sigur Ros è stata la solita esperienza sensoriale a tutto tondo, qualcosa che regala emozioni e sensazioni uniche e che riesce davvero a far dimenticare i propri problemi o i rumori del mondo, regalando un paio d’ore di pura, straordinaria bellezza.

 

Scaletta Sigur Ros 2013

Yfirborð
Vaka
Ný Batterí
Kveikur
Hrafntinna
Sæglópur
Fljótavík
E-bow
Varúð
Hoppípolla
Með Blóðnasir
Glósóli
Brennisteinn
(Encore)
Svefn-g-englar
Popplagið

Si ringrazia D’Alessandro e Galli per l’invito.

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Questa non sarà una semplice recensione su come è andato il concerto di martedì 23 luglio al Gru Village di Grugliasco (TO). Non ci saranno quattro parole su chi c’era e chi non c’era o su come si sentiva l’audio, questa sarà la mia personale e colorata visione di uno spettacolo assurdo, osservato con gli occhi di una ragazza che aspetta da 14 anni di vedere gli Skunk Anansie dal vivo.

L’adrenalina e l’attesa spasmodica la percepisco nell’aria già nel tardo pomeriggio, quando arrivati al Gru Village per cenare con i colleghi fotografi, o forse dovrei dire fratelli, mi accorgo che siamo tutti in preda alla stessa euforia; ma di quell’euforia sana, di quell’agitazione pre-concerto che ti carica e ti fa entrare nel pit con l’energia di un leone. Eh sì, perché per questo live la parola d’ordine è ‘Energia’.

Sparite le sedie dalla platea, si fa spazio al pogo, tutti in piedi, alle 22.30 il pubblico inizia ad acclamare Skin e soci, si spengono le luci e il giro di chitarra attacca già con una canzone storica, ‘The Skank Heads’, tratta dall’album “Post Orgasmic Chill”, ed lì che scatta il delirio! Una pantera avvolta in trasparenze e paillettes argentate inizia a saltare impazzita sul palco, una esplosione di voce che arriva dall’anima e una mandria di suoni che arrivano dal suo branco. Cass Lewis, imponente, con il suo testone di rasta e il suo mezzo cilindro come cappello, che con il suo basso argentato in spalla diffonde onde di vibrazioni rock all’ennesima potenza. Ace, alla chitarra, con quei riff spigolosi e tirati, quei giri di accordi che fanno da pura armonia per quelle canzoni. E poi c’è lui, Mark Richardson alla batteria, martella per quasi 2 ore di musica, un muro ritmico che ha il solo potere di farti saltare e ballare. Ecco le fondamenta degli Skunk Anansie.

E mentre Skin continua a volare da una parte e l’altra del palco partono i due successivi pezzi tratti dall’ultimo “Black Traffic”: ‘I will break you’ e ‘I believed in you’, aggressivi quanto basta per continuare a saltare. Ma noi fan di vecchio stampo non possiamo fare altro che attendere e poi esultare come dei tifosi alla finale dei mondiali, quando riconosciamo le prime 4 note di ‘Secretly’ e ‘Twisted’. Urlare a pieni polmoni, tentando, inutilmente aggiungerei, di arrivare alle note alte di Skin. Pessimi risultati per le orecchie del ragazzo capitatomi accanto ma tutto sommato quando ci si accorge che anche lui sta provando a raggiungere quelle note così alte, ci si sente parte di un unico grande sfogo e coro!

Ma la serata è ancora lunga, l’energia di questa donna ancora non è uscita del tutto; è sulla canzone ‘Weak’ che inizia lo show di Skin tra il pubblico: aiutata da un po’ di fan e un po’ di security, scende dal palco e inizia letteralmente a camminare sul pubblico. Sì, avete letto proprio bene, camminava sulle teste, spalle e sull’entusiasmo dei suoi fan, una scena da restare senza parole, le uniche parole contemplate e urlate saranno, ancora una volta, quelle del testo della canzone.

Nella scaletta han continuato ad alternarsi brani recenti con brani più vecchi ma è su ‘Charlie Big Potato’ che sembra quasi che tutti saltino all’unisono, o forse è una mia impressione presa dall’eccitazione del momento, ma mi sembra davvero di far parte di un unico grande movimento.

Per il bis, viene proposta anche la più tranquilla ‘You follow me down’, ma è con l’ultima canzone, ‘Little Baby Swastika’, che Skin lascia tutti a bocca aperta: riesce a convincere il pubblico a sedersi, a mollare i cellulari e godersi il momento, si crea un varco a centro platea e la cantante scende tra i  fan. Ai suoi piedi un tappeto di persone che la guardano estasiati e sorridenti, al centro solo lei, senza nessuna guardia del corpo: si fida dei suoi fan, saltano e cantano insieme, fa parte di loro. Skin sparisce tra la folla e ricompare in piedi al mixer, chiede un vero e proprio passaggio per ritornare al palco, fa alzare le mani a tutti e si fionda per il più figo e lungo stage diving visto nella mia vita! Mano dopo mano, rotolandosi tra la folla arriva al palco per un’ultima strofa e per i saluti finali.

Ma la festa per me e altri pochi fortunati continua nel backstage, all’aftershow: con il resto della band, ci cimentiamo in foto, tante risate e tentativi di spiegare in italiano a Cass “TU SEI UN FIGO”. Skin, invece, si lascia desiderare e attendere, esce per qualche minuto, è molto stanca e si vede, rispettiamo il suo stato, in fondo ci ha solamente regalato una serata indimenticabile, e dopo averla ringraziata e ammirata da molto vicino, ce ne torniamo a casa con un sorriso a 2000 denti e con una sola domanda, che continuiamo a rivolgerci: “che ne pensi se andiamo anche a Cattolica domani per rivederli ancora?!?”. Solo i grandi concerti ti invogliano a seguirli anche in capo al mondo!

Ringrazio di cuore SetUp Live, Adfarmandchicas, Gru Village, Live Nation e Propapromoz.

Setlist

The Skank Heads (Get Off Me)
I Will Break You
I Believed in You
God Loves Only You
Secretly
Twisted (Everyday Hurts)
I’ve Had Enough
My Ugly Boy
Weak
Hedonism (Just Because You Feel Good)
My love will fall

This Is Not a Game
I Can Dream
Spit You Out
Because of You

Political
Charlie Big Potato

Encore:
Tear the Place Up
Follow me down
Little Baby Swastika

Photogallery a cura di concertionline.com
All rights reserved © Jessica Carpentieri

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“Corde: concerto per sole chitarre” | Alessandro Mannarino
con
Fausto Mesolella
Tony Canto
Alessandro Chimienti

 

Molfetta. Sabato 20 luglio 2013. ALESSANDRO MANNARINO, stornellatore moderno e cantautore metropolitano, accompagnato sul palco dai grandi chitarristi Fausto Mesolella (Avion Travel), Tony Canto e Alessandro Chimienti, dà nuova vita alle sue canzoni, interpretate per la prima volta in chiave acustica.

Ad aprire le danze Snerv. Timbro possente, ritmo travolgente, tematica impertinente. Il pubblico piacevolmente perplesso, tra il serio e il faceto, partecipa divertito e applaude complice.

Acclamato a gran voce e con cori da stadio fa il suo ingresso Mannarino, er poeta de’ noantri. Il palcoscenico è un tripudio di chitarre, un trionfo di corde. “Chi entra nella giungla delle sei corde non ne esce vivo” ed è proprio così. E’ un attimo entrare nel turbinio di emozioni suscitate dal pizzicare incessante delle corde. Si inizia con Rumba Magica in cui ci viene svelato il segreto della felicità: “sotto le sottane delle suore sta sepolta la felicità”. Serenata Silenziosa è uno spaccato di quotidianità periferica, sospeso tra realtà e immaginazione, “questo è er tempo in cui chi ce guadagna è chi sta zitto”. Non c’è posto nel Vangelo secondo Mannarino né per santi né per eroi. I riflettori del suo teatro-canzone sono puntati su poveri cristi, peccatori bistrattati e amanti esiliati, come Giuda e la Maddalena. “Dio non mi fai paura, tu che hai fatto un figlio senza far l’amore, che vuoi capirci di questa fregatura?”. L’onda della vita è fragorosa e travolge i suoi bizzarri personaggi facendoli andare nell’unica direzione possibile: controcorrente. Un superbo monologo teatrale lo vede poi recitare e cantare rinchiuso dentro una gabbia. E’ la sua personale dedica ai detenuti di Rebibbia. Se stare in galera facesse diventare buoni – dice – si chiamerebbe bontà, mica cattività! Con ballate e ritmi folk il Nostro descrive un’umanità ai margini della disperazione come in Svegliatevi Italiani, inno dell’Italia in crisi: “pure l’aria pura va pagata”. Ne L’ultimo Giorno dell’Umanità viene cantata la vita e la morte, suscitando un riso amaro, perché in fondo il filo rosso è proprio il bisogno di un’ipotetica fine del mondo per parlare di altre piccole fini del mondo, personali e intime: “andando per le strade si nasce e si muore, io ti ho amata per sempre e ti ho avuta per due ore”. E poi, sulle note di uno sfrenato swing, ci sono personaggi come Marylou, la donna del porto che “balla con l’abito corto” spezzando il cuore a tutti i marinai e a tutti i maritati. E per fortuna c’è sempre l’amore, un amore pieno, passionale, ma anche sofferto come nella straziante Statte Zitta: “che ne sai tu de quello che sento, c’ho na fitta ma nun me lamento, nun me lamento”. E con Quando l’Amore Se Ne Va “partono le rotelle”, sì, a tal punto che gli intrecci tra le chitarre e i giochi di sguardi tra i musicisti fanno nascere la voglia di tirare in ballo altre suggestioni, divertendosi e divertendoci, a ritmo dance di The Rhythm Of The Night (Cascada). L’eccitazione del pubblico è un crescendo direttamente proporzionale alla gioia progressiva dei musicisti, sbigottiti dinanzi a quella folla calorosa e acclamante. La splendida e bravissima corista Simona Sciacca accompagna, leggiadra, le note de La Strega e il Diamante in un mix siculo-romanesco da brividi. E’ una climax ascendente di euforia, generale e contagiosa, che raggiunge l’apice con brani (in ordine sparso) come Scetato Vajò, Serenata Lacrimosa, Osso di Seppia, Tevere Grand Hotel e – dulcis in fundo – il Bar della Rabbia, un inno alla vita nonostante la sfortuna, le delusioni, i rifiuti, le raccomandazioni, le preghiere mai ascoltate. Ahia! “Poi me fermo e penso: però che bella sta bella fregatura”. E come in un concerto hard rock, sotto gli sguardi increduli della gente, Mannarino distrugge la chitarra. La disinvoltura e la naturalezza lo rendono un ‘animale’ da palcoscenico e trasformano, piano piano, un concerto così affollato in un raccoglimento da schitarrata con gli amici. I finali sono sempre più goduti e allungati, come a non volersi dire addio. Si avverte sulla pelle la forte empatia tra Lui e il suo pubblico festante. E mentre Dio ha voluto essere adorato – riflette Mannarino – l’uomo è fatto per adorare l’altro. Me so’mbriacato è forse la canzone più conosciuta dal grande pubblico che, come un coro ubbidiente e sgangherato, la intona a gran voce sotto la sua abile direzione. La piazza gremita esplode all’unisono sul ritornello: “me so’mbriacato de ‘na donna, quanto è bono l’odore della gonna, quanto è bono l’odore del mare, ce vado de notte a cercà le parole”. Mannarino conclude il concerto con una considerazione: c’è un momento in cui gli alberi danno il polline, per natura, e propagano la vita ed è come se in questo momento i giovani sono alberi pieni di polline, ma questo polline casca sul cemento. Questa – dice – non è una canzone politica, è una canzone che parla dell’umanità. E di chi si ribella alla violenza. Alla violenza! In Turchia stanno con i fumogeni e i gas chimici, in Egitto i giovani stanno lottando contro la teocrazia che li vuole riportare al medioevo, in Brasile stanno rinunciando al loro Dio, al calcio… Noi in piazza non ci stiamo andando, però questa canzone la possiamo cantare assieme stasera: Bella Ciao. Gran finale, poi, con Vivere la Vita: “con le idee puoi cambiare il mondo, ma il mondo non cambia spesso, allora la tua vera Rivoluzione sarà cambiare te stesso! […] Posso dirti una cosa da bambino? Esci di casa! Sorridi! Respira forte! Sei vivo! Cretino”.

Un grande evento nel centro di Molfetta promosso da: Fondazione Musicale Vincenzo Maria Valente, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia. Con il patrocinio del Comune di Molfetta. E con l’adesione di Provincia di Bari, Camera di Commercio di Bari, Fashion District Molfetta. In collaborazione con: Bass Culture srl, Confcommercio Molfetta.

 

Live Report a cura di Marianna McFly Castellano

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Continuano i grandi nomi per la rassegna musicale del Gru Village. Dopo il successo al Teatro Romano di Verona, lunedì, 22 luglio, è andato in scena per il pubblico torinese Steve Hackett con il suo “Genesis Revisited World Tour”.

Location gremita di gente, fino all’ultima sedia occupata, un sold out che fa intendere quanto sia amato e apprezzato questo artista. Alle 22 in punto si spengono le luci e sull’intro di ‘Watcher of the skies’ tutte le attenzioni sono sul tastierista, Roger King,  mentre sullo sfondo 3 schermi proiettano costellazioni e stelle in movimento. Distratta dall’atmosfera non mi accorgo che anche tutti gli altri componenti sono sul palco, si intravede la figura di Steve a centro palco, alla sua destra il cantante, Nad Sylvan, e il clarinettista e ritmica Rob Townsend, alla sua sinistra bassista Lee Pomeroy e batterista Gary O’Toole.

Ciò che attira la mia curiosità è il cantante: alto, biondo e vestito con un lungo cappotto, in mano ha un cannocchiale e scruta tra la folla, tra le stelle in cielo e quelle sugli schermi. Per tutto il resto del concerto, proprio lui, spesso attirerà la mia attenzione con i suoi movimenti e i suoi gesti, oltre che per la sua voce; un atteggiamento quasi teatrale che in un contesto come quello della musica concettuale dei Genesis calza a pennello.

Ma la star della serata è stata senza ombra di dubbio Steve Hackett: al centro palco, con la sua fiammante chitarra e con diversi sorrisi regalati ai fans. La prima sorpresa della serata è stata sentirsi presentare in italiano la seconda canzone ‘Dancing With the Moonlit Knight’: il brano è stato introdotto con le prime strofe a cappella facendo andare subito in estasi il pubblico, che la canta a pieni polmoni. Con ‘Fly on a Windshield’ cantata, invece, dal batterista, l’atmosfera è diventata più corposa, si viene totalmente rapiti dal suono e dai bassi che si sentono vibrare dentro.

Il resto della  scaletta, per le due ore di concerto, ha ripercorso molta storia di questo gruppo storico: ‘The musica box’, I know what I like’, ‘Dance on a Volcano’ per poi arrivare al bis con ‘Firth of fifth’ e ‘Los Endos’.
Un concerto dove si sono alternati momenti di musica quasi sussurrata a forti esplosioni di energia e passione; un live che ha visto standing ovation e applausi scroscianti già dalla quarta canzone in poi. Un pubblico molto attento che non aspettava altro che di rivivere i Genesis ancora una volta.

Si ringrazia Gru Village, Hiroshima Mon Amour e Adfarmandchicas per l’invito.

Photogallery dell’evento di Marco Cometto

Setlist

Watcher of the Skies
Dancing With the Moonlit Knight
Fly on a Windshield
Broadway Melody of 1974
The Musical Box
Blood on the Rooftops
Unquiet Slumbers for the Sleepers…
…In That Quiet Earth
Afterglow
I Know What I Like (In Your Wardrobe)
Dance on a Volcano
Supper’s Ready

Encore:
Firth of Fifth
Los Endos

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Ancora musica progressive per il Gru Village Festival. A fare il sold out ci pensa Alan Parsons con il suo Live Project.

Archiviate le sonorità swing di Gualazzi, si ritorna alla musica d’autore, quella storica degli anni ’70. La formazione per l’occasione si presenta composta da 7 elementi: Alan Parsons (chitarra, voce, tastiere) al centro del palco sul una pedana, Tom Brooks (tastiere), Danny Thompson (batteria), Guy Erez (basso), Alastair Greene (chitarra), Todd Cooper (voce e sax) e alla voce Kip Winger, il famoso leader del gruppo heavy metal statunitense “Winger”.

Ma stasera l’attenzione è tutta su Alan: passato alla storia per essere stato l’ingegnere del suono di uno dei capolavori di tutti i tempi, “The dark Side of the moon”, ha poi saputo ritagliarsi una importante carriera solista basandola soprattutto sulla sperimentazione di suoni sintetizzati miscelati a strumenti e arrangiamenti classici, un vero e proprio ambizioso progetto musicale.

I Robot’ è la prima canzone della serata: un tappeto di suoni elettronici e psichedelici che si rincorrono e si stuzzicano, per sonorità che ricordano, decisamente, le sue collaborazioni con i Pink Floyd. Dal secondo brano in poi entra in scena anche Kip Winger per completare la musica con le parole: si passa da brani famosi e meno famosi, come ‘Don’t answer me breakdown’, a ‘Lucifer/Mammagamma’, da ‘Psychobabble’ alla tanto attesa e disco di platino ‘Eye in the sky’.

Più di una volta durante il live il pubblico è scattato in piedi per un applauso, per una vera e sentita standing ovation: gli spettatori hanno sentito questo impulso tutti insieme, senza influenzarsi, sia alla fine di alcuni brani che dopo alcuni assoli eseguiti magistralmente.

Personalmente ho vissuto la serata con occhi curiosi, assaporando una visione diversa e nuova del rock progressivo, ma per il resto del pubblico è stato un vero e proprio tuffo nel passato; tra i visi felici e quelli attenti, si è potuto scorgere i nostalgici con gli occhi lucidi, ricordi di vita vissuta, amori e giovinezza che hanno avuto come colonna sonora proprio le magiche note di Alan Parsons.

Si ringrazia Gru Village, Hiroshima Mon Amour e Adfarmandchicas per l’invito.

Per la Photogallery del concerto, ecco il link

Setlist

I Robot
Damned If I Do
Don’t Answer Me Breakdown/Raven,
Time,
La Sagrada Familia,
I Wouldn’t Want To Be Like You,
Turn Of A Friendly Card (suite side A: Turn of a friendly card part 1, Snake Eyes, The Ace Of Swords, Nothing Left To Lose, Turn of a friendly card part 2),
What Goes Up,
Lucifer/Mammagamma,
Psychobabble,
Don’t Let It Show,
Prime Time,
Sirius/Eye In The Sky,
Encore:
Dr Tarr And Prof Fether Old & Wise,
Games People Play

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Appuntamento al Gru Village per un nuovo live, questa volta a far divertire il pubblico ci pensa Raphael Gualazzi. Prosegue il tour del giovane cantautore e pianista in giro per l’Italia e per questa tappa torinese abbiamo anche noi l’occasione di seguirlo e apprezzarlo.

Dalle disposizioni delle sedie in platea, l’organizzazione prevede tanta gente ed effettivamente poco prima delle 22 sono già tutte occupate da appassionati del genere e fan. La scenografia è decisamente essenziale, quello che ne risulta è l’idea di concentrare tutto lo show sulla musica e nient’altro; degli specchi curvati sovrastano il palco, come a riflettere il suono, le luci ma anche per far sentire il pubblico parte dello show. Un pianoforte al centro della scena, ai suoi lati basso/contrabbasso e alla parte opposta la chitarra, sullo sfondo su una pedana rialzata con 3 coriste, 3 fiati e la batteria.

Il giovane talento marchigiano rapisce tutti con la sua musica, un po’ meno con la presenza scenica; ragazzo molto timido e riservato, non riesce ad esternare con le parole ringraziamenti o a fare “amicizia” con il suo pubblico, si limita a sorridere e soprattutto a suonare. Sì, perché suonare e cantare è quello che sa fare meglio, lì la timidezza non può scalfirlo, le sue passioni musicali, che si mescolano nei suoi dischi, prendono perfettamente vita anche sul palco. Le melodie passano impercettibilmente dal jazz al rock, dal pop alla musica classica, dal soul al gospel, suoni che caricano l’aria di una energia intensa e travolgente.

L’aggressività che ha sul palco resta però circoscritta alla musica; tutt’altra persona quando si presenta tra i fan che lo acclamano a fine concerto. Gualazzi firma autografi e si presta a foto ricordo con i presenti pur restando discreto e modesto, sorride anche se è visibilmente stanco e solo dopo aver accontentato tutti si congeda con un semplice “Grazie”.

Si ringrazia Gru Village, Hiroshima Mon Amour e Adfarmandchicas per l’invito.

Photogallery Marco Cometto

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Che Thom Yorke non fosse una persona ordinaria l’avevamo già intuito da tempo, ma ieri sera, sul palco milanese dell’Ippodromo del Galoppo ne abbiamo avuto la conferma: se i “terrestri” infatti, sono soliti coltivare hobby sportivi o decoupage, l’artista di Oxford – per trascorrere il tempo libero che l’impegno non indifferente coi Radiohead gli concede – preferisce dedicarsi a passatempi  un po’ meno gettonati, e ha pensato bene di mettere in piedi niente meno che agli Atoms For Peace.
La nuova creazione dell’eclettico autore britannico – senza dubbio uno dei più importanti degli ultimi vent’anni – è una costola dei suoi progetti paralleli senza esserne una copia o una derivazione. L’album d’esordi o “Amok”, dato alle stampe nel corso di questo 2013, è sicuramente valido e importante: lo ha potuto constatare dal vivo  il pubblico romano nella serata di martedì 16 luglio, e ne ha avuto la prova anche quello meneghino nel corso della serata successiva.

A scaldare l’entusiasta folla ci hanno pensato gli Owiny Sigoma Band, proponendo un repertorio coinvolgente ed eterogeneo. Dopo un breve set della formazione di apertura, verso le 21.30 i protagonisti della serata hanno fatto la loro acclamata comparsa: oltre ad uno scatenatissimo Yorke, Nigel Godrich (tastiere, chitarre e cori) il batterista Joey Waronker (collaboratore di R.E.M. e Beck) e il percussionista Mauro Refosco (Red Hot Chili Peppers, David Byrne e Bryan Eno), è stato Flea dei Red Hot Chili Peppers a tenere banco, con un basso importante tanto quanto la sua indubbia presenza scenica.
A “Before your very eyes” è toccato l’arduo compito di aprire la scaletta di un memorabile concerto, caratterizzato da brani tratti dal primo lavoro di questa eccellente formazione (“Ingenue” e “Amok” su tutti), ma anche da alcuni omaggi alla carriera solista di Thom Yorke ed al suo disco “The eraser”, datato 2006. Dopo pochi pezzi i maxi-schermi laterali sono stati oscurati, per dare spazio al solo palco e ai suoi eccellenti ospiti: in conclusione, sembra che il leader dei Radiohead si senta molto più alleggerito e divertito nei panni di frontman di un progetto discografico così recente ed ancora poco conosciuto. Possiamo dire però che la sagacia artistico-melodica è rimasta la stessa, così come l’entusiasmo e la volontà di combinare alla perfezione elettronica e rock senza mai cadere nel banale, e sicuramente chi era presente ha potuto rendersene conto.

Atoms for peace – Setlist 17 luglio 2013: Milano, Ippodromo del galoppo

 

BEFORE YOUR VERY EYES

DEFAULT

THE CLOCK

INGENUE

STUCK TOGETHER PIECES

UNLESS

AND IT RAINED ALL NIGHT

HARROWDOWN HILL

DROPPED

CYMBAL RUSH

………………..

HALLOW HEART

FEELING PULLED APART

THE ERASER

AMOK

—————-

ATOMS FOR PEACE

BLACK SWAN

Una serata di quelle che si scordano difficilmente, quella che è andata in scena mercoledì 17 luglio in piazza Napoleone a Lucca, nell’ambito della ricchissima edizione 2013 del Summer Festival: a salire sul palco due band giovani ma già famosissime e stimatissime in tutto il mondo; prima i Black Rebel Motorcycle Club, reduci da alcune acclamatissime date da headliner nel nostro Paese e in chiusura quei The Killers che non hanno ormai più alcun bisogno di presentazioni.

Partiamo dal terzetto di San Francisco, in Italia per presentare l’ultimo lavoro “Specter at the feast”: Peter Hayes e Robert Levon Been schitarrano a dovere, ottimamente coadiuvati dalla batterista Leah Shapiro, sprigionando tutto il loro sound, che varia dal blues al garage rock, senza disdegnare sferzate folk.

Robert imbraccia spesso la chitarra come un mitra, sparando note vigorose nelle quali la sua voce si incunea, devastando una platea che, in buona parte, non conosceva i loro brani, ma ne rimane senza dubbio affascinata: si susseguono brani come “Ain’t no easy way” o “Beat the devil’s tattoo” e alcune canzoni tratte dal nuovo lavoro, che si conferma sulla strada già per loro fortunata, mescolando noise, shoegaze, folk e garage rock per creare una miscela infuocata, 45 minuti di riscaldamento di qualità, ideali nell’attesa di Brandon Flowers e soci.

I Killers salgono sul palco che sono appena passate le 22 e subito investono la piazza con un’onda di energia e di ritmo esagerata: “Somebody told me” sparata così a bruciapelo non se l’aspettava nessuno e subito cominciano le danze!

Flowers è tarantolato, si muove da una parte all’altra del palco, salendo anche sugli amplificatori e mostrando una forma fisica invidiabile, unita ad una grandissima voglia di deliziare il pubblico italiano, che lo fotografa armato di cellulari e quant’altro (mentre la band non ha voluto fotografi di alcuna testata sottopalco).

“Spaceman” viene intonata da tutti a squarciagola, così come avverrà poi con altri brani quali “Miss Atomic Bomb”, su cui è lo stesso Brandon a invitare il pubblico ad accompagnarlo; da sottolineare l’intonazione del frontman dei Killers, davvero straordinaria per tutta la durata del live, unita, lo ripeto, a una dose di energia impressionante.

Il nostro trova anche il tempo per una captatio benevolentiae del pubblico (come se ne avesse bisogno) cimentandosi con un paio di frasi in italiano e pure con una cover di “Nel blu dipinto di blu”, nella versione inglesizzata di Dean Martin, che ovviamente lascia tutti a bocca aperta.

A proposito di cover, non è mancata nemmeno “Shadowplay”, piacevole intervallo in una serie di singoloni da paura sfornati dai Killers, per la gioia di noi tutti: “Human”, “Read My Mind”, “All these things that I’ve done” ma anche “Flash and bones” e una super melodica “Dustland Fairytales”.

Tutto questo già basterebbe per definire questa serata fantastica…invece arriva pure il bis, con “Jenny was a friend of mine”, “when you were young” e l’immancabile e attesissima “Mr. Brightside”.

Alla fine del live facce stravolte e sguardi svuotati ma felici, le ore di attesa sono state ampiamente ripagate da quello che certamente è uno dei migliori concerti del 2013.

Lunga vita ai Killers!

Si ringrazia D’Alessandro e Galli per l’invito.