Recensioni

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Venerdì 21 marzo 2014 al Demodè club prima data pugliese de “Il nuovo tour dei Nobraino”, con il quale si presenta al pubblico “L’ultimo dei Nobraino”, quarto album della band romagnola.

Alle 23.15 iniziano i primi cori che, scandendo il nome dei nostri, chiamano a gran voce il gruppo sul palco per dare il via alla serata.  Un sempre più costante afflusso di persone riempie il demodè, finché, alle ‘dodicimenounquarto’,  Fabbri, Barbatosta, Bartok e il Vix si posizionano agli strumenti ed iniziano il soundcheck. Tutti quindi meno Kruger, che entra in scena solo dopo essere stato accolto dalle note de “Il muro di Berlino” e dall’entusiasmo generale. L’impatto visivo è sorprendente: l’abbigliamento sopra le righe, le luci, i props, ricreano un ambiente colorato, disimpegnato ed euforicamente coinvolgente. L’unica nota dolente è rappresentata da uno scarso volume del microfono del cantante, la cui voce è così sovrastata dalla musica. Tant’è che il concerto inizialmente stenta ad ingranare, ci si muove ancora timidamente come imbarazzati dall’idea di lasciarsi andare. Si sentono solo dei fievoli “bla bla bla” che ricalcano le parole del testo. Dopo un paio di nuove tracce è “Bigamionista”, primo singolo estratto dall’album, a cambiare le carte in tavola: sui primi accordi di chitarra all’improvviso la folla si infiamma, si risveglia e accompagna Kruger per tutta la durata della canzone. Sull’eccitazione ormai ritrovata parte “Jacque Pervèrt” – dedicata  a tutte quelle coppie in sala ormai consolidate – pezzo che inquadra l’imbarazzo e l’ipocrisia di chi nasconde i propri feticismi sessuali per poi andare a realizzarli con partners occasionali: “Baci qui, baci là pudore e castità però poi vado a far sesso con la pornostar”. A seguire “Endorfine”, che gioca sul concetto di droga rendendolo universale e impossibile da sfuggirvi: “si droga il tipo che fa le gare con la bicicletta, si droga quello con la sigaretta e le slot machine… si droga il tale per sopportare l’ansia ed il dolore si droga l’altro che vuol dormire, si droga il nonno da quando non gli tira più l’uccello, si droga mamma per restare bella”. Ci si cimenta anche in una cover di “Hotel Supramonte” di De Andrè e a metà concerto Kruger si ritira dietro le quinte per un veloce cambio d’abito e pausa birra intervallato da Moby Dick dei Led Zeppelin. Agli occhi di tutti è ormai chiaro lo spettacolo vero e proprio del concerto, il cabaret di qualità offerto: tra dondolii sulla corda, cappelli che volano, telefoni come microfoni, i Nobraino entrano in profondo contatto con il pubblico, la quarta parete cade, è inesistente. Si passa al repertorio, ai pezzi da novanta tratti dai precedenti album, ed è una vera e propria festa: stage divings, discese dal palco con “Bademeister”, “Spider Italiana”, e l’immancabile rasatura di una “cavia” sotto le note de “Il mangiabardiere”. Qualcuno grida “Bifolco!”, ma la tromba irriverente di Barbatosta fa la preziosa e arriva solo come penultimo brano. Il concerto si chiude con “I signori della corte” e Kruger che si lascia trascinare su di una scala, ringraziando per la serata, che nonostante le premesse iniziali si è rivelata essere entusiasmante.

I Nobraino mettono in crisi gli amanti delle etichette poiché il loro stile fonde più generi insieme in uno shift di atmosfere a cui si fatica star dietro.

Speriamo davvero non sia l’ultimo.

 

Live Report a cura di Marianna McFly Castellano

Photo Credits: Annamaria Frascella

Un Alcatraz sold-out ha accolto ieri gli Zen Circus in occasione della terza tappa del trio pisano, tornato sulle scene dopo oltre un anno di pausa: Andrea Appino, Karim Qqru e Massimiliano “Ufo” Schiavelli infatti, dopo aver dato alle stampe lo scorso 21 gennaio il lavoro inedito “Canzoni contro la natura” – il terzo completamente in lingua italiana – all’inizio di marzo hanno intrapreso un tour che li vedrà protagonisti di numerosi concerti in giro per l’Italia da qui a fine aprile.  Dopo una carichissima data zero a Bologna ed un secondo appuntamento a Livorno che hanno rotto il silenzio, ieri sera è arrivato il momento di un nuovo concerto a Milano, città che ricambia sempre il gruppo con enorme affetto.

In apertura si sono esibiti Giovanni Truppi e Progetto Panico, mentre gli head-liner hanno fatto la loro comparsa on stage intorno alle 22.00. La folla, nella quale si aggiravano anche alcuni colleghi illustri quali Dente e Ministri, li ha salutati con un boato e lo show ha subito preso il via. Il nuovo brano “Viva”, tra i più riusciti del recente disco, ed è stato accolto in maniera corale e sostenuta dal pubblico, scatenato in danze e canti fin dalle prime note. Insieme a “Postumia” e “Vai vai vai” è tra i più rappresentativi di quel tipo di scrittura che ha fatto degli Zen una delle realtà più interessanti del panorama alternative italiano degli ultimi dieci anni, oltre che un’efficace e lucidamente ironica fotografia in musica di una realtà italiana al tracollo. La scaletta però è stata caratterizzata da continui salti temporali, e le chicche estratte da “Nati per subire” e “Andate tutti affanculo” non sono mancate: abbiamo infatti potuto ascoltare i pezzi che danno il titolo ad entrambi gli album ma anche, solo per citarne alcuni, “L’amorale”, “I qualunquisti”, “We Just Wanna Live”, “L’egoista” e infine “La canzone di Natale”, che Appino e soci sanno rendere adatta al momento in ogni mese dell’anno. Le sorprese sono proseguite con balzi indietro addirittura a “Villa Inferno” (“Vent’anni” e “Figlio di puttana”); inoltre  il batterista Karim, sempre rigorosamente a dorso nudo, come di consueto ha sfoderato la sua washboard scatenandosi davanti ai ragazzi delle prime file. Un divertente siparietto con le notizie del tg di Lercio ha separato la prima parte del live dall’encore, e dopo un’ora e mezza di passione, musica e risate, abbiamo dovuto arrenderci all’evidenza e avviarci all’uscita.

Con una vocazione particolare nel dare voci a paure, sensazioni e percezioni comuni a tutti (ma che pochi sanno esternare in maniera così nitida) gli Zen Circus potrebbero essere definiti un po’ poeti del nostro tempo e un po’ veggenti nel precorrere la storia in maniera azzeccata. Ad ogni modo dopo questa lunga assenza dal palco, ieri all’Alcatraz di Milano hanno saputo farsi perdonare alla grande.

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Son passati quasi tre mesi dalla mia ultima recensione che, guarda caso, riguardava una performance proprio nel luogo dove sono stato mercoledì sera: il Factory di Milano.
Il gruppo di cui ora vado a narrarvi le imprese erano previsti dal vivo ai Magazzini Generali, ma a pochi giorni dall’evento, la data è stata posticipata a dopo quella di Roma, nel locale Blackout.
Sto parlando di un gruppo nuovo, uscito da poco nel panorama musicale inglese indie ma che ha già riscosso un enorme successo; dopo vari EP pubblicati è arrivato finalmente il loro album di debutto e si sono già fatti notare aprendo, lo scorso anno, il concerto dei Two Door Cinema Club: sto parlando dei THE 1975.

Dopo esser arrivato a destinazione, ho avuto un attimo di panico non trovando nessuno davanti all’ingresso, ma tempo di chiedere a qualche ragazzo di passaggio e scopro che tutta la marmaglia di gente è già entrata, ritiro il mio accredito ed entro nel fatidico luogo dove suonò anche Tom Odell mesi fa.
Nonostante il locale fosse già pienissimo riesco a trovare posto in una posizione ottima. L’attesa sicuramente è stata snervante in quanto avevo voglia di rivederli, dopo essermi gustato il loro debutto un anno fa ai Magazzini: ero curioso di sapere se c’era stato un cambiamento o no nelle loro performance. Il gruppo d’apertura, totalmente italiano, non era male: si chiamavano WEMEN, 4 ragazzi in camicia molto carichi e anche molto simpatici.
Finita la loro performance, amata e anche un po’ odiata da alcuni, da quanto ho sentito, ricomincia l’attesa per gli headliner.
Il palco è illuminato, al centro, a due centimetri dalla batteria, una finestra, che non è altro che il logo della band sulla copertina del nuovo album; l’ingresso della band sul palco avviene proprio dai lati di quella finestra.

The 1975 è l’intro d’apertura, omonima traccia presente nel loro album di debutto. I ragazzi entrano, la folla impazzisce, li acclama, loro salutano e parte l’attacco di batteria per la canzone The City.
Ecco che proprio in quel momento le mani si alzano a ritmo di questo brano, ci si muove perché con loro è difficile non farlo: non è uno di quei concerti in cui si salta, poga; è invece il classico concerto tranquillo, ma allo stesso tempo pieno di energia traboccante da ogni amplificatore.
Le canzoni non solo provengono dal primo album, come per esempio la bellissima M.O.N.E.Y, ma anche dai vari EP pubblicati precedentemente: tutt,i e dico tutti, siamo esplosi a sentire le note di So Far ( It’s Alright) contenuta nell’EP “IV”.
Un altro momento indimenticabile è stato quando hanno suonato il loro ultimo singolo “Settle Down”, canzone che ti mette proprio voglia di muoverti a ritmo.
Ma come ci sono i momenti carichi, ci sono quelli dolci e tranquilli: Mattie, il cantante, ci ha dedicato Fallingforyou (scritta proprio tutto attaccato) e subito dopo You, provenienti tutti e due da vari EP precedenti.
La band comunque non si ferma, i 1975 sono molto carichi, con voglia di suonare e si vede anche se l’acustica certe volte dava a desiderare.
Ecco che arriva Girls, altro loro singolo, con un video a dir poco bellissimo e originale, che fa esplodere il locale: tutti ballando, cantano, alzano le mani e il gruppo è lì che suona con una carica incredibile, anche Mattie sembra preso da questa energia che arriva dal pubblico, sale su amplificatori, agita i suoi capelli che sono i più lunghi mai visti.
Le ultime tre canzoni sono forse le più conosciute: si parte con Robbers, una ballad toccante che ha messo in evidenza la particolarità della voce del cantante, seguita dal successone Chocolate. Per finire il concerto in bellezza e con tanta energia c’è Sex, canzone che parla di problemi adolescenziali e ovviamente di sesso. Le chitarre esplodono, la batteria impazzisce e il bassista si da alla pazza gioia per finire un concerto epico, molto ben strutturato e bellissimo.

The 1975 sono migliorati tantissimo, sono sbocciati in quello che è la loro vena artistica dell’electro-indie e questo gli fa onore. Sono una band che vale la pena sentire dal vivo, vale la pena comprarne gli album, perché se lo meritano e faranno molta strada. E quella strada, a quanto pare, passerà anche dall’Italia.

Live Report a cura di Gianluca Quadri

Sono circa le 21 e l’Unipol Arena di Bologna si è lentamente ma inesorabilmente riempita quasi totalmente.

L’evento di stasera era uno di quelli da segnare sul calendario bordati di rosso: Editors di nuovo in Italia, per un’unica data dopo il trionfo all’Alcatraz di Milano del novembre scorso.

Iniziano a spandersi nell’aria le note di “The Weight” e le luci si abbassano: è il loro momento.

Tom Smith e compagni arrivano sul palco completamente vestiti in nero e danno il via ad uno di quei live che lasciano a bocca aperta; il pezzo scelto per iniziare è “Sugar” e la spettacolarità insita in questa serata è subito rimarcata dalle fiamme  che, letteralmente, vengono sprigionate da dei piccoli cannoni messi sul palco e che, di tanto in tanto ravviveranno la serata, tanto per ricordare che, sì, agli Editors piace l’intima dimensione del palazzetto (e inizialmente avevano scelto addirittura il più piccolo PalaDozza, salvo poi essere inondati dalle richieste di biglietti dei fan italiani, evidentemente cresciuti oltre le loro stesse aspettative), ma sono comunque una band da grandi festival.

Dopo qualche piccolo problema per la chitarra di Justin Lockey, niente di irrisolvibile, il live riprende e inanella un trittico di pezzi “da brividi” per i fan, che si vedono snocciolare “Someone says” , “Munich” e “An end has a start” in un crescendo di ritmo ed intensità, con un Tom Smith che appare in grande forma ed esalta la folla con la sua vocalità corposa e cupa, ma capace allo stesso tempo di dinamiche pop, ovviamente pop di quello buono, di quello che fa cantare a squarciagola mentre sotto il basso di un saltellante Russell Leetch regala gioie ai nostalgici degli anni ’80 e delle atmosfere new wave.

“Formaldehyde” è uno dei punti più alti di questa serata piena di bellezza, un brano capace di scuoterti dentro, talmente tanta ne è la forza emotiva, anche se il vero momento che “fa scintille” arriva con “The racing rats”, quando davvero dal soffitto si sprigionano stalattiti scintillanti, a rendere ancora più magica un’atmosfera che già era incantevole.

“In this light and on this evening” aggiunge ritmo prima del gran finale,  con la potenza perfetta di “A ton of love” e l’amara dolcezza di “Honesty”, pezzo sul quale una pioggia di coriandoli argentati viene sparata sul pubblico, ormai in piena estasi.

Ma non è ancora tempo di andare a casa, c’è il bis, ed è proprio nel bis che gli Editors danno il meglio di sè con l’attesissima “Smokers outside the hospital doors” e una meravigliosa “Nothing”, prima di lasciare spazio a “Papillon” e salutare tutti, certi che torneranno presto in Italia.

Con questa intensità e qualità nei pezzi il loro pubblico è destinato ancora ad aumentare…che stiano puntando ad un tour negli stadi? Lo scopriremo con i prossimi dischi…Intanto, dopo questo live, non si può che ringraziarli con “una tonnellata d’amore”.

Scaletta concerto Editors Unipol Arena Bologna 28/02/2014

Sugar
Someone Says
Munich
An End Has a Start
Formaldehyde
Lights
Bullets
The Racing Rats
A Life as a Ghost
Eat Raw Meat = Blood Drool
All Sparks
In This Light and on This Evening
Bricks and Mortar
A Ton of Love
Bones
Honesty

Bis

Camera
Smokers Outside the Hospital Doors
Nothing
Papillon

 

Photo Credits: Roberto Finizio

 

Le luci si abbassano.

La forte musica di sottofondo si acquieta e parte invece quella che ha tutta l’aria di essere una “Intro” con i fiocchi.

Sono le 21.02 ed eccoli  che appaiono, uno dietro l’altro, così vicini e così maestosi, per l’ultima tappa del loro mini-tour italiano che li ha già visti esibirsi (con conseguenti sold-out) a Torino e Milano: i Depeche Mode sono tornati in città, a Bologna, di nuovo dopo qualche anno (quasi 5).

Quando Dave attacca “Welcome to my world”, stessa apertura della tranche estiva del tour (i pezzi che varieranno non saranno molti) si capisce subito che, davvero, per le prossime 2 ore saremo nel suo mondo, a farci elettrizzare e cullare dalla sua voce.

Difficile chiedere di più, soprattutto se si nota che il leader dei Depeche, pur un po’ raffreddato, è voglioso di regalare uno di quei live che non ti scordi più: eccolo lì che si toglie la giacca e si lascia andare nelle danze, sensuale e provocante su “Walking in my shoes”, quanto carismatico su “Precious”, mentre il pubblico è ormai nelle sue mani, in estasi.

Quando arriva il turno di “Black celebration” è il delirio: Dave si scatena e invita il pubblico a seguirlo, in una “celebrazione (nera)” collettiva ed esaltante, a cui ogni fan dei Depeche (ma direi della musica) avrebbe dovuto assistere.

Dave ci lascia poi entrare ancora di più nella sua intimità, con “In your room”, che lascia basiti ed emozionati, una vera chicca…e ovviamente Martin Gore non vuole essere da meno e dimostra di essere anche lui in formissima quando attacca “Slow” e “Blue Dress”, confermando una volta di più le sue abilità vocali.

Anche se, per i “devoti” di mister Gore il vero gioiello, quello che lascia sbalorditi e che non ti aspettavi di ascoltare, arriverà più avanti, con una sublime versione di “Judas”, uno degli apici della serata.

Inutile sottolineare il delirio in presenza dei classiconi, che hanno visto un Dave Gahan davvero padrone della scena, come suo solito, uno di quei frontman che fanno scuola: “Enjoy the silence” e “Personal Jesus”  hanno visto cantare tutti a squarciagola, in un magico ringraziamento a quello che i Depeche hanno rappresentato dall’inizio della loro storia musicale e che continuano a rappresentare ancora oggi.

Quanti sono i gruppi che, ben oltre i 30 anni di attività, possono dire di esibirsi ancora con questa forza, questa energia, sapendo sempre rinnovarsi e trascinare nuove generazioni di pubblico? Non molti direi.

E allora godiamoci i Depeche Mode, balliamo sorridenti su “Just can’t get enough” (e davvero…si potrebbe mai averne abbastanza? credo di no), sfoghiamoci su “I feel you” e abbandoniamoci, con le mani protese in movimento (a fare il “campo di grano” come lo chiamano i fan) su “Never let me down again” e speriamo che non ci facciano attendere troppo per il loro ritorno in Italia.

Non ci abbandonate….per troppo tempo!

Leggi anche la recensione della tappa a Milano dei Depeche Mode

Photo Credit: Roberto Finizio

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Dopo aver registrato un sold-out allo Stadio di San Siro a luglio 2013, ieri sera i Depeche Mode sono tornati a Milano in occasione del loro “Delta Machine World Tour”. Impossibile, neanche a dirlo, reperire i biglietti in cassa al Mediolanum Forum: il palazzetto è sold-out ormai da mesi. La prima cosa che colpisce arrivando sul posto, a live non ancora iniziato, e il variegato pubblico presente: attraversare con successo tre decenni di musica significa attirare ai propri concerti persone di tutte le generazioni, comprese famiglie con figli al seguito. L’attesa è breve: il boato della folla accoglie la band al completo poco dopo le 21.00 e Dave Gahan intona “Welcome to my world”, seguita da “Angel” e “Walking in my shoes”.

Le aspettative dei presenti sono alte ma il livello dello show è altissimo. Il primo motivo di questa affermazione è l’enorme repertorio della band londinese partita dai primi anni ’80, che unisce sapientemente elementi di elettronica, rock e blues, con divagazioni dark ed anche punte di raffinato pop. L’altro fattore determinante è la capacità innata di Dave Gahan di dominare il palcoscenico: pochi gruppi infatti possono vantare un frontman carismatico e dotato come lui, capace di far rimanere sempre in secondo piano persino la scenografia dall’indubbio impatto visivo firmata dal veterano Anton Corbjin. Un’altra sorpresa dal vivo è Martin Gore, che si esibisce in particolari versioni acustiche di tre brani: “Slow”, “Blue Dress” e “Shake the desease”. Passaggi chiave della set-list presentata sono anche le toccanti “Heaven”, “Behind the wheel”, “The pain that I’m used to”, oltre che la chiusura prima dell’encore con le immancabili “Enjoy the silence” e “Personal Jesus”. Con più di 100 milioni di dischi venduti nel mondo, i Depeche Mode continuano a detenere una credibilità che non è scontato conservare per così tanto tempo. La loro forza è in un certo senso basata su continue contrapposizioni: rock ed elettronica, semplicità e ricercatezza, ‘musica di testa’ e fisicità dell’esecuzione dal vivo.

Dopo due ore di musica, nel corso delle quali vengono tralasciati numerosi pezzi considerati fondamentali per ovvie questioni di tempo, la fine dello show arriva con un trittico di tutto rispetto, corredato da cori e mani al cielo, composto da “Just can’t get enough”, “I feel you” e “Never let me down again”. “See you next time” urla alla fine un Dave Gahan di poche parole, e non si tratta di un’affermazione detta a caso. Anche lui sa che chi è stato ad un loro concerto, una delle prossime volte in cui i Depeche Mode passeranno per il nostro paese si ritroverà nuovamente davanti a loro.

Dopo Torino e Milano, seguiremo anche la terza ed ultima tappa italiana che è fissata per sabato 22 febbraio a Casalecchio di Reno (BO). Nel frattempo, ecco la set-list completa della data del 20 febbraio 2014 al Mediolanum Forum di Assago (MI):

Welcome to My World
Angel
Walking in My Shoes
Precious
Black Celebration
In Your Room (‘Zephyr Mix’ version)
Policy of Truth
Slow (Martin Gore – Versione acustica)
Blue Dress (Martin Gore – Versione acustica)
Heaven
Behind the Wheel
A Pain That I’m Used To (‘Jacques Lu Cont’s Remix’ version)
A Question of Time
Enjoy the Silence
Personal Jesus

Encore:
Happy Birthday (Mildred J. Hill cover) (To Peter Gordeno)
Shake the Disease (Martin Gore – Versione acustica)
Halo (‘Goldfrapp Remix’ version)
Just Can’t Get Enough
I Feel You
Never Let Me Down Again

 

Si ringrazia Live Nation

Photo Credit: Paolo Pavan

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ROXD664 ROX2648Pop Alternativi per definizione e attitudine i Maxïmo Park approdano al nostro caro vecchio Tunnel come unica esibizione italiana del Too Much Informaion Tour,  che li vede girovagare instancabilmente con il loro Pullmann in lungo e in largo per l’Europa.

Un grazie a Vivo Concerti per averceli portati “in time” proprio dopo l’uscita del quinto disco in studio che arriva a soli due anni dall’acclamato “The National Health“.

I Maxïmo Park rappresentano una realtà molto interessante della scena Brit perché  sin dal primo disco A Certain Trigger anno 2005, hanno dimostrato di saper miscelare con sapienza molte sonorità e soprattutto di mantenere una vena “Alternative” mai pomposa e presupponente con una leggerezza pop che forse solo loro sanno interpretare.

Bisogna dire che molto del successo ottenuto soprattutto nella terra di albione è dovuto al carismatico leader e cantante Paul Smith che interpreta a perfezione la sua parte di frontman trascinando il resto della band nei live e nelle apparizioni pubbliche. Paul con la sua teatralità istrionica “interpreta” le canzoni come delle  autentiche scene,  fa uscire il feeling e il mood dei Maxïmo Park e anche le hit meno famose si illuminano di luce propria.

E così il concerto degli MPR preceduti dai nostri ottimi His Clancyness inizia verso le 22 con Paul che si presenta in un completino grigio, cappello nero  sulle 23 e calzini rosso sgargiante con i 4 componenti del gruppo nella classica formazione con sezione ritmica composta da  Archis  al basso e Tom alla batteria più Lukas alle tastiere e Duncan alla chitarra.

E’ lui che si agita sul palco è lui che stringe le mani e carica il suo pubblico è lui che segue il copione artistico della band è lui nel bene e nel male l’immagine dei Maxïmo Park.  I 4 devo dire che sanno fare il loro mestiere ma certamente è Paul che fa fare il salto di qualità alla band catalizzatore di tutta la scena e la scaletta del concerto intelligentemente spizzica qua e là in tutti e 5 i dischi della band .

Risentire il rock energico di Apply Some Pressure  o l’ipnotica Hips and Lips è decisamente intrigante con Paul che sfrutta il piccolo spazio sul palco del Tunnel come se fosse una platea di 20 metri. Leave this Island presa dall’ultimo lavoro è una perla luminescente con un cuore pulsante a 80 bpm che il pubblico conosce e canta “I Stand Up for You”  e poi cambia ritmo aumentando la velocità e le pulsazioni fino all’epico finale .Brain Cells con il synth e la drum machine protagonisti e poi  con Drinking Martinis dimostrano il lato più melodico ed imprevedibile  degli MPR,  entrambe   due potenziali hit singles del nuovo lavoro.

Excursus geniali come Books from Boxes e Our Velocity fanno capire che i nostri sanno fare Rock in tutte le sfaccettature The Kids are Sick Again e Cloud of Mistery ci riportano a quel Quicken the Earth del 2009 che segnò un importante punto di arrivo per la band.

90 minuti di ottima musica regalati dai Maxïmo Park valgono tanto oro quanto pesano, una bella serata che si deve concludere  indossando la T shirt ufficiale del tour . Stay Alt Rock !!

fERDIDAS

CONCERTIONLINE.COM

 

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Certe volte un palco semplice e un’artista che suona una chitarra è proprio una bella cosa. Semplice coreografia e molta attenzione alla tecnica, al suono e alle emozioni trasmesse.
E’ proprio quello è capitato nell’unica data italiana del talentuosissimo Jake Bugg.

L’Alcatraz di Milano vede un piccolo cambiamento: il palco non è situato come al solito a fondo sala, ma sul lato destro. Ciò diminuisce lo spazio per contenere il pubblico ma rende più vicino colui o coloro che suonano. Il gruppo spalla country si chiama Honey Honey, una ragazza con banjo o violino accompagnata da un ragazzo, seduto con la sua chitarra. Mi sembra molto di essere a una di quelle feste country texane dove tutti ballano e infatti ciò avviene all’interno del locale.

Verso le nove e mezza ecco che si vede entrare il giovane ragazzo di soli 19 anni, proveniente da Nottigham. La sua carriera musicale vede alle sue spalle due album, il primo omonimo pubblicato nel 2012 e il secondo uscito questo novembre col nome “ Shangri La”.
Ad aprire il concerto sono le note di “There’s a beast and we all feed it” tratta dal suo ultimo lavoro discografico: il pubblico è emozionantissimo; anche se composto per la maggior parte da ragazzi, riesco a vedere delle famiglie con bambini abbastanza piccoli a seguito.
La terza canzone vede come protagonista a cantare proprio il pubblico: “Seen It All” è una delle prime canzoni che l’ha fatto conoscere nel mondo, soprattuto nel nostro paese. Jake fa cantare il pubblico durante il ritornello e si diverte a farlo perché vede come tutta la gente riunita riesca a seguirlo.
Tra canzoni del primo album e del nuovo si arriva anche all’altra hit che l’ha reso famoso “Two Fingers”: fa impazzire gli spettatori dentro e fuori dal locale, infatti molti son rimasti fuori a causa del sold out del live.
Ma come tutti i concerti ci sono anche i momenti tranquilli, più d’amosfera: qui Mr. Bugg prende in mano una chitarra acustica per suonare “Country Song”, “Pine Trees” e “ A Song About Love”. Tutto va alla grande finchè Jake non suona “What Doesn’t Kill You” canzone molto energica che ha aperto al pubblico il nuovo album e “Slumville Sunrise”, anch’essa molto movimentata e stupenda. Queste due precedono la piccola pausa dell’artista.

L’encore è composto da tre canzoni dove Jake mette tutto sé stesso. Si parte con la emozionantissima “Broken” dal primo album per poi arrivare a suonare una cover di Neil Young “My My, Hey Hey ( Out Of The Blue) per poi finire il suo concertone con “Lightning Bolt”.

Jake Bugg può essere invidiato da tantissimi ragazzi che vorrebbero essere al suo posto, io per primo, però devo ammettere che quando impugna una chitarra sa stupire ed emozionare.

Si ringrazia Vivo Concerti per l’invito.

a cura di Gianluca Quadri

SETLIST:
There’s a Beast and We All Feed It
Trouble Town
Seen It All
Simple as This
Storm Passes Away
Two Fingers
Messed Up Kids
Ballad of Mr Jones
Country Song
Pine Trees
A Song About Love
Slide
Green Man
Kingpin
Taste It
Slumville Sunrise
What Doesn’t Kill You

Encore:
Broken
My My, Hey Hey (Out of the Blue)
(Neil Young cover)
Lightning Bolt

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Di sicuro non esistono “serate no” per Nick Cave, che ogni volta che calca un palcoscenico sfodera il suo innato talento da rock-star: l’artista australiano 56enne – dedicatosi recentemente a progetti solisti e Grinderman – è tornato a Milano giovedì scorso, accendendo il pubblico dell’Alcatraz con i suoi Bad Seeds. La seconda delle tre tappe italiane del tour europeo che la band sta portando avanti in queste settimane (la precedente e la successive si sono svolte a Roma e Bologna), ha visto la band decisamente in gran forma, superare le già altissime aspettative che chi sta per recarsi ad uno show di Nick Cave è solito avere.

Dopo un’introduzione coi fiocchi affidata a “We No Who U R”, la serata si è trasformata in un evento solenne fin dalle prime note della toccante “Jubilee Street”, pezzo sorprendente su disco ma ancor più anche dal vivo, trascinato anche dalla potenza dell’archetto del violino di Warren Ellis e tratto dall’album dato alle stampe in questo 2013 e intitolato “Push the Sky Away”. Potenza ed energia nel caso di Cave non collidono con perfezionismo stilistico e professionalità, specialmente nei casi in cui il nostro frontman è accompagnato dagli ottimi Bad Seeds (l’ultima volta a Milano era accaduto 5 anni fa): i presenti hanno avuto modo di constatare questo fatto per tutta la durata del concerto meneghino,poi proseguito tra momenti di dovuto silenzio dei presenti e boati d’entusiasmo. “Higgs Boston Blues”, “God is in the House”, “From Her to Eternity”, “Love Letter” e tanti altri brani si sono susseguiti accolti dallo stupore e dell’entusiasmo dei fan, coinvolti ma rispettosi, e assorti completamente nella magia della musica: “Can you feel my heartbeat?”, chiede l’artista ad un certo punto, e ripete la domanda con un’intensità che arriva dritta al cuore di chi ascolta con la stessa intensità dei brani che canta.

Dopo una breve pausa lo spettacolo ricomincia con “We Real Cool”, e raggiunge l’apice con “Deanna” e con la conclusione che arriva con la sincera e intensa “Do You Love Me”. L’impressione che si ha quando si capita ad assistere ad una performance di Nick Cave è quella di essere ad una cerimonia, che celebra degnamente la musica in tutte le sue forme: il consiglio per chi ancora non ha provato questa esperienza è, fatelo al più presto.

Nick Cave & The Bad Seeds – 28 novembre 2013, Milano @Alcatraz

We No Who U R
Jubilee Street
Tupelo
Red Right Hand
Mermaids
The Weeping Song
From Her To Eternity
West Country Girl
God Is In the House
Into My Arms
Love Letter
Higgs Boston Blues
The Mercy Seat
Stagger Lee (Fred Waring & His Pennsylvanians cover)
Push the Sky Away 

Encore:

We Real Cool
Papa Won’t Leave You, Henry
Deanna
Do You Love Me

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Primo appuntamento per il ritorno degli Skid Row in italia. Per l’occasione siamo stati invitati dall’Audiodrome di Moncalieri (To) per seguire l’evento…e che evento!
Non è da tutti ospitare gruppi storici ma questo locale vuole emergere dalla massa e una data dopo l’altra sta cercando di proporre sempre qualcosa che valga la pena di vedere.
La serata Glam per eccellenza è stata inaugurata dai 2 gruppi spalla Hollywood Killerz e gli australiani Dead City Ruins , ottimo sound per riscaldare l’atmosfera e preparare il pubblico accorso per assistere all’Hard Rock statunitense degli Skid Row. Sala piena quando intorno alle 23 è iniziato il concerto con la canzone “Let’s Go” seguita a ruota libera da “Big Guns”, tratta dal primo omonimo album del 1989. La band capitanata da Jhonny Solinger ha saputo trasportare fin da subito tutti i presenti indietro di 20 anni e quando alla fine della hit “18 and life” ha chiesto chi avesse meno di 25 anni le poche mani alzate hanno fatto ben intendere che la sala fosse gremita di nostalgici anni ‘80.
Durante le quasi 2 ore di musica sono stati presentati alcuni brani nuovi ma soprattutto quelli storici della band che non ha assolutamente fatto sentire la mancanza di Sebastian Bach alla voce, anche se sarebbe stato bello rivedere una reunion di questo tipo. Mi ha colpito tantissimo, invece, l’umanità di queste rock star: abituate a palazzetti gremiti di persone ma che all’occorrenza, in un locale di modeste dimensioni, si sono dimostrati generosissimi, tra strette di mano ed interazioni con il pubblico, che non sono mai mancate. Belle vibrazioni, bella atmosfera davvero, una di quelle serate rock di cui si ha bisogno almeno una volta al mese.
Il tour europeo degli Skid Row, che si è chiuso proprio con queste 4 date italiane, ha registrato un successo davvero enorme: in attesa del prossimo album, in uscita a maggio del prossimo anno, non possiamo fare altro che aspettare un nuovo tour per ballare ancora.

Photogallery del concerto (Ph Marco Cometto)

Setlist

Let’s Go
Big Guns
Makin a mess
Piece of me
18 and life
Thick is the skin
Riot Act
Darkened Room
King of demolition
Psycho Therapy
I remember you
Monkey Business
Slave to the grind

Encore
Thins is killing me
Sweet little sister
Youth Gone Wild

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Il metal-core inglese è arrivato in Italia e ha conquistato anche il pubblico milanese dell’Alcatraz; la terza ed ultima data in Italia dei Bring Me The Horizon, lo scorso 25 novembre, ha registrato l’ennesimo quasi sold-out. La mia esperienza hardcore inizia intorno alle 20.15 quando arrivo al locale e appena entrata mi ritrovo già praticamente ai confini di tutti i fans; quando viene allestito il secondo palco di metà sala non è piacevole entrare e scoprire di non poter decidere che postazione occupare per gustarsi al meglio il concerto ma forse, un po’ è anche colpa mia, arrivare con un po’ di anticipo potrebbe alleviare questa sofferenza.

Ad ogni modo, al mio ingresso ci sono già on stage i californiani Pierce The Veil. Devo ammettere che ero impreparata a riguardo, per caso li avevo già sentiti ma riascoltandoli in questa occasione ho avuto la netta sensazione che non potesse esserci gruppo migliore per aprire il concerto dei BMTH. E credo che la platea fosse della stessa idea poiché, oltre a conoscere quasi tutte le canzoni, ha gradito l’intero show, urlando e pogando.

Alle 21.15, dopo il cambio palco velocissimo, si spengono le luci, si accendono e innalzano centinaia di cellulari e fotocamere digitali, un boato e nel buio totale attivano gli headliner. L’intro della canzone “Can you feel my heart”, che è anche il primo brano del loro ultimo album “Sempiternal”, inizia lento ma dopo una paio di giri di chitarra, ecco esplodere il metal-core che son venuta ad ascoltare. Luci spettacolari e la perfetta sincronizzazione creano una atmosfera da urlo e risaltano totalmente l’energia della musica. Secondo brano, “Shadow Moses” e il pubblico si scatena ma il vero delirio inizia quando sulle note di “Diamonds arent’t forever” il cantante Oliver Sykes invita il pubblico a dividersi, creare due “fazioni” opposte ai lati del locale e dar vita al Wall Of Death, pratica che non può mancare durante lo show di un gruppo death-core.

La scaletta ha previsto brani più recenti e brani più vecchi, 13 pezzi in totale, per una durata di quasi 1 ora e mezzo, diciamo abbastanza nella media per un gruppo che fa questo genere di musica. Mi ha sorpreso invece l’età media dei ragazzi presenti: giovanissimi, tra i 14 e i 20 anni, molti dei quali accompagnati anche dai genitori. Mi ha fatto tanto sorridere vedere queste mamme e questi papà, con espressioni preoccupate, che cercavano di individuare tra la folla i propri figlioletti impegnati a riprendere i loro idoli con ogni sorta di apparecchio digitale possibile. Non credo di aver mai dato di queste “preoccupazioni” ai miei genitori quando ero piccola e la cosa potrebbe essere motivo di vanto per loro.

A parte questo, per me è il loro secondo live a cui assisto dei BMTH, ho avuto già modo di conoscerli nel 2009 al Rock in Idro ma da allora devo ammettere che sono decisamente migliorati, son cresciuti e son diventati un po’ più cattivelli e la cosa non può che farmi piacere! Ma anche se la “cattiveria musicale” si è impossessata del loro sound, RicetteRock.com ha deciso di dedicargli lo stesso una ricetta dolce, magari da gustarsi dopo il concerto, quando si rientra a casa stanchi dalla serata. Ecco la ricetta della Torta alla crema Bring Me The Horizon e la photogallery del concerto. Gustatevela!

Si ringrazia Live Nation per l’invito.

Setlist Bring Me The Horizon

Can You Feel My Heart
Shadow Moses
Diamonds Aren’t Forever
The House of Wolves
Go to Hell, for Heaven’s Sake
And the Snakes Start to Sing
Empire (Let Them Sing)
It Never Ends
Deathbeds
Chelsea Smile
Antivist
——
Blessed with a Curse
Sleepwalking

Setlist Pierce The Veil

Bulls in the Bronx
Hell Above
Bulletproof Love
Hold On Till May
A Match Into Water
Stained Glass Eyes and Colorful Tears
Caraphernelia
King for a Day

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Sono le 21 di un freddo sabato di novembre quando Brian Molko fa la sua comparsa sul palco dell’Unipol Arena di Bologna, davanti a fan che hanno atteso lui e tutti i Placebo per ore davanti ai cancelli, sotto la pioggia: un’attesa che sarà ripagata da un live perfetto, in cui la band britannica si mostrerà in ottima forma, regalando una carrellata di singoli senza respiro.

Si parte con le note di B3 e poi subito ci si getta a capofitto nelle strofe di “For what it’s worth”, da cantare a squarciagola, così come la successiva “20 years”, sulla quale Molko saluta tra il pubblico una fan che brandisce la biografia dei Placebo che prende il titolo dal pezzo.

Sullo sfondo un grande maxi schermo che alterna le immagini del live ad altre immagini spettacolari, studiate appositamente per ciascun pezzo: così vi sono esplosioni di colore a introdurre “Loud like love”, title track dell’ultimo lavoro dei Placebo già diventata un classico, mentre il vero classico arriva subito dopo, con “Every you every me”.

Molko e soci alternano sapientemente l’esecuzione dell’ultimo disco con singoli acclamatissimi, sparsi qua e là nella loro straordinaria carriera: e non è importante se mancano “Pure morning” o “Without you I’m nothing” piuttosto che “Special Needs” (applausi anzi per il coraggio di escluderle dalla scaletta), perchè in cambio arrivano “Speak in tongues”, “Song to say goodbye” e ovviamente “Special K” e “The bitter end”, su cui si scatena il vero delirio tra il pubblico, fino a quel momento partecipe ma un po’ freddo per quanto riguarda lo scatenarsi sotto palco.

La cosa che colpisce di questo live  è che non si assiste mai ad un calo di tensione, non c’è mai un abbassamento di emozioni o coinvolgimento sonoro, neppure nei brani dell’ultimo lavoro, che sembrano già divenuti “instant classics” di questi straordinari alfieri del glam rock.

Da sottolineare, nei bis, una “Teenage Angst” completamente rivista e riarrangiata e una “Running up that hill”, presa in prestito da Kate Bush, davvero da brividi, così come la chiusura, affidata a “Battle for the sun”.

In un sabato in cui davvero si doveva combattere (senza successo) per avere un po’ di sole, per chi era a Bologna il sole è stato Brian Molko e questo live dei Placebo, 1 ora e 40 di pura classe ed energia.