Authors Posts by Chiara Morelli

Chiara Morelli

20 POSTS 0 COMMENTS
Still smiling, still learning, still loving.

Credits Giulia Razzauti Photography

Vasto è il piccolo borgo abruzzese, in provincia di Chieti, cornice di 4 giorni di musica, mare, buon cibo e ottima atmosfera: una bomboniera in mattoni e mosaici che con i suoi giardini lussureggianti, le sue ampie terrazze e le sue piccole vie labirintiche si affaccia sul Mare Adriatico.
Simbolo della città è la “Sirenetta” che erge su uno scoglio della morbida spiaggia sabbiosa di Vasto Marina – la statua di bronzo alta 3 metri realizzata nel 1979 dallo scultore Aldo D’Adamo raffigurante una bagnante. Da qui il nome del Siren festival.

Imprescindibile raccontare l’esperienza del festival senza la sua cornice e i suoi sapori, perché se c’è un’altra nota fondamentale da segnalare di questo territorio è la sua tradizione culinaria: dalla frittura di calamari agli arrosticini di pecora, tutte le ricette tipiche mirano a valorizzare la qualità e l’esclusività del prodotto primo a chilometro zero.

Con queste premesse ora è possibile immergerci nel mondo del Siren festival 2017, arrivato quest’anno alla sua quarta edizione: ben 50 concerti dislocati su 6 diversi palchi o location da giovedì 27 a domenica 30 luglio.
Le serate principali, più ricche e con più affluenza di pubblico, sono state quelle di venerdì e sabato.

Ad inaugurare la serata di venerdì 28 è stata la cantante e compositrice norvegiese Jenny Hval, che sullo sfondo di un romantico tramonto ha cantato del suo crudo, provocatorio e disilluso mondo femminile.
Dopo di lei, sullo stesso grande palco padrone di Piazza del Popolo, la piazza principale della città nonché terrazza di punta del belvedere vastese, è salito il giovane rapper Ghali, una delle voci più affermate dell’ormai radicata scena trap italiana. Un pubblico per lo più giovane, pronto ad accompagnare il rapper nei suoi ritornelli e a prendere la serata con la stessa sciallatezza che ha Ghali sul palco.

Nel frattempo all’interno dello Jager music stage del cortile D’Avalos suonano i losangelini Allah-Las seguiti dal veterano della musica elettronica Richard Kirk della storica band britannica Cabaret Voltaire che ripropone le tappe della carriera artistica del gruppo che fondò nel 1973: non solo suoni industrial e ventate di funk synth, che fecero dei Cabaret Voltaire uno dei gruppi più all’avanguardia di quel decennio, ma anche remix di pezzi elettronici a noi più vicini.

I più attesi della serata sono i Baustelle, che in occasione della pubblicazione del loro settimo album in studio L’amore e la violenza hanno intrapreso un never-ending-tour per l’Italia che però sembra essere per loro solo linfa ed energia: la scaletta che propongono è pressoché la medesima, molte le canzoni del nuovo album e alcune dei precedenti, ma ogni live merita la propria sorpresa e venerdì sera il pubblico del Siren festival ha potuto assistere a una delle più belle cover della famosa ballata Henry Lee di Nick Cave, emblema delle canzoni di “amore & violenza”. Con grande affetto e soddisfazione i tre e la loro live band di dandy lasciano il proprio pubblico al gran finale della serata: il dj set del famoso producer berlinese Apparat, all’interno del suggestivo cortile D’Avalos che a fatica ospitava tutti i ballerini della notte.

La giornata di sabato è tutta un’altra storia e non basterebbero le mie parole per raccontare tutto quello è successo. Dai miniconcert sul prato dei giardini D’Avalos degustando ottimi vini alle epiche sudate sui ritmi tropicali di Populous davanti Porta San Pietro, passando per street art e trap israeliana di Noga Erez, tanto forte e politicizzata quanto esile è la sua figura. Ghostpoet che riempie l’aria della sua calda voce, lasciando fluire un groove a tratti irrequieto a tratti introspettivo.. Una serie di ricordi che scorrono davanti gli occhi come le polaroid di Carl Brave e Franco 126, anche loro tra i protagonisti di questa magica serata insieme ad Anders Trentemøller.  Ma è su quest’ultimo e la sua band che vorrei spendere due parole in più, perché personalità come la sua sono ormai davvero rare.

A mezzanotte inoltrata il producer danese sale sul main stage insieme a tre componenti di una band che sembrano essere il suo immancabile braccio destro. Se è vero che la presenza di due chitarre, una batteria e una potente voce femminile fanno non poca differenza da un usuale concerto di musica elettronica, anche è vero che è lo stesso Trentemøller a guidare con estrema armonia e passione tutti gli altri: lui è al centro della scena ma non vuole atteggiarsi al divo quale potrebbe permettersi di essere. Sul palco c’è rispetto, ammirazione reciproca, forse amicizia, insomma c’è sintonia e tanta tanta energia. Assistere da vicino a questo live è una gioia non solo per le orecchie ma anche per gli occhi e il cuore, e la musica che proviene da lì non è semplice allenamento di dita e corde vocali, ascoltandola si entra a contatto con il mondo interiore, le ricerche artistiche e personali di un uomo che per la musica vive. Inutile forse aggiungere che secondo me Trentemøller rappresenta uno dei rari casi in cui la folgorazione live è pari quanto la rivelazione che si ha ascoltando l’LP.

Con questo immenso regalo il Siren festival si appresta a concludere la serata con il dj set di due nomi per cui l’appassionato di clubbing non ha bisogno di presentazioni: lo storico discografico della Mute Records Daniel Miller e il beniamino di casa Mattia Dionati.

Concludendo potrei dire che basterebbe una sola di queste serate per convincersi che il Siren festival vale tutte le voci e le leggende che si raccontano su di esso e, non solo, che meriterebbe maggiore visibilità.
Ma quasi preferisco tenere queste voci tra i pochi intimi che già lo conoscono e sperare che rimanga quel territorio incontaminato e prolifero che si è dimostrato in questa edizione e scommetto anche nelle precedenti. Perché diciamolo: il Siren di Vasto è di quei festival che diventano l’appuntamento da segnare nell’agenda dell’anno successivo e di quelli che ti fanno pentire di aver mancato gli anni precedenti!

Credits Giulia Razzauti Photography

Dopo due anni, sul palco del Lucca Summer Festival tornerà, la sera dell’8 luglio 2017, una delle voci dell’hip hop e R&B femminile più influenti degli ultimi trent’anni: Lauryn Hill, prima con la band The Fugees e poi con il suo album solista “The Miseducation of Lauryn Hill“, ha messo in discussione il ruolo femminile all’interno della scena musicale di riferimento, ridefinendo una nuova sensibilità ai temi caldi dell’hip hop e un nuovo approccio stilistico elegante ed eclettico.

La sera del 9 luglio la nostra interprete ed autrice sarà invece a Roma per il Postepay Sound Rock, ad illuminare il cielo sopra la capitale insieme alle altre stelle.

lauryn-hill-lucca

Ph Giulia Razzauti, Siren Festival 2016
Ph Giulia Razzauti, Siren Festival 2016
Ph Giulia Razzauti, Siren Festival 2016

Manca poco più di un mese all’evento che in molti stiamo aspettando. Perché nonostante il Siren sia un festival giovane, arrivato quest’anno alla sua quarta edizione, si è già fatto amare da pubblico e critica, affermandosi tra i più importanti festival estivi italiani.

Nel cuore dell’estate, 28 e 29 luglio 2017, ospite del festival come ogni anno è l’incantevole borgo di Vasto (CH) che offre le sue spiagge, le sue terrazze e i suoi patrimoni culturali per un godimento a tutto tondo dell’incredibile line up che anche quest’anno fa venir sete a tutti gli amanti della scena musicale elettronica, pop, hip hop e rock internazionale ed italiana, in una convivenza a dir poco paradisiaca:

venerdì 28 luglio – Baustelle, Apparat, Allah-Las, Cabaret Voltaire, Ghali, Jenny Hval, Giorgio Poi, Emidio Clementi/Corrado Nuccini, Andrea Laszlo De Simone, Francobollo, Colombre

sabato 29 luglio – Trentemoller, Ghostpoet, Arab Strap, Carl Brave x Franco126, Noga Erez, Daniel Miller, Populous, Lucy Rose, Gazzelle, Gomma, Zooey

Dunque quest’estate armatevi di occhiali, creme solari e teli mare, ma soprattutto degli ultimi biglietti ancora disponibili del festival sui vari circuiti.

Un’ultima nota da segnalare è il concerto preview del festival. Non al mare, bensì in città, o meglio, alla periferia di Milano: al famoso Carroponte di Sesto San Giovanni, location di eventi festivi per il capoluogo lombardo, il 13 luglio si esibirà il gruppo losangelino tutto al femminile Warpaint che nella sua unica data italiana verrà a inebriare la nostra torrida estate padana.

0 437

la-femme

Vincitori del  “French Music Awards” nel 2013 grazie all’album d’esordio Psycho Tropical Berlin, la band francese La Femme torna in Italia, dopo un tour mondiale, per portare un po’ della sua elettronica psichedelia dal gusto pop e rétro e presentare il suo ultimo successo discografico Mystere, pubblicato nel settembre 2016.

Le tre date previste per questo mini tour primaverile sono:

20 aprile 2017 BOLOGNA presso Locomotiv Club
21 aprile 2017 MILANO presso Santeria Social Club, già Sold Out
22 aprile 2017 FIRENZE  presso Auditorium Flog

con prevendite disponibili nel circuito Mailticket per le date di Bologna e Firenze.

 

cosmo-magazzini-generali

Ad aprile 2016 usciva l’album L’ultima festa di Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo. A distanza di quasi un anno ci troviamo ad assistere alla penultima data di un tour devastante e delirante: il 23 febbraio Cosmo è sold out ai Magazzini Generali di Milano, una di quelle città che hanno probabilmente segnato il successo inesorabile di questo secondo album promotore di un genere che prima in Italia semplicemente non esisteva. Dal caloroso benvenuto nelle notti estive del Miami 2016, alla festa nei giardini del Politecnico ad ottobre, è passato per radio e diventato colonna sonora di cene a casa tra amici.

Ora che si avvicina per davvero l’ultima festa -l’ultima data sarà la sera dopo ad Ivrea, città d’origine e attuale del cantautore-, ci chiediamo: qual è lo stato d’animo prima e dopo quest’album che è insieme un evento e un racconto? Cosa è diventata L’ultima festa a distanza di un anno?

Il mood con il quale era stato creato l’album, si può intuirlo dal titolo e dal carattere nostalgico delle canzoni, era quello di chi è arrivato all’ultima spiaggia, all’ultimo briciolo di speranza per un sogno che era cominciato più di dieci anni prima con i Drink To Me. Ma c’è una forza in/visibile che non solo gli ha dato vita, ma l’ha portato avanti per un anno intero, ed è la voglia. La voglia di divertirsi, di sentirsi liberi e di sperimentare, la voglia di fare quel che più piace e come piace.

Tutto questo, in un live come quello milanese che sicuramente nulla toglie agli altri, passa sopra ai sentimentalismi e alle nostalgie e scansa ogni dubbio: lascia a casa i pensieri e muovi il sedere, balla! Grida! Salta! E’ così che Cosmo ci ha convinto e conquistato in quest’anno, tuffandosi a capofitto nel proprio sogno come su una folla sotto al palco, e si è lasciato trasportare fin dove il successo e il pubblico lo hanno portato.
C’è un pubblico affezionato ai ritornelli, agli abbracci e agli stage diving di Marco e i suoi compagni, ma c’è anche il pubblico che con con una cassa dritta di fronte durerebbe in piedi giorni interi. Cosmo lo sa e accontenta tutti, anzi è lui stesso diviso in queste due personalità, inguaribile “cazzone” dal cuore romantico. E non c’è niente di meglio che vedere un ragazzone di 35 anni appena compiuti che sa divertirsi con il proprio pubblico come farebbe con i suoi amici; che si lascia andare si, senza però mai perdere di vista il punto focale: essere se stessi, nella musica, nei testi, nel modo di scriverli e cantarli. Anche la scelta delle canzoni in scaletta da questo punto di vista è molto significativa. Perché se è vero che oggi siamo qui a festeggiare un successo arrivato splendidamente e inaspettatamente lo dobbiamo anche e soprattutto alle fatiche, alle illusioni, ai ricordi di una vita innocente e ai sogni annegati troppe volte nei drink.

La festa si conclude come chiudendo un cerchio, lì dove tutto è cominciato, con le prime canzoni scritte in italiano così, per gioco: Ho visto un dio, prima e Le cose più rare, poi nell’encore. E sarà sempre per gioco che poi forse un giorno ci rincontreremo.


SETLIST:
Cazzate
Dedica
Regata 70
Le voci
Dicembre
Esistere
Impossibile
L’altro mondo
Ho visto un dio
ENCORE
L’ultima festa
Disordine
Lunedì di festa
Le cose più rare

 

Il live è una produzionevia-audio

Nobraino live a La Salumeria della Musica 03/02/2017
Nobraino live a La Salumeria della Musica 03/02/2017
Nobraino live a La Salumeria della Musica 03/02/2017

Se conoscete i Nobraino ma non siete mai andati a un loro concerto, allora non li conoscete affatto.
La loro vera natura non può che essere celata dietro un disco, si può intuirla sì, ma bisogna vederli con i propri occhi per capire davvero di chi stiamo parlando: Lorenzo Kruger e compagni – Néstor Fabbri alla chitarra, Davide Barbatosta alla tromba, Bartok al basso e il Vix alla batteria – sono di quei personaggi che non si possono immaginare né imitare. Sono bravi, divertenti e divertiti, e assistere a un loro live è un vero spasso.
In occasione della presentazione di “3460608524” arriva il loro tre miliardi, quattrocentosessanta milioni e seicentoottomila, cinquecentoventiquattresimo tour.
Scherziamo: è così che annunciano il tour del loro quinto album, pubblicato a novembre 2016 ed intitolato con un numero di cellulare con il quale poter comunicare con loro. Il 3 febbraio 2017 viene presentato a Milano, alla Salumeria della musica, ed è subito sold out: la prima parte del live lo riproduce fedelmente, traccia per traccia, in modo maturo, riflessivo e composto, quasi a voler dire: “ehi! visto come siamo cresciuti? ora siamo gente seria!”. Ma non appena la presentazione del nuovo album termina qualcosa è già cambiato: un breve, intenso e frenetico stacco strumentale per permettere a Kruger il cambio d’abiti ed eccoli tornati quei mattacchioni di sempre. Si fa presto a cantare “lui era un camionista, lei una cameriera, l’altra una barista” che l’atmosfera di “L’ultimo dei Nobraino” viene messa in scena. Kruger comincia a prendere in giro il suo pubblico, come fa con il genere umano nelle sue canzoni: “siete rimasti affezionati a quelle vecchie canzonette perché siete degli analfabeti!“. Così con quell’aria emancipata e sbeffeggiante, ma piena di ironia, si muovono sul palco, saltano e ballano.  Lo show prende tutte le forme possibili, dal crowd surfing, alla passeggiata per il locale fino alle acrobazie su una scala con il tuffo finale sulla folla dall’ultimo gradino, sulle note di un’infuocante Bifolco. Non mancano canzoni dall’atmosfera più raccolta, come Film muto e altre degli album più datati “Disco d’oro” e “The Best Of“. Per concludere, un bel coro a cappella della canzone più amata dai romagnoli cantata a squarciagola con il pubblico.
Se l’unico modo di fare è fare sul serio, allora loro sono perfettamente seri nell’essere buffi e nel sapersi seriamente divertire in quello che fanno. Può sembrare un controsenso ma in realtà a volte questo è l’unico modo di dare un vero senso a ciò che si fa.

 


SETLIST:

La statua
Cambiata
Mike Tyson
Constatazione amorevole
Vertigine ft. Crista
Soqquadro
Il guinzaglio
Darty fuoco
Cerchi
Centesimo
Estate illusoria
Peraltro
Il tempio di Iside

strumentale – Misirlou

Bigamionista
Lo scrittore
Endorfine
Record del mondo
Tradimentunz
Film muto
Esca viva

strumentale

I signori della corte
Bifolco
Romagna mia

screenshot-2017-02-06-16-49-31

Nobraino liveContinua l’inarrestabile tour di “346 0608524, il quinto album dei romagnoli Nobraino.
E’ uscito a novembre e già ha fatto parlare molto si sé questo album, intitolato con un numero di telefono con il quale poter comunicare con la band. Insomma l’originalità non manca  e sicuramente neanche grinta live e voglia di contatto con il proprio pubblico.
La data di Milano, prevista il 3 febbraio presso La salumeria della musica, è già sold out e noi non vediamo l’ora di esserci.
Avete fatto in tempo a prendere un biglietto? No? Tranquilli, il tour della band ha ancora 5 tappe:

4/02 a Torino, 9/02 a Porto San Giorgio, il 10/02 a Rimini, 11/02 Perugia e infine il 25/02 a Modena.

Salmo, 15 dicembre 2016, ph Elena di Vincenzo

Salmo, 15 dicembre 2016, ph Elena di Vincenzo
Salmo, 15 dicembre 2016, ph Elena di Vincenzo

Il rapper e producer di origini sarde Maurizio Pisciottu, in arte Salmo, è diventato in pochi anni una delle figure più importanti ed eclettiche della scena italiana e il tour del suo quarto album pubblicato a febbraio 2016 “Hellvisback” è stata la riconferma del suo successo. Ancora alla fine di questo lungo tour la doppia data – 15 e 16 dicembre- al Fabrique di Milano, città di adozione, è sold out.

Il locale è enorme e pieno, il pubblico è per la maggior parte molto giovane, ma non mancano fan di tutte le età e tutti tipi: Salmo non è mainstream, è tutt’altro che commerciale, è sfacciato, crudo e blasfemo, eppure piace anche le signore (mamme?); è della “nuova scuola” ma piace anche e soprattutto a chi la nuova scena rap italiana fa storcere la bocca, e un motivo ci sarà.
Salmo è come la Madonna, se ci credi compare“. Atteso e chiamato a lungo, arriva finalmente in scena innalzando nettamente il livello della serata, che fino a quel momento era stata intrattenuta un po’ a fatica da altri giovani rappers.
Provocatore ed energico, porta sul palco non solo l’aria di casa nostrana che noi conosciamo bene, con canzoni come S.A.L.M.O. , Old Boy e Russell Crowe, dall’album Midnite del 2013, ma anche tutto l’immaginario a cui si è ispirato per il nuovo album: le lande desolate del Nordamerica, le losche gang da bar western e i tempi in cui germogliavano le basi della musica che tutti noi amiamo, il rock.
I riferimenti sono espliciti, le influenze ben chiare, ma quando queste si incontrano e si scontrano con il mondo musicale dell’artista, legato più all’hardcore, all’elettronica e alla drum&bass, diventano un’unica miscela incandescente che infuoca il palco e gli animi del pubblico: l’entrata in scena con le prime tre tracce che coincidono con quelle dell’album tagliano a fette l’atmosfera e a Daytona già si poga con foga sotto il palco, il pubblico impazza e accoglie con clamore e affetto i pezzi degli album precedenti.
Mentre canta si dimena con atteggiamento da spaccone, il nostro rapper; ma non appena si rivolge al suo pubblico per dare consigli si dimostra un giovane umile e anche molto premuroso: ad esempio, dopo l’ormai tradizionale wall of death in Hellvisback chiede ai ragazzi se ci sono feriti e distribuisce bottigliette d’acqua. “Salmo uno di noi“, “Rovazzi figlio di p*****a” grida la folla, che vuole ribadire il proprio appoggio all’unico artista che ai giorni d’oggi ha ancora lo sbattimento di andare controcorrente e di dire in faccia ai diretti interessati che certa musica fa c****e. Non mancano gli ospiti, che entrano in scena per le rispettive canzoni, e i selfie di fine concerto.
Insomma al ragazzo classe 1984 non si può chiedere di più, e forse un po’ anche per questo che nell’aria si respira la paura di trovarsi di fronte l’ennesimo canto del cigno. Naturalmente noi siamo qui a scongiurarlo.

 


 

SETLIST:
Mic Taser
Giuda
Io sono qui
Daytona
Russell Crowe
Old Boy
Bentley vs Cadillac
Il messia
ft. Victor Kwality
7 am
L’alba
Buon Natale
Venice Beach

Killer Game
Hellvisback
S.A.L.M.O.

ENCORE:
Don Medellin ft. Rose Villain
Title? ft. Axos e Nitro
1984
La festa è finita
Black Widow

0 414

charlesx_press3_credit_flavienprioreau

Se leggendo il suo nome pensate a Malcom X non sbagliate. Se ascoltando i suoi album precedenti (“The Revolution…And The Day After” -2015- e “Sounds of Yesteryear” – 2016) pensate a Isaac Hayes, Jay Dee o A Tribe Called Quest, nemmeno.

Charles X è losangelino di nascita, vive in Francia, ma nelle sue vene scorre contaminazione di soul, hip hop, funk e jazz, dall’era d’oro della Motown alle ribellioni attiviste anni Sessata, fino ad arrivare al grande rap anni ’90. Non a caso il suo suo terzo album è intitolato Peace, in uscita a gennaio 2017 e anticipato dal singolo “Wind” ft. Georgia Anne Muldrow, che è solo una delle tante collaborazioni.
Curiosi di sentire di che sound sono fatte le nuove 12 tracce?

Domani sera, 4 novembre, Charles X sarà al Biko di Milano per presentarle.

Prima e dopo il concerto, ci sarà il dj set di Steve Dub ft. Luca Dimoon.

0 403

screenshot-2016-10-25-12-47-26
Un nome, ma al plurale. Un gruppo, ma ne contiene almeno tre. Un solo album, ma anni di esperienza alle spalle.
Dei Minor Victories se ne è parlato già molto, il loro omonimo album di debutto è stato accolto a braccia aperte dalla critica e soprattutto dai fan. Ma ora sono alle prese con il primo tour e chi sono davvero i Minor Victories?
I numerosi ragazzi presenti il 24 ottobre al Santeria Social Club di Milano sanno bene chi hanno di fronte, o almeno, chi dovrebbe esserci:  Stuart Braithwaite, caposaldo dei Mogwai alla chitarra, Rachel Goswell, la voce degli Slowdive dalla brillante e calorosa presenza al centro del palco, James Lockey, musicista e filmmaker al basso, due presenze dall’ignoto nome ma dall’indubbio talento alla tastiera e alla batteria. E Justin Lockey dall’ultima formazione degli Editors ideatore del progetto..? Dov’è?
Non ci è dato da sapere e nessuno lo chiede.
I cinque musicisti vengono accolti calorosamente, la canzone d’apertura del concerto coincide con quella dell’album. Give Up The Ghost è il miglior biglietto da visita che un gruppo possa desiderare: con andamento lento ma incalzante, la voce di Rachel che culla per tutto il tempo mentre ci si immerge in suoni a volte graffianti, a volte violenti. Ma è in The Thief che arriva il primo grande muro di suono, i riverberi della voce sono inondati dall’esplosione strumentale. Ancora storditi ci si tuffa nella romantica atmosfera dark di A Hundred Ropes, ma peccato che per questo pezzo non siano stati veri violini a fare da protagonisti sul palco.
Il live prosegue per circa 50 minuti, alternando così momenti di magici riverberi a cielo aperto a quelli di un rock più deciso e tenebroso. Sembra che non manchi nulla, a parte un po’ di voce della protagonista, che viene troppo spesso (facilmente) sovrastata dagli strumenti. Tutte le canzoni dell’album sono in scaletta, a parte una, la più sofisticata e minimalista For You Always, forse perché ne manca il principale autore e interprete Mark Kozelek, che ha straordinariamente collaborato con la band. Sul megaschermo che fa da sfondo slittano le immagini dei principali simboli del neogruppo: i cubi in 3D della croce in copertina sull’album e il gattino dallo sguardo laser assassino, ma dov’è quell’immaginario di luoghi e persone che ci hanno tanto fatto innamorare dei loro videoclip?
Insomma tutto bello, tutti felici, tanti complimenti e tanto calore, ma un po’ troppi “se” e troppi “ma” sono sorti quando ci si è fermati a riflettere sulla sostanza portata sul palco di tutto questo assordante e conturbante mondo onirico. Sembrerebbe che in tour stiano portando piuttosto il loro nome e il loro merchandising.
Quando ci si trova davanti a dei nomi che vengono immolati così sull’altare del rock le aspettative crescono, i prezzi dei biglietti al concerto aumentano e le voci cominciano a girare.
Ma prima di permetterci di esprimere un parere negativo preferiamo stare a guardare cosa succede.
Perché che non sia finita qui lo sapevamo ancor prima di recarci al concerto: poche ore prima il gruppo ha annunciato l’arrivo ad anno nuovo dell’album Orchestral Variations che contiene una serie di reinterpretazioni strumentali delle canzoni contenute in Minor Victories. Aspetteremo curiosi non solo questo album, ma anche il prossimo tour.

SETLIST:
Give Up The Ghost
The Thief
A Hundred Ropes
Cogs
Breaking My Light
Folk Arp
Scattered Ashes
Higher Hopes
Out To Sea

screenshot-2016-10-25-12-42-00

screenshot-2016-10-25-12-43-15

0 426
PJ Harvey Milano, 23/10/2016 foto di Francesco Prandoni
PJ Harvey Milano, 23/10/2016 foto di Francesco Prandoni

La nostra eroina del rock inglese ha viaggiato tanto e a lungo per arrivare fino a noi.
Tra il 2011 e il 2014 attraversa le terre polverose e degradate, lacerate dalla guerra dell’Afghanistan e del Kosovo, raggiunge “la città dove vengono prese le decisioni riguardanti questi due Paesi”, la ricca e contraddittoria Washington DC, ed è tornata a casa, a registrare sotto gli occhi del pubblico al Somerset House di Londra. Il risultato di quest’esperienza, oltre al libro che raccoglie le sue poesie e le foto di Murphy The Hollow of The Hand, è un album di quelli che pesa, che vale e che scotta, corrosivo.

Si chiama The Hope Six Demolition Project, è stato pubblicato il 15 aprile 2016, è stato portato sui palchi dei più importanti festival musicali questa estate e ora viaggia in un tour autunnale europeo.

Il 23 ottobre è arrivato all’Alcatraz di Milano.

Lasciamo stare i convenevoli, PJ Harvey e la sua band di 9 uomini sono magnifici.
Proprio come i 10 magnifici eroi di un vecchio cartone animato anni ’80, ma attualissimi.
Entrano in scena tutti insieme, in marcia, uno dietro l’altro, ognuno col proprio strumento, interrompendo il lungo silenzio nel quale il pubblico era immerso da ore. Chain of Keys è perfetta per immolare questo momento. E’ un inizio solenne, marcato poi da The Ministry of Defence, seconda in scaletta, in cui le 9 eleganti presenze maschili sul palco rendono onore e giustizia al forte carisma della protagonista, coperta di una striscia di pelle nera che le fa da gonna e piume corvine sulla giaccia e tra i capelli.

The Hope Six Demolition Project trionfa sul palco: tutte le canzoni dell’album sono portate in scena in ordine sparso e prima che un altro pezzo possa cominciare la disposizione dei musicisti e il loro ruolo è cambiato, ognuno ha il proprio posto in prima fila accanto alla regina del rock. Si muovono, cantano e suonano in perfetta armonia, come un in ingranaggio complesso e preciso.
A sconvolgere infatti è la perfezione dell’esecuzione, come da album, ma anche la potenza e l’energia che solo un live può trasmettere.

Le performance di PJ Harvey sono di quelle che rimangono impresse per anni: le parole si uniscono ai gesti, la cantautrice diventa interprete e si riportano in scena le atmosfere e gli animi di ogni album le cui canzoni hanno un posto nella setlist.

I brani tratti dal precedente capolavoro Let England Shake, vincitore del Premio Mercury nel 2011, si inseriscono alla perfezione nello scenario di atrocità e ipocrisie raccontato da PJ e i suoi eroi.
Dalle parole di A Line in the Sand, a quelle di Medicinals, passando per The Words That Maketh Murder e The Glorious Land: è difficile non essere disarmati e colpiti dalla semplice schiettezza e crudità dei testi, immersi nella magnificenza del suono di fiati, percussioni, chitarre, battiti di mani e cori.

Ma un attimo dopo ci si ritrova catapultati nella plumbea solitudine di White Chalk, album del 2007, con When Under Ether e The Devil, tra le quali si inserisce lo struggente assolo di sax di Terry Edwards in Dollar Dollar, che dal vivo acquista qualcosa di magico e inaspettato.

C’è anche spazio per l’aggressivo punk rock dell’ormai lontano secondo album (Rid of Me, 1993) in un’unica ma imponente canzone che è 50ft Queenie, e per i grandi successi del passato Down by the Water e la titletrack di To Bring You My Love, cantate insieme al pubblico, che pende dalle grandi labbra di Polly. Rapito e stregato partecipa come da copione al coro e recita allucinato la filastrocca: “Little fish, big fish. swimming in the water. Come back here, man, gimme my daughter…”

Il gran finale spetta al mantrico gospel River Anacostia: il sipario architettonico alle spalle del palco scende piano, le luci si abbassano, i suoni si assottigliano e uniformano, rimangono solo le percussioni. Infine il mantra è recitato da tutti solo con le voci, anche dal pubblico: “Wade in the water, God’s gonna trouble the water..”, i nostri 10 magnifici eroi ora sono tutti in prima fila, gli uni accanto agli altri. Le luci si spengono e la salvezza sembra essere stata toccata con un dito.
Il ritorno sul palco per il bis non ha particolarmente colpito, lasciando i fan più accaniti leggermente delusi, ma non per questo il live non rimarrà un’esperienza unica per ogni suo spettatore.

 


 

SETLIST:
Chain of Keys
The Ministry of Defence
The Community of Hope
The Orange Monkey
A Line in the Sand
Let England Shake
The Words That Maketh Murder
The Glorious Land
Medicinals
When Under Ether
Dollar, Dollar
The Devil
The Wheel
The Ministry of Social Affairs
50ft Queenie
Down by the Water
To Bring You My Love
River Anacostia

ENCORE:
Near the Memorials to Vietnam and Lincoln
The Last Living Rose

0 429
Apparat DJ tra i fumi del Dude Club
Dude Club 15/10/2016 tom.matteocci_videographer
Dude Club 15/10/2016 tom.matteocci_videographer

Ore di attesa che sembravano interminabili, lunghe file in cassa, al bar e in bagno per chi, la notte del 15 ottobre, era al Dude Club per il dj-set del beniamino tedesco dell’elettronica Sascha Ring, in arte Apparat.
Mentre nella piccola ed accogliente sala dell’Osservatorio Astronomico suonava l’australiano Harvey Sutherland,  ad intrattenerci fino alle 2 di notte in quella più grande e spoglia è stato il duo-project Jazz Madicine, dal sound detroitiano, abbastanza lontano dallo stile di Apparat, ma comunque funzionale a rendere questa sala più colma e calda.
Quando alla consolle arriva l’headliner, infatti, occorre qualche minuto per abituare il pubblico a qualcosa di totalmente diverso. Finalmente.
Nonostante questa volta Apparat non sia nelle vesti di cantante, musicista e producer con la sua straordinaria band, ha saputo dare un tocco personale e riconoscibile alla scelta dei remix portati sul set.
Il suo approccio sofisticato, intimo e sognante alla musica è emerso anche durante un dj-set di quelli che mantengono il pubblico giovane ed energico attaccato alle casse per ore senza mai né stancarsi né annoiarsi, con continue riprese di profondi bassi che smuovono il corpo fino alle viscere.
Un set variopinto di poco più di tre ore nel quale accanto ad immancabili, se non scontati, remix di alcuni brani del suo progetto parallelo, più famoso e mainstream, Moderat -come Bad Kingdom e Rusty Nails, picchi massimi di euforia in sala- ci sono state interessanti presenze, come la voce di Thom Yorke di Everything In Its Right Place e come quella orientaleggiante di voci femminili indiane, che conferma il carattere internazionale e ricercato del suo stile.
La soddisfazione del dj, a fine set e luci accese, si è rispecchiata in quella del suo pubblico danzerino, che non è voluto andare via fino a quando la security lo ha invitato ad uscire. Strette di mano, foto, sorrisi e scambi di sigarette con un ragazzo -si, di 38 anni, ma portati da dio- come uno di noi, che si trova semplicemente dall’altro lato della consolle: è stata questa la presenza di Sascha Ring al Dude Club, che di figure come lui e di musica come la sua ne sentiva il bisogno.

Apparat DJ tra i fumi del Dude Club
Apparat DJ tra i fumi del Dude Club