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Chiara Morelli

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Still smiling, still learning, still loving.

Dub FX

Benjamin Stanford, in arte Dub FX, è il talentuoso beatboxer australiano che con la sua loop station e con la sua calda voce ha portato avanti, per primo, un nuovo modo di far musica, di fare reggae, dub e hip hop sempre alla ricerca di nuove soluzioni ritmiche, combinazioni e commistioni di genere, ma mai tralasciando l’importanza del contenuto dei testi.
Dalle street performances in giro per il mondo al successo su you tube, ha collaborato con numerosi producers, musicisti, e cantanti fino a portare la sua musica sui palchi di tutto il mondo.
Il 26 agosto ha pubblicato il suo quarto album Thinking Clear. E’ in tour per presentarlo. Sta girando il mondo, come ha sempre fatto, come a noi fa girare la testa. E sta arrivando in Italia:

28 ottobre        Torino,     Hiroshima Mon Amour
29 ottobre        Milano,    Magnolia
31 ottobre        Firenze,   Viper Club
02 novembre    Roma,      MONK
04 novembre    Bologna,  TPO
05 novembre    Venezia,   CS Rivolta

Oltre lo storico collaboratore tastierista e sassofonista Andy V sul palco insieme a lui, per le date di Firenze e Bologna, è prevista la presenza degli amici del collettivo Numa Crew, giovani djs e producers fiorentini che dal 2005 confermano di anno in anno il loro fondamentale ruolo sulla scena indipendente italiana. Hanno già collaborato insieme e sentite un pò qui cosa ne uscì fuori..

Minor Victories 2016, Ph. Ryan Johnston
Minor Victories 2016, Ph. Ryan Johnston
Minor Victories 2016, Ph. Ryan Johnston

E se il leader dei fascinosi Mogwai, il chitarrista degli ormai affermatissimi Editors e la voce eterea degli Slowdive decidessero di avventurarsi insieme in un nuovo progetto musicale?

I primi a sorprendersi di tale domanda sono gli stessi componenti del neonato gruppo:  Stuart Braithwaite (Mogwai), Rachel Goswell (Slowdive), Justin Lockey (Editors) e suo fratello James non si erano mai incontrati prima di iniziare questo esperimento l’anno scorso. Ma il risultato è stato folgorante. E’ una perfetta sinergia rock quella che si è venuta a creare nel loro omonimo album di debutto Minor Victories, pubblicato a giugno.

Per chi fosse interessato a testimoniare di tale forza, equilibrio, consapevolezza artistica e, senz’altro, talento, l’appuntamento è il 24 ottobre 2016 a Milano, presso Santeria Social Club, unica data italiana del tour autunnale i cui biglietti sono già disponibili in prevendita online.

Irresistibili come questo gattino..

E’ un anno particolarmente eccitante per i numerosi fan di questa straordinaria artista inglese, iniziato con la pubblicazione del libro The Hollow Of The Hand, in collaborazione con il fotografo amico Seamus Murphy, che ha portato l’eclettica Polly Jean in Italia per il 22° Festival Internazionale di Poesia di Genova.
La stessa esperienza che ha dato vita al libro, cioè i 4 anni di viaggi tra Kosovo, Afghanistan e Washington DC, è espressa con l’intensità di una rocker dalla carriera quasi trentennale che non ha pari nell’album The Hope Six Demolition Project: uscito ad aprile e portato sui palchi dei numerosi festival ai quali Pj Harvey ha partecipato questa estate, ha già ricevuto il meritatissimo successo.
Ma ecco che arriva la notizia che a noi più interessa: tra le date del tour europeo, due sono questo mese in Italia.

23 ottobre 2016 Milano, Alcatraz

24 ottobre 2016 Firenze, Obihall

le cui prevendite si possono trovare nei maggiori circuiti online. C’è bisogno di dire altro..?

 

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Il famoso ed influente dj berlinese, Apparat, interrompe momentaneamente il tour del progetto Moderat, con il duo Modeselektor, per tre imperdibili date italiane nelle quali ci regalerà ore di intensi dj-set.
La prima imminente data è il 7 ottobre a Roma, all’Ex Caserma Guido Reni, la cui prevendita è disponibile online sul circuito Ticketone.
Per le altre due serate, l’8 ottobre a Porto Sant’Elpidio, presso l’Harmonized Club, e il 15 ottobre a Milano, al Dude Club, è possibile acquistare il biglietto direttamente in cassa.
Dunque appuntamento a questo weekend e al prossimo, a chi già ama questa elettronica dall’animo umano ma anche ai curiosi che non la conoscono ancora e vogliono sentire che aria tira a Berlino e dintorni.

Apparat

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Apparat

Dopo i sold out in tutta Europa del progetto Moderat, insieme agli amici Modeselektor, il berlinese Sascha Ring, meglio conosciuto come Apparat, torna in Italia per 3 date:

07 ottobre 2016, Roma, Ex Caserma Guido Reni

08 ottobre 2016, Porto Sant’Elpidio, Harmonized Club

15 ottobre 2016, Milano, Dude Club

Si tratta di 3 dj-set che dureranno tutta la notte, per farci ballare ed emozionare sul dancefloor come pochi maestri del suo calibro sanno fare. Dalle prime collaborazioni con John Peel e Ellen Allien, Apparat accresce e affina il suo stile, sempre più libero dai limiti e rigori di una categoria musicale, in questo caso la techno, “disegna i suoni” restituendo espressività alla musica elettronica, diventando uno dei producer più influenti della scena contemporanea fino a farsi desiderare anche in Italia, dai Giardini Di Mirò e Gianna Nannini.
Saranno tre lunghe notti da non perdersi per chi vuole conoscere un po’ più da vicino questo artista del beat.

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ph Francesco Prandoni, I-Days Festival 2016, Day3
ph Francesco Prandoni, I-Days Festival 2016, Day3
ph Francesco Prandoni, I-Days Festival 2016, Day3

Eccoci giunti al terzo ed ultimo appuntamento dell’I-Days Festival 2016.
E’ un’aria sospettosamente silenziosa quella che circola: è una di quelle domeniche afose, tra poche ore sarà disputata una finale di Europei e i bus che passano di rado (un probabile sciopero) provocano non pochi disagi ai ragazzi che si stanno recando al Parco di Monza.
Il risultato immediatamente visibile è che questa sera, a godere dei prossimi straordinari spettacoli, sarà un cospicuo numero di persone, messo a confronto con quello delle precedenti serate.
Pochi sì, ma buoni.
Il pubblico di questa sera è quello che avrebbe fatto di tutto per essere presente, è quello che è arrivato correndo ai cancelli, con la maglietta del proprio gruppo preferito addosso e che si catapulta abbracciato agli amici sotto il palco, cantando a squarciagola ogni singola parola di tutte le canzoni.
No, non sto scherzando quando dico che i Biffy Clyro, dal mainstage questa sera, hanno reso felice ogni singola persona presente sul prato, e loro stessi per primi. Propongono una scaletta che è una bomba, che non lascia fiato, a cominciare da Wolfes of Winter, estratta dall’ultimo recentissimo album Ellipsis, per proseguire con i grandi successi di Puzzle, come Living Is A Problem Because e la memorabile 9/15ths, ma soprattutto di Only Revolutions, cantate in coro col pubblico, e di Opposites, i cui singoli, tutti presenti in scaletta, diedero 3 anni fa il successo mondiale a questo incredibile trio dalla straordinaria efficacia live. Oltre all’euforia, la carica, la gioia e la forza distruttiva, non mancano momenti di suggestiva intimità, come nella God & Satan acustica di Simon Neil, lasciato per un attimo solo sul palco. Insomma alla fine del concerto, concluso con Stingin’ Belle, non si capisce bene chi sia più fisicamente provato e senza voce tra il pubblico o il gruppo. E’ una bella sensazione quella che ci lasciano questi giovani scozzesi, che promettono gioiosi di tornare ad ottobre in Italia.
Anche se, bisogna ammetterlo, la maggior parte delle persone stasera erano qui solo per i Biffy Clyro, non si può dire che ai Suede, secondo gruppo co-headliner, sia mancata la propria schiera di fan. Infatti dopo un (alquanto brusco) cambio di pubblico, quella che si è venuta a creare questa notte tra le poche centinaia di persone raccolte sotto il palco e il leader della storica band britpop Brett Anderson è un contatto più che intimo, più che umano. Perchè se da una parte i numerosi inconvenienti tecnici hanno penalizzato la performance, minando alla pazienza dei musicisti sul palco (primo tra tutti Anderson che ha dovuto lanciare più volte il microfono lontano da sé), dall’altra parte questo stesso frontman ha saputo volgere la situazione a suo favore ma soprattutto a favore dei suoi fan. A cominciare da un breve colloquio faccia a faccia con uno dei fan in prima fila, al quale cede il microfono perché forse “ha qualcosa da dire” (questo mito poi ha il coraggio di cantare anche se stonatissimo) Anderson cerca di colmare sempre di più la distanza fisica (la sola) che lo separa dalla platea: se con Film Star è in ginocchio sul ciglio del palco, a She’s In Fashion scende dall’impalcatura e all’inizio di For The Strangers è lì sulle transenne che stringe le mani ai suoi fan.
Inoltre molte sono state le canzoni che, sempre per problemi tecnici, sono state arrangiate da chitarra acustica o piano, ma questo non ha fatto altro che donare alla performance un carattere più intimo e raccolto, sofisticato e di alta bravura tecnica. Oltre ai successi già citati, non sono mancate le storiche Beautiful Ones e New Generation, che ha chiuso lo show. Come si suol dire: non tutti i mali vengono per nuocere, e i pochi fortunati fan questa notte lo sanno bene.
Si è concluso così questo festival dal carattere tanto mutevole quanto ricco di nuove scoperte. Molto probabilmente qualcuno avrà trovato ingiusto o controproducente affiancare due band così diverse e stilisticamente lontane, come è successo anche nelle serate precedenti, ma parliamoci chiaro: a chi piace la musica e a chi piace condividerla, scoprire mondi musicali (apparentemente) lontani dal proprio gusto non può che essere un bene, specialmente se si tratta di un tale valore aggiunto!

SETLIST BIFFY CLYRO:
Wolves of Winter
Living Is A Problem Because
Everything Dies
Biblical
Friend And Enemies
Born On A Horse
Victory Over The Sun
Bubbles
Black Chandelier
In The Name Of The Wee Man
God & Satan
The Captain
Mountains
9/15ths
Animal Style
Sounds Like Balloons
Many Of Horror
Stingin’ Belle

SETLIST SUEDE:
When You Are Young
Outsiders
Trash
Animal Nitrate
We Are the Pigs
By The Sea
Killing of a Flashboy
Filmstar
Heroine
The Wild Ones
She’s in Fashion
For the Strangers
So Young
Metal Mickey
Beautiful Ones
The 2 of Us
New Generation

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Secondo appuntamento dell’I-Days Festival 2016 a Monza: cambiano gli artisti, cambia il pubblico, cambia l’atmosfera. Questa sera, al contrario della precedente, il pubblico è arrivato numeroso fin dalle tarde ore del pomeriggio, ha usufruito in maniera più spontanea e naturale degli spazi verdi che l’evento metteva a disposizione: famiglie con bambini e giovani ragazzi, in compagnia di amici o genitori, immersi in un clima di totale relax e godimento della musica circostante: Shura, Honne, Stereophonics, Låpsley…sono solo alcuni dei numerosi artisti presenti.
Ma il momento più atteso arriva con il calare della notte e lo scorgere delle stelle: dopo 3 anni tornano attesissimi i Sigur Rós live in Italia, con la nuova formazione, orfana del talentuoso polistrumentista Kjartan Sveinsson.
Su un palco allestito di leggere strutture geometriche simmetriche e prospettiche, nascosti da un sipario elettronico, il trio offre come pezzo d’apertura la loro ultima canzone Óveður.
L’infinita folla ai piedi del palco ascolta in religioso silenzio, in piedi, come soldatini, catturati dai suoni alieni che provengono dal palco. Un’ovazione generale quando all’inizio del terzo pezzo, l’acclamata Sæglópur, si alza finalmente l’oscuro sipario, mostrando i tre beniamini ai suoi fan.
Mi chiedo se il modo giusto di usufruire di tale spettacolo sia questo: un contrasto tra la seducente estraneazione, provocata dall’invisibile magia della musica e dalla voce di Jón proveniente da mondi a noi sconosciuti, e l’affliggente realtà di trovarsi immersi a migliaia di persone che possono soltanto immaginare di trovarsi in una situazione gradevole in cui usufruire di tale musica. Inoltre ci sono altri fattori che possono lasciare interdetti gli ascoltatori più accaniti: per esempio la mancanza di un reale supporto di archi, sostituiti da riproduzioni elettroniche e basi registrate, che provocano lo stravolgimento di alcune canzoni, come la storica Starálfur. E se la performance è penalizzata dal volume non abbastanza alto da coinvolgere tutti, almeno le suggestive immagini che si susseguono sul megaschermo hanno il potere di affascinare e conquistare la platea. Uno dei momenti più efficaci è rappresentato da Kveikur, canzone tratta dall’ultimo omonimo album del 2013, dalle sonorità più decise. Il pubblico ha però apprezzato molto l’attenzione da parte del gruppo dell’inserimento di pezzi storici oltre ai più (relativamente) recenti. Infatti, per finire in gran bellezza, appena dopo una piccola pausa, i Sigur rianimano uno dei loro pezzi più amati, dall’infinita bellezza, oltre che lunghezza, Popplagið, lasciandoci tornare a casa con quell’aria spaesata e incantata che ci ha accompagnato per l’intera serata.

SETLIST:
Óveður
Starálfur
Sæglópur
Glósóli
Vaka
Ný Batterí
E-Bow
Festival
Yfirborð
Kveikur
Hafsól
Popplagið

folla

Ph Francesco Prandoni, 12° I-Days Festival, Monza 08/07/2016
Ph Francesco Prandoni, 12° I-Days Festival, Monza 08/07/2016
Ph Francesco Prandoni, 12° I-Days Festival, Monza 08/07/2016

E’ la prima delle tre serate di questo festival, l’I-DAYs, arrivato alla sua dodicesima edizione.
E’ un caldo venerdì di luglio e i treni, gli autobus e le tangenziali che circondano Monza cominciano ad affollarsi.
I primi arrivati nel grande spazio verde allestito all’interno dell’Autodromo di Monza possono godere delle ultime ore di sole con i primi artisti sulla line up: Michele Bravi, idolo dei teenagers italiani, e The Sherlocks, giovane gruppo indie-rock inglese, sul palco Ascari; sul mainstage invece la giovanissima cantante Jasmine Thompson apre le danze con i suoi successi pop.
Il cielo si tinge di rosa e sul palco arrivano i Bloc Party nella loro nuova formazione. Only He Can Heal Me, dal nuovo album, è il pezzo di apertura che fa avvicinare ed aggregare tutto il pubblico sotto il mainstage. Non tutti li conoscono, ma chi invece li ha scoperti fin dal loro acclamato debutto nel 2005 con Silent Alarm non può non riconoscere pezzi come Helicopter e Banquet, fin dalle prime note acclamati, cantati e saltati. Un nome, i Bloc Party, in giro sui principali palchi della scena rock-indie da più di 10 anni, eppure qualcosa non va: forse risente dei cambiamenti interni, forse i piccoli problemi tecnici o quella che sembra paura di tirar fuori la voce da parte di Kele Okereke, storico leader del gruppo, fanno sì che la performance non sia così potente ed efficace come ci si aspettava. E’ con un simpatico “arrivederci” che abbandonano il palco dopo l’inchino di gruppo.
Ma non c’è tempo di scoraggiarsi, anzi, con una breve corsetta si raggiunge il palco Ascari dove sta per esibirsi il giovane e talentuoso menestrello inglese Jake Bugg, che apre il set proprio con il pezzo di apertura, nonché titletrack, del suo ultimissimo album On My One. Inutile dire che gran parte del numeroso pubblico presente è lì solo per lui: eccolo sul palco, con pochi compagni di band (batteria e basso), vestito di nero, senza fronzoli, provvisto solo di chitarra e di una potentissima, particolare ed affascinante voce. Così come accadde al ventenne Bob Dylan di cinquant’anni fa, Jake Bugg conquista tutto il suo pubblico con quella semplicità disarmante, fatta solo di chitarra e parole, che può anche chiamarsi folk-rock. La sua evidente passione per i vecchi maestri che hanno fatto la storia del rock e per le sonorità country del Nordamerica sono però rivisitate dal suo fresco e coraggioso punto di vista inglese. Essì, perché esser diciottenni nel 2011, quando debuttò, in Inghilterra, significa esser cresciuti a pane e britpop. Quel che ne esce fuori è una miscela incandescente e imprevedibile: da pezzi salterini e ballerini come Taste It e Troble Town, che fanno impazzire la folla, si passa ai più romantici (You And Me e Love, Hope and Misery) a mani in aria, a quelli più suggestivi e cupi (Ballad Of Mr Jones, The Love We’re Hoping For) passando per i ritmi più sostenuti e potenti di Gimme The Love e Bitter Salt. A chiudere quest’ora di calda e ricca esibizione non poteva che essere Lightning Bolt, la quale, specialmente dal vivo, meglio racchiude lo spirito giovane e libero di questo ragazzo.
Sono le 22:45 spaccate, è ormai notte e le luci del palco grande, munito di consolle e megaschermo, sono accese per accogliere l’headliner della serata: Paul Kalkbrenner. Una folla sterminata occupa ogni centimetro dell’intero spazio del festival, trepidante ed emozionata, in attesa del suo idolo. I primi beat cominciano a diffondersi nell’aria, sottili e fluidi, e Paul, a quasi 20 anni di carriera, sa bene come plasmare la sua folla, riscaldandola pian piano, un passo dopo l’altro. I primi pezzi, come Battery Park e Cloud Rider, sono tratti dal suo ultimo album 7, ma come il suo fan ben conosce, nessun pezzo è uguale a sé stesso durante il live: un musicista di elettronica, come Kalkbrenner e i suoi colleghi berlinesi, prende le sue canzoni e le remixa dal vivo, donando a ogni live, così come in tutti gli altri generi musicali, nuove sfumature. Il pubblico è già carico e caldo quando, nella prima metà del concerto, comincia a risuonare la famosissima Sky and Sand. Un boato si alza dal terreno: diventata già un classico del suo genere, questa è la canzone simbolo di una nuova generazione, quella presente questa notte, che quando alza le mani al cielo il più delle volte lo fa brandendo uno smartphone e che grida “ti amo” al disk jockey, così come la precedente lo gridava ai musicisti rock. Immersi nei fumi, ipnotizzati dai giochi di luci e dalle immagini sul megaschermo, ci si lascia andare alle urla di Grace Slick della canzone Feed Your Head (contenente un remix vocale di White Rabbit dei Jefferson Airplane) acclamatissima dal pubblico. Da questo momento in poi Kalkbrenner alza il tiro, si balla sfrenatamente per un altra ora, il pubblico non vuole lasciarlo andare, fino a quando sulle note di un lungo remix di Aaron gli animi si calmano e la folla comincia a scemare.
Una parte del pubblico rimane per gli ultimi dj-set dislocati sui palchi minori, gli altri tornano a casa felici e contenti.

To be continued…