Authors Posts by Alessio Gallorini

Alessio Gallorini

Alessio Gallorini
606 POSTS 0 COMMENTS
Classe 1987. Scrive e ascolta musica fin da quando gli hanno comprato uno stereo e dato un'educazione. Toscano doc, conduce un programma radiofonico tutto "home-made" che non poteva che chiamarsi "L'Appartamento". Laureato in giurisprudenza, ma allergico ai tribunali. Ama la letteratura e tutto ciò che è arte. Finchè non si annoia. Frase del cuore: "Costruire è sapere, è potere rinunciare alla perfezione".

0 295
Stay - Low (testo e video)

Tornati in Italia dopo il super show del maggio scorso al Teatro dell’Antoniano di Bologna, i Low si confermano come ciò che sono: delle autentiche leggende dell’alternative mondiale. Di fronte a un teatro Puccini in visibilio, Alan Sparhawk, Mimi Parker e Steve Garrington regalano un’ora e mezzo di pura estasi, in cui il candore e la purezza di certi suoni sa miscelarsi, fino a creare un amalgama inconfondibile, con le distorsioni e le svisate chitarristiche più genuinamente rock.

Tutto questo in un ambiente e con un’atmosfera minimale, con i 3 che si presentano puntualissimi sul palco alle 21.30 (il loro arrivo è preceduto addirittura da un countdown che comincia quando mancano solo 10 minuti all’inizio dello show) e, con pochi fronzoli, attaccano “Plastic Cup”, primo singolo di “The Invisible Way”, disco che ha confermato quanto la band di Duluth sia ispirata anche a distanza di 20 anni dagli esordi.

“On my own” regala brividi di piacere, mentre con “Holy Ghost” Mimi Parker dimostra tutto il suo talento di vocalist, oltre che di batterista: il suo tocco soffice eppure energico è la perfetta immagine, sottoforma di gesto, di ciò che riesce a fare con la voce, armonizzandosi in modo perfetto con Sparhawk, fino a creare un gioco di chiari e scuri che è parte della cifra stilistica dei Low, come si nota in pezzi quali “Especially me” o l’acclamatissima “Words”, capace sempre di emozionare.

In un susseguirsi di “violenta intimità”, arrivano a toccare le orecchie e i cuori brani come “Sunflowers” o l’impressionante “Pissing”. Il pubblico è ipnotizzato da questi tre musicisti, tanto schivi sul palco, quanto allo stesso tempo felici e onorati dall’essere in Italia, dove davvero sono acclamati forse anche in modo superiore alle loro aspettative.

C’è un rapporto di totale empatia tra la band e le persone accorse in questo teatro fiorentino, tanto è vero che, non contenti dei 19 brani in scaletta e dei sorrisi elargiti da Steve, Mimi e Alan (che forse per l’emozione inverte anche le parole di Dinosaur, creando con la Parker, intenta a fare il controcanto, un divertente siparietto), tornano sul palco per un ultimo struggente commiato in musica.

Degno finale di una serata che sarà difficile dimenticare, intensa come la malinconia venata di speranza che sanno regalare solo i brani dei Low.

0 278

Adam Green e Francesco Mandelli si conoscono da anni e, accomunati dalle passioni per la musica ed il cinema, sono diventati grandi amici (un’amicizia alimentata a “pane, vino e Lucio Battisti” ha dichiarato più volte Mandelli):  sono così amici che hanno deciso di intraprendere insieme un tour italiano, che li vede esibirsi in un live semi-acustico ironico ed irriverente, venato di aspetti anche teatrali, dove la natura attoriale di Mandelli può esprimersi al meglio.

Dopo le prime tre acclamatissime date, andate in scena al Covo Club di Bologna, al Pulp di Parma e al Decibel di Ancona a cavallo tra il 31 ottobre e il 2 novembre, i due  riprendono il loro spericolato giro per l’Italia con altre 5 date, per uno show che non va assolutamente perso e di cui vi daremo conto anche noi di concertionline.com :

05/11 Roma al Circolo degli Artisti. Info: www.ilcircolodegliartisti.it
06/11 Torino allo Spazio 211. Info: www.spazio211.com
07/11 Milano al Biko. Info: www.bikoclub.net
08/11 Firenze al Tender Club. Info: www.tenderclub.it
09/11 Poggio Berni (RN) al Circolo dei Malfattori. Info: circolodeimalfattorisaladiana.wordpress.com

0 274

I Low sono una delle più importanti band slowcore fin dagli anni ’90 e adesso, dopo la data già tenuta in primavera al Teatro dell’Antoniano di Bologna, tornano in Italia per presentare il loro ultimo, splendido album “The Invisible Way”, ennesima perla in una carriera costellata di capolavori, capaci anche di farli stimare da band quali i Radiohead di Thom Yorke, che li vollero ad aprire il loro tour europeo nel 2003 con date a Milano, Bergamo, Firenze (doppia data) e Ferrara.

E sarà proprio a Firenze e Milano che si svolgeranno 2 delle 3 date italiane dei Low la prossima settimana:

il minitour italiano partirà lunedì 4 novembre dalla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica a Roma, per poi spostarsi al Teatro Puccini di Firenze martedì 5 novembre e chiudersi mercoledì 6 novembre al Teatro Martinitt di Milano.

Tutte le info e i biglietti per gli show del trio di Duluth su: www.ticketone.it e su www.chairkickers.com

0 261

Signore e signori, quello a cui si è assistito al Teatro Verdi di Firenze la sera del 12 settembre è stato qualcosa di davvero unico: due artisti, anagraficamente separati da ben 30 anni, ma così concettualmente e artisticamente vicini che è difficile immaginare un connubio altrettanto perfetto.

David Byrne, un uomo che non ha bisogno di presentazioni e che “ha scritto la colonna sonora delle nostre vite” (come dirà St. Vincent nel ringraziarlo) e Annie Clark (aka St. Vincent), una delle cantautrici più ispirate degli ultimi anni hanno costruito uno spettacolo che era un vero e proprio musical, con balletti e semplici coreografie ad accompagnare ogni brano. E che brani!

Dall’iniziale “Who”, passando per l’immancabile “This must be the place” (accolta da un’ovazione e dedicata da Byrne a Sorrentino, regista che lo ha diretto nel grandioso film che prendeva il titolo dal pezzo) fino a pezzi come Strange Overtones (vecchia collaborazione di Byrne con Brian Eno) o ancora “Lightning”, tratta proprio da “Love this giant”, il disco composto insieme dai due artisti e che ha richiesto “ben tre anni di lavoro, tra disco e tour”, come precisa Annie Clark.

David Byrne e St. Vincent si compenetrano artisticamente e non si rubano mai la scena, dividendosi il palco come se avessero cantato insieme da sempre, mentre alle loro spalle una superband composta da ottoni, tastiere e batteria si muove leggiadra, regalando un’atmosfera orchestrale a dir poco straordinaria, unica, partecipando persino alle coreografie messe su dai due “mostri sacri” in primo piano.

La serata scorre tra il delirio del pubblico presente, che al momento del bis non riesce più a trattenersi sulle sedie e si alza in piedi, ad applaudire ed ancheggiare su brani immortali come “Burning down the house”, storico pezzo dei Talking Heads che St. Vincent racconta esser stato il primo che ha ascoltato, il primo col quale a conosciuto la voce di David Byrne, quando lei aveva solo 4 anni e mai avrebbe pensato di poter fare un disco e un tour con un simile artista; arrivano poi un paio di pezzi di miss Annie Clark, biondissima in occasione di questo tour europeo e davvero maestosa sul palco: le sue interpretazioni di “Cruel” e “The Party” sono davvero da brividi, mostrando un talento che ha pochi eguali in ambito musicale.

Il sorprendente finale è tutto per un altro brano “made in Talking Heads”, ovvero “Road to nowhere”, pezzo sul quale la band, David Byrne e St. Vincent decidono di venire a suonare in mezzo al pubblico, con grande sorpresa e gioia per tutti noi che non vedevamo l’ora di ammirarli ancora più da vicino.

Il finale perfetto per una serata perfetta.

Si ringrazia D’Alessandro e Galli e Bitconcerti per l’invito.

Clicca qui per la phogallery di Stefano Mattii

0 292

L’attesa creata dal ritorno dei Blur in Italia era di quelle con pochi precedenti: la band formata da Damon Albarn,Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree è tra quelle che ha certamente accompagnato una generazione, quella di chi è cresciuto negli anni ’90, ma che, con i suoi pezzi è riuscita a sopravvivere anche al suo stesso scioglimento (o congelamento, per meglio dire) diventando molto amata anche tra chi dal vivo negli anni ’90 non poteva vederla live per motivi di età.

Ecco dunque che l’Ippodromo delle Capannelle di Roma era stracolmo in attesa di un evento che si preannunciava come unico o quasi (pare che i Blur non vogliano infatti incidere nuovi album): la loro attesa è stata ampiamente ripagata.

Da poco passate le 22 i Blur sono saliti sul palco carichissimi e dando vita ad uno show adrenalinico, con un Damon Albarn davvero in formissima, che non si fermava mai, saltellando da una parte all’altra del palco e lanciando acqua per rinfrescare le prime file; l’atmosfera si è poi scaldata subito grazie a una scaletta che è stata un vero e proprio best of della band, fin dall’introduttiva “Girls & boys”, seguita subito da “Popscene” e “There’s no other way”, che hanno mandato in delirio il pubblico.

Graham Coxon non ha fatto mancare le svisate con la sua chitarra, ipnotica e sognante quando si è trattato di far rivivere classici come “Caramel” o “Tender” e “To the end”, suonate una dietro l’altra e che, a mio avviso, sono state il vero apice della serata.

“Country house” e “Parklife” hanno rimesso al centro il ritmo, confermandosi dei veri e propri inni generazionali, cantati a squarciagola da tutti.

Nel bis sono arrivate “The universal”, davvero strepitosa, e “Under the westway” oltre a “For tomorrow”.

In chiusura non poteva ovviamente mancare “Song 2”, asciuttissima, 2 minuti di pura libertà e divertimento che, messi in chiusura, hanno prosciugato le restanti energie del pubblico, sorridente e saltellante come non mai.

Insomma, i Blur non hanno deluso regalando una cavalcata nel loro mondo e in quella che certo è ormai storia della musica (almeno per gli anni ’90).

Vedendoli così in forma, viene da pensare….ma davvero questa band ha già detto tutto e con un nuovo disco rischierebbe di ripetersi?

 

Se non fosse stato per il caldo torrido che si respirava, si sarebbe potuto tranquillamente dire che eravamo in Islanda; già, perchè la band capitanata da Jonsi Birgisson riesce ogni volta ad ammantare i luoghi in cui si esibisce di un alone di magia tutto personale, qualcosa di unico e di evidentemente riconducibile al magico luogo da cui provengono.

Stavolta ho avuto il piacere di assistere a dei Sigur Ros oscuri come non mai, il che era dovuto alle sonorità del loro ultimo lavoro, “Kveikur”, che indubbiamente proietta la band verso lande sonore più cupe e, per certi aspetti, più rock.

Queste sonorità, eseguite in modo perfetto da Jonsi e soci, per quanto l’acustica di piazza Napoleone non sia delle migliori in alcuni punti (forse è dovuto all’impianto più che alla piazza?) hanno, se possibile, esaltato ancora di più quelli che definisco i “momenti di luce abbagliante”, che fanno parte della storia dei Sigur Ros: brani come “Glosoli” e “Hoppipolla” (come sempre attesissima e amatissima) sono parsi ancora più spettacolari e luminosi, il tutto coadiuvato da una grafica che, sul maxischermo che faceva da sfondo al palco, proiettava giochi di luce e paesaggi islandesi, assolutamente delle meraviglie della natura.

Insomma il concerto dei Sigur Ros è stata la solita esperienza sensoriale a tutto tondo, qualcosa che regala emozioni e sensazioni uniche e che riesce davvero a far dimenticare i propri problemi o i rumori del mondo, regalando un paio d’ore di pura, straordinaria bellezza.

 

Scaletta Sigur Ros 2013

Yfirborð
Vaka
Ný Batterí
Kveikur
Hrafntinna
Sæglópur
Fljótavík
E-bow
Varúð
Hoppípolla
Með Blóðnasir
Glósóli
Brennisteinn
(Encore)
Svefn-g-englar
Popplagið

Si ringrazia D’Alessandro e Galli per l’invito.

Una serata di quelle che si scordano difficilmente, quella che è andata in scena mercoledì 17 luglio in piazza Napoleone a Lucca, nell’ambito della ricchissima edizione 2013 del Summer Festival: a salire sul palco due band giovani ma già famosissime e stimatissime in tutto il mondo; prima i Black Rebel Motorcycle Club, reduci da alcune acclamatissime date da headliner nel nostro Paese e in chiusura quei The Killers che non hanno ormai più alcun bisogno di presentazioni.

Partiamo dal terzetto di San Francisco, in Italia per presentare l’ultimo lavoro “Specter at the feast”: Peter Hayes e Robert Levon Been schitarrano a dovere, ottimamente coadiuvati dalla batterista Leah Shapiro, sprigionando tutto il loro sound, che varia dal blues al garage rock, senza disdegnare sferzate folk.

Robert imbraccia spesso la chitarra come un mitra, sparando note vigorose nelle quali la sua voce si incunea, devastando una platea che, in buona parte, non conosceva i loro brani, ma ne rimane senza dubbio affascinata: si susseguono brani come “Ain’t no easy way” o “Beat the devil’s tattoo” e alcune canzoni tratte dal nuovo lavoro, che si conferma sulla strada già per loro fortunata, mescolando noise, shoegaze, folk e garage rock per creare una miscela infuocata, 45 minuti di riscaldamento di qualità, ideali nell’attesa di Brandon Flowers e soci.

I Killers salgono sul palco che sono appena passate le 22 e subito investono la piazza con un’onda di energia e di ritmo esagerata: “Somebody told me” sparata così a bruciapelo non se l’aspettava nessuno e subito cominciano le danze!

Flowers è tarantolato, si muove da una parte all’altra del palco, salendo anche sugli amplificatori e mostrando una forma fisica invidiabile, unita ad una grandissima voglia di deliziare il pubblico italiano, che lo fotografa armato di cellulari e quant’altro (mentre la band non ha voluto fotografi di alcuna testata sottopalco).

“Spaceman” viene intonata da tutti a squarciagola, così come avverrà poi con altri brani quali “Miss Atomic Bomb”, su cui è lo stesso Brandon a invitare il pubblico ad accompagnarlo; da sottolineare l’intonazione del frontman dei Killers, davvero straordinaria per tutta la durata del live, unita, lo ripeto, a una dose di energia impressionante.

Il nostro trova anche il tempo per una captatio benevolentiae del pubblico (come se ne avesse bisogno) cimentandosi con un paio di frasi in italiano e pure con una cover di “Nel blu dipinto di blu”, nella versione inglesizzata di Dean Martin, che ovviamente lascia tutti a bocca aperta.

A proposito di cover, non è mancata nemmeno “Shadowplay”, piacevole intervallo in una serie di singoloni da paura sfornati dai Killers, per la gioia di noi tutti: “Human”, “Read My Mind”, “All these things that I’ve done” ma anche “Flash and bones” e una super melodica “Dustland Fairytales”.

Tutto questo già basterebbe per definire questa serata fantastica…invece arriva pure il bis, con “Jenny was a friend of mine”, “when you were young” e l’immancabile e attesissima “Mr. Brightside”.

Alla fine del live facce stravolte e sguardi svuotati ma felici, le ore di attesa sono state ampiamente ripagate da quello che certamente è uno dei migliori concerti del 2013.

Lunga vita ai Killers!

Si ringrazia D’Alessandro e Galli per l’invito.

0 382

Partiamo dall’inizio per raccontare questa serata di ottimo rock al Lucca Summer Festival, partiamo da quando, a cancelli ancora chiusi, mi guardo intorno e riesco a vedere solo facce felici, sorridenti: in barba alla fatica, al sudore, al fatto di essere in attesa magari da ore, gli echelon (così si chiamano i fan dei 30 seconds to mars) sorridono alla vita, fiduciosi su ciò che li aspetta tra poco, ovvero un live per cui stanno facendo il conto alla rovescia da mesi. I volti sono dipinti di mille colori, le scritte sulla pelle riproducono i versi cantati da Jared Leto e le magliette della band sono la divisa d’ordinanza.

Alle 19.45 i cancelli si aprono e quest’orda di giovani e giovanissimi (ma con dentro anche qualche insospettabile) si riversa sotto il palco, a consumare l’attesa con gli occhi.

Ad aprire il live sale l’americana Simonne Jones, davvero una piacevole scoperta, questa rocker riccioluta, coadiuvata da un batterista mascherato come V per Vendetta: il sound è quello di un rock divertente e ritmato, spesso arricchito da inserti di elettronica che fanno ballare il pubblico, che si dimostra già ben caldo fin da subito; alla fine del breve set della Jones, davvero sorpresa di quanta gente ballasse e molto simpatica nel ringraziare tutti in un buon italiano, si pensa che manchi davvero poco al momento dei 30STM; purtroppo non sarà così, in quanto problemi tecnici all’impianto di amplificazione (pare) ritarderanno l’inizio del live, previsto per le 21.30, fino alle 22.15.

Il pubblico è ovviamente spazientito, ma non appena Jared e soci compaiono sul palco attaccando “Birth” tutto è dimenticato e un’ovazione li accoglie; si capisce subito che i 3 sono carichissimi e davvero felici di essere in Italia, un Paese che li ama come pochi altri.

“Night of the hunter” e “This is war” danno subito una sferzata elettrica alla serata, dimostrando la grandezza di questa band dal suono così vario, capace di un rock epico e molto visivo e viscerale: Jared salta da una parte all’altra del palco, invitando la folla a fare altrettanto, mentre sul maxischermo a fondo palco scorrono splendidi effetti che impreziosiscono il tutto.

Davvero da brividi il momento in cui Jared prende la chitarra acustica ed inizia una parte di set, appunto, acustico, in cui brilla la sempre splendida “The Kill”, cantata a gran voce dal pubblico, attivissimo e partecipe, emozionato e coinvolto….e il coinvolgimento è destinato a crescere, visto che Jared informa tutti che il prossimo video della band, “Do or die”, sarà ripreso proprio su quel palco: ecco che un paio di ragazzi vengono invitati sul palco ad annunciare il pezzo (ed entrambi si chiamano Marco…che il buon Jared dice essere “il suo nome per stasera”). Dopo le riprese, in cui Leto e soci invitano a scatenarsi e a far vedere tutto il calore del Belpaese (Jared tenta anche di farsi dare qualche improvvisata lezione di italiano dal pubblico, in alcuni siparietti che fanno vedere quanto ami il paese delle sue origini) ecco che il live prosegue con brani straordinari e ancora più rock come l’attesissima “Kings and Queens”, sulla quale una serie di materassini giganti invade il pubblico, ma anche per “Closer to the edge”.

Per il bis Jared chiede di poter rieseguire “Do or Die” per essere sicuro che il video venga bene e invita sul palco una decina di ragazzi, “i più matti”, come sottolinea lui: il video viene ripreso, Jared sventola addirittura un gigantesco tricolore! Insomma, davvero qualcosa di straordinario, che termina con “Up in the air”.

Ah sì! In tutto questo ho dimenticato l’intermezzo con due acrobati che si esibivano in salti mortali sul palco, i palloncini giganti colorati lanciati sul pubblico, Jared che chiacchierava col pubblico elencando le ragioni per cui ama l’Italia….per non parlare poi del fatto che nel pomeriggio c’è stata una signing session per i primi 500 che avevano acquistato “Love, Lust, Faith + Dreams” al merchandising point in Piazza Napoleone a Lucca.

Troppe cose. Troppe. Abbastanza per farvi capire cosa vi siete persi se non c’eravate.

PS. Tranquilli, potete rimediare: 2 novembre 2013, Mediolanum Forum, Milano….Marte si avvicinerà di nuovo.

Si ringrazia D’Alessandro e Galli per l’invito.

11 389

52 minuti. Tanto è durato il live dei Beady Eye nella loro unica apparizione italiana per presentare il nuovo lavoro “Be”.

Sì, avete letto bene: 52. Di fronte a una piazza Duomo non certo stracolma, ma comunque  affollata dai nostalgici degli Oasis, con tanto di magliette d’epoca o, in alternativa, casacche del Manchester City (squadra di cui entrambi i fratelli Gallagher sono tifosissimi) e tagli di capelli “alla Liam”, gli ex componenti di quella che è stata la formazione cardine (insieme ai ben più meritevoli Blur) del brit-pop hanno fornito uno spettacolo che definirei quanto meno avvilente; saliti sul palco alle 21.45, preceduti dai Cold Committee e dai Blastema, Gallagher junior e soci hanno mostrato subito la loro scarsa forma: il leader è apparso in occhiali da sole e k-way abbottonato fino al collo (e vi posso giurare che era notte e c’erano almeno 30 gradi) e ha accuratamente evitato di essere illuminato per tutta la durata, breve, del concerto, rimanendo nell’ombra, nonostante uno spiegamento di luci che si erano portati appositamente per il tour (ma evidentemente deve essere una consuetudine, la sua, di suonare al buio).

La scaletta ha offerto diversi brani estratti da “Be”, ben 7, e un paio di hit “made in Oasis” che si sono dimostrate musicalmente di livello nettamente superiore ai brani nuovi: “Rock’n’roll star” e “Morning glory”, che ha fatto vibrare i cuori e le voci di tutta la piazza.

Liam, forse non in perfette condizioni di salute, ha cantato non al massimo, stonando in più punti e, dopo soli 13 brani, ha salutato tutti, lasciandoci con l’amaro in bocca e pure arrabbiati, visto che non c’è stato alcun bis.

A suggellare la non esaltante performance i meritati fischi piovuti da buona parte dei presenti alla fine di questo concerto, che certo non passerà alla storia per la bellezza, ma per la scarsa durata: contando tutto, appena 52 minuti di musica. E l’evento clou, la sera del sabato del Blues 2013, si è chiuso alle 22.50 circa. Come mai era successo in 34 anni di storia.

Una postilla: dispiace vedere un festival storico come il Pistoia Blues, che assolutamente (e lo sottolineo) non ha colpe, venire ridicolizzato da band simili. Speriamo che il festival sopravviva e regali, come ha già fatto tante volte, anche nei prossimi anni, serate ben migliori di questa.

Scaletta concerto Beady Eye Pistoia 6 luglio 2013

Flick of the Finger
Four Letter Word
Soul Love
Second Bite of the Apple
Iz Rite
Shine a Light
Rock ‘n’ Roll Star (Oasis cover)
I’m Just Saying
Morning Glory (Oasis cover)
The Roller
Start Anew
Bring the Light
Wigwam

0 262

Immaginatevi una highway americana, una di quelle strade rettilinee lunghe centinaia di chilometri che attraversano il deserto. Voi avete un’auto decappottabile e i capelli lunghi al vento, l’autoradio strilla forte musica rock.

La musica dei Black Crowes, ovviamente.

Già, perchè è proprio questa la sensazione che dà la loro musica, quella di essere senza pensieri in viaggio lungo un’autostrada californiana: fa niente se invece della highway voltandosi c’è il duomo di Pistoia e sono in piedi in questa magnifica piazza, anzi forse è meglio così.

Più di 30 anni di carriera non hanno scalfito questi alfieri del rock made in USA, che infiammano il Pistoia Blues con le loro sonorità psichedeliche, mentre un Chris Robinson in formissima sgambetta scalzo per 2 ore di live.

Il set è un vero e proprio best of del loro repertorio: si va da Sting me a Twice as hard (primo loro brano storicamente) passando per una infuocata Hotel Illness e una magnifica “By your side”, seguita da “Wiser Time” e da “She Talks to Angels”, per un trittico che ha mandato in visibilio i fans, giunti da mezza Italia ad affollare la città toscana, vera roccaforte del blues italica (ed europea).

In un crescendo di note e di intensità che davvero fa capire perchè questi signori siano considerati la miglior rock band stanunitense si arriva alla conclusione di 2 ore tiratissime, con il pubblico che sarebbe anche pronto a rilanciare per goderseli ancora un po’…ma il tempo è tiranno e così, sulla melodia trascinante di “Hush”, 15esimo pezzo della serata, i nostri Corvi salutano, dimostrando che riescono ancora benissimo a volare alto.

E far “rockeggiare” tutti al 100% !

0 166

Charlie Musselwhite e Ben Harper. E’ con questi due nomi, tanto cari alla città di Pistoia, regina del blues in Italia, che prende il via l’edizione 2013 del Pistoia Blues Festival; questi due mostri sacri che si sono incontrati musicalmente dando alla luce il bellissimo “Get Up!” hanno deciso di far partire il loro tour europeo proprio dalla città Toscana, in uno show unico per l’Italia.

Insomma, quella di questo 3 luglio era davvero un’occasione imperdibile, che infatti ha fatto riversare in città oltre 4000 persone, festanti ma anche attente nel rispettare il suono e la magia di ciò che Ben e Charlie creavano sul palco, aiutati da una fantastica band.

Si parte con “I don’t believe a word you say”, che subito fa intuire l’intensità della serata che ci aspetta.

“Get up!” arriva a scuoterci, con l’armonica di Musselwhite che dà i brividi, tanta ne è la bellezza, così come quando lo stesso Musselwhite alterna la sua voce roca, bassa e vigorosa con quella più leggiadra di mr. Harper: uno spettacolo nello spettacolo, come dimostrano “The blues overtook me” e “When it’s good” inframezzate da una versione delicata e allo stesso tempo energica di “Don’t look twice”.

Il tempo scorre via che è un piacere, senza rendersene conto siamo già a metà concerto e neppure i lievi schizzi di pioggia (che rendono la serata ancora più rock’n’roll) distraggono un pubblico appassionato e dall’orecchio fine come quello pistoiese.

Arriva il turno della sempre bellissima “Homeless child” e di brani destinati a diventare delle perle come “I’m in I’m out and I’m gone”, tratta proprio da “Get up!”.

E così, in un’atmosfera incantata, all’ombra della luna e del duomo di Pistoia, si arriva al momento dell’Encore, caratterizzato da una versione “corale” (pubblico compreso) di “We can’t end this way” e da una chiusura da pelle d’oca con “You found another lover” e “All the matters now”, di cui Ben Harper canta il finale senza microfono, intonandolo perfettamente di fronte a una piazza attonita e rapita.

“Grazie Pistoia, questo è il più grande festival Blues d’Europa. Grazie” chiude il mago della slide guitar, raccogliendo da terra anche una sciarpa arancione lanciatagli sul palco.

Io mi accodo alle sue parole, ribadendo davvero un grosso grazie al Pistoia Blues, uno dei pochi festival rimasti capace di far vivere serate come questa.

Serate uniche.

E’ con le prime note di “I only said” che alle 22.02  di un lunedì sera non qualunque (grazie a loro) i My Bloody Valentine si presentano al pubblico giunto da mezza Italia per vederli, a 22 anni di distanza da quel capolavoro che fu “Loveless” e pochi mesi appena dopo l’uscita del nuovo album “M.B.V.”

Appena vengono riconosciute le note di uno dei brani cardine di “Loveless” il pubblico è in delirio, felicemente assordato dal loro rombo sonoro, un concentrato di energia, poesia musicale, note affilate e voglia di suonare, che pervade la band irlandese come se fossero ancora dei ragazzini, visibilmente entusiasti di essere lì con tutto quel pubblico a vederli.

Pochissime parole sul palco e tanta musica, con uno stuolo di amplificatori mostruoso a irradiare le chitarre di Kevin Shields e delle meravigliose immagini che vengono proiettate dietro i MBV ad ogni brano; la voce di Belinda e quella di Shields stesso sono per lo più coperte dagli strumenti ma non importa, la bellezza dei My Bloody Valentine è proprio questa: siamo venuti (senza tappi) apposta per tornare con le orecchie che fischiano e il sorriso sulle labbra. E’ quella la nostra missione.
Scorrono così una via l’altra “When you sleep”, poi la nuova “New you” a cui fa da contraltare la vecchissima e potentissima “You never should”, con il pubblico scatenato, saltellante e adorante, mentre qualcuno si infila le dita nelle orecchie per attutire la dose di noise veramente mostruosa.

“Honey power” annichilisce con la sua dolcezza e la coda sonora a dir poco perfetta: fragore fa davvero rima con amore in questo caso.

L’attesissima “Cigarette in your bed” arriva a (sur)riscaldare le orecchie e i cuori di tutti, mentre due tecnici di palco si affannano a sventolare una testata di amplificatore dietro a Kevin Shields, che la sta letteralmente friggendo con la potenza della sua sei corde (alcuni degli ampli dei MBV hanno davvero più di 20 anni probabilmente).

C’è spazio anche per un intermezzo divertente e tenero, quando un emozionatissimo fan riesce a scavalcare le transenne e salire sul palco, ad abbracciare i suoi idoli, che se la ridono divertiti e lo abbracciano, senza fare una piega, felici di tanto affetto.

Seguono “Only Tomorrow”, “Come in alone” e una meravigliosa “Only shallow”, assolutamente da brividi.

C’è spazio ancora per altri brani, come “Thorn”, “Nothing much to lose”, “Who sees you”: ormai le orecchie sono andate, anche se meno di quel che temevo, non fischiano neppure e la bellezza di quello che ho davanti agli occhi è troppa per curarmene in ogni caso. I My Bloody Valentine live, non pensavo mi sarebbe mai accaduto di poterli vedere…e invece sono lì, tranquillissimi, con i loro strumenti glitterati, e il loro muro di amplificatori, il sogno di qualsiasi musicista che abbia iniziato a suonare da 20 anni a questa parte.

“Soon”, “Feed me with your kiss”, “Made me realise” e “Wonder 2” chiudono un set di circa un’ora e quaranta minuti filati. Di bellezza pura. Di shoegaze puro, eseguito dai re dello shoegaze.

Non c’è bis, non hanno suonato “Sometimes”, che forse è il loro pezzo più famoso…ma sinceramente sono piccolezze, in una serata che ti lascia in testa, nelle orecchie e nel cuore la voglia di rivederli ancora e ancora.

Bentornati My Bloody Valentine. Lunga vita a voi.