Recensioni

Per il terzo anno consecutivo è andato in scena all’Auditorium della  Conciliazione la serata “Play! Storie che cantano” per presentare la campagna “Voltati. Guarda. Ascolta. Le donne con tumore al seno metastatico” promossa da Pfizer in collaborazione con Europa Donna Italia e Susan G. Komen Italia, con il patrocinio di Fondazione AIOM.

La campagna ha come obiettivo rompere il muro di silenzio che ancora oggi circonda questa malattia.

Madrina della serata la cantante romana Noemi che ha anche eseguito due canzoni oltre ad aver presieduto, insieme al maestro Giuseppe Vessicchio ed altre personalità, per scegliere tra una cinquina di cantautori quello che rappresenterà l’associazione con la canzone sul tema della serata che più avrà colpito la giuria.

Altri artisti di spicco si sono esibiti per la lodevole iniziativa: la splendida Bianca Atzei, i poliedrici Roy Paci e Diodato, la nuova leva Enrico Nigiotti e il sempre grintoso Francesco Sarcina.

La serata è stata presentata da simpaticissimi Giuseppe De Marco e Melania Agrimano che hanno condotto con allegria e competenza ed intervistato anche gli attori Francesco Montanari ed Antonia Liskova che hanno recitato in un cortometraggio sempre dedicato alla sensibilizzazione delle donne per la prevenzione contro il cancro.

Il  contest è stato meritatamente vinto da Cristiano Turrini con “Guernica“.

Onore e merito anche agli altri partecipanti, tutti davvero bravi: Matteo Arpe Male, Gloria Galassi ,Rebecca Pecoriello e Luca Ricozzi .

Ovviamente oltre al contest va da atto a tutti, artisti e non, di aver sensibilizzato tutti sui temi di “Voltati. Guarda. Ascolta.”: il coraggio, la voglia di vivere, la voglia di lottare, i sentimenti emersi durante l’esperienza con il tumore al seno metastatico.

 

Un concerto intimo, un concerto da ricordare: (poco) illuminata dalle luci sul palco del Locomotiv, la bellezza di Marissa Nadler e la sua grazia hanno invaso una calda serata bolognese di metà settembre, regalando ai presenti strascichi di poesia in punta di chitarra.

La cantautrice statunitense, fasciata in un lungo abito nero, tornava ad esibirsi a Bologna dopo 5 anni e lo ha fatto confermandosi una delle interpreti più interessanti della sua generazione, assieme a Sharon Van Etten ed Angel Olsen, non a caso sue ospiti nel nuovo album “For my crimes”. 

E proprio dei suoi crimini ci parla Marissa, in un modo tanto accattivante quanto memorabile: da “Poison”, passando per “I can’t listen to Gene Clark anymore” (pezzo straordinario), fino ad arrivare a “Firecrackers”, tutto scorre e avvolge, in un alternarsi di canzoni e momenti di pausa in cui Marissa si rivela per la ragazza che è, timida, incapace di intrattenere il pubblico mentre accorda l’elettrica (lo lascia fare al suo compagno di palco), ma trasparente come pochi altri artisti dal punto di vista emotivo. Ogni volta che intona un verso se ne percepiscono le intenzioni, le sfumature, i colori. Una rarità vera.

Chi si è perso la data del Locomotiv, si è perso la possibilità di osservare da vicino un’artista, consapevole della forza delle sue parole e di un talento cristallino, come ha confermato la bellissima versione di “Save me a place” dei Fleetwood Mac, una vera e propria chicca che ha impreziosito una serata magica.

Marissa Nadler Setlist @ Locomotiv Club (18/09/2019)

Poison

Was it a dream?

Drive

Dead city Emily

For my crimes

I can’t listen to Gene Clark anymore

Strangers

Blue vapor

Said goodbye to that car

All out of catastrophes

Firecrackers

We are coming back

Save me a place (Fleetwood Mac cover)

 

Ormai da 5 edizioni il Settembre: Prato è spettacolo è diventata una piacevole tradizione di fine estate, prima della ripresa del lavoro e della scuola. In questi anni, da spettatore, da addetto ai lavori, ho visto crescere una realtà.
Prato è una creatura strana, una città di provincia pur potendo contare su circa 200.000 abitanti (la seconda città più grande della Toscana), una città multiculturale eppure legata a certe tradizioni che non moriranno mai e che rendono i pratesi orgogliosi (e i pratesi, credetemi, sono orgogliosi per natura).
L’operazione che ha portato avanti Fonderia Cultart in questi anni è un’operazione di educazione (o forse ri-educazione) culturale che ha rimesso questa città di provincia al centro, valorizzandone i luoghi (da Piazza Duomo, teatro del palco principale, a Officina Giovani, dove quest’anno sono andati in scena mostre e secret show, fino ad altri luoghi immersi nella città) e portando Prato a smarcarsi dall’ombra fiorentina e ad avere in città band del calibro di Interpol, dEUS, Einsturzende Neubauten e, quest’anno The Flaming Lips e Eels.
Proprio lo show doppio delle due iconiche rock band americane è sembrato qualcosa di irreale per la città, eppure è successo: Wayne Coyne ha cavalcato la folla nella sua bolla trasparente, ha solcato piazza Duomo in groppa al suo unicorno luminoso e tutti ci siamo chiesti: “ma davvero sta succedendo a Prato?”. Sì, sta succedendo. E poco prima mr. E aveva deliziato tutti con un set energico e con quella “Novocaine for the soul” che pacifica le anime, sul serio.
Il pubblico è rimasto estasiato e, cosa da non sottovalutare, negli anni è cresciuto, di edizione in edizione: sembrava impossibile riuscire ad avere piazza Duomo piena ed invece Salmo aveva a saltare di fronte a sè tantissimi giovani lo scorso 30 agosto, così come Samuel lunedì 2 settembre ha raccontato a giovani e meno giovani (“nostalgici anni ’90” verrebbe da dire) cos’è stato “Microchip emozionale” per una generazione intera.
Carl Brave e Gazzelle sono stati la “quota indie” del 2019 e anche loro hanno fatto scoprire a tanti ragazzi venuti da fuori che in fondo Prato non si può identificare solo con i luoghi comuni che la descrivono da anni e che un live all’ombra del Pulpito di Donatello è qualcosa che loro stessi si ricorderanno bene, come se lo ricorderà sua maestà Mike Patton, che si è anche portato un pezzo importante di Prato nel suo mini-tour italiano, ovvero la Camerata Strumentale Città di Prato, memoria storica della città e suo fiore all’occhiello. L’ex frontman dei Faith No More è stato un paio di giorni in città per le prove e poi ha regalato alla città un live straordinario, coadiuvato da musicisti del calibro di Enrico Gabrielli, Vincenzo Vasi e Alessandro “Asso” Stefana, che lo ha visto cimentarsi con i classici della canzone italiana, riportando in scena a distanza di 9 anni “Mondo Cane”.
Un giorno potremo davvero raccontare di aver visto Mike Patton o Wayne Coyne proprio lì, all’ombra del Duomo, così come Coyne racconterà magari nel mondo che una volta ha fatto un soundcheck con le persone appena uscite dalla messa domenicale che lo applaudivano divertite.
Questo per dire che Prato è ormai ben più dei cliché con cui la si descrive, è ben più di una provincia e vuole ancora crescere.
Sognare è lecito, chissà, l’anno prossimo, chi avrà la fortuna di suonare su quel palco, illuminato dalla luna, con il Pulpito di Donatello a un passo…

Sono appena rientrato dal TOdays 2019 e ho letto un articolo in cui Gianluca Gozzi, direttore artistico del festival torinese, dichiara conclusa la sua esperienza e ne spiega punto per punto le ragioni.

Gozzi, negli ultimi 5 anni, ha materializzato sogni, mettendo su un Festival capace di rivitalizzare la periferia torinese in un periodo dell’anno in cui, francamente, una grande città come quella piemontese sembra solo in attesa dei rientri dalle vacanze dei suoi abitanti.

Negli ultimi anni invece, per tutti gli appassionati di musica, l’ultimo weekend di agosto, Torino è stata una specie di Paradiso e quest’anno si è probabilmente raggiunto un nuovo apice. 

Riuscire a far suonare sua maestà Bob Mould, uno che qualcosina nella storia della musica l’ha combinata, alle 18 di venerdì pomeriggio significa avere una line up che ha conquistato per prima cosa il rispetto dell’artista stesso e la voglia di esserci e il set chitarra e voce (inconfondibile) di zio Bob lo ha confermato, così come la sua felicità nel posare per centinaia di foto con i fan a fine live, perchè sì, il TOdays è anche quel festival dove è facile trovarsi post concerto a scambiare due parole con i Low o i Ride e dove tra il pubblico trovi il meglio degli addetti ai lavori sparsi in giro per il Paese.

E dopo una leggenda come l’ex Husker Du è stata la volta di una delle band più ispirate degli ultimi anni, i Deerhunter di Bradford Cox, che con la sua sgargiante camicia ci ha guidato lungo un declivio verso gli anni ’70, tra folk e pizzichi di psichedelia, perfetto aperitivo in vista di mr. Spaceman, Jason Pierce, che con i suoi Spiritualized ha letteralmente mandato a fuoco le nostre anime in un set tanto breve quanto intenso, che lo ha visto suonare brani dal nuovo “…and nothing hurt” (da “I’m your man” a “A perfect miracle”) e chiudere con una versione celestiale di “Oh happy day”.

Chiusura del day 1 affidata ai Ride, chiamati a sorpresa dopo il forfait dei Beirut (tanto che Mark Gardener ha iniziato il set dicendo “Buonasera Torino, we’re not Beirut, we are Ride”) e capaci di esaltare giovani e meno giovani con quelle chitarre che non si possono non amare (Dio benedica Andy Bell) in quella che alla fine è la primissima uscita dopo la pubblicazione di “This is not a safe place” (pubblicato il 16 agosto).

Tra brani nuovi (“Future love” su tutte) e vecchi classici intramontabili (“Leave them all behind” straordinaria) i quattro alfieri dello shoegaze hanno confermato di essere ancora in forma straordinaria e non hanno certo fatto rimpiangere Zach Condon e soci, anzi!

Nella giornata del sabato, passata ancora a fischiettare “Oh happy day”, una band ha spiccato sulle altre: i Low, che si confermano tanto sottovalutati quanto talentuosi: Alan Sparhawk e Mimi Parker hanno deliziato tutti con le loro armonie e credo che la versione di “Lazy” sentita al TOdays parecchi di noi non la scorderanno facilmente, mentre gli occhi luccicavano di meraviglia e nel frattempo saliva sul palco Hozier, per concludere la serata con una vena pop che non guasta mai (da sottolineare anche il set di One True Pairing in apertura, alias Tom Fleming ex Wild Beasts…tenetelo d’occhio, il ragazzo ha talento).

All’ex Incet (altra realtà industriale esaltata dal TOdays), per non farsi mancare niente, è andato poi in scena uno dei live che rimarranno nella storia del festival, per perfezione e contesto: The Cinematic Orchestra hanno letteralmente fatto volare tutti in un’altra dimensione con un concerto che credo tutti attendessero da almeno un decennio. Clamorosi, semplicemente.

La domenica è partita col botto: la forza del TOdays di porre l’accento sui luoghi ha fatto sì che il Parco Peccei, realtà post-industriale abbandonata a se stessa, con erba alta e quanto ci si può aspettare da un parchetto di provincia un po’ dimenticato, diventasse la location perfetta per il punk elettronico degli Sleaford Mods, mai così a fuoco in un live set. Letteralmente esplosivi.

Pensate cosa voglia dire passare dagli “working class electronic heroes” di Nottingham al funk disco “made in Daft Punk” degli australiani Parcels (che hanno più della produzione in comune con la band francese): ancora sudati dal Parco Peccei, ci si è rimessi ad ancheggiare dolcemente allo Spazio 211, mentre si veniva poi folgorati dalla bellezza, non solo estetica, dei Balthazar, una band che sa di avere dei numeri e li tira fuori tutti (Jinte Deprez che suona pressochè qualsiasi cosa è un valore aggiunto), non potendo fare altrimenti per non finire nel dimenticatoio dato quello che succede dopo, perchè dopo si materializza la Storia, ovvero Johnny Marr e Jarvis Cocker, in una combo micidiale che ha steso qualsiasi nostalgico (o ex adolescente) degli anni ’80, tra “How soon is now?” o “There is a light that never goes out” e un Jarv in versione anche psicologo (“qual è la tua più grande paura?” ha chiesto ad una ragazza in prima fila), mai preso bene come nella sua versione torinese: classe infinita al servizio del divertimento puro e una voce che definire inconfondibile è poco.

Si inizia la giornata con gli Sleaford Mods e si chiude con Nils Frahm, questo è il TOdays: l’unione tra mondi, la realizzazione di sogni, il riuscire a trovare la prossimità dove non sembra essercene, se non per il talento e lo spirito che unisce certi musicisti e far avvicinare anche un punk alla musica classica o viceversa.

La melodia di Frahm all’ex Incet ci trascina dolcemente fuori dal sogno, in un morbido risveglio fatto di treni da prendere, lavori a cui tornare, estate che si spegne lentamente in una notte torinese piena di stelle e con sullo sfondo un complesso industriale che non è mai sembrato così poetico.

Non manca molto al TOdays 2020, vero? Perchè voglio credere che questo sogno così tangibile non possa finire così. Per quanta bellezza ci sia già stata, c’è sempre un po’ di bellezza da scoprire ancora.

A volte le strade tornano ad incrociarsi e i destini pure così come il sodalizio tra i Calexico di Joey Burns e John Convertino e il cantautore Sam Beam in arte Iron & Wine . Nel 2005 le due entità musicali così vicine e così lontane al tempo pubblicarono un gran bel disco “in The Reins”  per ritrovansi  poi ben 15 anni dopo, nel 2019 a pubblicare un nuovo lavoro “Years to Burns”  ritrovando quella scintilla creativa che sembrava un unicum e che invece segna un gradito ritorno per i fan di entrambe i musicisti.

In realtà di anni ne sono stati bruciati tanti ma tutto appare quasi immutato come allora considerando da un lato la grande maturazione di Sam e l’ormai affermata carriera dei Calexico. La Tournee Europea per presentare il nuovo disco ci ha dato l’occasione di rivederli insieme sul palco del Giardino della Triennale di Milano nell’ambito del Trip Festival in una versione light dei Calexico con la presenza di soli 2 componenti della band originale oltre ai due leader Joey e John naturalmente affiancati da Sam Beam .

Una serata magica, che vede protagonisti musicisti di grande spessore capaci di farci viaggiare nelle sconfinate terre di confine tra la California e Messico attraverso polverose strade che ci portano laddove il country si miscela con il tex mex e il folk si tinge di sfumature jazz .

Le due voci di Joey e Sam sono  perfettamente coordinate, duettano, si sovrappongono creando atmosfere delicate e ruvide; il tempo è scandito dalla scarna batteria di Convertino  e la magica tromba di Valenzuela insieme alla fisarmonica impreziosiscono il tutto.

Il repertorio è ovviamente limitato ai sopra citati 2 album e 90 minuti di concerto sono da considerarsi più che sufficienti per apprezzare la loro musica. Sicuramente il nuovo album è il più utilizzato nella scaletta cominciando coi singoli Midnight Sun e Father Mountain e la bellisima Follow the Water .

 

Incredibile la lunga suite di 8 minuti The Bitter Suite, che racchiude tre brani dove apprezziamo tutto il mondo musicale  dei due sodali con la band in grande spolvero ognuno intente a tirar fuori l’anima dal proprio strumento.

In your town ci riporta al genere Americana sulle strade country che va a riprendere le sonorità del primo disco He Lays in the Reins magica armonia di voci e chitarre. History of Lovers fu il loro primo singolo e ancora suona attuale mentre Red Dust ci riporta al blues primordiale del mississipi ,Burn that Broken Bed in long version fa risuonare la tromba di Valenzuela in modo struggente.

Era naturale aspettarsi qualche riempitivo nella scaletta tratto dagli ampi repertori dei due artisti e così abbiamo il piacere di ascoltare una Flores Y Tamales Calexiacana e una Call IT Dreaming di Iron & Wine bellissime entrambe eseguite in nuove versioni. Una chicca però arrivata inaspettata è stata la splendida cover di Bring On the Dancing Horses dei mitici Echo & the Bunnymen che preannuncia il finale del concerto con 2 encore a grande richiesta del pubblico

 

 

 

 

Quando delle anime belle si incontrano il risultato è spesso straordinario, fuori da ogni schema e, manco a dirlo, oltre ogni più rosea aspettativa: 15 anni dopo l’EP “In the reins” Calexico e Iron & Wine si sono riproposti di lavorare insieme su un nuovo disco ed è così che è nato “Years to burn”, con il quale stanno andando in tour in Italia.
Ieri sera era la volta di Firenze, dove lo straordinario scenario della Cavea del Nuovo Teatro del Maggio Fiorentino è tornato a risplendere come merita grazie alla rassegna di live “A cielo aperto” (che ha visto ospiti in altre serate anche Haken e Franz Ferdinand) e che proprio con il live di Calexico e Iron & Wine giungeva a conclusione.
Non ci poteva essere finale migliore, giocato sull’orlo della poesia folk di Sam Beam e della verve tropical-desertica del duo di Tucson: entrambi si sono contaminati regalando un qualcosa di difficilmente ripetibile e, a livello emotivo, assolutamente spaziale: fin da “Follow the water”, con cui i nostri esordiscono sul palco, si capisce che non sarà una serata banale; avere musicisti di questo calibro a 3 metri di distanza è una fortuna rara e poterne osservare ogni espressione, ogni ammicco, ogni accordo di chitarra o colpo di batteria è una lezione su come si riesca a fare grande musica e ad essere, allo stesso tempo, straordinariamente umani.
E’ proprio questo infatti che traspare nelle espressioni di Joey Burns e Sam Beam, quando dialogano, quella complicità, quella voglia di stare insieme che fa capire come siano loro stessi i primi a divertirsi e ad essere fan l’uno dell’altro e viceversa.
I brani del nuovo lavoro, da “Midnight sun” a “Father Mountain”, si mescolano con i successi delle rispettive carriere, irrorati di nuova linfa da una band straordinaria su cui spicca la batteria sempre precisa di Convertino.
Emozioni e lacrime si mescolano col sudore di questa torrida serata estiva fiorentina, mentre il panorama mai banale del capoluogo toscano fa capolino da sotto la Cavea: l’apice si raggiunge nel momento acustico, in cui Iron & Wine e Joey Burns restano soli sul palco a dialogare con le rispettive sei corde: da “Sunken Waltz” a “Bitter truth”, passando per “Falling from the sky” a “Naked as we came”, quattro pietre miliari si srotolano nelle nostre orecchie prima di lasciare di nuovo spazio alla band al completo per la cavalcata finale, che ovviamente tiene conto di “In the reins” e si chiude con il dolcissimo, malinconico bis di “Years to burn” lasciandoci sulle labbra e nelle orecchie la sensazione di esserci per un attimo trovati in un canyon dell’Arizona, con una brezza primaverile rarissima che ci scompigliava i capelli e ci faceva sorridere e commuovere di tanta bellezza.

CALEXICO + IRON & WINE Setlist – Firenze 25/07/2019

Follow the water

History of lovers

Midnight sun

Bitter suite

What heaven’s left

Red dust

Flores y tamales

 

Sunken Waltz

Bitter truth

Falling from the sky

Naked as we came

 

Glimpse

Bring on the dancing horses

Prison on route 41

Boy with a coin

Sixteen maybe less

In the reins

Father mountain

Encore:

Years to burn

Thom Yorke è un’interferenza, un’anomalia del sistema, è il picco imprevisto in un’encefalogramma fin troppo piatto della scena culturale attuale.

Siamo probabilmente di fronte all’artista più influente degli ultimi 25 anni e, bisogna ammetterlo, non si sa quando qualcun altro riuscirà ad avere la stessa potenza espressiva (e ad essere altrettanto ascoltato).

“Anima” è la sua ultima fatica, la sua ultima idea fuori dal macrocosmo Radiohead e il Thom Yorke elettronico, sciamano del dancefloor non è da meno di quello ipnotico e straziante che fa bella mostra di sè nella band di Oxford.

Girovaga per il palcoscenico di Piazza Castello (ovviamente stracolma) con quelle sue ormai caratteristiche movenze da ballerino sghembo, mentre Nigel Godrich gli apparecchia un sound immaginifico, che fa ballare tutti e su cui Thom innesta la sua chitarra (o i synth) oltre ad un cantato che sembra provenire da un altro universo, un universo raffigurato dai visual di Tarik Barri, proiettati alle spalle di Yorke e assolutamente studiati alla perfezione per farci entrare nell’iperspazio delle “Tomorrow’s Modern Boxes”.

Da “Interference” inizia un viaggio che è un crescendo nelle idiosincrasie dello Yorke elettronico, quello più rilassato e musicalmente audace: “Black Swan” è uno di quei brani da consegnare ai posteri come materia di studio, per non parlare di “Amok”, hit che non sa di essere una hit, da ballare fino allo sfinimento.

Thom sorride sotto i baffi, guarda il pubblico, lo incita, sgattaiola e poi saltella da una parte all’altra, un folletto iperattivo che sa anche farsi cantautore di spessore celestiale (“Dawn Chorus” da brividi) e ci lascia lì, attoniti, in attesa, mentre i nostri corpi si muovono quasi sottratti alla nostra stessa volontà.

Per le 2 ore di show si è come impossessati dal demone del ballo, dalle movenze sincopate che lo stesso Yorke ci invita a riprodurre, semplicemente si può staccare il cervello dai problemi e lasciare che sia il corpo a prendere il sopravvento, l’istinto, il ritmo.

E’ la stessa cosa che riesce a fare Thom Yorke sul palco, far venire fuori il suo istinto primordiale per la musica, la sua capacità di creare e poi limare i dettagli. Tutto è caos, ma un caos perfetto, studiato.

Thom Yorke è la costante impazzita di questa generazione, l’incognita che risolve l’equazione nascosta nella musica. Bisogna solo goderselo, capiremo poi quanto siamo fortunati che lui sia qui, ora.

THOM YORKE Setlist @ Ferrara Sotto Le Stelle (18/07/2019)

Interference

Brain in a bottle

Impossible Knots

Black Swan

Harrowdown Hill

Pink Section

Nose Grows Some

The Axe

The Clock

2 Feet Off The Ground

Has Ended

Amok 

(Spoken Bits Segue)

Not The News

Truth Ray

Traffic

Twist

 

Dawn Chorus

Runwayaway

Default

Atoms for peace

 

 

E’ un inedito Francesco De Gregori, loquace, divertente e anche evidentemente divertito, quello che è salito ieri sera sul palco allestito in Piazza degli Scacchi nell’ambito del Marostica Summer festival 2019, una delle realtà più interessanti dell’estate musicale del Veneto.
Il bellissimo castello illuminato fa da sfondo al palco, mentre la cinta muraria che conduce alla vecchia fortezza incorniciando il centro storico e la piazza, regalano al pubblico delle grandi occasioni (circa 4000 posti a sedere completamente occupati) un’atmosfera alquanto suggestiva.

Dopo l’esibizione di Tricarico, cantautore milanese voluto da De Gregori ad aprire i  concerti di questo tour estivo, che ha proposto con verve e intensità convincenti quattro brani del suo repertorio raccogliendo i primi applausi della serata, sugli scanni hanno preso posto i 40 elegantissimi componenti dell’Orchestra.
La Gaga Symphony Orchestra diretta dal Maestro Simone Tonin è una ensemble di giovani e talentuosi musicisti veneti che già ha accompagnato in tour Patty Pravo lo scorso anno e che durante questa estate supporta Francesco De Gregori e la sua Band in un inedita rivisitazione sinfonica dei grandi successi e qualche gioiello prezioso meno noto del Principe della Musica italiana.

De Gregori, dopo il primo brano interpretato dalla sola orchestra che sembra spiazzare un po’ il pubblico in attesa del vero protagonista della serata, entra in scena sorridente, con una vistosa camicia gialla in stile floreale (sarà stato lui a dettare il ritorno dello stile hawaiano di quest’estate, dopo i primi concerti del tour che l’hanno visto indossare sempre camicie sgargianti su completi di lino chiaro?), senza l’inseparabile cappello e senza gli occhiali a lenti scure con cui negli anni passati si riparava anche sulla scena dalle luci e dagli sguardi dei fans. Ad accompagnarlo, i musicisti che fanno parte sua storica band: il bassista e impeccabile “capobanda” Guido Guglielminetti, il primo a prendere posto a fianco a De Gregori, Alessandro Valle alla pedal steel guitar, il cui suono insostituibile è diventato una specie di “marchio di fabbrica” della recente produzione del cantautore, e al mandolino, l’eccellente  Paolo Giovenchi alla chitarra, la cui presenza rende particolarmente intensi quei brani nati “chitarra e voce” che solo uno come De Gregori può permettersi di interpretare facendo ammutolire la platea, nonché Carlo Gauidiello al pianoforte e la “new entry” Simone Talone alle percussioni.
Oltre all’Orchestra, il valore aggiunto in questi concerti è la presenza del GNU Quartet, quartetto genovese in attività dal 2006 che con grande talento e simpatia ha calcato i palchi insieme a numerosi artisti tra cui Neri Marcorè ( con il quale porta in giro per l’Italia da un paio d’anni lo spettacolo Come una specie di sorriso dedicato a Fabrizio De Andrè) e Niccolò Fabi. Il flauto traverso di Francesca Rapetti si sposa perfettamente con i nuovi arrangiamenti dei brani più noti del Principe rendendo emozionanti inedite introduzioni o intermezzi inaspettati, il violino di Roberto Izzo, la viola di Raffaele Rebarudengo e il violoncello di Stefano Cabrera (che ha curato gli arrangiamenti e le partiture per orchestra ) contribuiscono a rendere questa serie di concerti di De Gregori nelle piazze e nei teatri storici italiani davvero sorprendenti e spettacolari.

Inevitabile la standing ovation al termine dell’omaggio a Lucio Dalla, le luci dei telefonini accesi (un tempo erano gli accendini…) sul finale de La donna cannone e la corsa dei fan sotto al palco, come da migliore tradizione, durante i tre bis che il cantautore ha regalato alla fine della serata, tra cui il suo personale omaggio a Elvis Presley accompagnato dalle due coriste (le sue “cocche”) Vanda Rapisardi e Francesca La Colla

Un grande successo quindi, per una serata di rara bellezza che ha alternato momenti di sonorità imponenti con tripudi d’archi e di fiati a brani meno enfatizzati ma resi comunque preziosi dai nuovi arrangiamenti, in un susseguirsi ritmico incalzante e coinvolgente. Quasi due ore di concerto in cui De Gregori ha “tenuto banco” soprattutto con la sua sempre bellissima voce, e poi con un’ironia e un entusiasmo che non fanno certo rimpiangere i tempi in cui il Principe era taciturno e apparentemente “altero”. Evidentemente l’età ha addolcito la sua proverbiale timidezza e ritrosia, e gli ha permesso di continuare a divertirsi nel fare il proprio “mestiere” con rinnovato entusiasmo anche dopo ben cinque decenni di attività.

Il Marostica Summer Festival proseguirà fino al 20 luglio e ospiterà sul palco, tra gli altri, Giorgia il 12 luglio e Antonello Venditti il 18 luglio

Il tour di Francesco De Gregori “Greatest hits” con Orchestra e Gnu Quartet farà ancora tappa a Firenze il 16 luglio, a Fasano il 21, a Soverato il 23 e a Palermo il 25 luglio per terminare con due date a settembre, il 20 all’Arena di Verona e il 23 al Teatro degli Arcimboldi di Milano.

 

Si ringrazia Mara Bisinella per Mabi Comunicazione, Due Punti Eventi e F&P Group

 

Francesco De Gregori
Scaletta di Marostica, 10.07.2019

(In apertura Francesco Tricarico)

O Venezia che sei la più bella (solo orchestra)

Generale

Il cuoco di Salò

La storia

Pablo

Due zingari

La leva calcistica della classe 68

La valigia dell’attore

Un guanto

Sempre e per sempre

Buffalo Bill

Santa Lucia

Alice

La donna cannone

Vai in Africa, Celestino!

Pezzi di vetro

Guarda che non sono io
L’abbigliamento di un fuochista

Titanic

 

Cant’ help falling in love (Elvis Presley cover)

Buonanotte fiorellino

Rimmel

1 1289

La classe non risente del tempo, così come le belle canzoni.

Antonello Venditti di classe ne ha da vendere, ed è ancora un ragazzino sul palco, malgrado i 70 anni già compiuti: Venditti è un oratore, oltre che un cantautore, un maestro da cui lasciarsi affascinare, con imprescindibili aneddoti che colorano ogni brano e rendono la grandezza di questo figlio di Roma che ha saputo, brano dopo brano, raccontare le generazioni (più di una) dagli anni ’70 in poi.

In una Piazza Duomo stracolma si è assistito a una vera e propria cavalcata di successi, cantati da giovani e meno giovani con uguale intensità: da una struggente “Stella” a “Notte prima degli esami”, con cui tutti abbiamo approcciato alla maturità, fino a “Lilly” o “Dimmelo tu cos’è”, spaccati di vita in cui Antonello ci ha condotto con maestria, riuscendo anche a contestualizzare ogni brano rispetto all’epoca in cui lo ha composto ed eseguito: l’eroina nelle strade di Roma, il rapporto con De Gregori (nella bellissima “Francesco”) e l’uscita dalla RCA, la fine di un amore importantissimo, la riscoperta della vita; Venditti è un poeta, è uno per cui “la matematica non sarà mai il suo mestiere” ma anzi che “ha bruciato la sua laurea e vive solo di parole” (è infatti laureato in Giurisprudenza).

Come un maestro ci insegna la vita canzone dopo canzone, fino ad arrivare all’esecuzione integrale (insieme allo storico gruppo Stradaperta, con cui registrò il disco) di “Sotto il segno dei pesci”, che ha compiuto quarant’anni nel 2018 ed è il motivo principe di questo tour.

Dalla title track, fino a “Bomba o non bomba”, per arrivare a  “Sara” o “L’uomo falco”, quel disco è una pagina nella vita di chi c’era all’epoca, un tuffo nei ricordi, ma ne spaventa anche la straordinaria attualità (si pensi proprio a “Bomba o non bomba”), come è propria solo dei grandi capolavori, che sanno essere sempre attuali.

Venditti dirige la band con maestria e ci regala quel suo timbro inconfondibile e quella mimica (spesso con la sigaretta in bocca) che lo hanno anche reso oggetto di una celebre imitazione, sciorinando battute e aneddoti di una vita straordinaria, da “Lucio Dalla che mi  ha salvato la vita” (gli trovò casa in un periodo molto buio e non proprio lucidissimo dell’amico romano) fino a “Ultimo mio grande amico, che spero mi prenda come maestro per non commettere errori in carriera, come ho fatto io con Lucio”.

Successo dopo successo si arriva all’apoteosi finale, con il Venditti recente (ma non meno ispirato) di “Dalla pelle al cuore” e “Unica”, che lascia spazio ai grandi classici “Amici mai”, “Alta marea” e “In questo mondo di ladri”, per concludere con una immancabile “Ricordati di me”, da brividi.

Tre ore e mezzo di concerto di uno straordinario professionista, ma prima ancora di un grande uomo, che sa narrare ed affascinare dal palco e per cui la musica è ancora una straordinaria gioia.

Ed è un vero privilegio poterne godere.

ANTONELLO VENDITTI Setlist @ Pistoia (09/07/19)

Raggio di Luna

I ragazzi del Tortuga

Giulio Cesare

Piero e Cinzia

Peppino

Stella

Non so dirti quando

Lilly

Compagno di scuola

Ci vorrebbe un amico

Notte prima degli esami

Sotto il segno dei pesci

Francesco

Bomba o non bomba

Chen il chinese

Sara

Il telegiornale

Giulia

L’uomo falco

Dimmelo tu cos’è

Dalla pelle al cuore

Unica

Che fantastica storia è la vita

Amici mai

Alta marea

Benvenuti in Paradiso

In questo mondo di ladri

Ricordati di me

 

Lunedi 8 Luglio, Piazza Castello a Marostica ha ospitato i “Franz Ferdinand” nella prima data italiana del nuovo tour a supporto  dell’ultimo disco, “Always Ascending”, uscito lo scorso mese di febbraio.

Il disco prodotto da Philippe Zdar dei Cassius, è ricco di  nuove idee e di vigorose sperimentazioni sonore,  consolidando ancor più  le radici indie-rock della band.

“Always Ascending” è solo l’ultimo tassello di una carriera iniziata con l’indimenticabile esordio discografico Franz Ferdinand (2004) che ha portato la band a essere considerata oggi un’istituzione della musica alternative e uno dei progetti più illuminanti del nuovo millennio musicale.

Una  trionfante rinascita che segna un nuovo corso per il gruppo di Glasgow, dopo l’uscita del chitarrista fondatore Nick McCarthy e l’ingresso di due nuovi musicisti Dino Bardot e Julian Corrie.

Alex Kapranos e soci si sono esibiti sul palco del Marostica Summer Festival 2019, kermesse musicale molto apprezzata, organizzata da Due Punti Eventi.

Il concerto non ha deluso le aspettative dei fan che hanno potuto apprezzare un live energico e coinvolgente e non si sono risparmiati nel saltare e cantare a più non posso.

La scaletta della serata è focalizzata sul recente album Always Ascending e le hit’s che hanno contribuito al successo della band.

Per i Fan dei Franz Ferdinand non è l’unico appuntamento live di questa estate, infatti dopo Marostica, la band scozzese ha in programma altre tre date in Italia:

  • Martedì 9 luglio – Cremona, Festival Acquedotte, Piazza del Comune
  • Giovedì 11 luglio – Firenze, Cavea del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
  • Martedì 20 agosto – Grottaglie (TA), Cinzella Festival, Cave di Fantiano

si ringrazia Mara Bisinella per Mabi Comunicazione e Due Punti Eventi

le foto della serata

L'ex Oasis fa sognare vecchi e nuovi fan in un'ora e mezza di grande musica

Ti guardi intorno e li trovi tutti lì, quelli che negli anni ’90 avevano i basettoni e i capelli mod, quelli per cui i fratelli Gallagher sono stati dei veri e propri compagni di viaggio, non semplicemente musica ma qualcosa di più, una religione, una fede.

Hanno invaso il Pistoia Blues 2019 perchè sul palco arriva Noel, la penna del brit – pop, l’uomo capace di sciorinare classici come “Wonderwall” o “Little by little”, ma che anche con la sua nuova band sa regalare ancora emozioni.

Puntualissimo alle 21,30 il brizzolato songwriter di Manchester sale sul palco di Piazza Duomo nel boato generale e quello a cui assistiamo è il live di un artista ancora in gran forma e ancora capace di scrivere belle canzoni: “It’s a beautiful world” e la magnifica “Dead in the water” sono due dimostrazioni lampanti di come la penna del maggiore dei fratelli Gallagher non si sia esaurita alla morte degli Oasis.

Ma è altrettanto banale sottolineare come la reazione della folla sia maggiore, con veri e propri cori da stadio, quando arrivano i classiconi di casa Oasis: da “The importance of being idle” a “Whatever”, da “Little by little” all’immancabile “Wonderwall”, con quegli accordi così “catchy” di cui è impossibile non innamorarsi, Noel non fa mancare nulla ai fan, anche se in precedenza li provoca un po’, chiedendo quanti fan degli Oasis siano tra il pubblico e poi, ironicamente, attaccando pezzi degli High Flying Birds e non della band di cui era parte insieme al fratello Liam.

La chiusura è un’apoteosi, con “Don’t look back in anger” e l’omaggio conclusivo all’ispirazione più grande (insieme a Paul Weller) dei Gallagher, ovvero i Beatles, citati a più riprese nei loro brani e a cui Noel rende grazie con la sua personale versione di “All you need is love”.

Alla fine ci si rende conto di come si sia di fronte a un cantautore straordinario, ma resta quel pizzico di amaro in bocca che fa pensare che gli Oasis mancano troppo e siano, purtroppo, irripetibili.

NOEL GALLAGHER’S HIGH FLYING BIRDS Setlist @ Pistoia Blues 2019 (08/07/2019)

Fort Knox
Holy Mountain
Keep On Reaching
It’s a Beautiful World
She Taught Me How to Fly
Black Star Dancing
Rattling Rose
Dead in the Water
The Importance of Being Idle (Oasis cover)
Little by Little (Oasis cover)
Whatever (Oasis cover)
The Masterplan (Oasis cover)
Half the World Away (Oasis cover)
Wonderwall (Oasis cover)
Stop Crying Your Heart Out (Oasis cover)

Encore:
AKA… What a Life!
Don’t Look Back in Anger (Oasis cover)
All You Need Is Love (The Beatles cover)

Un grande Festival Jazz e non solo, ricco di contaminazioni, eventi e tanta musica  in una location inedita nel cuore del Monferrato Casalese in quel di Cellamonte entrata tra l’altro nel novero dei “Borghi più belli d’Italia”. Jazz Re – Found è una certezza ormai e da alcuni anni propone musica di qualità ed esperienze innovative e trasferitosi da Torino nel 2018 a questa nuova location ha centrato ancora una volta il suo obiettivo.

La serata scelta dalla nostra redazione è quella di Sabato 22 Giugno dove tra i due palchi principali e Dj set si respirava musica, passione e soprattutto grande capacità organizzativa, una macchina perfetta per accogliere in un piccolo paese migliaia di persone vogliose di immergersi a tutto tondo in una esperienza unica di musica , buon cibo e tante attività parallele da vivere in un territorio tutto da scoprire.

Il palco Molinari incastonato tra le colline e il borgo di Cellamonte ha ospitato tra gli altri il Rap di Kaos one fanpage & DJ Craim  con numerose citazioni  per  Colle der Fomento  che li avevano preceduti la sera prima con tutta la loro carica trasgressiva  del nuovo disco Adversus.

Headliner della serata di sabato l’interessante superband  I hate My Village  nata dal connubio tra Fabio Rondanini batterista di Calibro 35, e Afterhours e Adriano Viterbini  chitarrista del duo Bud Spencer Blues Explosion ai quali si uniscono la voce di Alberto Ferrari dei Verdena e  il basso di Marco Fasolo che funge anche da  produttore della band.

L’idea di base di questo sodalizio è la passione dei primi due  per la musica africana in particolare il Desert Blues che nasce nel Mali quello di Tinariwen , Bombino e  Rokia Traoré con i quali hanno suonato in varie tournee, miscelato con una base afro beat e tanto sano e ottimo rock’nroll.

La dimensione live di I Hate my Village è un portento di energia e classe con i 4 musicisti che sembrano suonare insieme da anni; sul palco Molinari di Jazz Re Found si sprigiona immediatamente la magia di un sound ai più quasi sconosciuto ma che ci porta a migliaia di chilometri di distanza nel deserto degli uomini blu i Tuareg . La batteria potente di Rondanini in simbiosi con il basso di Fasolo scandiscono il ritmo in levare a fare da contrappunto alle chitarre di Ferrari e alla solista di Viterbini proponendo al caloroso pubblico di Cellamonte l’omonimo  disco d’esordio praticamente per intero includendo anche  una cover eccezionale di Don’t Stop ‘Til You Get Enough di un compianto Jackson d’annata.

Trai brani più belli di I Hate my Village abbiamo ascoltato una Tony Hawk of Ghana incredibile , per non parlare di Presentiment o una bellissima versione di Acquaragia insomma il live e l’atmosfera bucolica delle colline di Cellamonte rendono ancora più mistico il sound di questa band . La serata a Jazz Re-Found prosegue con la straordinaria performance del batterista Yussef Dayes e la sua band e per finire in bellezza  Kokoroko con il loro magico afro soul