Interviste

Le interviste di Concertionline ai protagonisti della musica: tutta la musica italiana e internazionale raccontata dalle parole degli artisti e delle band. Musica rock, pop, metal e non solo.

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Dietro il moniker Generic Animal si nasconde Luca Galizia, che sfodera un gran disco d'esordio con un'attitudine lo-fi che nell'indie italiano si è un po' persa. Lui ce lo racconta così.

Luca Galizia, classe 1995, già chitarrista dei Leute, ha deciso, in questo inizio di 2018, di cimentarsi per la prima volta con un disco solista, nascosto sotto il moniker Generic Animal: con l’aiuto di Jacopo Lietti (Fine Before You Came) ai testi e la produzione di Adele Nigro e Marco Giudici (Any Other) quello che ne è venuto fuori è un prodotto “sghembo”, come si sarebbe detto una volta, uno di quei dischi da cameretta che inquadrano però perfettamente un modo di vivere la provincia in cui tanti riescono a riconoscersi.

Ne abbiamo parlato con lui per farci raccontare come è nato questo lavoro, che sta già conquistando pubblico e critica in quel circuito indie che si dimostra sempre più ricco di talenti.

Prima domanda obbligatoria: cosa ti ha detto Jacopo Lietti per convincerti a fare questo disco e se avevi mai pensato a un disco solista.

Ci siamo convinti a vicenda. Per quanto riguarda il disco solista, direi che è stata una scelta presa con impulsività ma comunque voluta. Cercavo da tempo qualcosa per me stesso. Ne avevo bisogno e mi ha fatto bene, mi sta facendo del bene. La convinzione è partita da entrambi. Settimana dopo settimana ci siamo fomentati uno con l’altro ed è uscito fuori questo disco.

C’è stato un tempo in cui per dischi tipo il tuo si usava la parola “sghembo”, “storto”, ti ci ritrovi?

 Si dai mi ci ritrovo. Più che altro mi rappresenta anche un po’ fisicamente ahha.

E lo sai che i dischi storti non li fa più nessuno perchè non vanno più di moda (e per questo il tuo sembra un piccolo miracolo dal mio punto di vista)?

Dipende da quanta musica ascolti e con che fine ascolti o fai la musica. Per quanto riguarda l’Italia potrei darti ragione. Comunque grazie mille, sono contento ti piaccia il disco.

La produzione di Marco e Adele ha arricchito il tuo lavoro?

Assolutamente si, sono stati essenziali nella fase di arrangiamento e registrazione. Anche a livello emotivo e di motivazione.

I testi di Jacopo Lietti: sono venuti fuori da cose che gli hai raccontato, li aveva già pronti in un cassetto e te li ha “donati”, insomma come nascono?

I testi di Jacopo sono nati settimana dopo settimana. Li ha scritti tutti lui e io magari ho tagliato minimamente alcune cose che trovavo poco comode nello stendere la linea vocale. Un paio di questi sono più legati ad un pensiero comune, tipo “hinterland” e “interludio” ma comunque in maniera sentita e sincera.

Questa attitudine lo-fi da cameretta come la renderai dal vivo?

La sto rendendo nel modo più comodo ma, personalmente, più divertente possibile. Suono la chitarra classica, Andrea, mio amico e già batterista nell’altra band in cui suono (Leute), suona i pad con le ritmiche e bassi, il computer lancia le basi con i synth e i cori, infine Zollo ci aiuta con i suoni.

Come ti senti ad essere un artista lo-fi in un mondo in cui tutto è mega prodotto e anche la parola “indie” ha perso di significato? L’appoggio de La Tempesta quanto è contato per te?

Mi dispiaccio solo del fatto che il metro di paragone sia davvero così ristretto e che le persone non riescano ad ascoltare la musica senza dover far riferimento ad un nome di un altro artista. Ma probabilmente sarà sempre così quindi fa niente. Continuo a fare le mie cose. L’aiuto di Enrico (Molteni – La Tempesta Dischi) è stato tutto e lo è tutt’ora. Oltre che ad essere un amico dal cuore d’oro e ad aver creduto dal primo secondo al progetto, è anche un discografico indipendente super organizzato che sa trattare con chiunque nella migliore maniera. Anche con un tamarretto come me.

Infine, tu hai definito il tuo disco “pop senza ritornelli”, ci spieghi meglio?

 E’ una definizione convenzionale per non dover spiegare a tutti che la canzone è a struttura aperta, il ritornello c’è solo una volta e devi capire tu qual è.

Queste le date in cui potrete vedere Generic Animal live, mentre sotto un assaggio del disco, con il video di “Tsunami”:

02-03-2018 MARGHERA – (VE)- Argo 16
03-03-2018 ROSA’ (VI) – Vinile – (w/Galeffi)
09-03-2018 BOLOGNA – Covo Club
10-03-2018 PIACENZA – MusiciPerCaso
17-03-2018 SEREGNO (MB) – Tambourine
21-03-2018 FORLI’ – Diagonal Loft Club
23-03-2018 MONTECCHIO (RE) – Concerteeno @ Bainait
24-03-2018 PRATO – Capanno 17
11-05-2018 AVELLINO – TILT
12-05-2018 SCAFATI – (SA) –FERRO 3

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Cristina Donà celebra 20 anni di carriera regalando le canzoni di Tregua, suo disco d'esordio, a 10 giovani artisti italiani. Ne abbiamo parlato con lei alla vigilia della data fiorentina del tour.

20 anni di carriera sono un traguardo straordinario, 20 anni di bellezza e coerenza artistica, senza mai ripetersi, sono un qualcosa che va indubbiamente festeggiato: Cristina Donà decide di farlo attualizzando il suo disco d’esordio e “regalandone” i brani a dieci artisti della nuova generazione, che hanno riarrangiato i brani e duettato con la stessa Cristina, che si è tenuta per sé “Stelle buone”, uno dei suoi brani più rappresentativi. Abbiamo parlato con lei prima della data fiorentina di questo suo tour “Tregua 1997-2017. Stelle buone”

Ciao Cristina, allora prima domanda d’obbligo: come sono cambiate le cose rispetto a 20 anni fa?

“20 anni fa Tregua arrivò come parte del progetto Mescal, un management che in quel momento diveniva una vera e propria etichetta grazie a Manuel Agnelli, che decise di produrre anche quel mio esordio. Era l’inizio di una scena che comprendeva band come Subsonica, Afterhours, Bluvertigo, Lacrus, che sono poi divenuti dei veri e propri punti di riferimento per i giovani artisti attuali. Sicuramente è cambiato il modo di lavorare sulla musica ed ho nostalgia di quel modo di lavorare, che non era improntato sui singoli come quello attuale ma su veri e propri progetti; la musica era meno usa e getta, non si poteva avere tutto praticamente gratis, non c’era lo streaming. Insomma, su un disco dell’epoca c’era più attenzione, lo si ascoltava e lo si comprava perché davvero lo si desiderava.”

E tu come sei cambiata rispetto a 20 anni fa?

“Sicuramente è cambiato il mio modo di cantare, ho scoperto nuove armonie e ne ho magari perse altre. Riascoltando “Tregua” fatico a riconoscermi in quel modo di cantare ma sicuramente era lo specchio di quella che ero in quel momento, quell’urgenza di comunicare; mentre invece trovo che la mia scrittura, il mio tratto, un po’ come quello di un pittore, pur evolvendosi, sia rimasto riconoscibile: continuo a raccontare gli stati d’animo più che delle storie.”

Ci sono scelte che non rifaresti tornando indietro?

“Devo dire che sono sempre stata molto libera da quel punto di vista e artefice del mio percorso; anche il periodo di passaggio tra Mescal, che chiudeva i battenti come etichetta, ed Emi (a cui fu venduto il catalogo Mescal e che scelse di investire su tre artisti: Afterhours, Perturbazione e la stessa Cristina) lo ricordo come positivo. Ero un’artista già formata e nessuno mi ha mai condizionato più di tanto.

Come è nata la scelta degli artisti per questo disco? E c’è qualcuno che ti ricorda la te degli esordi?

“Devo dire che gli artisti di questo disco o li ho ascoltati personalmente e conosciuti in varie occasioni o mi sono stati consigliati da persone di cui mi fido ciecamente. Non sono state scelte casuali ma ci sono con tutti affinità artistiche e devo dire che è stato bello percepire quanto io sia stata per alcuni di loro un punto di riferimento, inconsapevolmente. Spesso mi chiedo che tipo di lascito ho dato in questi 20 anni di carriera e ricevere certi attestati è sempre un onore. Se ti devo indicare qualcuno con cui ho sentito una particolare somiglianza nel modo di scrivere e nell’urgenza ti dico Chiara Vidonis.”

La scelta di tenere per te “Stelle buone” come è nata?

“È un brano che sento molto personale, mi faceva strano farla cantare a qualcun altro… e poi era un modo per “presentare” questi 10 giovani artisti, come a dire “ecco, sono queste le stelle buone della musica. Tra l’altro segnalo che su “stelle buone” ha lavorato la bravissima e giovanissima polistrumentista Valeria Sturba in questo nuovo arrangiamento, ascoltatene i lavori perché io ne sono rimasta veramente estasiata.”

Cosa stai portando dal vivo in questo tour?

“Portiamo “Tregua” attualizzato, con arrangiamenti diversi da quelli di 20 anni fa e poi diamo spazio in ogni data ad una delle band che ha fatto uno dei brani nel disco. A Firenze ci saranno i Blindur e ovviamente duetterò con loro.”

Ultimissima domanda: un consiglio che daresti a un artista che si sta affacciando adesso alla scena musicale?

“Fare sempre ciò in cui si crede. Meglio sbagliare con la propria testa e le proprie idee che con le idee di qualcun altro, per non avere poi rimpianti”

Mao Medici

Mao Medici è un cantautore energico, ironico e fuori dagli schemi, ma che ha anche una sensibilità giocosa che usa per raccontare in parole e musica storie di tutti i giorni, con cui non è difficile entrare in sintonia.

È il caso di “Volo Pindarico“, title track del suo secondo album, uscito nel 2015 e poi rinato sotto forma di ep con “Volo Pindarico 2.0“. La versione 2.0 contiene tre tracce riarrangiate e adattate al live acustico già presenti nella prima versione dell’album: “Alba“, “Indaco” e “Volo Pindarico“. Un pezzo con cui Mao Medici si racconta e si mostra, girando anche il video nella “sua” Lissone e parlando di una realtà con cui tutti, prima o poi, si sono scontrati, quella di chi “Non ha mai fatto tredici” ma continua a dirsi “Va bene com’è. Svegliati e credici”.

Volo Pindarico è un disco finanziato dalla gente attraverso Music Raiser, dove ho superato il 100% del progetto. – racconta Mao – Volo Pindarico è poi diventato un live raccontato e poco dopo è divenuto un romanzo (reperibile on line e librerie o sul mio sito maomedici.it). Lo porto ‘a spasso’ da quasi due anni e ha ancora qualcosa da dire. L’album è poi stato riarrangiato e si è evoluto in Volo Pindarico 2.0, grazie anche al contributo di Matteo Luraghi (basso) Vito Emanuele Galante (tromba) e Andrea Meloni (Percussioni), turnisti che rappresentano ormai una formazione consolidata“.

E per il 2018 Mao Medici ha preparato delle novità: un nuovo album “Lo spaventapasseri” e un nuovo singolo “La conta” anticipato da un breve promo di pochi secondi.

Nell’album nuovo ci saranno ospiti importanti – ci ha anticipato Mao – che si sono messi a disposizione per suonare in diversi brani del disco nuovo. Intorno a questo nuovo lavoro si sta creando un gruppo ben affiatato, capace e professionale. Non una band, ma un gruppo affiatato. Dopo Cenere (il suo primo album n.d.r.) e Volo Pindarico, Lo Spaventapasseri segna una linea importante in me.”

Sul sito maomedici.it il nuovo album è già disponibile in pre order. Per ogni acquisto di una copia fisica dell’album, si riceverà l’e-book di Volo Pindarico e il disco in formato digitale.

Mao Medici racconta a modo suo la vita quotidiana, senza mai dimenticare di divertirsi e di far divertire, accompagnandosi con la sua chitarra e facendo muovere, sorridere e cantare chi ascolta.

A chi gli chiede perché si definisce “Cantautore anonimo” risponde con semplicità: “Perché sono uno qualsiasi, con una chitarra e dei fogli in tasca e testi in testa…”

Se vi state chiedendo dove potete vederlo live, ecco tutte le sue prossime apparizioni:

 

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Domani con i suoi Diaframma Fiumani inaugurerà la nuova stagione del Riff Club a Prato, portando in giro 30 anni di storia del rock italiano.

Venerdì 29 settembre Federico Fiumani torna a suonare a Prato, nel rinnovato Riff Club, per inaugurarne la stagione concertistica con i suoi Diaframma: la band, attiva fin dai primi anni ’80, manca alla prova di un disco di inediti dal 2013, anno di “Preso nel vortice”, ma non per questo è venuta meno la loro presenza sui palchi di tutta Italia, toscani in particolare, tanto che Fiumani stesso, tramite i social, ha definito questo tour un “Puttan tour”, proprio perchè non ha un disco in uscita.

Siamo andati dunque a chiedergli quando arriverà questo agognato disco di inediti, atteso dai tantissimi fan della band fiorentina, ma la data precisa ancora non c’è. Venerdì però, si inizierà a sentire qualcosa di nuovo.

Federico, venerdì inaugurerai con il tuo live la stagione del Riff Club, come è cambiata secondo te la situazione dei live club italiani negli ultimi 30 anni?

“Non è cambiata granchè, 30 anni fa se un locale aveva gli schermi che mandavano video musicali, era considerata una cosa all’avanguardia e poteva determinare il suo successo.”

Credi che siano la miglior dimensione per un concerto?

“No, i teatri sono meglio, si sente meglio. Spesso nei club, non tutti, ma alcuni, l’acustica non è delle migliori.”

Ho letto su facebook che hai definito, con la tua consueta schiettezza, questo tuo tour “Puttan tour”, vista l’assenza di un nuovo disco da promuovere. A quando un nuovo disco di inediti dei Diaframma?

“Ci stiamo lavorando. Senza fretta, che non vuol dire senza impegno.”

Questo tour di successi ti ha fatto riscoprire qualche brano storico che non suonavi da tempo?

“Direi che i brani storici li stiamo facendo tutti, a parte quelli che proprio non riesco a imparare a memoria.”

Qual è il tuo rapporto con i social network?

“Mi servono per organizzare concerti.”

Venerdì suonerai un brano nuovo, “Quando morirò”, cosa ti ha ispirato questo pezzo?

“In realtà ho solo questa frase e qualche accordo, lo devo finire entro venerdì perchè lo ho annunciato, mannaggia a me.”

In generale hai un metodo di scrittura per i brani dei Diaframma?

“No, ogni brano ha una storia diversa.”

Nelle sonorità dei gruppi indie italiani degli ultimi anni sono molto presenti gli anni ’80 e i Diaframma sono considerati un gruppo di riferimento: se oggi dovessi rimettere in piedi un progetto come fu “Il dono” qualche anno fa a quali gruppi penseresti, oltre a quelli che già avevi coinvolto?

“Spartiti e Afterhours, che sono quelli che mi rimbalzarono all’epoca, solo per il gusto di rompere i coglioni.”

Se dovessi riassumere Federico Fiumani e i Diaframma in una frase, quale sarebbe?

“Se mi lasci non vale, tutto il nostro passato dentro quella valigia, non ci può stare.”

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Il Bleech Festival 2017 si svolgerà dall’1 al 3 settembre a Piacenza, portando, presso il Parco della Cavalerizza, una selezione di musica davvero interessante ad ingresso completamente gratuito. Giunta quest’anno alla sua terza edizione, la rassegna curata dall’associazione Propaganda 1984 accoglierà nove band, street food ed espositori, tra concerti, handmade e vintage market, dodici food truck con specialità della zona ed eventi collaterali quali workshop, escursioni in moto, laboratori e area bimbi.

A poche settimane dall’inizio del festival, abbiamo raggiunto gli organizzatori per farci raccontare qualche curiosità sull’evento che, nato nel 2015, sta crescendo sempre di più sia in termini di presenze che di investimento operativo. “L’idea è partita con un’intenzione precisa. Abbiamo cercato di creare qualcosa di diverso, con una nuova anima e una nuova concezione rispetto a quello che già c’era”, ci spiega Filippo Zanelli, che specifica “Per questo abbiamo scelto di portare a Piacenza nove gruppi italiani importanti, attualmente in tour o in rotazione radiofonica”.

E’ nato tutto velocemente” prosegue Riccardo Covelli, nell’organizzazione dalla prima edizione, che rivela anche l’origine del nome Bleech: “Doveva essere la traduzione in inglese di faggio, ma dopo un errore di battitura è diventato sinonimo di una sensazione post-hangover (to have slugs in your mouth, letteralmente avere i lumaconi in bocca)”. Anche il luogo è stato scelto con facilità: “Il parco della Cavallerizza è la seconda location che abbiamo visitato e ci è piaciuta subito. Volevamo portare a Piacenza, la nostra città, realtà che di solito si trovano a Milano, Roma o comunque in aree piuttosto lontane da casa per noi. Siamo soddisfatti perché la gente ha cominciato a seguirci e ha dimostrato di apprezzare quello che facciamo”.

La riposta di pubblico, nelle precedenti edizioni, è stata ottima (è passata da 6000 a 13.000 persone in due anni) e ha radunato spettatori di tutte le età, famiglie comprese. “Tra i nostri obiettivi c’è quello di promuovere il territorio, portando a Piacenza anche chi abita in altre zone ed accontentando tutti”, aggiunge Filippo, che racconta anche come è stato scelto il cast artistico.

Abbiamo puntato sul differenziare le serate per genere – ad esempio l’anno scorso abbiamo optato per Ghemon, quest’anno per Carl Brave – per arrivare al maggior numero possibile di persone. I gruppi in programma provengono da tutta Italia ma non da Piacenza: questa decisione, da alcuni considerata snob, è una scelta consapevole. Volevamo differenziarci dalle realtà locali portando in città realtà differenti e dalla prima alla terza edizione abbiamo triplicato l’investimento per i gruppi. Per definire i dettagli abbiamo osservato le migliori band che stanno suonando in giro per l’Italia, quelle che hanno più appeal sul pubblico, e abbiamo preferito la qualità e la migliore resa live”.

Tra coloro che si esibiranno ci sono gli Ex-Otago, reduci dal successo del disco ‘Marassi‘ e della sua versione deluxe, e Carl Brave con Franco 126, duo rap che ha rilasciato l’apprezzato album ‘Polaroid‘. Nel corso delle tre serate si alterneranno anche Canova, Colombre, Persian Pelican, Liede, Giorgieness, Altre di B e Revo Fever, tutti confermati in line-up tra venerdì, sabato e domenica. Ecco il calendario:

Bleech Festival 2017 – Piacenza – Ingresso gratuito – Programma

Venerdì 1 settembre

Canova
Persian Pelican
Liede

Sabato 2 settembre

Carl Brave x Franco 126
Colombre
Giorgieness

Domenica 3 settembre

Ex-Otago
Altre di B
Revo Fever

Photo credit: Michele Costa

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Il cantautore milanese arriva giovedì a Firenze per presentare il nuovo album "Graziosa Utopia" e ci racconta delle sue conquiste personali, dei suoi demoni e di come sia bello non avere successo.

Quando stai per intervistare uno dei cantautori più ispirati degli ultimi anni, un’icona del rock italiano, un uomo che ammiri, ti sale sempre un po’ di ansia, soprattutto se sai che ha appena scritto un disco bellissimo e pieno di concetti non facili da sviscerare, nascosti nei suoi meravigliosi versi (disco che presenterà giovedì 11 maggio a Firenze, durante il festival Fabbrica Europa), per cui è questo lo stato d’animo con cui mi sono messo al telefono.

Stefano Edda Rampoldi ha risposto, con la semplicità rara che lo contraddistingue, dopo un po’ di squilli:
“Scusami, stavo provando un pezzo degli Esterina e non lo sentivo suonare. Li conosci?”
E così ci mettiamo subito, come fossimo amici da sempre, a parlare di un gruppo lucchese che adoriamo entrambi e che, purtroppo, è meno conosciuto di quanto meriterebbe.
“Senza resa” è il brano che stava suonando: “E’ bellissima, ho suonato un paio di volte con loro, sono bravissimi. Questo pezzo è ispiratissimo, dovrebbero suonarlo al posto dell’Inno di Mameli prima delle partite dell’Italia.
Sai che goduria che senti questo pezzo e poi magari batti la Germania 4 a 0?”.

Stefano, mi aspetto quindi che tu faccia la cover di “Senza resa” degli Esterina giovedì a Firenze.

“Magari fossi così intelligente, in realtà sentendo questo pezzo me ne è venuto un altro, ma dirò a tutti che ho copiato da “Senza resa”. E’ magnifica. La chitarra di questo pezzo quando li ho sentiti in duo era incredibile, vorrei avere la metà di quel sound. Dovrebbero essere primi in classifica.”

Inizio l’intervista chiedendoti come ci si sente a essere punk, nel senso anche di “libero”, nel 2017.

“Si vede che è un karma, io vorrei diventare di successo e vendermi al miglior offerente ma si vede che non interessa e quindi vado avanti per la mia strada. A qualcuno piace e quindi va bene così, rimango puro.”

Tu sei la prova che si può uscire vivi e ispirati dagli anni ’90. Quanto sei cambiato dagli anni con i Ritmo Tribale?

Tantissimo, ma questo Stefano non ci sarebbe se non ci fossero stati gli anni con i Ritmo Tribale. I musicisti con cui suono adesso son molto diversi da quelli con cui suonavo prima, ma tutto serve e tutto ha avuto un senso ed è stato bene farlo. I Ritmo Tribale son stati un grande gruppo ma adesso vado avanti con Luca (Bossi) e Fabio (Capalbo), due musicisti diversi e bravissimi. Sono contento così.”

A proposito degli arrangiamenti dei pezzi, ho letto che li hai portati a Luca e Fabio chitarra e voce e poi hai sentito solo il risultato a disco praticamente finito.

“Sì, io non sono capace di arrangiare, io porto i pezzi chitarra e voce e poi dò loro l’ok, il semaforo verde, quando loro prendono la strada giusta sull’arrangiamento, ma altro non faccio.”

Per quanto riguarda i singoli pezzi, ho trovato che uno dei fili conduttori dei brani sia il sesso, la sfera sessuale e sensuale, vista anche un po’ come una specie di “lato oscuro”: penso a “Signora”, “Zigulì”…

“Sì, mi ricordo che Paolo Poli, l’attore teatrale, diceva che il 900 avrebbe dovuto essere il secolo del sesso e poi non lo è stato. Chissà cosa è successo. Io penso, anzi mi è stato detto, che il sesso sia il motivo per cui ci reincarniamo vita dopo vita, per cui è la catena che ci tiene maggiormente legati. Quel famoso detto “tira più un pelo di figa che un carro di buoi” sembra una banalità ma nemmeno Kant credo sia riuscito a dire una cosa tanto illuminante, perchè noi ci perdiamo in elucubrazioni spirituali ma alla base ci sono catene forti che ci trattengono e il sesso è la più forte di esse. Io credo che il sesso sia la cosa che ci spinge, il bisogno primordiale.”

“Per dire anche Walter Renzi, chiamiamolo Walter, non Matteo, si alza al mattino e pensa a tutt’altro che al sesso, sembra sia spinto magari dal potere o da altro, ma poi se andiamo a vedere bene è tutto riconducibile a una forza primordiale e quella forza io la identifico col sesso, che poi si invelenisce e prende altre forme.
Si rimane prigionieri della propria concezione del corpo e quando questo accade non si può non finire condizionati dal sesso. E’ un veleno che prendiamo a dosi massicce fin da bambini, è pericoloso identificarsi col corpo e lo dico essendone schiavo, però almeno non vado a rompere i coglioni agli altri con il mio essere un morto di figa.”

Dici che sei schiavo del corpo ma poi scrivi pezzi quasi tutti voltati al femminile.

“Sì perchè come alternativa al corpo vedo l’anima, l’uno è maschile, l’altra femminile. Vedo meglio su di me la parte femminile, è una mia aspirazione poter essere un’anima libera, anche se so di non esserlo; però so di avercela l’anima quindi cerco di allenarla e grazie a quella fare una fine migliore, senza pensare troppo al corpo. Per dire ho un ricordo dell’avvocato Agnelli, l’icona dell’uomo di successo, in una foto poco prima di morire in cui appariva vecchissimo, il che è paradossale perchè non me lo ricorderò come l’uomo di successo ma solo come un anziano: sappiamo tutti che fine faremo, ma nessuno vive in funzione di quello, viviamo come se ci giocassimo tutto in questa vita e poi moriamo e le cose perdono assolutamente di senso, la ricchezza, il successo, tutto e ti rendi conto solo che hai vissuto da coglione. Essere un premio Nobel non ti serve al momento della morte. Io so cosa serve ma non ho voglia di dirlo, vado su un’altra strada.”

Ho letto che appartieni al movimento Hare Krishna, è sui suoi principi che si basa ciò di cui mi stai accennando adesso. Come ti sei avvicinato a questa visione?

“Sì, mi sono avvicinato intorno ai 20 anni per caso, ascoltando Radio Krishna Centrale, di cui non conoscevo l’esistenza, e sono rimasto catturato, un po’ come dal pezzo degli Esterina di cui parlavamo prima. Ero pronto per essere colpito dal messaggio di Krishna, vibravamo sulla stessa frequenza.
Poi ho cercato anche di trasmettere il messaggio ai miei amici, ma io dopo 30 anni sono ancora qui a parlare di Krishna e penso che a loro non possa fregare di meno. E niente, vado avanti per la mia strada, pur essendo un pessimo devoto di Krishna cerco di fare qualcosa in cui credo.

Cosa pensi di te stesso? In un paio di pezzi, “Picchiami” e “Brunello”, ho letto una vena di masochismo.

Io mi faccio abbastanza schifo, lo ammetto. Ho fatto tutta una vita per cercare di piacermi ma guardandomi allo specchio ho sempre visto una persona peggiore di quella che in realtà non sono. Mi vedo peggio di ciò che sono non solo a livello fisico, ma anche da quello delle abilità, fin da ragazzino mi sono sempre visto meno bravo a scuola, incapace magari di suonare come volevo e così’ via, mi porto dietro questo peso, ma adesso che ho 54 anni, pur sentendomi sempre così, me ne fotto e cerco di fare buon viso a cattivo gioco cercando di migliorare sempre. Poi nel caso me la gioco meglio nella prossima reincarnazione.”

A proposito di prossime vite, in “La liberazione” dici: “Figlio del mio preservativo, sei solo un ladro di speranza.” Se avessi un figlio che cosa gli diresti?

Intanto gli chiederei scusa per averlo messo in questa prigione che è il corpo, il mondo. Poi cercherei di dargli i mezzi per uscire da questa prigione, parlandogli di Krishna dalla mattina alla sera, il che lo porterebbe ad ammazzarmi all’età di 12 anni, immagino. Dal mio punto di vista però è la cosa migliore che potrei fare, ma non ho fatto figli perchè non avrei saputo crescerli con l’esempio, non sarei stato un grande esempio.

E la musica sarebbe una possibile forma di liberazione per un figlio? Per uscire dalla prigione di questo mondo?

“Mah, difficile da dire: se poi avesse successo questo non gli permetterebbe più di avere una visione libera, quando diventi famoso è difficile mantenersi puro. A volte quando le cose vanno male vanno meglio.

Quindi ti senti fortunato a non essere una star della musica?

Quando canto “ho la fortuna di non valere niente” è perchè lo penso: se avessi raggiunto il successo non so che fine avrei fatto. Io comunque spero di avere successo eh, ancora ci credo!”

Comunque il tuo zoccolo duro di fan te lo sei conquistato e il tour sta andando bene.

“Sì sì, il fatto di aver scritto un altro disco, di stare suonando in giro e di averne già pronto praticamente un altro mi fa ben sperare.”

Il disco nuovo, domanda d’obbligo ormai, si discosterà da “Graziosa Utopia”?

“No, penso che farò una doppietta, anche perchè i pezzi sono nati nello stesso periodo, avrò gli stessi straordinari compagni di viaggio, Luca e Fabio, che mi daranno la consueta fantastica mano, per cui non si discosterà da “Graziosa Utopia”.

Quella di virare maggiormente dal rock al cantautorato è stata una scelta naturale?

“Non ho fatto nessuna virata di proposito, erano canzoni partorite allo stesso modo anche quelle di “Quando mi ammazzerai”, cambia solo un po’ l’arrangiamento, ma se te le canto con la chitarra acustica non percepisci che vengono da due lavori diversi, non cambia molto solo il vestito. Mi piace però questo vestito più pop di “Graziosa Utopia”.

Hai già pensato magari di portare in giro i pezzi chitarra e voce, così come sono nate?

“Sì sì, potrebbe accadere, anzi me lo hanno proposto e credo che farò alcune date da solo chitarra e voce.

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Abbiamo fatto quattro chiacchiere con il direttore artistico della XXIV edizione del festival che si aprirà a Firenze il 4 maggio e che porta in città tantissimi artisti di tutta Europa

Sta per partire a Firenze la ventiquattresima edizione del Festival Fabbrica Europa, che dal 1994 si propone di portare nella città toscana un programma di eventi artistici che faccia scoprire ai fiorentini (e non solo) le più belle realtà da tutta Europa, sfoderando ogni anno un cartellone ricchissimo che ha il suo fulcro negli eventi alla Stazione Leopolda.
Per l’occasione siamo andati a disturbare il direttore artistico della parte musicale del festival, Maurizio Busia (per la parte danza se ne occupa una dei fondatori di Fabbrica Europa, Maurizia Settembri) che ci ha raccontato quali sono le attrattive principali di questa edizione e cosa si propone di fare Fabbrica Europa.

Maurizio, ventiquattresima edizione al via per Fabbrica Europa, uno dei più longevi festival in Italia, quali sono gli obiettivi per questa nuova edizione?

“Fabbrica Europa è nato nel 1994 con la voglia di fare della Stazione Leopolda un luogo d’incontro per artisti da ogni parte d’Europa, diciamo che l’anima rimane quella di dare l’idea di una contemporaneità accessibile, con un buon livello di popolarità pur con artisti di generi molto diversi. Vogliamo far capire agli artisti stessi che si può accedere a Fabbrica Europa con le proposte più variegate, cercando di arrivare a un pubblico curioso e trasversale.”

Riguardo al fatto di essere nati nel 1994, stavo giusto pensando che voi avete precorso i tempi rispetto agli “Stati Uniti d’Europa” di cui tanto si parla e li avete creati dal punto di vista artistico quantomeno, in questo momento in cui l’Europa politica è un po’ in crisi come si pone Fabbrica Europa?

“Sicuramente Fabbrica da quel punto di vista ha precorso i tempi e la globalizzazione poi in questo, dal punto di vista delle collaborazioni ci ha favorito, per quanto non sia un momento facile per le istituzioni a livello europeo. Per esempio quest’anno su Firenze portiamo un progetto che si chiama N.O.W., ovvero New Open Working Process for the performing arts, progetto coordinato da extrapole (Parigi), in collaborazione con 7 partner europei tra cui la Fondazione Fabbrica Europa, che è cofinanziato dal programma Europa Creativa dell’Unione Europea. vuole creare le basi per la creazione di un polo di competenze transnazionali. Partendo da una pratica comune a tutti i partner (l’accompagnamento di progetti artistici e la loro diffusione) il progetto intende intraprendere un percorso di ricerca sperimentale.
Il partenariato mira anche a diventare una rete di collaborazione reciproca e di collaborazione professionale duratura basata su principi di un’economia contributiva (cooperazione, condivisione, tecnologie dell’informazione).
Il programma di lavoro si strutturerà in 4 laboratori interdipendenti, che a loro volta si articoleranno in una serie di sessioni di lavoro lungo tutto l’arco del progetto triennale.”

Da direttore artistico come avviene la scelta degli artisti che vanno a comporre così variegato?

“Cerco di lavorare non sull’usuale, anzi spesso su progetti che nascono apposta per Fabbrica Europa, per esempio quello che faranno Hamid Drake e William Parker il 14 maggio: il rifacimento di “A love supreme” di Coltrane (a 50 anni dalla sua scomparsa) in una produzione per solo contrabbasso e batteria, oppure il progetto di Marco Parente “Eppur non basta” che recupera il primo disco ma non con uno sguardo nostalgico, bensì per dare un’idea di come era la scena fiorentina dell’epoca, come già avevamo fatto in passato con i CCCP di “Epica, Etica, Etnica, Pathos” e con la Cristina Donà di “Sea songs” .”

Spesso si vede Firenze come una città troppo legata alle proprie radici, al proprio periodo di gloria rinascimentale, è stato difficile trasportarla verso l’Europa in questi anni o è stato un percorso naturale?

“Secondo me Firenze non è una città semplice da questo punto di vista, trovo che per essere una città veramente europea abbia bisogno di toccare altre sfide, qualcosa che ancora deve arrivare nel futuro, perchè comunque è una città con una storia importante e per portarla nella contemporaneità bisogna lavorare con artisti capaci di andare in profondità.”

Il pubblico fiorentino spesso non è molto facile, negli anni ha imparato ad apprezzare le iniziative magari meno “nazional-popolari” proposte da Fabbrica Europa?

Io l’anno scorso rimasi molto sorpreso di trovare molti spettatori al concerto di Cristophe Chassol, un artista caraibico; questo mi fa pensare che quando la proposta è forte il pubblico si può incuriosire. L’offerta su Firenze è molto ricca quindi non è facile, però credo che si debba iniziare un lavoro sulla formazione della curiosità del pubblico, perchè ripeto quando la proposta è forte poi la gente la apprezza anche se non è fan dell’artista.”

Quali sono due nomi di artisti magari poco noti al pubblico italiano ma assolutamente da non perdere nel programma di Fabbrica Europa 2017?

“Sicuramente ti dico Mayra Andrade, musicista trasversale sia geograficamente che musicalmente: ha collaborato con Cesaria Evora per esempio. Lei la avremo il 12 maggio. Come secondo evento segnalo l’australiano Oren Ambarchi, che avremo alla Limonaia di Villa Strozzi il 20 maggio, un vero innovatore, musicalmente parlando.”

Per il programma completo: www.fabbricaeuropa.net

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Joey Belladonna, Anthrax

Gli Anthrax sono da sempre un’istituzione per gli amanti del thrash metal. Nonostante alcuni alti e bassi e qualche cambio di formazione che ha per qualche anno destabilizzato lo storico trio dal cognome italico Bello, Benante, Belladonna, la band di Scott Ian e soci non ha mai smesso di essere parte dell’Olimpo del metal, i Big Four, insieme a Metallica, Megadeth e Slayer.

Abbiamo incontrato Joey Belladonna in occasione del concerto degli Anthrax al Live Club di Trezzo sull’Adda, uno delle poche occasioni in Italia in cui ci è concesso di vederli da headliner, e non in occasione di Festival o in apertura di altre band. Il live è parte dell’Among The Kings Tour, un nome che vuole celebrare al contempo l’ultimo lavoro della band, For All Kings, e lo storico album Among The Living, uscito nel 1987 e che quest’anno celebra quindi il trentennale dall’uscita. Con Joey abbiamo parlato del passato, presente e futuro della band e di quanto siano più belli i live nei club rispetto alle grandi adunanze dei festival.

Il tour che vi porta oggi in Italia si chiama Among The Kings, per celebrare i trent’anni dall’uscita di Among The Living e presentare il vostro nuovo album, For All Kings, unendo così presente e passato. Quali pensi che siano gli elementi di continuità tra questi due album e quali invece marcano un’evoluzione?

Ciò che hanno in comune i due album è che sono 100% Anthrax. Qui ora abbiamo un mix di tutto quello che abbiamo fatto. Penso che la band si sia evoluta in modo da avere un mix di diversi sound, noi siamo molto influenzati da altri generi, non siamo mono-dimensionali. Il nuovo album ha un sound molto fresco.

Nel nuovo album la tua voce è forse stata sfruttata ancora meglio rispetto al lavoro precedente della band, Worship Music, in cui le canzoni originariamente erano state scritte per un altro vocalist [Belladonna è rientrato nella band durante la lavorazione di questo album, sostituendo John Bush n.d.r.]. Come sei stato coinvolto questa volta nel processo di produzione dell’album?

Certo, sicuramente questo album mi ha visto molto più coinvolto e mi assomiglia molto di più. Io e Jay Ruston, il produttore, ci siamo presi del tempo da soli per far funzionare le parti vocali dell’album. Mi sono preso il tempo necessario: non si trattava di molto tempo, ma eravamo solo io e il produttore. È stato bello poter tirare fuori le mie idee senza avere tutti intorno. Prima era molto più difficile, con tutti quanti che ti dicevano cosa dovevi fare e come dovevi farlo, che ti fermavano…ora è tutto più tranquillo. Possiamo anche provare cose diverse senza preoccuparci di nulla e questo fa una grande differenza.

E per il futuro? Cosa prevedi per il futuro della band e del metal / thrash metal in generale?

Non saprei…sembra che tutti quanti stiano cercando il modo di rendere la loro musica più vendibile. Tutti si preoccupano di promuovere nuovi album, di trovare nuovi fan, di essere online con tutte quelle cose come Facebook, Instagram… con tutta quella roba vieni quasi distratto da quella che è la musica. Ma noi siamo ancora old school. Badiamo ancora a fare dischi. Ci piace registrare, io amo registrate. Non so cosa ci riserverà il futuro. Pensiamo a YouTube: è incredibile. Poi c’è Spotify e tutta quella roba. Io sono ancora della vecchia scuola però, in “old school mode”.

Parliamo del live: come cambiano i vostri pezzi quando vengono eseguiti dal vivo rispetto alla versione dell’album?

Penso che risultino molto più freschi, l’approccio è molto più strong. Io mi sento molto meglio ora quando canto quelle canzoni, non penso nemmeno a come erano. In un certo senso mi sembrano come nuove, come se fossero tutte parte di un unico grande album. Ora i due album, Among The Living e For All Kings, si fondono insieme come fossero un’unico grande lavoro. Mi sento molto più sicuro oggi, non penso a quale canzone stiamo suonando, se è dell’album nuovo o di uno vecchio, penso solo al live. E poi durante questo tour suoniamo quelle canzoni così tante volte che mano a mano migliorano. Le prime volte ci dicevamo “Wow, è passato un po’ di tempo” ma ora non ci pensi nemmeno più,  è tutto molto più naturale.

Ci sono dei pezzi che ti piace di più suonare dal vivo? E cosa ti piace vedere nel pubblico, quali tipi di reazionI?

Mi piace vedere facce giovani e fresche, ma mi piace in generale osservare le persone, mi guardo sempre intorno per vedere cosa stanno facendo e quali sono le loro emozioni. Mi piace farlo, perché mi fa sentire come se fossi là in mezzo con loro. Non voglio essere la band che tiene le distanze, mi piace essere coinvolto, quella è la parte che preferisco. Non c’è una canzone in particolare che preferisco fare: verso la fine quando ci sono i pezzi più popolari, come Antisocial, tutti fanno headbanging e si scatenano, poi magaricon altri pezzi fanno meno, ma a me piace in ogni caso. Alcune canzoni sono più difficili di altre, come Imitation of Life, l’ultima canzone di Among The Living, è molto veloce e non è una canzone facile da cantare. Ma non ho una vera e propria canzone preferita, sono felice quando le persone sentono le canzoni che vogliono sentire.

Questa volta suonerete in un club anziché nei grandi festival in cui siamo soliti vedervi, come con i Big Four per esempio.

Si, e io preferisco suonare nei piccoli club. Mi piacciono anche le grandi location ma è più difficile interagire con il pubblico, nei piccoli club c’è un rapporto più intimo. Con la mia cover band ho suonato in posti piccolissimi, in piccole stanze in cui letteralmente avevi il pubblico attaccato a te, senza transenne, senza divisioni…io amo i live nelle piccole location.

Recentemente ho visto su YouTube un video in cui si parlava di cosa fare e cosa non fare quando si incontra una rock star, è un video divertente…

Oh si, mi hanno chiesto di farlo, si capisce vero che non è stata una mia idea?

Certo che si. E a proposito di quel video, qual è la cosa più strana che ti è capitata durante un incontro con i fan?

Una volta ho firmato un armadietto, di quelli che si usano a scuola, mi hanno portato l’intera porta.

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Francesco Guasti, classe 1982, nato a Prato e con una grandissima passione per la musica: il suo nome non è di certo nuovo ai più, perchè il grande pubblico ha imparato a conoscerlo grazie alla sua partecipazione a The Voice nel 2013.  Solo qualche settimana fa invece, lo abbiamo visto sul palco dell’Ariston, in gara nella sezione nuove proposte con il suo brano Universo, che sin dal primo ascolto ci è piaciuto moltissimo, motivo per il quale abbiamo deciso di conoscerlo meglio, e proprio per questo abbiamo scelto di fargli qualche domanda per scoprire qualcosa in più direttamente dalle sue parole.

Il grande pubblico ti ha conosciuto qualche anno fa, nel 2013, con la tua voce particolare e la tua grinta grazie a The Voice. Qualche anno dopo e dopo vari tentativi ti abbiamo ritrovato con un brano bellissimo sul palco più prestigioso della musica italiana. Quanto pensi sia stata importante la tua partecipazione al talent di Rai 2, e i vari tentativi a Sanremo Giovani per arrivare a presentarti al meglio al Festival di Sanremo?

Beh, senza dubbio The Voice mi ha fatto fare un passo verso il grande pubblico, da anni cantavo con la mia band, avevo anche toccato il palco del Lucca Summer Festival e molti altri,ma si sa, la televisione ti porta ad avere una visibilità importante. Importante ed immediata, quindi va anche saputa gestire: non farsi prendere dall’illusione facile, non perdere la testa, continuare a lavorare sodo. Il talent sembra quasi più un marchio oggi come oggi e non sempre positivo, per alcuni, insomma, sei un “miracolato-paraculato”, invece non è così: ho fatto The Voice a 30 anni suonati e con una gavetta di anni, ho portato un mio brano (Un solo giorno in più) che è stato scelto poi come singolo e prodotto da Universal. Dopo questa esperienza ho continuato a scrivere, studiare, portare in giro la mia Musica. Ho avuto qualche porta in faccia, ma non ho mollato e questo mi ha premiato. Sono la tenacia e la volontà, il tempo che dedichi con devozione al tuo desiderio che ti porta a realizzarlo. Non ci sono scorciatoie.

francesco-guasti-3-mario-silvestroneSoffermandoci un attimo sulla tua recente partecipazione al Festival di Sanremo, il tuo brano Universo, parla soprattutto dei ragazzi della tua generazione, dei trentenni e della speranza di sognare che non deve mancare loro. Quanto c’è di te, della tua esperienza e della tua caparbietà a non mollare il tuo sogno fino a che sei riuscito a coronarlo in questo brano?

C’è tutto: ci sono la delusione e la paura che si trasformano in consapevolezza e poi in speranza. In un anno ho imparato una cosa che prima mi sfuggiva: “non esistono ostacoli, esistono solo occasioni per migliorarsi, opportunità .

La musica è spesso un aiuto per i ragazzi, soprattutto per quelli più giovani che spesso trovano le loro risposte nascoste dietro un paio di cuffie. Pensi che un messaggio così importante come quello che hai lanciato nel tuo brano, soprattutto in un’ epoca in cui i giovani vengono più che altro spinti a pensare alle cose concrete e sempre meno ai propri sogni, possa essere veramente veicolato attraverso la musica e giungere come “aiuto concreto” ai destinatari? Le parole sono importanti è vero, ma spesso non tutti si soffermano a comprenderle e interiorizzarle.

Il cantautore ha il compito di veicolare messaggi. Io la vivo quasi come una missione, lo sento dentro: riporto in musica e parole quello che percepisco in me ma anche attorno a me. La vibrazione delle note aiuta a far arrivare le parole nei cuori, nelle menti e in ogni cellula del nostro corpo.

copertinaE degli altri brani del tuo nuovo album cosa ci puoi raccontare? Ce ne sono alcuni in particolare che vorresti consigliare a chi non ti conosce ma vorrebbe approcciarsi alla tua musica?

Tutti i brani cono figli,è difficile sceglierne uno in particolare… Ti dico solo che per portare al Festival di Sanremo sono stato indeciso fino all’ultimo tra “Universo” e “Il gioco è semplice”. Ogni brano racchiuso nel nuovo disco parla di quello che ho imparato fino ad oggi,di come osservo l’Universo dentro e attorno a me.

Dopo Sanremo l’instore tour. Come ti sei trovato ad affrontare i tuoi fans? In cosa è stato diverso il dopo Sanremo dal dopo-the voice? C’è qualcosa che ti ha colpito particolarmente da parte di chi ama la tua musica?

E’ stato diverso sia perchè sono cambiato io, sia perchè sono due esperienze totalmente diverse. Il Festival di Sanremo era il mio Sogno di bambino e credo sia il palco che ogni cantante italiano desidere calcare. Il rapporto con le persone che mi seguono è forte, molto schietto,sincero;ad ogni tappa dell’instore stringo mani e guardo occhi che mi conoscono attraverso la mia Musica. Devo tutto a loro.

Parlando invece del tuo futuro prossimo, hai in serbo altre sorprese per i tuoi ammiratori? Possono sperare di ascoltarti dal vivo sopra un palco nei prossimi mesi?

Negli instore, insieme al mio chitarrista ed amico Marco Carnesecchi, mi esibisco in un mini live in acustico ed è già molto emozionante , ma i live con la band al completo inizieranno fra poco, stiamo mettendo a punto le ultime date.

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E’ in tutte le librerie a partire da ieri, giovedì 23 febbraioSano Vegano Italiano (Rizzoli), scritto a quattro mani da Red Canzian, storico bassista dei Pooh (che solo lo scorso anno ha festeggiato i 50 anni di carriera) e sua figlia Chiara Canzian, alla sua prima esperienza editoriale. Un libro che non parla però di musica, ma del buon vivere e dell’etica vegana, spiegata in modo tale che anche gli onnivori possano conoscere prima di giudicare. Un libro scritto quindi per avvicinare e non per dividere, con il fine ultimo di far conoscere meglio qualcosa di cui ultimamente si parla molto e spesso appunto senza conoscere. Proprio per questo nella seconda parte del libro, affidata interamente Chiara, è dedicata a una serie di ricette scritte dalla stessa, che da qualche anno ha affiancato la sua attività musicale a quella di cuoca. Correlata alla pubblicazione del libro Chiara e Red saranno impegnati nei prossimi mesi anche in una vera e propria tournée di presentazione del libro che prevede anche una serie di cene vegane per rendere ancora più concreto questo progetto.

Abbiamo incontrato Red e Chiara per cercare di scoprire qualcosa di più di questo nuovo libro direttamente dalle loro parole.

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La copertina del libro

Vi va di raccontarci in modo più dettagliato come è nato questo progetto? Quali sono le linee guida o l’idea che vi ha guidato nella stesura del testo? 

RED: Come sempre quando mi appassiona qualcosa mi viene voglia di approfondire e dopo anni di letture ed esperienze personali ho capito che c’è molta confusione nel mondo dell’alimentazione vegana… un po’ per come viene raccontata, un po’ per come viene recepita. E così mi è venuta voglia di scrivere un libro che fosse quel ponte ideale per unire il mondo onnivoro a quello vegano… un libro con uno stile gentile, mai aggressivo… volevo un libro che riuscisse a proporre un nuovo stile di vita senza mai imporre, alla ricerca del sano confronto e mai dell’inutile  scontro.Poi, trattandosi di una scelta alimentare, ho pensato che sarebbe stato bello invogliare il lettore anche attraverso una serie di ricette semplici ma molto  “emozionali”, nuove nella forma ma antiche e tradizionali nei contenuti, e così ho coinvolto mia figlia Chiara  nel progetto. Chiara, che ha fatto grandi passi nel mondo della cucina, in particolare quella vegana e vegetariana, e che ha creato 50 ricette assolutamente fantastiche delle quali però vorrei ne parlasse lei…

CHIARA: Da qualche anno ormai, mi appassiono di cucina vegetariana e vegana; ho sperimentato il lavoro di cuoca in vari ristoranti italiani e ne ho anche avuto uno mio per due anni nel quale proponevo giornalmente nuove proposte vegetariane e vegane. Io seguo l’alimentazione vegetariana ormai da 3 anni in modo completo e da 6 per quanto riguarda l’eliminazione della carne. Quando il papà mi ha proposto l’idea del libro mi è sembrata un’ottima opportunità per sperimentare nuove idee e ricette golose che potessero far avvicinare tante persone anche non necessariamente vegane a questa cucina etica e gustosa. Ho scritto 50 ricette divise stagionalmente, 10 per ogni periodo dell’anno più 10 dedicate esclusivamente ai dolci.


Red, questo sarà il tuo qu
arto libro, e il secondo dedicato alla tua scelta vegana. In cosa sarà diverso da quanto già raccontato in “Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto” e da ciò che da tempo comunichi online e offline su questo argomento? Ritroveremo la tua capacità di raccontare in modo poetico e emozionale o ci troveremo di fronte a qualcosa di più tecnico? 

Questo è il mio quarto libro ed è il primo, in realtà, che parla del veganismo. Nel libro precedente ho soltanto toccato l’argomento “vegan”, più che altro raccontando della mia scelta… in questo libro invece entro nei particolari e la mia fatica è stata proprio quella di non scrivere un libro solamente tecnico ma provare a mantenere quel linguaggio poetico che mi accompagna, mi piace  e mi assomiglia anche nel raccontare le cose più dure, scientifiche, o tecniche. E alla fine sono contento per risultato perché sono riuscito a mantenere un buon equilibrio tra informazione e racconto… e credo che  nessuno troverà nulla di offensivo in quello che ho scritto.


Chiara, la tua carriera si divide tra musica e cucina: abbiamo potuto ascoltare la voce, qualcuno ha già assaggiato i tuoi piatti e presto potremo cucinare nelle nostre case le tue ricette. Credi ci siano degli elementi in comune tra questi due ambiti? Come vivi il passaggio dall’uno all’altro??

Spessissimo nella mia vita ho incontrato musicisti molto abili in cucina, penso che queste due passioni siano strettamente collegate. La musica si scrive seguendo l’istinto ma anche grazie alla tecnica e allo studio, questo vale anche per un buon piatto, almeno per quanto mi riguarda. Ho sempre vissuto le mie giornate passando periodi in cui facevo più una cosa o più l’altra, grazie a dio ho molte passioni e cerco di coltivarle tutte. Spesso cucino cantando e il piatto diventa improvvisamente più armonico.


Come è stato lavorare insieme come padre e figlia (questa volta non su un palco ma per preparare un libro) e quanto ha influito il vostro legame sul risultato finale?

red-chiaraRED: Per quanto mi riguarda è stata una gioia immensa… negli ultimi anni, Chiara ed io, siamo molto in sintonia e ci piace condividere i momenti che la vita o il lavoro ci propongono… insieme abbiamo riso, pianto, cantato e girato il mondo…ora proviamo a raccontare un’esperienza, una scelta etica e salutistica, che ci ha trovato fianco a fianco in modo del tutto spontaneo e naturale.

CHIARA: Io e il papà condividiamo diverse passioni, oltre alla musica anche la pittura e la cucina, di queste ultime due a lui riesce meglio la prima e a me la seconda. E’ stato bello vedere la fiducia e la libertà che mi ha dato nello scegliere cosa inventare e proporre per un libro che comunque è mio a metà, allo stesso modo ovviamente io non ho nessun dubbio su quanto scritto da lui poiché condivido al 100% il suo punto di vista e non saprei come raccontarlo meglio di come ha fatto.


Tra chi sceglie un’alimentazione vegana e chi invece sceglie di consumare anche carne ci si scontra spesso, e raramente si è disposti a considerare le ragioni dell’altra parte. Da entrambi i lati si è convinti di essere depositari della ragione e che l’altra parte sia completamente in torto. Naturalmente non è così per tutti, c’è chi vive serenamente le sue scelte rispettando quelle degli altri, ma ognuno di noi generalmente conosce almeno una persona che vive le sue scelte alimentari come abbiamo appena descritto. Voi come vivete questo contrasto?

RED: Credo che una buona parte delle “cause“, per come viene vista la filosofia vegana, siano prodotte proprio dei vegani stessi , o meglio, da quelli più integralisti… che faticano ad accettare il dialogo… intendiamoci, li rispetto per la loro “purezza“, ma credo che per arrivare al traguardo occorra anche convivere con qualche compromesso, e con le idee degli altri. Io mi pongo, come dicevo, con un pensiero gentile e auto definendomi “imperfetto“…Sono cosciente che non si può fare tutto bene… ma è peggio non fare nulla. Allora, con questo pensiero, ho scritto il libro… senza condannare e senza la pretesa di essere il depositario dell’unica verità… io propongo ricerche e notizie, tutte comprovate scientificamente, e racconto storie ed esperienze, dalle quali, poi, ognuno potrà trarre le sue conclusioni, nella massima libertà. Grazie a Dio, viviamo in democrazia, e ognuno può esprimere le sue idee e può fare le sue scelte… ma sempre nel rispetto delle altrui opinioni.

CHIARA: Io sono vegetariana, mio papà è vegano, il mio ragazzo, mia mamma e mio fratello sono onnivori, la moglie di mio papà evita i carboidrati perché va poco d’accordo col glutine. Diciamo quindi che la nostra è una famiglia molto variegata,  e se io vivessi la scelta alimentare in modo rigido, non potrei neppure stare all’interno delle mie stesse 4 mura e avrei sicuramente più di qualche problema con i rapporti umani. Per me ognuno è libero di fare ciò che vuole, io ho la mia idea di cosa sia più giusto e cerco, a mio modo, di far capire che la cucina vegana non è per nulla sinonimo di privazione.


Dopo il lancio di “Sano Vegano Italiano” avete già annunciato una serie di date di presentazione del libro. Si tratterà di un vero e proprio tour gastronomico che vi porterà ad attraversare l’Italia per poter presentare concretamente la vostra cucina a chi vorrà assaggiare i vostri piatti. Tra le persone che verranno a questi eventi ci sarà forse anche qualcuno che si trova in una posizione di assoluta diffidenza verso la cucina vegana, perchè si aspetta di trovare solo insalata nel piatto e di alzarsi da tavola insoddisfatto. Cosa vorreste dire a queste persone per invogliarle a provare a conoscere una cucina e dei prodotti nuovi?

RED: Vorremmo presentare il libro non solo a parole ma anche con i fatti… e quindi, al di là delle librerie “canoniche“ dove si presentano i libri, vorremmo fare degli incontri anche nei ristoranti, dove, dopo aver parlato dei contenuti etici del libro, si passi all’assaggiare le meravigliose proposte di Chiara, che per l’occasione si alternerà tra il ruolo di autrice e quello di Chef vegana, in cucina a seguire la preparazione delle sue ricette!

CHIARA: capisco sempre tutte le posizioni diverse dalla mia purché si sia aperti al dialogo e al mettersi in discussione. Inviterei quindi gli scettici ad una delle serate nelle quali presenteremo il libro ma si mangerà vegano,  per provare qualche mia ricetta, per parlare, a pancia piena, e spero appagata, di tutti gli interrogativi che saremo riusciti a stimolare.

 

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Il 24 febbraio 2017 esce “Il codice della bellezza” (Sony Music), il primo progetto solista di Samuel, storico leader dei Subsonica. Un album di dodici brani inediti, scritti tra Torino, Roma e Palermo e prodotto da Michele Canova Iorfida tra New York e Los Angeles. Il codice della bellezza è un’ode all’essere umano, “fucina di idee e disastri”, un congegno che funziona ad emozioni, che ama, odia e tradisce, che si prende e si lascia.

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“Ho sempre pensato che la bellezza non fosse un concetto solamente estetico.”– racconta Samuel – Il dono dell’eleganza, della sensibilità, dell’ironia fanno parte di un istinto interiore che rappresenta il bello degli essere umani. Ho provato ad immaginare la bellezza come un codice scritto dentro le persone speciali, quelle persone che sono fonte d’ispirazione per chiunque gli stia vicino”.

Cinque brani dell’album sono firmati da Samuel con Lorenzo Jovanotti, “Più di tutto”, “La statua della mia libertà”, “Niente di particolare”, “La luna piena” e “Voleva un’anima”, brano in cui i due duettano.

“Lorenzo Jovanotti è diventato una sorta di fratello maggiore musicale.” – rivela Samuel – “Mi è sembrato ci mettesse più energia Lorenzo in quei pochi giorni in studio per il mio progetto che io da quando avevo iniziato a pensarci! Quella di Lorenzo si chiama ‘generosità’, passione ed è proprio quella che ha reso Jovanotti, un artista ispirato una persona a cui non puoi non voler bene”.

Samuel: “‘Non so ancora come dovrà essere questo lavoro’ gli ho detto un giorno mentre stavamo lavorando. Mi ha detto ‘Dovrà essere mitico’. Facile, no? Come non averci pensato? Le cose ovvie a volte sfuggono, pur essendo lì di fronte a te non le vedi. Era semplice. Credo che ascoltando i cinque brani realizzati con Lorenzo a New York si potrà percepire con esattezza quello che è successo tra noi in quei giorni Newyorkesi, di quanto la musica abbia un potere sull’anima di chi l’ascolta ma anche di chi la fa.”

Il codice della bellezza è anche il titolo della title-track dell’album, già disponibile con il preorder dell’album. Inoltre il brano “Qualcosa” è disponibile come nuova Instant Gratification per tutti coloro che pre acquistano l’album e in streaming come singola traccia. Dopo il grande successo dei singoli “La risposta” e “Rabbia“, immediatamente in vetta alle classifiche dei brani più trasmessi in radio, Il codice della bellezza verrà presentato al festival di Sanremo con l’inedito “Vedrai“.
 

 

 
Questa la tracklist dell’album:
1. La risposta
2. vedrai
3. Rabbia
4. Il treno
5. Più di tutto
6. Dea
7. La statua della mia libertà
8. Come una Cenerentola
9. Qualcosa
10. Niente di particolare
11. Voleva un’anima (Feat. Lorenzo Jovanotti Cherubini)
12. La luna piena
13. Passaggio ad un’amica
14. Il codice della bellezza
Ecco l’intervista a Samuel, in cui ci parla del suo nuovo album e della collaborazione con Jovanotti:
 

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Continua la lotta al bagarinaggio online, capitanata da Claudio Trotta e Barley Arts, che ieri 26 gennaio hanno organizzato al teatro Franco Parenti la conferenza “La negazione del secondary ticketing”: un momento di incontro tra operatori del settore, rappresentanti delle istituzioni e artisti per riflettere su questo fenomeno e su come arginarlo. La conferenza è stata anche l’occasione per presentare l’Osservatorio Permanente Anti-Secondary Ticketing e proporre la firma di un Codice Etico da parte degli operatori del settore.

Di secondary ticketing si è parlato molto negli ultimi mesi, dopo il “caso Coldplay” in cui i biglietti si sono volatilizzati in pochi minuti, i servizi de Le Iene che hanno scoperchiato un vaso di Pandora e le dichiarazioni di Live Nation (qui l’articolo sulla questione).

Alla conferenza hanno partecipato, tra gli altri, Filippo Del Corno, Assessore Cultura del Comune di Milano, Claudio Maioli, manager e storico braccio destro di Ligabue, Stefano Lionetti, Amministratore Delegato di Ticketone, Adam Webb di Fan Fair Alliance, Ivo Tarantino di Altroconsumo, Luca Montebugnoli, presidente di Best Union.

In primo piano il grande concerto di Vasco previsto per il primo luglio, che è stato citato più volte e per il quale il Blasco sta ponendo particolare attenzione per evitare che si verifichino episodi di bagarinaggio.

Durante il suo intervento, Stefano Lionetti di Ticketone ha evidenziato i limiti dei controlli applicabili e ha puntualizzato che il rapido esaurirsi dei biglietti non ha nulla a che fare con il fenomeno del secondary ticketing. Infine, ha chiesto che venga vietata per legge la vendita di biglietti a un prezzo superiore a quello nominale, per colpire che specula sulla passione dei fan ma non chi ha acquistato un biglietto e poi si ritrova a non poter partecipare all’evento.

Più volte citata dagli altri partecipanti alla conferenza anche la soluzione del biglietto nominale. Alex Bruford, di Agente ATC Live, ha detto: “Se non mi aspetto di salire su un aereo con un biglietto senza il mio nome sopra, perché dovrei aspettarmi di entrare a un concerto nella stessa maniera” e ancora “Se spendo 300 dollari per acquistare un biglietto che ne costava 50 questo significa che non spenderà quei 250 dollari in più per andare a vedere altri show. Quella persona avrebbe potuto comprare altri biglietti per altri concerti.” Qui il suo intervento.

Il più conciso e incisivo è stato anche quello più abituato a stare sopra un palco: Elio. “Se lo chiamiamo ‘secondary ticketing’ sembra figo, secondo me bisognerebbe dire ‘bagarini’. Tecnicamente stiamo parlando di parassitismo. Sono zecche. Le firme sono belle, le iniziative anche, ma secondo me ci vuole qualcosa di più drastico: bisognerebbe pensare a dei collari anti secondary ticketing, come quelli per le zecche“. Elio chiude con un appello: “Quando ho appreso del fenomeno all’inizio c’è stata rabbia, ma alla fine il sentimento principale è un enorme pena per esseri umani che spendono la vita a fottere gli altri e non pensano a costruire qualche cosa di meraviglioso. Per cui voglio fare un appello: man del secondary ticketing, pentitevi! Date un senso alla vita e ricordatevi che Vincenzo Bellini è morto per colpa di un parassita”.

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Qui il video del suo intervento.

Tutti gli speech e la tavola rotonda del pomeriggio sono stati ripresi e possono essere rivisti integralmente in questo video: